Ellery Queen Come notò Oreste Del Buono, il 1929 è un anno di grazia per la letteratura gialla. È l'anno in cui nascono Sam Spade e il commissario Maigret. Nel 1966 Ellery Queen vivrà una delle sue avventure più affascinanti: viene in possesso di un manoscritto sconosciuto del dottor Watson in cui si narra di come Sherlock Holmes abbia scoperto l'identità di Jack lo Squartatore! Fra gli innumerevoli (e il più delle volte mediocri) libri in cui si riprende il personaggio di Conan Doyle, questo A Study in Terror (Uno studio in nero) è sicuramente uno dei migliori. Dal libro due film: Sherlock Holmes: notti di terrore (A Study in Terror, GB 1965, di James Hill, con John Neville, Anthony Quayle, Robert Morley) e Assassinio su commissione (Murder by Decree, GB 1979, di Bob Clark, con Christopher Plummer, Donald Sutherland, James Mason, Geneviève Bujold).
le magnifiche copertine degli Omnibus Gialli Mondadori In Italia quasi tutti i romanzi ed i racconti con Ellery Queen sono stati pubblicati dalla Mondadori, che per molti anni, in appendice ai Gialli Mondadori inserì la Rivista di Ellery Queen, un adattamento della rivista americana Ellery Queen's Mystery Magazine. Romanzi:
Anche con lo pseudonimo di Barnaby Ross (dove il protagonista è l'attore shakespeariano Drury Lane):
Il successo di Ellery Queen fu enorme, per molti decenni, e Dannay e Lee hanno accumulato una fortuna fra editoria, cinema e radio, tuttavia la loro abilità nel costruire trame sofisticate ed efficaci non doveva essere molto inferiore a quella di gestire la ditta: oltre a quelli citati sono usciti numerosi altri libri a firma E. Q., non scritti dalla coppia - che peraltro incassava cospicue royalties - ma da altri scrittori (su questi apocrifi v. sotto).
Per i racconti vale la solita avvertenza: le antologie originali (e naturalmente anche i volumi che raggruppano più romanzi) non vengono quasi mai edite in altre lingue con la stessa struttura, e tra quelle italiane segnaliamo:
Ellery Queen's Mystery Magazine (la Rivista di Ellery Queen) fu un'altra geniale trovata di Dannay e Lee, i quali, sull'onda del successo del loro personaggio, nel 1941 crearono questa rivista in cui venivano pubblicate opere poliziesche abbastanza selezionate: la rivista acquisì rapidamente fortuna e autorevolezza, tanto da affermarsi come una delle più importanti pubblicazioni poliziesche periodiche a livello mondiale. Mondadori sfruttò anche in altri modi il prestigio della "ditta" e pubblicò svariate antologie con l'intestazione Ellery Queen presenta, tra cui:
Dopo Edgar Allan Poe, l'Associazione Statunitense degli scrittori di Mystery ha giudiicato Ellery Queen il più importante autore americano di vicende di mistero. E questo non sembri strano. A parte le vendite incredibili che dagli anni Trenta ad oggi hanno registrato i suoi libri, le sue raccolte di racconti e la sua mtologia mensile intitolata Ellery Queen's Mystery Magazine (la più venduta rivisita di racconti gialli edita nel mondo) che portano solo negli Stati Uniti cifre di milioni e milioni di copie, Ellery Queen è conosciuto per altre molteplici attività. Bigliografo, collezionista di racconti brevi e scopritore di nuovi talenti nella letteratura gialla, critico acutissimo... Da molti lettori e critici Ellery Queen veniva considerato un romanziere innocuo e adatto a tutti i palati. Questo per via di alcune popolari riduzioni televisive e cinematografiche dei suoi racconti. Ma al contrario io venni attratto dai suoi romanzi per una vena di ferocia e di perversità che egli mostrava spesso, pur nascondendola abilmente tra fatti e dialoghi innocenti o non inquietanti. Insomma, un autore complesso e interessantissimo. Quando i suoi due «padri» crearono il personaggio di Ellery Queen, l'investigatore non era come lo conosciamo oggi. Erano anche anni diversi e lontani. Ed Ellery era una specie di signorino affettato e aristocratico che aiutava con condiscendenza ur po' annoiata il padre, l'ispettore Richard Queen del New York Police Department. Il giovane Ellery era ossessionato dal suo sarto, vestiva sempre in tweed, portava occhialini d'oro a molla. Insomma, un gentleman leggermente pizzoso che in un romanzo una fanciulla definiva così: «I suoi occhi argentati sono devastanti per il mio cuore». Ma quasi subito cambiò. Nacque il suo famoso senso dell'humor. Le ragazze parevano più attratte da lui, e lui stesso più attratto da loro. La sua caratteristica era una facoltà di osservare la realtà, di estrarne i fatti più significativi per le sue indagini grazie ad una intelligenza deduttiva. Poiché ci troviamo nell'ambito di un Festival cinematografico, e poiché il cinema è anche il mio mestiere, non voglio dimenticare l'apporto che Ellery Queen ha dato al cinema. Il primo film tratto da un suo romanzo apparve già nel 1935. L'attore che lo interpretò fu Donald Cook e il titolo del film era Il mistero del mantello spagnolo; il caso di un uomo trovato morto su una spiaggia avvolto in una cappa da torero. Il successo del film fu travolgente e l'anno seguente ce ne fu un secondo. Cambiò però l'attore, che questa volta era il comico Eddie Quillan. Poi quattro anni di silenzio poiché questo secondo lavoro, The Mandarin Mystery, contrariamente alle previsioni, non riscosse successo. Quattro anni dopo, fu la volta di Ellery Queen, Master Detective, un film dove apparve un personaggio nuovo, la ragazza Nikki, dattilografa e segretaria di Ellery ma più interessata alle investigazioni che a battere a macchina. Questo personaggio, Ellery Queen scrittore, lo introdusse per la prima volta in una serie di radiodrammi e andò così bene che Nikki divenne eroina di molti film e romanzi. Nel 1941, un film molto bello, The Penthouse Mystery, protagonista, oltre al gruppo familiare Queen, un'assassina ventriloqua, ladra di gioielli. Nei primi anni Quaranta, i film tratti da romanzi o racconti del romanziere furono moltissimi. Due, tre all'anno. Venne quindi anche un giallo ambientato nell'Olanda occupata dai nazisti: Enemy Agents Meet Ellery Queen. Cambiavano anche spesso gli attori che interpretavano il personaggio del detective. E ormai la personalità di Ellery Queen si stava fissando nel cliché che avrebbe posseduto fino agli ultimi romanzi. Poi un periodo di silenzio cinematografico. Finché la televisione americana mette in cantiere una serie tratta dai suoi romanzi. Gli interpreti furono Lee Bowman e George Nader. Il successo fu enorme, prima in America e in seguito in molti altri paesi. La serie fu ripresa più tardi, già con la televisione a colori. C'erano Jim Hutton nel ruolo di Ellery e David Wayne in quello del padre. Dopo un primo anno in cui gli indici di ascolto americani furono assai bassi, questi telefilm presero quota, conquistando il pubblico televisivo. Dimenticavo un film del 1971 (di cui non ricordo il titolo italiano, ma non so neanche se fu distribuito in Italia, l'ho visto alla TV americana) dal titolo Don't Look Behind You, interpretato da Peter Lawford. La stranezza fu che il personaggio del padre Richard (interpretato da Harry Morgan) divenne in questo film zio di Ellery. Perché? Non l'ho mai saputo. Una stranezza degli sceneggiatori, poiché il romanzo, da cui è stato tratto il film, portava Richard sempre come padre. Questa è una brevissima cronistoria di Ellery Queen, un detective da me molto amato e seguito, forse uno dei detective più famosi di tutta la letteratura gialla. grazie a: Detective Story: l'occhio privato (Catalogo del Mystfest '81)
Quando Gianfranco Orsi del Giallo Mondadori lo aveva cercato all'inizio di quest'anno negli Stati Uniti per chiedergli una prefazione per il ciclo II meglio di Edgar Wallace, che si aggiungesse alle altre scritte da Donald E. Westlake, Julian Symons, Christianna Brand, Stuart Kaminsky, eccetera, la risposta era stata che lui, Frederic Dannay, sarebbe stato felice di scrivere qualcosa, a esempio, su Il covo sul mare, ma che, purtroppo, non stava bene. Se solo si fosse rimesso... Purtroppo l'ultima metà della coppia di Ellery Queen non s'è più rimessa, e ora ci è arrivata la notizia della sua morte. La prima metà se n'era già andata da un pezzo. Ellery Queen invece resta, è presente in ristampa in libreria e in edicola, anche se ha superato il mezzo secolo, essendo nato nel 1929. Il 1929, l'anno dell'inizio della grande crisi economica, è stato, si sa, un anno fortunato per la narrativa d'avventura nel fumetto, al cinema, nella letteratura di consumo. Ma nessun sottogenere, forse, ha rifulso come il giallo. Quell'anno, mentre nel Nuovo Mondo Dashiell Hammett varava nel romanzo II falcone maltese l'investigatore privato Sam Spade già assaggiato in qualche racconto un duro come mai ce n'erano stati e come mai ce ne sarebbero stati altri, e nel Vecchio Mondo Georges Simenon nel romanzo Pietro il Lettone concepiva la prima avventura del suo umano, troppo umano commissario Jules Maigret, due cugini, figli di due sorelle, e nati tutt'e due nel 1905 a Brooklyn, Manfred B. Lee e Frederic Dannay, impiegati uno in un'agenzia di pubblicità e l'altro in un ufficio di stampa cinematografica, decisero di partecipare al concorso bandito da una rivista per il miglior romanzo giallo inedito. Il concorso stabiliva di contrassegnare il dattiloscritto con uno pseudonimo, e Lee e Dannay ne scelsero uno solo in comune per tutt'e due: Ellery Queen, e, già che erano in clima di economia, risparmiarono sul protagonista che chiamarono pure Ellery Queen. Però, per non lasciarlo troppo solo a fronteggiare da investigatore dilettante un caso difficile, gli affiancarono anche un padre, l'ispettore Richard Queen, esperto, con una notevole routine alle spalle. Non è esatto: in realtà, misero Ellery Queen al fianco del padre che aveva un sincero e irrinunciabile bisogno di essere aiutato a superare il gap sclerotico da una mente più giovane, aguzza e spregiudicata. Ellery Queen, d'accordo, si ispirava all'inglese Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle attraverso la ripresa americana del Philo Vance di S. S. Van Dine, ma si mostrava sin dall'esordio un poco meno pomposo di Philo Vance e un poco meno infallibile di Sherlock Holmes. Certo, una qualche arroganza non gli mancava, e trattava il padre con paternalismo. L'avrebbe, comunque, persa strada facendo, diventando sempre più simpatico, pressoché irresistibile. Quella prima avventura di Ellery Queen The Roman Hat Mystery (nella misteriosa alchimia della titolazione dei Gialli Mondadori diventò La poltrona n. 30) vinse il concorso, ma non ebbe il premio perché nel frattempo la rivista banditrice era fallita. Cose che capitano a questo mondo. Una casa editrice, comunque, pubblicò il romanzo, e Ellery Queen, personaggio e autore, anzi autori, piacque subito. Da allora ha continuato a piacere, è uno pseudonimo d'arte e d'invenzione che si è affermato come l'insegna di una ditta più che rispettabile, e, quello che importa maggiormente, più che amabile. La prima avventura, e qualche altra successiva figuravano introdotte, annotate, commentate da tale J. J. McC che raccontava di aver incontrato per caso in un paese di montagna in Italia il vecchio ispettore Richard, il figlio Ellery, la splendida nuora moglie di Ellery e il nipote, ovvero il figlio di Ellery, in tutto rassomigliante al nonno, più il tuttofare nonché orfano Djuna. I Queen davano, allora, nel 1929, l'impressione di essersi stabiliti definitivamente dalle nostre parti, e di aver lasciato la casa sull'87a Strada come un museo semiprivato di curiosità raccolte durante gli anni di lavoro. Insomma, le loro storie che J. J. McC ricostruiva in forma romanzata con l'aiuto degli archivi del Dipartimento di Polizia di New York dovevano riferirsi tutte al secondo e al terzo decennio del secolo. Julian Symons, il critico inglese del romanzo giallo e giallista in proprio, uno di quelli che più hanno studiato il fenomeno Ellery Queen, a esempio in Bloody Murder, riscontrando recentemente in The Great Detectives le numerose contraddizioni che animano la produzione di Manfred B. Lee e Frederic Dannay, divide le gesta di Ellery Queen in due fasi ben distinte. La prima terminerebbe con il decimo romanzo Halfway House (titolo italiano: La casa delle metamorfosi) che è del 1936. In questa prima fase Ellery Queen porta pince-nez e bastone, vive effettivamente storie al tramonto degli Anni Venti e all'alba degli Anni Trenta, fa sfoggio di cultura, citando Goethe in tedesco e Rousseau in francese, e ostentando di conoscere a perfezione Omero, Piatone, Napoleone, Byron. The Door Between (La porta chiusa) che è del 1937 e continua sino a A Fine and Private Place (La prova del nove) che è del 1971, Ellery Queen è, invece, molto diverso: spesso e volentieri non porta pince-nez e bastone, vive anche storie degli Anni Quaranta prima e dopo la seconda guerra mondiale, e magari oltre, parla senza più affettazione, rinnega le citazioni amate in precedenza, e ha minori capacità investigative per cui vien salvato dallo sbagliare troppo dalla pazienza del padre ispettore. «La mia interpretazione è che ci fossero, non metaforicamente ma nel vero senso della parola, due Ellery Queen detective. Ho chiamato il secondo Ellery II, ma sarebbe meglio designarlo con il tradizionale simbolo dell'incognita X...» scrive Julian Symons nel suo recente bel libro, che qui da noi è stato pubblicato con la rispettosa titolazione I grandi detectives dall'Istituto Geografico De Agostini di Novara. Comunque, spiritosamente, si applica a chiarire quest'incognita X, sino a farla ridiventare un Queen, ma semplicemente II, bensì con un suo proprio nome proprio, e precisamente Dan, fratello minore di Ellery. Ed ecco, dunque, Julian Symons scatenato a riferirci un'impresa investigativa di Dan, da giovane, studente dell'Amherst College. Una divertente storiella pseudo e originale al tempo stesso che Julian Symons assicura di aver sottoposto a Frederick Dannay, senza ricavarne altro che una vaga, molto vaga approvazione. «Il più grande esperto vivente dell'argomento non è stato particolarmente impressionato dal racconto. Non mi sono scoraggiato e spero ancora di scoprire prove che dimostrino in maniera definitiva l'esistenza di due Ellery Queen...» conclude Julian Symons. A parte questo piccolo mistero artificiale, creato a omaggio del passare del tempo e del mutare di un personaggio caro al lettore, credo che alla morte di Frederic Dannay undici anni dopo la morte di Manfred B. Lee (nel 1971, data, appunto, dell'uscita dell'ultimo romanzo del ciclo di Ellery Queen, essendosi dedicato in seguito il superstite della coppia solo alla compilazione della famosa rivista Ellery Queen's Mystery Magazine) si abbia da risolvere un certo numero di incombenze supplementari. Ad esempio, in Italia restaurare l'indispensabile prefazione dell'immaginario giudice e stock-brocker J. J. McC, sacrificata nella prima edizione nostrana del 1934 non so se per risparmiare pagine e, quindi, spese o se per eliminare un elemento di ridondanza. E, a esempio negli Stati Uniti, investigare sulla sorte di certi inediti del ciclo di Ellery Queen di cui ci è stata fatta parola al Players club di Gramercy Park, ex residenza del famoso attore shakespeariano Edwin Booth, settimo figlio di Junius Brutus e fratello di John Wilkes, l'assassino del presidente Lincoln. E poi ci sarà da ricostruire, analizzare, apprezzare di più questo lavoro di coppia testimoniato in varie interviste del superstite Frederic Dannay: «Ci dividevamo i compiti come capitava...». Insomma, non c'era l'inventore e non c'era l'esecutore, erano tutt'e due inventori e esecutori insieme e/o a turno. «A volte lavoravamo nella stessa stanza, a volte in un'altra stanza, a volte in un'altra città. Lontani, comunque, non litigavamo o litigavamo meno...». Insomma, l'accordo del lavoro derivava dal disaccordo dei caratteri, dal rapporto dialettico. «Io, introverso, amavo la campagna. Lui, estroverso, concepiva esclusivamente la città.» E insomma un orgoglio di mestiere, di professione, se non addirittura di vocazione. «C'è più giustizia nella finzione poliziesca che nella realtà. Ma il giallo dev'essere soprattutto evasione. La gente lo legge per divertirsi... » Ellery Queen passa per un eroe tipicamente americano. Eppure, dietro di lui, come autori prima e come personaggi poi, sta, forse, più Vecchio Mondo che Nuovo. Non a caso, sotto lo pseudonimo Ellery Queen si nascondevano in nomi Manfred B. Lee e Frederic Dannay, e anche questi erano pseudonimi. Sotto c'erano due altri nomi molto, ma molto meno americani: Manford Lepofsky e Daniel Nathan, figli di miserrimi immigrati polacchi, desiderosi di non mettersi troppo in mostra come intrusi durante la grande crisi economica, quella di allora, s'intende. Chissà che, secondo il meccanismo delle scatole cinesi, così in auge nella prima fase del ciclo di Ellery Queen, frugando e rifrugando, non si arrivi a scoprire che neppure Manford Lepofsky e Daniel Nathan sono nomi veri, ma pseudonimi di qualche altro nome. La figura di Ellery Queen così elegante, brillante e fortunato, comunque, è proprio il sogno americano, anzi nordamericano, il sogno concepito e covato da due che non si sentono ancora abbastanza nordamericani. È stato Ellery Queen a condurli per mano nell'insediamento completo, nell'integrazione in profondità. grazie a: Tuttolibri - 11 settembre 1982
Nel 1958, con la pubblicazione di The Finishing Stroke (Colpo di grazia), la carriera letteraria dei due cugini, Frederic Dannay e Manfred B. Lee, che dal 1929 scrivevano sotto lo pseudonimo Ellery Queen, pareva essersi volontariamente conclusa. The Finishing Stroke, romanzo insolito e singolare anche all'interno di una serie che si era sempre distinta per la sua totale originalità, era stato concepito da Dannay e Lee proprio come il segno conclusivo e irrevocabile di quella che i Queen consideravano ormai una attività sempre più difficile e meno significativa: giustificare e legittimare la sopravvivenza di quello che Francis Nevins è solito chiamare "enigma deduttivo formale". In sintesi, i due cugini trovavano sempre più faticoso inserire un personaggio come Ellery Queen, sinonimo del ragionamento e della deduzione, all'interno di scenari criminali sempre più dominati da moderne tecniche d'investigazione poliziesca. Non è da escludere che l'apparizione, nel 1956, e il rapido successo di un autore come Ed McBain, convinto assertore, almeno nei primi tempi, di una stretta aderenza a forme di rigoroso naturalismo e realismo, abbiano persuaso un attento osservatore della scena gialla come Frederic Dannay che il tipo di romanzo poliziesco propugnato da Queen per quasi un trentennio pareva aver fatto il suo tempo (e che poi non sia esattamente andata così, e che lo stesso McBain si sia rivelato uno squisito cultore, e a volte praticante, del giallo classico è tutta un'altra faccenda). La cronologia queeniana ci dice, oggi, che a The Finishing Stroke avrebbe fatto seguito The Player on the Other Side (Bentornato, Ellery!), ma solamente nel 1963 - a cinque anni di distanza. Il lettore dell'epoca, invece, vide già nel 1961 apparire sul mercato un nuovo romanzo firmato Ellery Queen, Dead Man's Tale (L'eredità che scotta). A questo romanzo, che segnava una completa rottura con lo stile e con le tematiche fino ad allora affrontate da Dannay e Lee, avrebbero fatto seguito, fino al 1972, altri ventisette titoli: tutti firmati Ellery Queen ma assolutamente dissimili tra loro, nella enorme disparità di argomenti, situazioni e varietà stilistica da sembrare - come poi si sarebbe rivelato essere - opera dei più diversi autori. Il mistero, almeno in Italia, è rimasto ufficialmente insoluto fino al 1993, quando una puntigliosa bibliografia queeniana curata da Roberto Pirani, e inclusa in appendice all'Omnibus Mondadori Ellery Queen: sfida al lettore ha iniziato a squarciare il velo che copriva le identità dei molti illustri collaboratori ingaggiati da Dannay e Lee nella stesura di questi romanzi "minori". Di più: si è anche appreso che la ditta Ellery Queen era in realtà una impresa "aperta" anche per quanto riguarda molti romanzi inseriti a pieno titolo nel canone queeniano consolidato, e che titoli come, appunto, The Player on the Other Side o ...and on the Eighth Day... (...e l'ottavo giorno...] sono il risultato di un ghostwriting più o meno supervisionato dai Queen cosiddetti "titolari". Esclusa completamente, quindi, la partecipazione di Frederic Dannay a questa impegnativa impresa editoriale (che, bisogna ricordare, non rappresenta un caso isolato nella letteratura poliziesca: gran parte della tarda produzione di Brett Halliday, ad esempio, è opera di altri autori, tra i quali Bill Pronzini), può essere interessante esaminare in breve i tratti distintivi di questa insolita serie. I migliori romanzi della serie sono forse opera di Jack Vance, notissimo scrittore di fantascienza, e l'unico tra tutti gli autori coinvolti ad aver deliberatamente adottato situazioni e tematiche di carattere queeniano. The Four Johns (Confessa o morirai) ha quattro sospettati con lo stesso nome; The Madman Theory (Il seme della follia) riprende il tema del serial killer alla cieca che nasconde invece un piano accuratamente predeterminato; A Room to Die (Una stanza per morirci), a mio avviso il più riuscito tra gli apocrifi, presenta un enigma di camera chiusa di interessante fattura. Cinque autori diversi hanno invece scritto un romanzo ciascuno. Henry Kane, il creatore di Peter Chambers, si nasconde dietro Kill As Directed (Assassinio su ricetta), uno dei primi romanzi della serie; a Stephen Marlowe, padre di Chester Drum, è toccato il primo romanzo, il già citato Dead Man's Tale, romanzo di avventura e intrigo internazionale più che giallo vero e proprio. Walt Sheldon, autore praticamente sconosciuto in Italia, ma molto attivo su rivista negli USA, ha invece scritto nel 1968 Guess Who's Coming to Kill You (Indovina chi viene ad ucciderti), una delle due incursioni della serie nel campo dello spionaggio (l'altra è Who Spies, Who Kills? (C'è chi spia, c'è chi uccide), firmata nel 1966 da Talmage Powell). Infine, la seconda sottoserie dedicata alle avventure di Mike McCall, The Troubleshooter, assistente speciale del governatore Sam Holland, è stata firmata, oltre che da Richard Deming, da due autori insoliti come Gil Brewer, autentico archetipo dello scrittore noir "maledetto", e da Edward D. Hoch, una delle presenze più qualificate della Rivista di Ellery Queen e, forse, unico vero erede di Queen nella forma del racconto breve. Come si sarà potuto vedere, quindi, da questa sommaria disamina, anche in un aspetto evidentemente secondario della sua attività la ditta Ellery Queen è in grado di offrire, al lettore e allo studioso, motivi di interesse non secondari. Gli apocrifi di Ellery Queen, lungi dall'essere romanzi mediocri, consentono invece di poter meglio inquadrare la cosiddetta "quarta fase" del canone queeniano; quella, per intendersi, che si apre nel 1963 con The Player on the Other Side (scritto, a quanto si è appreso negli ultimi anni, da Dannay insieme a Theodore Sturgeon) e che si conclude nel 1971 con A Fine and Private Place (La prova del nove), trionfo finale della logica deduttiva e del tema, assolutamente queeniano, della manipolazione dell'individuo da parte di un'entità superiore (vera o presunta). E il segno della grande attualità dei romanzi di Queen è l'influenza che ancor oggi essi esercitano su molti autori contemporanei, come ad esempio Dennis Lehane, il cui Darkness, Take My Hand (1996) riprende e amplifica in maniera totalmente inaspettata le tematiche manipolatorie, appunto, di The Player on the Other Side. Il ragazzo (Lehane, intendo) ha evidentemente fatto le sue buone letture. grazie a: http://www.gialloweb.net |