Fredric Brown
Fredric Brown (1906-1972) nel 1936 viene assunto dal Milwaukee Journal, prima come correttore di bozze e poi come articolista. Nel 1947 pubblica il suo primo giallo, The Fabulous Clip-joint, Sangue nel vicolo, aggiudicandosi il premio Edgar Allan Poe dei Mystery Writers of America come migliore opera prima. Protagonista è una singolare coppia di investigatori, Ed e Am Hunter, zio e nipote, che hanno un'agenzia investigativa a Chicago: non è particolarmente originale lo schema di due protagonisti diversi (in questo caso zio di mezza età e nipote esuberante), con relativi battibecchi ed equivoci, ma che poi al momento buono si ritrovano in sintonia; tuttavia Brown imprime alle vicende un ritmo tutto suo, in cui la complessità dell'intreccio viene gestita con chiarezza e si accompagna a un veloce susseguirsi degli eventi.
L'esperienza maturata da Brown anche nel campo televisivo (scrive diversi soggetti per la serie televisiva di Alfred Hitchcock) lo porterà a definire meglio il proprio stile e a orientarsi verso una maggior articolazione dei personaggi: l'influenza di Raymond Chandler, di Cornell Woolrich, di Patrick Quentin, si fa sentire fortemente, e tutta la produzione di Brown assume quasi sempre toni cupi, se non addirittuta angosciosi, con personaggi invariabilmente ai margini, "spostati" li chiamerà John Huston nel suo celebre film.
Tant'è che il poliziesco diventerà un ambito per così dire minore del suo lavoro, non potendo - per ovvie ragioni narrative - esprimere compiutamente tutto l'universo di incubi e sogni che aveva in mente: sarà dunque una letteratura decisamente imperniata sui misteri estremi che lo impegnerà, in un territorio d'ombra in cui si ritrovano thriller, fantasy, fantascienza, e richiami potenti ai classici della narrativa (ad esempio Alice nel Paese delle Meraviglie, in Tutto in una notte).
A differenza degli autori appena ricordati, stranamente Brown (che pure morirà alcolizzato) non rinuncerà anche a momenti di umorismo, spesso paradossale, giocato sull'ambiguità, che rendono le sue opere ancora più originali e suggestive.
Romanzi gialli (esclusa, quindi, la sua notevole e importante produzione fantascientifica):
- Sangue nel vicolo (The Fabulous Clipjoint, 1947), Longanesi, 1954, 1974
- Delitto senza preludio (The Dead Ringer, 1948), Gialli Élite, 1957
- Il delitto che diverte (A Plot For a Murder, 1948), Longanesi, 1954; o I delitti di Babbo Natale, Mondadori, 2000
- The Bloody Moonlight, 1949
- La statua che urla (The Screaming Mimi, 1949), Longanesi, 1953; Interno Giallo, 1991; Mondadori, 1997; Hobby & Work, 2009
- Un caso su mille (Compliments of a Fiend, 1950), Mondadori, 1953, 1974
- Here Comes a Candle, 1950
- Tutto in una notte (Night of the Jabberwock, 1951), Mondadori, 1991; o Il visitatore che non c'era, Polillo, 2003
- The Case of the Dancing Sandwiches, 1951
- Uno strano cliente (Death Has Many Doors, 1951), Garzanti, 1959; Mondadori, 2002
- Grido di morte (The Far Cry, 1951), Mondadori, 1990, 2016; o Grido mortale, Hobby & Work, 2005, 2011
- Ho ucciso mia nonna? Un'amnesia pericolosa (We All Killed Grandma, 1952), Garzanti, 1956; Mondadori, 2010
- Gorgo fatale (The Deep End, 1953), Garzanti, 1954, 1964
- Il suo nome era morte (His Name Was Death, 1954), Garzanti, 1955
- Indagine a Skid Row (The Wench is Dead, 1955), Mondadori, 1992
- La belva nella città (The Lenient Beast, 1956), Casini, 1958
- Il bicchiere della staffa (One for the Road, 1958),Garzanti, 1959, 1965
- Colpisci e fuggi (Knock Three-One-Two, 1959), Ponzoni, 1960; o La notte dello Psico, Mondadori, 1994
- La morte viene dalla strada (The Late Lamented, 1959), Garzanti, 1961
- Gli assassini (The Murderers, 1961), Garzanti, 1962
- Cinque giorni d'incubo (The Five-Day Nightmare, 1962), Mondadori, 1963, 2012
- Mrs. Murphy's Underpants, 1963
La statua che urla ha ispirato due film:
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Robert Bloch
Ricordo di Fredric Brown |
Spero che il suo nome venga scritto correttamente.
All'apice della fama, con più di cento libri e trecento racconti al suo attivo, c’erano ancora critici e recensori frettolosi che lo chiamavano Frederic o addirittura Frederick Brown.
Anche se i loro articoli erano generalmente (e meritatamente) lusinghieri, lui andava sulle furie per quegli errori. Oltre a essere maniaco dell’esattezza era anche orgoglioso della propria firma; e pretendeva che fosse scritta nel modo corretto: Fredric Brown.
Gli amici, naturalmente, l’hanno sempre chiamato Fred.
L’ho conosciuto a Milwaukee, all’inizio degli anni Quaranta.
Nato a Cincinnati nel 1907, ha studiato all’Hanover College, nell'Indiana, e ha fatto un sacco di mestieri, anche duri e modesti, come il fattorino e l’ inserviente di luna park.
Quando ci siamo conosciuti era correttore di bozze al “Milwaukee Journal”, e abitava in una modesta casa della Ventisettesima Strada, con la prima moglie, Helen, e i due figli, due bambini molto intelligenti. Della famiglia facevano parte anche un gatto siamese di nome Ming Tah, un antico strumento di legno simile a un flauto, una scacchiera e una macchina da scrivere.
Fred si divertiva col gatto, col flauto e con gli scacchi. La macchina da scrivere però non aveva scopi giocosi.
Fred scriveva racconti. Li scriveva nel suo tempo libero perchè gli serviva la sicurezza di un impiego fisso per mantenere la famiglia. I suoi lavori li vendeva alle riviste popolari che costituivano il migliore mercato esistente per le fatiche di un principiante. Oggi i collezionisti pagano salate le riviste sulla cui copertina compare il suo nome, ma a quel tempo lui era soltanto uno dei cento collaboratori che si contendevano l’uno o i due cents a parola offerti dagli editori.
Piccolo di statura, minuto, con lineamenti delicati parzialmente nascosti dagli occhiali montati in corno, e un sottile paio di baffi, Fred aveva un’aria vagamente professionale. Parlava con voce mite e aveva un aspetto impeccabile, ma guai al conoscente occasionale che si fosse arrischiato a competere con lui in una nottata di poker e di bevute! Nessuna speranza nemmeno per chi avesse voluto misurarsi con lui in un duello verbale: le parole erano la sua arma naturale, e le sue battute erano più letali di una spada. Quando non meditava sui propri singolari gusti linguistici, passava il tempo alla ricerca di titoli sbalorditivi per i suoi racconti. Ricordo che un giorno pagò dieci dollari per il diritto di usarne uno suggerito da un amico. Il racconto, una storia gialla, si intitolò “I Love You Cruelly” (Ti amo crudelmente).
Il responsabile di questo titolo faceva parte, come Fred, degli Allied Authors, un gruppo di scrittori che si riunivano regolarmente al circolo della stampa di Milwaukee. Molti appartenenti al gruppo erano interessati più che altro alle partite a poker e al servizio di bar che il circolo offriva, ma pur essendo lungi dal disprezzare carte e bottiglia, Fred era serissimo quando si trattava di discutere l’intreccio o la costruzione di un racconto. Aveva un suo agente letterario a New York ma continuava a tenersi aggiornato personalmente sul mercato letterario, i compensi offerti, i contratti.
Era scopertamente ambizioso e abbondantemente qualificato per emergere.
Sempre animato da intensa curiosità intellettuale, era un lettore onnivoro ma raffinato, e i suoi interessi spaziavano dalla musica al teatro agli sviluppi della scienza. Autentico purista lessicale, per lui le chiacchiere erano più che un passatempo: mot juste e double entendre erano i suoi arnesi del mestiere ma lo affascinavano ugualmente le peculiarità della lingua parlata, che nelle sue opere Brown proponeva con precisione puntigliosa.
Come la maggior parte di noi, che avevamo trovato uno sbocco commerciale nelle riviste popolari, anche Fred scrisse la sua parte di racconti opachi, banali, con personaggi piatti, stereotipati e improbabili, e dialoghi artificiosi che tanto piacevano ai direttori delle riviste. Di tanto in tanto, però, affrontava qualcosa di nuovo, e alla fine approdò al romanzo.
The Fabulous Clipjoint (tit. it.”Il sangue nel vicolo”), pubblicato nel 1947, fu acclamato dai critici, e l’associazione degli scrittori americani di gialli gli conferì l ambito Premio Edgar Allan Poe. Il suo secondo giallo, The Dead Ringer (tit. it. “Delitto senza preludio”), ottenne un successo analogo e lo consacrò fra i principali esponenti della narrativa poliziesca. Nel 1948 apparve su “Startling Stories” il suo originale romanzo breve What Mad Universe (tit. it. “Assurdo universo”) che, allungato fino a diventare un libro vero e proprio, l’anno successivo venne pubblicato in edizione rilegata, dando a Fred la meritata fama anche come scrittore di fantascienza.
Intanto, la sua vita personale subiva un importante mutamento.
Dopo aver divorziato da Helen di comune accordo, a distanza di un anno o poco più, si risposò. Incoraggiato dal successo che aveva salutato i suoi libri, cominciò a scrivere romanzi gialli a ritmo accelerato. Autentico figlio della Grande Depressione, la famosa crisi del ’29, Fred aveva imparato il valore di un lavoro sicuro e dell’anzianità di servizio, quindi non abbandonò l impiego di correttore di bozze: non intendeva rinunciare a un reddito fisso per le incertezze della libera professione di scrittore.
In quel periodo passavamo parecchio tempo insieme a discutere professionalmente dei suoi romanzi in preparazione o a sviscerare i suoi problemi personali. Un giorno venne a trovarmi tutto raggiante: aveva appena ricevuto una telefonata da un importante personaggio di New York, il direttore di una delle più grosse catene di riviste popolari, il quale gli aveva proposto di assumersi una parte della responsabilità editoriale dietro compenso di settemilacinquecento dollari all’anno. Oggi come oggi una somma del genere impressiona solo sfavorevolmente, ma saltate un po’ sulla più vicina macchina del tempo e tornate indietro di venticinque o trent’ anni.
Scoprirete che settemilacinquecento dollari erano un reddito annuo rispettabile, equivalente più o meno a ventimila dollari di oggi. Era comunque molto più di quanto Fred guadagnasse, o avrebbe potuto guadagnare, con il suo lavoro al giornale. Se poi avesse continuato a scrivere romanzi nel tempo libero, i suoi guadagni sarebbero andati al di là di ogni più rosea speranza. Fred ne parlò con me, con altri amici e con sua moglie. Poi lasciò l’impiego e andò a New York, dove scoprì che nel corso della conversazione telefonica c’era stato un piccolo malinteso. Lo stipendio offertogli dal direttore editoriale non era stato di settemilacinquecento dollari all’anno, ma di settantacinque dollari alla settimana. Una pesante nuvola nera scoprì in fretta l’aureo rovescio della medaglia.
Dopo un paio d’anni, la grande catena di riviste popolari non esisteva più. Era invece in piena espansione il mercato delle edizioni economiche, che si disputavano il privilegio di ripubblicare romanzi gialli e di fantascienza già apparsi in edizioni rilegate. Le edizioni straniere cominciavano a fruttare diritti più consistenti, la televisione acquistava racconti per adattamenti al piccolo schermo, e le nuove riviste per soli uomini - prima fra tutte “Playboy” - pagavano i racconti brevi sempre meglio. La sorte volle che Fredric Brown si trovasse al posto giusto nel momento giusto: criticamente, commercialmente e soprattutto creativamente si era ormai affermato.
Dalla sua macchina per scrivere - che ora picchiettava a Taos, nel Nuovo Messico - uscì una serie di notevoli e insoliti suspense. Fred si era comprato un’auto e aveva imparato a guidare: la voglia di vedere posti nuovi, ma anche la scoperta di soffrire di problemi respiratori, l’avevano portato lì, nel deserto.
Fare lo scrittore a tempo pieno era massacrante anche per un uomo con l’abilità di Fred. Sia nel campo del giallo sia in quello della fantascienza era ormai noto per l’ingegnosità degli intrecci e i finali a sorpresa, e sfornare trovate sempre nuove non era facile. La destinazione non era importante, ma si era accorto che la tranquilla monotonia di un viaggio senza la tensione della guida gli favoriva l'inventiva. Alcune delle sue opere migliori vennero alla luce sui pullman della Greyhound. Ma non tutto quello che Brown ha scritto si basa sull’artificio o sul disorientamento del lettore: autore ormai maturo, sapeva conferire autenticità alle sue opere attingendo a una ricca esperienza personale. A Fred non bastava vivere sulla fama di continuatore di O. Henry, era anche disposto a correre il rischio di rinnovarsi.
Nella fantascienza degli anni Cinquanta, rinnovamento stava solitamente a significare estrapolazione avanzata delle teorie scientifiche ortodosse, oppure proiezione al futuro dei fenomeni sociali contemporanei. I racconti a base di antigravità e di antimateria venivano dunque osannati come audaci, mentre gli affreschi di future società governate da agenzie pubblicitarie e compagnie d’assicurazione erano considerati l’estremo approdo della narrativa speculativa. Fred scelse di voltare le spalle a questa tradizione: tipico della sua personalità. Da quell’ individualista bizzoso che era, scrisse The Light in the Sky Are Stars (tit. it. “Progetto Giove”). Fu uno dei suoi libri migliori, e anche uno dei più coraggiosi.
Oggi è emersa tutta una generazione di scrittori che dicono le cose come sono, o che almeno credono di farlo. La loro narrativa è popolata di giovani arrabbiati nemici dell’establishment, di drogati e di personaggi sessualmente ambigui che esprimono liberamente la propria filosofia con vocaboli da angiporto. Anche senza mettere necessariamente in dubbio la sincerità o l’impegno di tali scrittori, la verità è che non sono coraggiosi come dichiarano di essere. Direi anzi che si limitino a ripetere il linguaggio e gli atteggiamenti già emersi oltre un decennio fa tra i giovani politicamente impegnati e i contestatori di vario tipo. Invece di usare le proprie facoltà creative per ipotizzare il futuro, questi autori si limitano a riecheggiare una realtà già passata.
The Lights in the Sky Are Stars non rientra in questa categoria, non contiene scene di sesso bizzarro e i suoi personaggi si esprimono in maniera normale anziché usare frasi e gergo da orinatoi pubblici. Eppure, fu un opera audace. Pubblicato durante gli anni più gloriosi dell’amministrazione di Eisenhower, in un periodo in cui, sia per gli scrittori di fantascienza che per i loro lettori, il programma spaziale e i giovani coraggiosi che ne erano i pionieri venivano idealizzati e idolatrati, il libro di Fred fu una deliberata doccia fredda su sogni e illusioni e li sostituì con una scomoda realtà. In un’epoca in cui praticamente tutti gli eroi della fantascienza erano giovani - i pochi di mezza età venivano descritti come brizzolati veterani di trentacinque anni o giù di lì - Fred presentò un protagonista più che cinquantenne. Come se questo non bastasse, era anche fisicamente hadicappato e, orrore impensabile per i giovani lettori di quegli anni, sessualmente attivo. Per di più, il romanzo di Fred, anziché esaltare le facili glorie dei programmi spaziali, parlava delle macchinazioni dei politicanti e delle manovre di militari e industriali per sfruttare quei programmi a proprio beneficio.
Secondo me, in tale dissacrazione c’era molto più realismo che in qualsiasi storia con protagonista un hippy trapiantato pari pari in una società futura che somiglia in maniera sospetta alla New York dei giorni nostri durante uno sciopero degli spazzini.
Curioso, ma il libro ebbe una buona accoglienza. Non vinse premi e non rientrò nella classifica dei bestseller, ma ancora oggi questo romanzo merita un riconoscimento per quello che il suo autore riuscì a dire con sistemi del tutto onesti. Sì, Fred fu un innovatore. Più o meno in quello stesso periodo tentò un altro esperimento. Giallista ormai affermato, con contatti e contratti sicuri, scrittore di fantascienza in rapida ascesa, decise di scrivere un romanzo non di genere. Lui che si era costruito una reputazione sui guizzi dell’intreccio, i personaggi pittoreschi e un suo humor bizzarro, cominciò a scrivere un libro-verità prima ancora che la definizione venisse inventata.
Il risultato fu The Office, racconto semiautobiografico delle sue esperienze negli anni Venti. Essendo estremamente onesto ci riuscì fin troppo bene, e questo decretò il fallimento del libro. Messa sulla carta, la vita condotta da Fred in quegli anni risultò monotona e banale. I lettori che si aspettavano un tipico racconto browniano, trovarono scialba quella storia quotidiana di gente vera in un ufficio vero, normale, senza stragi né violenze, senza pazzesche complicazioni d’intreccio e raffiche di battute.
Non si avventurò più su quel terreno e tornò alla sua antica formula. Ma quanto era ricca e variegata, come formula! Il proliferare di riviste per soli uomini offrì nuovi sbocchi al suo talento e a lui nuova libertà d’espressione. I tabù sessuali stavano cadendo e, pur rifiutando la volgarità, Fred fu lieto di basare i suoi racconti fantastici e fantascientifici su temi fino ad allora proibiti. Diede libero sfogo alla sua esuberante inventiva e trovò una nuova dimensione letteraria nella short-short story, ossia nel racconto brevissimo.
A questo proposito, gli appassionati ricorderanno forse un disco intitolato Introspection IV, edito nel 1960 dalla Warner Bros. In quel disco, l’attore Johnny Gunn, accompagnato dagli effeti musicali di Don Ralke, legge una serie di racconti. Cinque di essi, “Sentinella”, “La razza dominante”, “Immaginatevi”, “Voodoo”, “Questione di scala”, sono tra i migliori di Brown.
All’inizio degli anni Sessanta, Fred e Beth si trasferirono sulla Costa Occidentale, in località San Fernando Valley. Io mi trovavo già in zona, e così ricominciammo a passare parecchio tempo insieme.
Per un po’, Fred si misurò con il cinema e la televisione. Già negli anni Quaranta un produttore gli aveva comperato una storia per usarne il finale in un film con Pat O’ Brien, intitolato Crack up. Negli anni Cinquanta era stato invece portato sullo schermo il suo giallo The Screaming Mimi (tit. it. “La statua che urla”). Altri racconti erano stati adattati per la radio e poi alcune serie televisive. Logico quindi che a un certo punto Brown scegliesse di scrivere lui stesso gli adattamenti dei suoi lavori. Ma essendo Hollywood quella che era, e che ahimè è ancora, i suoi sforzi non incontrarono molto favore. I produttori non lo capivano. Secondo una loro concezione, un professionista è chi accetta di scrivere qualsiasi cosa su ordinazione. Fred, invece, da autentico professionista qual era, voleva scrivere soltanto storie alla Fredric Brown.
E di nuovo tornò alla carta stampata. Peccato per Hollywood e tanto di guadagnato per noi, poiché lui continuò a produrre racconti personalissimi e originali. Racconti che gli diedero fama nel genere che ci interessa. Ma anche se avesse scritto soltanto Puppet Show (tit.it. “Il vecchio, il mostro spaziale e l’asino”), dovremmo essergli grati per il suo contributo alla fantascienza. Per fortuna, Fredric Brown scrisse molto di più. (…)
È proprio con i racconti che Brown ha conquistato e consolidato la sua fama. Che io sappia, non ha mai partecipato a nessuna convention di fantascienza, non è mai stato un collezionista di trofei, non è mai andato a caccia di pubblicità, e sono pochi gli ammiratori e i colleghi che dopo averne conosciuto il nome hanno anche potuto conoscerlo di persona. Di lui, i suoi lettori hanno imparato piuttosto ad amare e apprezzare ciò che contraddistingue inconfondibilmente i suoi lavori: l’originalità, lo humor, l’ironia che a volte ricorda Ambrose Bierce. In lui però c’era una vena giocosa che dava dimensione nuova anche al suo cinismo più sferzante e alla satira più feroce. Aggiungete un’abilità eccezionale nel proporre dialoghi realistici e nel caratterizzare meticolosamente i personaggi, e avremo un risultato ammirevole quanto divertente.
Non c’è più molto da dire. I disturbi respiratori di Fred si aggravarono costringendolo a trasferirsi a Tucson, in Arizona. E fu a Tucson che Fredric Brown morì, l’11 marzo 1972. Quanti di noi hanno avuto il privilegio di conoscerlo piangono la sua scomparsa, mentre tutti i lettori gli saranno sempre grati per i doni che ha fatto al suo pubblico.
Della sua vasta opera presentiamo qui i racconti lunghi, brevi e brevissimi, e io vi esorto a leggerli tutti. Fredric Brown vi ha riversato una vita di lavoro, esperienze, allegria, saggezza, sogni a occhi aperti, onestà, immaginazione, gioia e dolore: tutto quello che dà la misura di un uomo.
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