LA RIVOLUZIONE RUSSA 1917 In Russia stavano nuovamente per germogliare i semi lanciati nel
1905 nelle fabbriche, nelle campagne, fra i soldati: la terribile
situazione di povertà e di fame, lo squilibrio sempre più
accentuato sul piano sociale, il discredito dello zar negli ambienti
della media e piccola borghesia, provocarono nel febbraio
del '17 un'esplosione spontanea che travolse il regime. Il 1917 iniziò con un segnale importante: gli scioperi che dall'inizio della guerra erano ripresi a causa della diminuzione
dei salari, dei licenziamenti e della mancanza di pane e carbone,
vennero sempre di più ad assumere un significato direttamente
politico, e il 9 gennaio 1917, anniversario della "domenica
di sangue", a Pietrogrado gli scioperanti furono
150.000.
"L'originalità dell'attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima fase della rivoluzione, che ha dato il potere alla borghesia a causa dell'insufficiente grado di coscienza e di organizzazione del proletariato, alla sua seconda fase, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini (...) I Soviet dei deputati operai sono l'unica forma possibile di governo rivoluzionario (...) Il nostro compito immediato non è l''instaurazione' del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai (...)L'accoglienza riservata alle Tesi di aprile dal plenum socialdemocratico si può sintetizzare in questo caustico commento dell'ex-bolscevico Goldenberg: "Per molti anni il posto di Bakunin nella rivoluzione russa è rimasto vuoto: adesso l'ha occupato Lenin." Lo sconcerto, in tutta la sinistra, per questa brusca svolta di Lenin, e la violentissima campagna che la borghesia orchestrò contro di lui, accusandolo, per via del viaggio attraverso la Germania, di essere al soldo dello spionaggio tedesco, sembrarono far prevalere le impostazioni di Kamenev; ma quando fu chiaro che le Tesi indicavano l'unica strada possibile per sbloccare una situazione altrimenti controllata dalla borghesia, e che, soprattutto, coglievano lo stato d'animo delle masse più politicizzate, la resistenza ad accogliere la svolta si fece assai ridotta: prima la Conferenza di partito di Pietrogrado e poi la VII Conferenza panrussa, la cosiddetta Conferenza di aprile, accolsero a grande maggioranza le Tesi di aprile. L'insurrezione di luglio e i fatti che ne seguirono diedero, paradossalmente, ragione a Lenin: i soviet, che avevano affidato de facto a Kerenskij i pieni poteri, si erano certamente allontanati come punto di riferimento del nuovo potere da instaurare, ma il modo come era stato sconfitto il putsch di Kornilov e la nuova influenza che i bolscevichi avevano saputo esercitare fra le masse e negli stessi soviet, riproponevano la validità delle Tesi di aprile nella loro interezza: e infatti la vittoria delle risoluzioni bolsceviche nei soviet di Pietrogrado e di Mosca stava a indicare come fosse ormai possibile ciò che fino a poche settimane prima sembrava irrealizzabile, cioè stabilire una solida maggioranza comunista nei soviet. "Il problema del potere non può né essere eluso né rinviato perché è proprio questo il problema fondamentale, quello che determina tutto lo sviluppo della rivoluzione." (...) I bolscevichi, avendo ottenuto la maggioranza nei Soviet dei deputati degli operai e dei soldati delle due capitali, possono e devono prendere il potere statale nelle proprie mani (...) La maggioranza dei Soviet nelle capitali è il frutto dell'evoluzione del popolo verso di noi (...) Se non prendiamo il potere adesso, la storia non ci perdonerà. Non vi è apparato? L'apparato c'è: i Soviet e le organizzazioni democratiche."Lenin aprì dunque una campagna martellante per conquistare il partito a quella che egli riteneva essere l'idea-forza di quel momento: la presa del potere. Che tuttavia nell'ultima frase citata vi fosse un eccesso di ottimismo, o, più probabilmente, una forzatura propagandistica, è dato dal fatto che la maggioranza bolscevica nei soviet era ancora piuttosto risicata: il successo ottenuto nel soviet di Pietrogrado fu reso possibile anche dalla circostanza, non secondaria, che alla votazione sul programma proposto dai bolscevichi aveva partecipato meno della metà degli aventi diritto. E quando il 9 settembre si arrivò a dover eleggere il nuovo presidium del soviet di Pietrogrado, se i bolscevichi si confermarono maggioritari e uno di essi, Trotsky, poté diventare presidente, fu probabilmente merito di Kamenev, che con notevole abilità non fece porre in votazione i nuovi membri del presidium sulla base di programmi contrapposti (cosa che avrebbe probabilmente visto i bolscevichi sconfitti), ma secondo una proposta fondata su criteri proporzionali di composizione dell'organismo. In realtà gli appelli di Lenin conseguirono un risultato molto più simile a quello ottenuto dalle Lettere da lontano che dalle Tesi di aprile: vennero in buona sostanza ignorati da un partito tutto impegnato a prepararsi per la partecipazione alla Conferenza democratica di Stato indetta da Kerenskij per metà settembre. Si trattava di quel preparlamento, cui abbiamo già accennato, che avrebbe dovuto impostare le elezioni per l'Assemblea costituente e che per i bolscevichi poteva rappresentare l'occasione per far passare una politica di compromesso con le altre forze di sinistra, cioè di rottura con la borghesia e di passaggio a un governo socialista: una linea, del resto, in sintonia con quella proposta da Lenin nei primi giorni di settembre. Ma la dinamica dei fatti si evolveva ormai secondo ritmi frenetici, e nell'arco di giorni, appunto, richiedeva aggiornamenti anche drastici. E Lenin, sorprendendo tutti ancora una volta, prima di ogni altro seppe anticipare i tempi e imprimere l'ennesima sterzata, con quella "straordinaria fusione di duttilità e intransigenza" (Carr) che gli fu propria. "Sarebbe il più grave degli errori credere che la nostra proposta di compromesso non sia stata ancora respinta, che la 'Conferenza democratica' possa ancora accettarla. Il compromesso è stato proposto da partito a partiti; non poteva essere altrimenti. Questi partiti l'hanno respinto. La Conferenza è solo una conferenza e nulla più. Non bisogna dimenticare che la maggioranza del popolo rivoluzionario, i contadini poveri ed esasperati, non vi sono rappresentati (...) Dalla nostra parte è la maggioranza della classe, che è l'avanguardia della rivoluzione, l'avanguardia del popolo capace di trascinare le masse."Malgrado lo sforzo di tutto il partito, diversamente da quanto aveva richiesto con forza Lenin, si fosse concentrato su una scadenza istituzionale che non aveva dato alcun frutto, il C.C. bolscevico fece un'ulteriore sterzata a destra, affidando di fatto all'imminente Congresso dei Soviet e alla futura Assemblea costituente il compito di risolvere il problema del potere; il C.C. continuò dunque a ignorare e a censurare gli appelli di Lenin, che non solo si fecero più pressanti, ma posero come ineludibile e prioritaria la questione dell'insurrezione: "Per riuscire l'insurrezione deve fondarsi non su di un complotto, non su di un partito, ma sulla classe d'avanguardia. Questo in primo luogo. L'insurrezione deve fondarsi sullo slancio rivoluzionario del popolo. Questo in secondo luogo. L'insurrezione deve saper cogliere quel punto critico nella storia della rivoluzione in ascesa che è il momento in cui l'attività delle schiere più avanzate del popolo è massima e più forti sono le esitazioni nelle file dei nemici e nelle file degli amici deboli, equivoci e indecisi della rivoluzione. Questo in terzo luogo."Il braccio di ferro tra Lenin e il partito era arrivato a un punto decisivo, tanto che Lenin, nello scritto La crisi è matura decise di "aussprechen was ist" di dire come stanno le cose, e che cioè il C.C. aveva scelto di lasciarsi sfuggire l'occasione storica del compimento della rivoluzione, commettendo "un'idiozia completa o un vero e proprio tradimento"; Lenin quindi dichiarò di dimettersi dal C.C. e di riservarsi la più ampia libertà d'azione al fine di rivolgersi direttamente alla base del partito. Questo epilogo clamoroso non rovesciò immediatamente le posizioni all'interno di un C.C. governato dalla destra di Kamenev e Zinovev, tuttavia innescò un processo politico di revisione nelle principali strutture di partito: quando il Comitato di Pietrogrado accolse a maggioranza la linea di Lenin e approvò all'unanimità un o.d.g. fortemente critico rispetto all'indebita censura attuata dal C.C. nei confronti di Lenin, fu il segnale che la battaglia di Lenin era probabilmente vinta. E fu un autentico coup de théâtre quando il 10 ottobre egli si presentò alla riunione segreta del C.C. e "senza la solita barbetta e con una parrucca in testa guardò tutti con occhio severo come un pastore luterano." Il fronte romeno, i lituani, il fronte settentrionale e il fronte di Minsk, erano i primi punti all'ordine del giorno, e solo al quarto vi era il momento presente, su cui Lenin prese la parola. "Egli riscontra che dall'inizio di settembre si nota una certa indifferenza verso il problema dell'insurrezione." Così, con questo umorismo sicuramente involontario, recita il verbale della seduta, che peraltro si concluse con l'approvazione a maggioranza (10 contro 2) di una risoluzione in cui si riconosceva come l'insurrezione fosse "inevitabile e completamente matura" e si invitava tutte le organizzazioni di partito a orientare la propria attività in questa direzione. Da questa storica riunione uscì dunque vincente la linea insurrezionale, ma probabilmente non in quel modo assoluto che sovente si è portati a credere, dato che comunque si delegava alle istanze periferiche di partito il compito di scegliere le modalità dell'insurrezione. E infatti su come essa dovesse concretamente attuarsi si riaprì lo scontro, e più in generale un dibattito assai intenso che coinvolse, in un drammatico susseguirsi di riunioni, tutte le strutture del partito e dei soviet. La posizione di Lenin è assolutamente intransigente: "Non possiamo prendere a guida del nostro comportamento le considerazioni sulle condizioni di spirito delle masse, dal momento che si tratta di un fattore fluttuante e difficile da valutare (...) Le masse hanno dato la loro fiducia ai bolscevichi e chiedono ad essi, non parole, ma fatti, ossia una decisa politica tanto nella lotta contro la guerra, quanto per arrestare il dissesto economico."Ci pare che qui si possa cogliere un aspetto essenziale della politica di Lenin. Di fronte alle obiezioni che molti - a partire dal quel Comitato di Pietrogrado che pure era stato determinante nel far prevalere la svolta insurrezionale - sollevavano sui tempi dell'insurrezione, rilevando la scarsa preparazione tecnica del partito e una certa passività fra le masse, Lenin rispondeva mettendo al centro del discorso la questione del partito: avanguardia politica delle masse che non si può limitare a prendere atto organizzativamente dello stato delle cose, ma agisce sul "punto critico" del processo rivoluzionario e dirige il cambiamento degli uomini e delle cose. Lenin vuole trasmettere al partito il senso dell'occasione rivoluzionaria, forse unica e irripetibile, come riprendendo "la tkacëviana formula 'adesso, o molto, molto tardi' [...] che nella rivoluzione vedeva il frutto di una concorrenza propizia di circostanze all'interno di una situazione oggettiva nazionale e internazionale, lo spazio d'incontro dialettico tra necessità e possibilità, con tutti gli elementi di casualità di cui questo spazio è costellato, e non il portato di un fatalistico corso delle cose o l'arbitrio di una volontà soggettiva." Non a caso lo storico Rabinowitch, nell'esaminare minuziosamente quelli che egli chiama gli "ostacoli alla rivolta", pur non sottovalutando il peso consistente che ebbe la massiccia opposizione di Kamenev e di Zinovev alla proposta di Lenin, più che alle divergenze di questo tipo (e pure abbiamo appena visto quanto Lenin abbia faticato a ribaltare la posizione del C.C.), dedica la maggiore attenzione ai problemi per così dire strutturali di rapporto fra partito e masse; ci riferiamo in particolare alla prudenza di molti dirigenti bolscevichi sicuramente sulle posizioni di Lenin ma che, per la loro diretta partecipazione al lavoro dei soviet e degli altri organismi di massa, premevano sulla ricerca di una via pacifica al potere e comunque insistevano su alcune condizioni indispensabili per la riuscita dell'azione armata: che questa fosse promossa dai soviet e non dal partito, e che comunque dovesse presentarsi più come azione difensiva, contro la reazione, che come semplice liquidazione del governo provvisorio.
Queste considerazioni ebbero due importanti risultati: l'insurrezione doveva avvenire nei giorni di convocazione del II Congresso panrusso dei soviet, convocato per gli ultimi giorni di ottobre, e sarebbe stata guidata non dall'organizzazione militare bolscevica, ma, su proposta di Trotsky, da un Comitato Militare Rivoluzionario interpartitico e unitario: ne era presidente un SR, ma la direzione effettiva fu esercitata dai bolscevichi, in particolare Trotsky e Antonov-Ovseenko.Questo organismo in effetti concentrò la propria attività sui problemi legati alla difesa della capitale, in particolare quello del controllo della guarnigione, ma questo lavoro era di fatto direttamente funzionale al piano di rovesciamento del governo provvisorio: quando infatti i rappresentanti delle unità militari di Pietrogrado, la sera del 21 ottobre, dichiararono di riconoscere il CMR e di schierarsi con esso, di fatto delegittimando l'autorità dello stato maggiore, si veniva a compiere, sotto il profilo pratico e giuridico, un aperto atto di sovversione. La rivoluzione era virtualmente iniziata. I complessi preparativi, coordinati dal CMR insediatosi all'Istituto Smolny, furono freneticamente portati avanti nei tempi stabiliti: "Il 6 novembre sarebbe troppo presto. Bisogna che l'insurrezione si appoggi sulla Russia intera. Ora il 6 (24 ottobre) non saranno ancora arrivati tutti i delegati. Dall'altra parte l'8 novembre (26 ottobre) sarà troppo tardi. Allora infatti il congresso sarà già organizzato ed è difficile a una grande assemblea costituita prendere provvedimenti pronti e decisivi. Noi dobbiamo dunque agire il 7 (25 ottobre), il giorno dell'apertura del congresso, per poter dire: 'Ecco il potere. Che ne fate voi?"Così, in quello che è il più bel libro sull'Ottobre (Dieci giorni che sconvolsero il mondo, Einaudi, 1946, p. 69) John Reed descrisse l'intervento di Lenin al C.C. del 21 ottobre. Il disperato tentativo di Kerenskij - che nel frattempo era andato al fronte per cercare rinforzi - di anticipare la rivoluzione e soffocarla sul nascere con un colpo militare, durò poche ore: gli operai armati liquidarono i presidi governativi senza quasi trovare resistenza, occuparono i punti strategici di Pietrogrado e infine arrestarono i membri del governo asserragliati nel Palazzo d'Inverno. Il 25 ottobre 1917 "il II Congresso Panrusso dei Soviet proclamò che in Russia il potere era passato nelle mani dei Soviet degli Operai, dei Soldati e dei Contadini. La sera del 26 ottobre 1917 nella seconda e ultima riunione del Congresso furono adottati i decreti sulla pace e sulla terra, e fu approvata la composizione del Consiglio dei Commissari del Popolo, comunemente noto come Sovnarkom - il primo governo degli operai e dei contadini."
"La legge dello sviluppo combinato dei paesi arretrati - nel senso di una combinazione originale degli elementi di arretratezza con i fattori più moderni - si manifesta qui nella sua forma più compiuta e al tempo stesso fornisce la chiave dell'enigma della rivoluzione russa. Se la questione agraria, eredità della barbarie dell'antica storia russa, fosse stata risolta dalla borghesia, se avesse potuto essere risolta, il proletariato russo non sarebbe mai riuscito a prendere il potere nel 1917. Perché si costituisse lo Stato sovietico erano necessari il combinarsi e il compenetrarsi di due fattori di natura storica del tutto diversa: una guerra contadina, cioè un movimento caratteristico degli albori dello sviluppo borghese, e un'insurrezione proletaria, cioè un movimento che annuncia il declino della società borghese. Questa è la sostanza del 1917." (L. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, Mondadori, 1969, v. 1, p. 69)
v. anche Leon Trotsky, The history of the Russian Revolution |