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La nascita del fenomeno staliniano |
Il
fenomeno staliniano nasce con Stalin ma non muore con
lui. Non rimane limitato all'Unione Sovietica - che comunque
ne costituisce l'epicentro - ma si estende a tutti gli
Stati cosiddetti socialisti nati dopo la seconda guerra
mondiale ed a tutti i partiti comunisti.
lnteressa la sfera teorica e quella pratica, la politica
come l'economia e l'ideologia. Nato nell'Unione Sovietica
negli anni venti, dopo la morte di Lenin, è sempre
nell'URSS che comincia ad accusare i primi colpi dopo
la morte di Stalin (1953) e dopo il XX Congresso del
Partito Comunista dell'Unione Sovietica (1956). La stessa
espressione
«fenomeno staliniano» rappresenta
una scelta della quale si deve cogliere tutto il significato.
La parola «stalinismo» non sembra
da respingere ma presenta alcuni inconvenienti. Storicamente,
è un'invenzione della borghesia, * un'arma
al servizio della sua ideologia e della sua politica,
anche se è un termine d'uso corrente (negli stessi
ambienti comunisti) e d'impiego facile e popolare.
L'espressione «culto
della personalità»
coniata dal PCUS e poi ripresa largamente dal movimento
comunista internazionaIe sembra ancor meno esatta, in
quanto pone l'accento solo su un momento del fenomeno:
il culto del capo. E infatti proprio rispetto a questo
carattere riduttivo, Togliatti - nella famosa intervista
a Nuovi Argomenti - criticherà il rapporto
Krushëv al XX
Congresso del PCUS.
Quanto all'espressione «periodo
stalinista»,
essa ha l'inconveniente di restringere eccessivamente la
durata del fenomeno. Rimane il fatto che lo stesso aggettivo
«stalinista»
solleva
dei problemi. Il fenomeno infatti non può essere
circoscritto e tanto meno spiegato con la personalità
di Stalin, eppure le è legato per motivi storici
evidenti. Più elastica dal punto di vista del tempo
e dello spazio, l'espressione «fenomeno staliniano»
sembra soddisfacente più di ogni altra.
Descrivere e spiegare: è l'intento di queste righe.
Studiare il fenomeno staliniano nelle sue realtà
contraddittorie è il primo obiettivo, più
difficile di quanto non possa sembrare a prima vista. Comprenderne
le cause e, quindi, la natura profonda, è un secondo
obiettivo il cui interesse non sfuggirà a nessuno
di coloro che vogliano meditare sul nostro divenire.
Il fenomeno staliniano si spiega con le condizioni storiche
della prima rivoluzione socialista della storia, è
insomma un «infortunio» del comunismo,
oppure ne è iI prodotto naturale, inevitabile? È
a questo interrogativo di fondo che tenteremo di dare una
risposta nelle righe che seguono.
Stalin
Nato
nel 1879, di origine georgiana, Iosif Vissarionoviç
Dugasvili (**) proveniva da una
famiglia povera (i genitori erano rimasti servi fino al
1861).
Dopo aver frequentato la scuola religiosa (ortodossa), a
quindici anni entrò nel seminario ortodosso di Tbilisi,
un centro ricco di fermenti antirussi, nazionalisti e liberali.
Il giovane Dugasvili pubblicò alcuni versi
in una rivista nazionalista, l'Iberja, sotto lo
pseudonimo di Soselo. Lesse molti romanzi francesi, inglesi
e russi, opere di economia, di sociologia, di politica.
A diciannove anni aderì ad un gruppo socialista moderato
clandestino il Messame Dassy (3° gruppo). Dal
seminario fu espulso perché non assisteva alle lezioni.
In un rapporto del rettore del seminario in data 29 settembre
1898 si poteva leggere: "Alle nove del mattino
un gruppo di studenti era raccolto nella sala da pranzo
intorno a Josif Dugasvili, che leggeva ad alta voce
libri proibiti dalle autorità del seminario."
Qualche settimana dopo, un altro rapporto affermava: “Dugasvili
è generalmente irrispettoso e insolente verso le
autorità."
Rimasto senza lavoro, impartì lezioni private, quindi,
per alcuni mesi, occupò un posto modesto di impiegato
presso l'osservatorio di Tbilisi. Nel 1901 le sue attività
politiche lo costrinsero alla clandestinità. Da questo
momento la sua esistenza fu tutt'uno con quella del Partito
Operaio Socialdemocratico di Russia. Fin dalla fine del
1901, redattore di un giornale clandestino, Brdzola (La lotta) appoggiò le idee sviluppate da Lenin sull'Iskra.
Dal 1901al 1917 conobbe a più riprese il carcere,
la deportazione in Siberia, l'esilio. Rivoluzionario di
professione, si rivelò ad un tempo un militante devotissimo
ed un abile giornalista, propagandista e organizzatore bolscevico.
Molte cose false sono state scritte sulla sua attività
di militante; si è letto addirittura che sarebbe
stato un agente dell'Ochrana (la polizia politica zarista). (1) Nulla permette di affermarlo allo
stato attuale delle nostre informazioni. In realtà,
fu un militante provato ed ebbe un ruolo importante nel
Caucaso, in Georgia e nell'Azerbajdzan per molti anni. Partecipò
attivamente alla rivoluzione del 1905 e diresse quindi le
brigate di lotta bolscevica che organizzavano gli "espropri",
e cioè attacchi a mano armata per procurare finanziamenti
ai fondi di guerra dei bolscevichi.
Uscito finalmente dall'ambito del Caucaso, partecipò
nel 1905 alla Conferenza nazionale del partito organizzata
a Tampere, in Finlandia, e poi al congresso di Stoccolma
del 1906 e a quello di Londra del 1907. Nel 1912 fu cooptato
neI Comitato Centrale del partito bolscevico (2) e incaricato dell'organizzazione del partito in Russia nonché
dell'edizione di un giornale legale, la Pravda.
Quello stesso anno, Lenin lo chiamò a Cracovia (città
polacca allora occupata dall'Austria) per lavorare sul problema
delle nazionalità e quindi lo inviò a Vienna
per rappresentare il partito. In tutto, Stalin rimase all'estero
sei mesi.
È chiaro dunque che la sua esperienza alla vigilia
della rivoluzione era ricca e molteplice, anche nel campo
dei rapporti intemazionali. Certo, visse all'estero meno
di Lenin, Trotskij,
Bucharin, Zinovjev e Kamenev, comunque aveva viaggiato in
Europa. La stima che Lenin provava per lui trova conferma
in una lettera inviata da Vladimir Iliç a Gorkij,
nella quale parlava del "meraviglioso georgiano"
che stava preparando un'opera poi pubblicata sotto il titolo La questione nazionale e la socialdemocrazia. Arrestato
poche settimane dopo il ritorno in Russia, fu deportato
nella Siberia settentrionale su denuncia di un agente dell'Ochrana,
che, dopo essere riuscito a penetrare nelle file bolsceviche,
era divenuto membro del Comitato Centrale. In Siberia rimase
fino alla caduta dello zarismo, nel marzo del 1917.
In realtà, non si sa gran che della vita reale di
Dugasvili durante tutto questo periodo. Modesto e
ostinato, aveva raggiunto, con la sua devozione e l'efficacia
della sua attività, i vertici della gerarchia del
partito, ma, poiché evitava deliberatamente di mettersi
in mostra, non aveva particolarmente colpito gli uomini
che lavoravano con lui. Tutt'al più si può
osservare che si era scelto dei soprannomi piuttosto altisonanti.
Oltre ai nomi propri d'uso corrente, ad esempio Ivanoviç,
provò per molti anni il bisogno di assumere come
pseudonimo quello di Koba (l'Indomabile), un eroe leggendario
della Georgia medioevale, e nel 1923 quello di Stalin (Acciaio) sotto il quale doveva entrare nella storia alla
stregua di un Alessandro, di un Giulio Cesare e di un Napoleone.
La scelta di questi pseudonimi evidenzia in certo qual modo
i pensieri reconditi di quest'uomo taciturno che talvolta
rendeva perplessi gli stessi compagni di deportazione. “Un
bravo ragazzo, ma un po' troppo individualista nella vita
quotidiana”, scriveva Sverdlov, il futuro presidente
del Comitato Centrale esecutivo dei soviet, nel marzo del
1914 da Kurejka, dov'era deportato con Stalin. E nel maggio
dello stesso anno aggiungeva: “Nonostante tutto
- ed è questo l'elemento più triste dell'esilio
- un uomo viene messo a nudo e si rivelano i suoi punti
deboli. Oggi il mio compagno ed io viviamo in appartamenti
separati e ci vediamo poco.” (3) Sposato giovanissimo con Ekaterina Svanide, nel 1905
rimase vedovo e padre di un bambino che fu allevato dai
nonni. La sua vita personale sembrava estremamente limitata.
Non aveva amici, non aveva donne.
Rimase solo per tutti i molti anni di deportazione nel nord
della Siberia. Tutto il suo tempo era dedicato alla lettura:
vorremmo sapere di quali libri, ma non si hanno notizie
in proposito. Si sa soltanto che cercò di apprendere
l'esperanto, ma senza successo, e che non conosceva altre
lingue oltre il georgiano e il russo. Paragonata a quella
degli altri dirigenti della rivoluzione, non si può
dire che la sua cultura fosse considerevole. Era un uomo
dai gusti semplici. Non amava la buona tavola, ma in compenso
gli piaceva la vodka. Non era veramente interessato né
al denaro né alle donne. Le sue sole passioni erano
la rivoluzione e il potere.
L'una gli doveva portare anche l'altro. E tuttavia, la sua
vita aveva delle caratteristiche che si riveleranno essenziali
in avvenire. Uscito da un ambiente modesto rispetto agli
altri dirigenti della rivoluzione, conosceva il popolo e
le sue reazioni. Affondava le sue radici in quel recentissimo
passato in cui esisteva ancora il servaggio. Come ha scritto
lo storico francese A. Leroy-Beaulieu: “Per la
maggior parte del popolo il Medioevo dura ancora”;
e questo Dugasvili lo sapeva benissimo, non solo in
teoria, ma concretamente, dall'ambiente socio-culturale
nel quale era cresciuto. Studente di teologia fino ai diciannove
anni, aveva conservato dai tempi del seminario la tradizione
ortodossa laicizzata, spogliata dei suoi attributi mistici
e religiosi: ed anche questo lo avvicinava al popolo. Il
suo stile, affine a quello della liturgia ortodossa, sarà
sempre semplice e accessibile al più arretrato muzik.
Convocato davanti ad un consiglio di revisione alla fine
del 1916, fu esentato dal servizio militare per una lieve
infermità al braccio sinistro. Con la caduta dello
zarismo, la sua vita doveva cambiare radicalmente. Aveva
allora trentotto anni. Le prove della vita siberiana l'avevano
reso ancora più scarno. Non molto alto (1,67), magro,
il suo viso era deturpato dal vaiolo: fisicamente non era
molto attraente.
1917
Finalmente,
nel 1917 la rivoluzione
si mise in cammino, lo zarismo fu abbattuto. Stalin fu liberato
e tornò dalla Siberia a Pietrogrado con uno dei tanti
convogli di deportati politici entusiasticamente acclamati
per tutto il percorso. Il 27 marzo giunse a Pietrogrado
contemporaneamente a Kamenev, ma molto prima di tutti i
capi storici della rivoluzione... Il suo ruolo era rilevante,
ma non occupò il primo posto nella storia di quel
periodo, contrariamente a quanto affermarono più
tardi molti agiografi che lo presentarono come il discepolo
migliore di Lenin e il più vicino a lui. Appena tornato,
assunse la direzione della Pravda insieme con Kamenev
ed occupò una posizione centrista nel dibattIto sull'avvenire
della rivoluzione, accettando persino l'apertura di negoziati
sull'unità socialista con i menscevichi e proponendo
una neutralità critica nei confronti del governo
provvisorio.
Fu questo spirito “conciliatore” che Lenin denunciò
fin dal suo arrivo a Pietrogrado, il 16 aprile. Di fronte
alle critiche di Lenin, Stalin fece marcia indietro e da
quel momento in poi appoggiò sempre Vladimir Iliç.
Nel mese di maggio fu eletto al Comitato Centrale di nove
membri che dirigeva il partito. Nel luglio e nell'agosto
del 1917 si trovò a capo della direzione del partito
(molti dirigenti erano stati arrestati e Lenin era partito
per entrare nella clandestinità). Quando Lenin propose
al Comitato Centrale di preparare l'insurrezione, Stalin
fu uno dei suoi più decisi sostenitori, insieme con
Sverdlov e Trotskij, contro l'opposizione di Zinovjev e
di Kamenev.
Il 2 novembre (20 ottobre) fu eletto all'Ufficio Politico,
creato su proposta di Derzinskij, il futuro dirigente
della Ceka, (4) (con
Lenin, Zinovjev, Kamenev, Trotskij, Sokolnikov e Bubnov.
(5) Fece parte del Comitato Militare
Rivoluzionario del soviet di Pietrogrado, ma vi svolse un
ruolo subalterno rispetto a Trotskij. Lui stesso riconobbe
in seguito la funzione determinante svolta da Trotskij in
un articolo pubblicato sulla Pravda per il 1°
anniversario dell'Ottobre: “Tutto il lavoro pratico
concernente l'organizzazione della rivolta fu realizzato
sotto la direzione del compagno Trotskij, presidente del
soviet di Pietroburgo. Si può affermare con certezza
che il partito deve principalmente al compagno Trotskij
la rapidità con la quale la .guarnigione è
passata al soviet e l'efficacia con cui è stato organizzato
il lavoro del Comitato militare rivoluzionario.”
Dopo la rivoluzione d'ottobre divenne Commissario del popolo
[Ministro] per le nazionalità, una carica importante
ma non di primissimo piano. Grazie però all'appoggio
dato a Lenin nelle difficili discussioni seguite all'insurrezione,
poté essere eletto all'Esecutivo (di quattro membri)
incaricato di dirigere il partito (con Lenin, Sverdlov e
Trotskij), e al consiglio ristretto dei Commissari del popolo
(con Lenin e Trotskij). In tutto il periodo compreso tra
il novembre del 1917 e a fine della guerra civile, l'attività
di Stalin fu considerevole ma discreta. Nelle fotografie
dell'epoca - riunioni dei comitati centrali o del Consiglio
dei Commissari del popolo - lo si riconosce appena, tanto
si mette in secondo piano, esile silhouette dagli
enormi baffi, seduto modestamente all'ombra dei dirigenti
più famosi.
Il nostro intento non è di scrivere una biografia,
di Stalin o di discutere sui suoi meriti o su quelli di
Trotskij durante la guerra civile, e quindi ci limiteremo
a ricordare che la funzione di Stalin fu rilevante (e forse
più di quanto non appaia a prima vista), (6) ma in certo senso offuscata dalla viva luce emanata da Trotskij,
il quale, Commissario del popolo alla guerra dopo il 1918,
si assunse l'onere ma anche la gloria della vittoria. Agli
occhi dell'opinione pubblica, Trotskij appariva come il
secondo uomo del regime. Sulle fotografie ufficiali, subito
accanto a Kalinin, presidente dell'Esecutivo centrale dei
soviet, stavano su un piede di parità Lenin e Trotskij.
Per tutto questo periodo Stalin apprese l'arte di governare
gli uomini. Si mosse con grande abilità ed astuzia
quand'era necessario - ad esempio abbandonando le riunioni
delle commissioni del commissariato per le nazionalità
quando gli si chiedeva un'opinione difficile - ma non esitava
a ricorrere al terrore di massa quand'era necessario e possibile,
per esempio a Tsaritsyn (poi Stalingrado, ora Volgograd).
La sua risposta a Lenin, allarmato dal pericolo di un'insurrezione
dei socialisti-rivoluzionari di sinistra a Tsaritsyn, è
un modello nel suo genere: “Quanto agli isterici,
siate certo che la nostra mano non tremerà: i nemici
saranno trattati da nemici.” Al tempo stesso,
però, sapeva far marcia indietro quando le circostanze
non gli erano favorevoli, ad esempio di fronte a Trotskij
nelle discussioni sulla condotta delle operazioni militari.
Più che uno stratega, era un maestro di tattica che
dimostrava le proprie capacità sul treno. Nel marzo
del 1919 fu eletto membro del nuovo Ufficio Politico (con
Lenin, Trotskij, Kamenev, Krestinskij, mentre Zinovjev e
Bucharin furono eletti membri supplenti). Poco conosciuto
fuori della dirigenza del partito, riuscì tuttavia
a concentrare nelle sue mani un potere sempre più
grande.
Membro dell'Ufficio Politico, Commissario del popolo per
le nazionalità e all'Ispezione operaia e contadina
dopo il 1921 (il Rabkrin), aveva una sorta di autorità
tentacolare.
Le sue idee, così come si conoscono attraverso la
loro pubblica esposizione, non sembrano diverse da quella
della maggioranza dei dirigenti bolscevichi se non, forse,
perché era meno sensibile di loro all'influenza dell'Occidente.
Caucasico e responsabile dei problemi delle nazionalità,
i suoi occhi erano rivolti ad Oriente. Due articoli che
pubblicò dopo la rivoluzione d'ottobre erano intitolati
significativamente: Non dimenticate l'Oriente ed
Ex Oriente lux. Nel dibattito sulla firma del trattato
di Brest-Litovsk, si fece mettere severamente a posto da
Lenin, che pure aveva sempre appoggiato, per aver dubitato
delle possibilità rivoluzionarie del proletariato
dei paesi capitalistici sviluppati d'Occidente. Tutto questo,
però, non bastava ad evidenziarlo nettamente tra
gli altri dirigenti bolscevichi.
Quali ragioni aveva quindi l'allarme espresso da Lenin nei suoi appunti del 23 e 25 dicembre
1922, del 4 gennaio 1923 e in una serie di testi redatti
alla fine del 1922 e agli inizi del 1923? A nostro avviso,
le ragioni erano due, strettamente connesse. Da un lato,
Lenin temeva che l'antagonismo tra Trotskij e Stalin provocasse
una scissione nel partito, una guerra civile e la fine della
rivoluzione (“I rapporti tra loro, secondo me,
rappresentano una buona metà del pericolo di quella
scissione.”). (7) E questa
scissione gli sembrava tanto più pericolosa perché
perfettamente possibile data l'esistenza, all'interno del
partito, di elementi favorevoli alla costituzione di più
partiti. D'altro lato si preoccupava per la crescente autorità
di Stalin e per l'uso che egli ne faceva.
Lenin vs. Stalin
Il
3 aprile 1922, su proposta di Kamenev, il Comitato Centrale
del partito riunitosi dopo l'XI Congresso eleggeva Stalin
alla carica di Segretario generale del partito.
La carica esisteva fin dal 1918 e Sverdlov era stato il
primo ad occuparla, fino alla sua morte, nel marzo del 1919,
sostituito poi da Krestinskij e quindi, nel 1921, da Molotov.
Dapprima la carica era più amministrativa che politica
ma poi, con l'accumularsi dei compiti del partito e l'elevarsi
continuo del suo ruolo, l'importanza delle funzioni di Segretario
generale divenne grandissima, sopratutto perché era
lui a controllare i quadri e l'intera attività dell'apparato
di partito, sempre più onerosa. Stalin era inoltre
membro dell'Orgburo (ufficio di organizzazione
incaricato della ripartizione degli effettivi). Con la malattia
di Lenin (era stato colpito da ictus nel maggio del '22,
e, dopo una ripresa temporanea, aveva avuto altri due attacchi,
in dicembre e nel marzo '23: dopo di allora rimase paralizzato,
e morì il 21 gennaio 1924), la funzione di Segretario
generale si fece ancora più importante. Il Segretario
generale era il solo tra tutti i dirigenti del partito ad
essere insieme membro del Politburo, dell'Orgburo e della Segreteria e titolare di due Commissariati del popolo.
È comprensibile quindi la frase di Lenin: "Il
compagno Stalin [...] ha concentrato nelle sue
mani un immenso potere.” Era la constatazione
di un dato di fatto che Lenin giudicava allarmante: “Non
sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente
chiarezza.”
Su quali fatti fondava tale constatazione, divenuta pochi
giorni dopo una certezza - ”Stalin è troppo
grossolano" (4 gennaio 1932) - e che lo indusse
a proporre “di pensare alla maniera di togliere
Stalin da questo incarico”, (8)
cosa ormai difficilissima?
Lenin si era fatto un suo preciso giudizio sull'attività
quotidiana di Stalin come responsabile di due Commissariati
del popolo, quelli delle nazionalità e dell'Ispezione
operaia e contadina.
A proposito delle nazionalità, Lenin rimproverava
a Stalin innanzitutto la sua concezione d'insieme, che lo
aveva spinto a proporre una Costituzione secondo la quale
le repubbliche sovietiche non russe dovevano essere integrate
nella Repubblica sovietica federativa socialista russa (RSFSR).
Finalmente, l'intervento di Lenin aveva permesso alla fine
del 1922 la fondazione dell'URSS. In seguito,
lo stesso Lenin aveva violentemente criticato l'atteggiamento
dei dirigenti bolscevichi in Georgia, e cioè di Dzerzinskij
(il capo della Ceka), di Ordzonikidze e di Stalin. Quello
di cui Lenin soprattutto li accusava, e non senza ragione,
era il comportamento brutale e sciovinista. I dirigenti
bolscevichi della Georgia erano stati maltrattati, anche
fisicamente, dai delegati del Comitato Centrale perché
si erano opposti alla creazione di una Repubblica socialista
sovietica della Transcaucasia ed avevano chiesto il mantenimento
di una RSS georgiana. Lenin aveva violentemente criticato
"l'invasione di quell'uomo veramente russo, di
quello sciovinista grande-russo, in sostanza vile e violento,
che è il tipico burocrate russo", e aggiungeva:
"lo penso che qui hanno avuto una funzione nefasta
la frettolosità di Stalin e la sua tendenza a usare
i metodi amministrativi, nonché il suo odio contro
il famigerato 'socialnazionalismo'. “ (9) Ed aveva qualificato la politica di Stalin come “profondamente
nazionalista grande-russa”. È vero che
Stalin era di origine georgiana, ma, osservava Lenin, “gli
allogeni [vale a dire i non russi] russificati
calcano continuamente la mano.” Stalin voleva
apparire più russo dei russi per bisogno politico
di centralizzazione, così come il corso Napoleone (10) aveva “calcato la mano”
sviluppando la centralizzazione alla fine della rivoluzione
francese. La brutalità dei termini usati da Lenin
merita che ci si soffermi.
"Il georgiano che considera con disprezzo questo
aspetto della questione, che facilmente si lascia andare
all'accusa di 'socialnazionalismo' (quando egli stesso è
non solo un vero e proprio 'socialnazionale' ma anche un
rozzo Derzimorda [grande-russo], quel georgiano
in sostanza viola gli interessi della solidarietà
proletaria di classe.” (11) Lenin aveva visto il pericolo rappresentato dall'attività
di Stalin e la natura reale di questo pericolo: di qui il
suo grido di aIlarme.
Né era più tenero a proposito dei problemi
dell'lspezione operaia e contadina. In un articolo scritto
il 23 gennaio 1923 (e pubblicato sulla Pravda il
26 gennaio), descrisse l'apparato statale sovietico come
una “sopravvivenza del passato [...], il
vero tipo del nostro vecchio apparato statale”
ed assunse ad esempio di questa “caducità”
dell'apparato statale l'Ispezione operaia e contadina diretta
da Stalin dal 1921: “Diciamolo pure: il Commissariato
del popolo per l'Ispezione operaia e contadina non gode
ora di nessun prestigio. Tutti sanno che non esistono organismi
peggio organizzati dell'Ispezione operaia e contadina e
che, nelle condizioni attuali, è inutile pretendere
qualcosa da questo Commissariato del popolo.”
(12)
Contemporaneamente, egli suggerì una riforma delle
attività del Comitato Centrale, del Politburo e della
Segreteria. Le sue critiche divennero ancora più
violente nell'articolo
Meglio meno ma meglio, redatto a distanza di
pochi giorni.
Insomma, la critica mossa da Lenin a Stalin era
radicale.
Stalin aveva “un immenso potere”, era
“grossolano”, la sua “frettolosità”
aveva una “funzione nefasta”, la sua
politica era “nazionalista grande-russa”.
Dissensi personali tra la compagna di Lenin, la Krupskaja,
e Stalin aggravarono la situazione.
Lenin si riavvicinò allora a Trotskij.
Dopo essersi opposto vigorosamente, nel 1921, aI X Congresso
(13), alle sue tesi sulla militarizzazione
del lavoro e sull'integrazione dei sindacati nello Stato,
si riavvicinò a lui pur criticando il suo rifiuto
di accettare la vicepresidenza del Consiglio (cosa che Trotskij
motivò col proprio essere ebreo, il che la dice lunga
su quanto fosse diffuso l'antisemitismo in Russia) e gli
prodigò numerosi elogi pubblici, cosa rarissima in
lui. L'8 marzo 1922, sulla Pravda, dichiarò
a proposito della conferenza di Genova che “dal
nostro punto di vista dei compiti pratici e non dal punto
di vista delle altalene diplomatiche, meglio di tutti ha
definito la situazione il compagno Trotskij”. (14) Il 12 marzo 1922 cominciò
così un articolo pubblicato dalla rivista Pod
znamenem marksizma (Sotto la bandiera del
marxismo): "Per quanto riguarda gli obiettivi generali
della rivista Pod znamenem marksizma, il compagno
Trotskij ha già detto l'essenziale nel n. 1-2, e
lo ha fatto in modo magnifico." (15) AI III e IV Congresso dell'Internazionale comunista Lenin
e Trotskij si batterono fianco a fianco contro gli elementi
"di sinistra", per lo sviluppo del fronte unico.
Il 13 dicembre 1922 Lenin chiese a Trotskij di difendere
"la nostra comune posizione sul monopolio del commercio
estero". Dopo aver criticato la proposta di Trotskij
di conferire al Gosplan (la commissione del piano)
funzioni legislative, il 27 dicembre 1922 ammise che "si
possa e si debba andare incontro al compagno Trotskij."
(16)
Nelle sue critiche ai dirigenti disse a proposito di Trotskij
che "era forse il più capace tra i membri
dell'attuale CC", pur criticando la sua "eccessiva
sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a considerare
il Iato puramente amministrativo dei problemi."
E il 5 marzo 1923 chiese a Trotskij di assumere la difesa
della questione georgiana dinanzi al Comitato Centrale del
partito. "La cosa è ora sotto 'inquisizione'
di Stalin e di Dzerzinskij, e non posso fidarmi della loro
imparzialità. Tutt'altro. Se voi accettaste di assumervene
la difesa, potrei essere tranquillo." (17)
Citiamo questi testi importanti perché ci sembra
che solo alla loro luce si possa comprendere la nascita
del fenomeno staliniano, e non per esaltare Trotskij e sminuire
Stalin. L'importante è la natura dei problemi sollevati
da Lenin, non gli individui in causa. Tra l'altro,
Trotskij aveva proposto nel 1921 una politica militarista
e burocratica che - è il minimo che si possa dire
- non avrebbe certo contribuito a correggere i difetti dell'apparato
sovietico, dei quali Lenin intravedeva i pericoli senza
prevederne necessariamente tutte le conseguenze.
“La
deformazione burocratica”, la politica nazionalista
grande-russa non potevano essere combattute se non dando
corpo ad una democrazia i cui fondamenti
non esistevano nella Russia del 1923, tanto più che
questa democrazia rischiava di mettere in pericolo lo stesso
potere sovietico, come avevano suggerito i fatti di Kronstadt.
Sotto questa angolazione non va dimenticato che
l'Unione Sovietica, nel 1923, era un paese nel quale non
esisteva libertà d'espressione, di riunione, di associazione,
nel quale non v'erano elezioni libere e il potere era in
mano ad un solo partito - e, all'interno di questo partito,
in mano ad un numero esiguo di persone (poche migliaia tutt'al
più) - e dove la polizia politica restava onnipotente,
dove, per le condizioni stesse nelle quali la rivoluzione
aveva trionfato, non esistevano né tradizioni né
strutture democratiche. Ci si accorge subito, allora, che
alcuni aspetti della forma sovietica di socialismo provengono
da questo terreno storico e non dal socialismo in sé.
Gli archivi di Smolensk illustrano questa realtà.
Trovati nel 1941 durante l'invasione tedesca, i loro cinquecento
fascicoli contenenti duecentomila pagine di documenti furono
inviati in Germania. Gli americani se ne impadronirono nel
1945 e li trasportarono a Washington, dove si trovano tuttora
presso la sezione militare degli archivi federali militari.
Di essi si è servito lo storico americano Fainsod (18) in un'opera pubblicata nel 1958,
ma non sono mai stati pubblicati tutti insieme.
“Nel 1922 la regione di Smolensk aveva 2.500.000
abitanti. Il partito contava 128 iscritti prima della caduta
dello zarismo e 366 nel 1917. Nel 1919 gli effettivi raggiunsero
i 2.566 iscritti (12 mila nel marzo del 1919 secondo le
autorità regionali, ma le cifre si rivelarono false).
Nel 1921, al momento dell'epurazione, essi raggiungevano
il numero di 10.657. Soltanto 7.245 alla fine del 1921 e
5.416 alla fine del 1923, 5.655 al 1° aprile 1924. Su
un totale di 5.416 iscritti al partito (o candidati), 370
vivevano nelle città, 1.712 nelle zone agricole:
v'erano cioè 16 comunisti su ogni diecimila abitanti
abili al lavoro, vale a dire, approssimativamente, un membro
del partito per ogni dieci villaggi; e, siccome la popolazione
della provincia era rurale per il 90%, l'estrema debolezza
del partito nelle campagne era ancora più evidente.”
Nel 1924, quindi, in una regione occidentale - ma estremamente
agricola - il partito era ancora una goccia d'acqua nel
gran mare russo...
Di qui le difficoltà dell'edificazione socialista
e la nascita dello stalinismo. (*)
Non si può assimilare questo fenomeno
al periodo leninista, come tentano di fare tanti autori.
Il terrore rosso diretto contro i bianchi e contro i loro
sostenitori sociali e politici era nato dal terrore bianco.
Il terrore rosso e la repressione di massa stalinista
non si possono paragonare tra loro né qualitativamente
né quantitativamente. Eppure, Stalin si fece strada
sotto Lenin e contro di lui. Sarebbe pericoloso per lo storico
non scorgere questo nesso perché in tal caso si condannerebbe
a spiegare il fenomeno staliniano con la sola personalità
di Stalin.
Potrebbe dire in modo caricaturale: “C'era una
volta un uomo buonissimo che si chiamava Lenin. Venne poi
un uomo cattivo che si chiamava Stalin...” Un
nesso tra l'inizio degli anni venti e la metà degli
anni trenta esiste incontestabilmente, e consistette nel permanere di strutture politiche, diI'humus fenomeni
di coscienza, di comportamento degli uomini, frutto delle
tradizioni e delle circostanze che costituirono sul quale
crebbero poi le piante più velenose del fenomeno
staliniano.
Ora, questo humus esisteva in parte già
nel 1923 e proprio per questo Lenin aveva tentato di ridurne
le dimensioni. Ciò non significa che questo fenomeno
fosse "necessario, storicamente necessario”,
vale a dire inevitabile, ma semplicemente che era possibile.
I bolscevichi dovevano davvero rinunciare al potere, come
si suggerisce oggi con tanta insistenza? Come dirà
Trotskij, “il bandolo della storia si era sgomitolato
all'inverso”. La rivoluzione
socialista aveva trionfato in un paese povero e culturalmente
arretrato, e non in un paese capitalistico sviluppato. L'URSS
era il solo Stato socialista e doveva o andare avanti o
farsi harakiri. Preferì andare avanti. Fu
una scelta storica incontestabile.
NEP
Dal 1923 al 1928 continuò l'esperimento della NEP,
la Nuova politica economica: fu un periodo di relativa stabilità
sia sul piano internazionale che sul piano interno. Contemporaneamente,
si consolidarono le tendenze già osservate negli
anni precedenti, mentre aumentava l'autorità di Stalin.
La NEP permise di realizzare la ricostruzione economica
del paese. Fin dal 1926 la produzione agricola raggiunse
il 90% della produzione dell'anteguerra e, se i progressi
della produzione industriale furono più lenti, essa
si avvicinò comunque, quello stesso anno, ai livelli
del 1913. Per rendersi conto della rapidità di questi
progressi bisogna ricordare quali erano le condizioni economiche
dell'URSS nel 1922. La Francia, che pure era stata molto
meno provata dalle distruzioni belliche rispetto all'Unione
Sovietica, riuscì a raggiungere i livelli produttivi
del 1913 non prima del 1926, e cioè otto anni dopo
l'armistizio. La ripresa economica sovietica fu dunque due
volte più rapida - tenendo conto delle distruzioni
- di quella francese. La NEP aveva risposto alle speranze
dei suoi promotori. Sulla base dell'economia di mercato,
dell'incentivazione dei contadini e degli operai, del libero
commercio e della piccola impresa capitalistica, si era
assistito ad un notevole sviluppo delle forze produttive,
ma lo Stato continuava a controllare il credito, la grande
industria ed i trasporti, nonché il commercio estero.
Anche sul piano sociale la NEP aveva portato i risultati
sperati. Con la rinascita della grande industria, si era
ricostituito anche il proletariato, che tuttavia rimaneva
numericamente inferiore rispetto al 1913: e, soprattutto,
si trattava di un nuovo proletariato di estrazione contadina
al quale andava aggiungendosi un numero sempre crescente
di salariati. La NEP aveva avvantaggiato anche il capitalismo.
Nelle campagne i kulaki, i contadini ricchi, si erano arricchiti, assumevano manodopera, prestavano
denaro ai contadini poveri, estendevano le loro superfici
coltivabili aggirando con vari mezzi le disposizioni del
codice agrario e, infine, svolgevano un ruolo più
importante nella commercializzazione dei prodotti dell'agricoltura
e dell'allevamento, poiché i rendimenti erano più
alti tra i contadini ricchi che non tra quelli medi. Il
numero di contadini medi (serednjaki) era aumentato,
ma anche quello dei contadini senza terra (batraki)
era cresciuto e la loro sorte era peggiorata, come quella
dei contadini poveri (bednjaki). I kolcos
(cooperative di produzione) e i sovcos (fattorie
di Stato) avevano ancora scarso peso (18.000 coprivano appena
il 3% delle aree coltivate). Nelle città la disoccupazione
era altissima (700.000 disoccupati nel 1924, 1.400.000 nel
1928). Commercianti e piccoli industriali si erano arricchiti.
I nepmen approfittavano largamente della NEP.
Chi vincerà? si era chiesto Lenin nel 1921.
Ebbene, nel 1928 non era ancora ben chiaro che sarebbe
stato il socialismo a trionfare. Indubbiamente
disponeva di preziosi atouts, ma il suo avvenire
rimaneva tanto più incerto quanto più precario
appariva lo sviluppo economico. Fin dal 1927 si osservò
una stasi allarmante nei settori chiave dell'economia. Le
stesse condizioni della ripresa economica, dato il ricorso
al capitalismo di Stato e al piccolo capitalismo privato,
avevano reso ancora più necessario, per i bolscevichi,
mantenere in vita la loro dittatura, e
più precisamente quella del piccolo nucleo dirigente
di cui Lenin aveva parlato nella sua lettera a Molotov.
È importante osservare che nessun dirigente del partito
- quali che fossero le loro divergenze negli anni tra il
1923 e il 1927 - mise in dubbio le strutture politiche create
nel 1922. Le poche decisioni prese allora per sviluppare
la democrazia o per creare condizioni migliori per la sua
affermazione - limitazione dei poteri politici della Ghepeu,
pubblicazione di un foglio di dibattiti per il partito,
ad esempio - non trovarono applicazione concreta a causa
dell'evolversi di istituti e di prassi che si cristallizzarono,
si ossificarono o si completarono laddove sembravano insufficienti
ad assicurare l'egemonia bolscevica, confusa fin d'allora,
completamente, con quella del proletariato. I documenti
degli archivi di Smolensk, attendibili secondo le conclusioni
di Fainsod, dimostrano che il dibattito a livello dei dirigenti,
pur determinante, non trovò alcuna eco nelle province
nemmeno all'interno del partito. Forse non era così
in alcune regioni, ma la tendenza generale andava verosimilmente
nel senso di una certa indifferenza. Anche se si sa poco
dei sentimenti dell'opinione pubblica di quel tempo e di
quel paese, si ha la sensazione di un diffuso e profondo desiderio di pace sia interna che esterna.
Il popolo aveva duramente sofferto dal 1914 al 1922, ed
adesso non voleva più sentir parlare né di
avventure esterne né di disordini interni.
La gente voleva lavoro, un miglioramento delle condizioni
di vita, il progresso culturale: di qui un certo avvicinamento
tra il potere sovietico e i contadini medi, osservato da
tutti i testimoni dell'epoca. In queste condizioni, era
naturale che i militanti bolscevichi si ponessero degli
interrogativi riguardo all'avvenire della rivoluzione nell'URSS
e nel mondo. I dibattiti del 1923-1927 all'interno della
direzione bolscevica ebbero come nodo centrale per l'appunto
questi problemi, ma furono ostacolati tutt'insieme dalla
congiuntura, dalle polemiche personali e dalla mancanza
di una vera democrazia, la sola che avrebbe potuto dar vita
ad un vero dibattito.
Convocato nel mese di aprile del 1923 - Lenin non era presente
perché aveva dovuto abbandonare per sempre l'attività
politica - il XII Congresso fu un chiaro riflesso delle
esitazioni del partito. Secondo una confidenza fatta a Kamenev
dalla Krupskaja, Lenin aveva deciso di stroncare
Stalin politicamente. Le circostanze non gli permisero
di realizzare il suo progetto, e nel 1923 nessun altro all'infuori
di lui era in grado di farlo: Stalin deteneva già
un “enorme potere”. Trotskij non aveva
sufficiente autorità nella direzione del partito.
Il suo passato - il suo ruolo prebellico, ovvero i forti
contrasti che in quel periodo ebbe con Lenin - allontanava
da lui molti bolscevichi della vecchia guardia. Commissario
del popolo alla guerra, avrebbe potuto tentare di ricorrere
all'esercito rosso per ridurre Stalin alla ragione. Ma non
è detto che l'esercito l'avrebbe seguito, mentre
è probabile che Trotskij, consapevole dei pericoli
di una scissione del partito, non ci pensasse nemmeno lontanamente.
Lo si accusava di voler essere il Bonaparte della rivoluzione
sovietica: invece non aspirava sicuramente a questo ruolo.
Per di più, sottovalutava troppo Stalin per analizzare
seriamente la situazione. Trotskij fu talvolta un buon stratega.
Grande scrittore e buon oratore, fu però un tattico
mediocre, trovandosi a suo agio più nelle situazioni
di crisi che nei momenti di bonaccia relativa. Sapeva essere
grande quando le acque s'intorbidavano, ma era sempre mediocre
quando tutto era calmo. Quanto a Zinovjev e Kamenev, essi
si allearono con Stalin costituendo quello che venne poi
chiamato il triumvirato, o troika (tiro a tre cavalli).
All'inizio del Consolato, dopo il 18 brumaio, v'erano tre
consoli: ebbene, chi oggi, all'infuori degli specialisti
naturalmente, ricorda ancora Cambacerès de Lebrun?
e chi non conosce invece Napoleone Bonaparte?
Strateghi mediocri e tattici maldestri, Zinovjev e Kamenev
vedevano in Trotskij un nuovo Bonaparte al quale bisognava
sbarrare la strada del potere supremo. Capirono tutti e
due troppo tardi che la storia non si ripete mai e che Stalin
era un candidato dittatore di nuovo tipo.
Tutti i dirigenti conoscevano troppo a fondo la debolezza
del partito per provocare una crisi che poteva essere fatale.
Dopo la morte di Lenin, il suo Testamento fu portato a conoscenza del Comitato Centrale e poi del
Presidium del XIII Congresso (maggio 1924), ma si decise
di non farne parola ai delegati. Stalin fece onorevole ammenda
sui problemi georgiani, disse che si doveva combattere energicamente
il burocratismo, promise che sarebbe stato meno brutale
e più civile, dopo di che conservò il suo
posto ed usò dei suoi poteri per controllare l'apparato
del partito con revoche abilissime e nomine ad hoc, rese
possibili dall'applicazione delle decisioni dell'XI Congresso.
In precedenza si era profilata un'opposizione all'interno
della direzione del partito: nell'ottobre del 1923 quarantasei
dirigenti (19) si erano appellati al
Comitato Centrale per esigere una più rapida industrializzazione
ed una maggior democrazia all'interno del partito. Trotskij
non aveva firmato la lettera, ma certo non la sconfessava.
Il Comitato Centrale decise di esprimere il suo biasimo
nei confronti dei firmatari della lettera, colpevoli di
aver ridato vita ad una frazione, il che era rigorosamente
proibito dopo il X Congresso, ma ammise la necessità
di una maggior democrazia all'interno dei partito (articolo
di Zinovjev sulla Pravda del 7 novembre 1923).
I quarantasei firmatari furono in parte appoggiati da Mosca,
dalle cellule dell'esercito e delle università. Il
Comitato Centrale reagì energicamente: Antonov-Ovseenko,
commissario politico dell'esercito rosso, fu destituito,
e il Comitato Centrale del Komsomol disciolto. L'opposizione
dovette cedere. Data la situazione dell'URSS e quella del
partito nel paese, il suo margine di manovra era troppo
ristretto.
Sempre minacciata da un'aggressione dall'esterno, l'Unione
Sovietica era ancora debole e precarie sotto molti aspetti
le posizioni del partito nel paese. Per consolidare il loro
potere i bolscevichi contavano sui risultati della NEP e
della politica in favore dei contadini medi. Fu quello che
disse Bucharin, con la sua foga abituale, nel 1925: “Arricchitevi,
sviluppate le vostre fattorie e non temiate che la costrizione
si abbatta su di voi." Il consiglio, ispirato
da quello dato da Guizot alla borghesia francese durante
la monarchia di luglio, fu naturalmente criticato dall'opposizione
di sinistra ed approvato da Ustrjalov, ex membro del governo
Kolcak, il quale pensava di servirsi della NEP per restaurare
il capitalismo in Russia. Bucharin ritirò “questa
formulazione abnorme di una giusta proposta”,
ma la discussione che essa aveva provocato confermava la
gravità della situazione.
I bolscevichi contavano anche sui progressi culturali, ben
reali questi ultimi. L'analfabetismo era
in netto regresso. Alla fine del 1926 metà della
popolazione sapeva ormai leggere e scrivere (ma la percentuale
era più debole tra le donne e tra le popolazioni
non russe dell'Unione). L'insegnamento secondario e professionale
faceva grossi passi avanti, al pari del numero degli studenti.
I rabfaki (facoltà operaie) e le scuole
del lavoro permettevano la formazione accelerata di quei
tecnici di cui l'URSS aveva tanto bisogno.
Riti
Contemporaneamente, i bolscevichi riprendevano alcuni metodi
tradizionali di governo, ad esempio il culto del
capo.
Si cominciò con quello di Lenin. Sin dalla fine della
guerra civile il suo ritratto fu appeso dovunque. Lenin
tentò di sradicare questo fenomeno, ma non ci riuscì
del tutto.
Dopo la sua morte, esso finì con l'assumere proporzioni
abnormi. Il suo corpo fu imbalsamato e collocato in un mausoleo
di legno sulla Piazza Rossa, di fronte al Cremlino, dove
la folla poteva recarsi a contemplarlo. Come scrisse Gorkij
su L'Internazionale comunista: “Lenin
sta diventando un personaggio leggendario, e questo è
un bene. Dico che è un bene perché la maggioranza
della gente ha assolutamente bisogno di credere per poter
cominciare ad agire. Sarebbe troppo lungo aspettare che
cominciasse a pensare e a comprendere: nel frattempo il
cattivo genio del capitale l’annienterebbe sempre
più in fretta con la miseria, l'alcoIismo e lo scoraggiamento.”
(20 luglio 1920, n. 12)
Lenin aveva cercato invano di contestare questa teoria.
Giustificando l'esposizione del corpo di Lenin nel mausoleo,
lo stesso Zinovjev parlò di “pellegrinaggio”.
Nomi di dirigenti ancora in vita furono dati a città
e ad officine. Fin dal 1923 figuravano così una Trotskij
(la città di Gascina, a 46 chilometri da Pietrogrado:
16.000 abitanti), nel 1924 Elizavetgrad divenne Zinovjevsk
e il 10 aprile Tsaritsyn prese il nome di Stalingrado: la
tradizione zarista e i riti ortodossi messi a frutto insieme.
Il contenuto di classe di questi metodi di governo era radicalmente
diverso, ma il metodo restava lo stesso, anche se laicizzato
e in certo senso socializzato. I suoi pericoli erano evidenti,
come doveva dimostrare chiaramente l'avvenire.
Stalin si rendeva perfettamente conto - e la sua formazione
personale lo aiutò in questo senso - dei vantaggi
che si potevano ricavare da questa tendenza. Il suo discorso
ai funerali di Lenin fu un modello del genere perché
riprendeva le litanie ortodosse e nello stile e nella forma:
“Lasciandoci, il compagno Lenin ci ha ordinato
di tener alto e di conservare puro il grande appellativo
di membro del partito. Ti giuriamo, compagno Lenin, di eseguire
con onore il tuo comandamento.” La stessa litania
la si ritrova su cinque altri temi, l'unità del partito,
la dittatura del proletariato, l'unione degli operai e dei
contadini, l'unione delle repubbliche sovietiche, la fedeltà
ai principi dell'Internazionale comunista. “Lasciandoci,
il compagno Lenin... ci ha ordinato... Ti giuriamo, compagno
Lenin, di eseguire con onore il tuo comandamento.”
E così il “culto del capo”, i riti quasi
religiosi, la stessa trasformazione del partito in una Chiesa
laica - ”Noi comunisti siamo gente fatta in modo
particolare, siamo tagliati in una materia speciale”,
aveva detto Stalin nel suo discorso ai funerali di Lenin
- furono consapevolmente decisi ed applicati dall'insieme
del partito. Un aspetto caratteristico del fenomeno
staliniano che rivela fino a qual punto esso fosse il portato
della storia russa e non del socialismo.
Non
ci diffonderemo sul merito delle discussioni e dei conflitti
che in questo periodo contrapposero alcuni dirigenti alla
direzione del partito e aI partito nel suo insieme. Ci limiteremo
invece ad addentrarci nell'essenza del fenomeno, per quel
che riguarda direttamente la nascita dello stalinismo.
Il
socialismo in un solo paese
Stalin espresse chiaramente, fin dal 1925, l'idea che si doveva
“costruire il socialismo in un solo paese”.
Nessuno sosteneva allora che la sua vittoria poteva essere
definitiva, ma era necessario e possibile dare chiaramente
questo obiettivo al popolo e al partito. L'opposizione - quella
del 1923 o quella del 1925-1926 - ebbe il grande torto di
non comprendere la necessità di questa parola d'ordine
chiara ed accessibile alle masse contadine perché essa
implicava la rinuncia alla guerra rivoluzionaria offensiva
e dunque all'attacco. Si è scritto molto su questo
argomento, e molti autori hanno affermato che quella parola
d'ordine era di per se stessa nazionalista e contraria al
pensiero di Marx e di Lenin. Ma è puro e semplice talmudismo
leggere i ”testi sacri” applicandoli meccanicamente
a situazioni nuove rispetto al periodo in cui furono scritti. La rivoluzione socialista era fallita ovunque fuori
di Russia e nulla lasciava prevedere che potesse trionfare
immediatamente in qualche altro paese.
L'unica via possibile consisteva quindi nell'edificare
il socialismo in un solo paese. Certo, l'URSS continuava
a svolgere un ruolo rivoluzionario col proprio sviluppo e
con l'aiuto che recava al movimento operaio internazionale,
ma il suo primo dovere era di edificare il socialismo in casa
sua. L'equilibrio da instaurare tra questi due aspetti complementari
era delicatissimo, ed il fatto che l'Unione Sovietica non
l'abbia sempre realizzato non è certo una prova che
la decisione presa nel 1925 fosse errata. Trotskij - come
dimostra il suo rapporto sull'industrializzazione al XII Congresso
e la sua attività a capo dei diversi comitati del Consiglio
superiore dell'economia nazionale - accettava le conseguenze
pratiche di questo fatto, ineluttabile date le circostanze,
ma ne rifiutava qualunque formulazione teorica.
Lo stesso Trotskij previde la competizione futura tra l'Unione
Sovietica e gli Stati Uniti, nella quale “il bolscevismo
americanizzato vincerà e schiaccerà I'americanismo
imperialista.” (20)
Il suo rifiuto di ammettere la possibilità di esistenza
del socialismo in un solo paese poté ciononostante
essere presentato, non senza ragione, come la conseguenza
della teoria della rivoluzione permanente da lui sviluppata
prima della rivoluzione e alla quale non aveva mai rinunciato.
Sul piano internazionale, l'unica alternativa era la coesistenza
pacifica: lo ammise lo stesso Trotskij in un colloquio
con il senatore americano King pubblicato sulle Izvestija il 30 settembre 1923. “Noi non interveniamo nelle
guerre civili straniere. È chiaro che non potremmo
intervenire se non dichiarando guerra alla Polonia. Ma noi
non vogliamo la guerra. Non nascondiamo le nostre simpatie
per la classe operaia tedesca nella sua eroica lotta per l'emancipazione.
Per essere più preciso e franco, dirò che, se
potessimo dare la vittoria alla rivoluzione tedesca senza
correre il rischio di entrare in guerra, faremmo tutto il
possibile. Ma non vogliamo la guerra. La guerra sarebbe un
grosso danno per la rivoluzione tedesca. Può sopravvivere
solo quella rivoluzione che riesce con le proprie forze, soprattutto
quando è in gioco un grande paese.”
Trotskij, e dopo di lui Kamenev, Zinovjev e tutti gli oppositori,
pensavano fosse opportuno fare della questione del “socialismo
in un solo paese” un tema di ampio dibattito. Stalin
e Bucharin ebbero buon gioco rispondendo che bisognava essere
coerenti con se stessi e trarre i giusti insegnamenti dagli
avvenimenti passati e dalle realtà presenti.
La parola d'ordine del “socialismo in un solo
paese” tranquillizzava i contadini e l'opinione pubblica,
dava a tutti prospettive chiare. Il suo rifiuto, invece, poteva
destare un profondo allarme.
Economia
politica
Tre furono le questioni al centro dei dibattiti su[ piano
economico e sociale: quella dell'industrializzazione,
quella della pianificazione, quella della
lotta contro i contadini ricchi.
L’opposizione sostenne che si doveva industrializzare
la Russia nel più breve tempo possibile, il che esigeva
una pianificazione rigorosa ed un'accumulazione
(21) socialista primitiva, vale a dire
dei prelievi che, data la situazione del paese, potevano provenire
unicamente dal mondo contadino e dall'artigianato.
Preobrazenskij formulò chiaramente il suo punto di
vista in una serie di articoli pubblicati a partire dal 1921
ed usciti nel 1926 sotto il titolo Novaja ekonomika
(La nuova economia). In un articolo del 1924 La legge
fondamentale dell'accumulazione socialista, egli la paragonava
all'accumulazione capitalistica primitiva. Quest'ultima si
era realizzata grazie ai capitali ricavati dallo sfruttamento
del lavoro dei piccoli produttori precapitalistici e delle
colonie e grazie anche alle tasse e ai prestiti di Stato.
Ora, lo sfruttamento delle colonie era impossibile per il
socialismo. Rimanevano “lo sfruttamento della piccola
produzione, l'esproprio del surplus prodotto dalla campagna
e dal lavoro artigiano. [...] L'idea che un'economia
socialista possa svilupparsi da sola, senza toccare le risorse
della piccola borghesia, economia contadina compresa, è
un'idea reazionaria, un'utopia piccolo-borghese.“
Questa analisi era tanto più interessante in quanto,
alla fine - e senza dirlo - Stalin la riprese per suo conto
in un rapporto al Comitato Centrale (9 luglio 1928) per giustificare
la nuova politica che andava proponendo al partito. Nel 1923-1924
era chiaro che una simile analisi rischiava di compromettere
l'alleanza (smycka) tra operai e contadini sulla
quale era fondata la NEP. Proprio per questo le idee di Preobrazenskij,
riprese da Trotskij e dall'opposizione, furono combattute
e respinte. Krasin (Commissario del popolo per il commercio
estero) aveva rivolto a Trotskij, dopo il suo rapporto al
XII Congresso, una domanda alla quale la storia doveva dare
un rilievo particolare: “Trotskij aveva ricavato
tutte le conseguenze da questa analisi dell’accumulazione
socialista primitiva?”. La risposta di Trotskij
fu imbarazzata, e ben a ragione, poiché realizzare
l'accumulazione in fretta e con brutalità significava
di fatto rivolgere il terrore contro i contadini (come avverrà
precisamente nel 1929-1930). In verità, l'accumulazione
socialista primitiva, nel 1923, era una vera e propria necessità
per l'Unione Sovietica, tenendo conto delle condizioni economiche
del paese in quel momento. E tuttavia, doveva essere necessariamente
lenta, altrimenti si sarebbe realizzata a danno dei contadini
(e non solo dei kulaki): era precisamente quanto
Lenin ava temuto e criticato con forza nei suoi ultimi scritti,
quanto Bucharin riprese poi nei suoi testi del 1928-1929.
L'edificazione del socialismo doveva durare “decine
di anni”.
Possiamo osservare subito che questa situazione non ha niente
a che vedere con quella dei grandi paesi sviluppati negli
anni settanta del nostro secolo. L'accumulazione socialista
primitiva non è necessaria in questi paesi in quanto
è stata realizzata più di un secolo fa l'accumulazione
capitalistica primitiva. Ora, il fenomeno staliniano
derivò in larga misura dalle condizioni nelle quali
l'accumulazione socialista primitiva fu realizzata da Stalin,
vale a dire dalla fretta eccessiva di industrializzare e di
collettivizzare le terre e dal terrore messo in opera contro
i contadini prima, e poi contro lo stesso partito.
Le basi oggettive dello stalinismo, ad esempio, non esistono
assolutamente nell'Europa contemporanea, ove il livello delle
forze produttive è già elevato. Ora, proprio
questa constatazione ci fa capire chiaramente come quel fenomeno
non fosse il prodotto del socialismo; ma piuttosto delle condizioni
spazio-temporali che presiedettero al suo sviluppo in una
situazione storica ben precisa, quella dell'Unione
Sovietica - e dell'Unione Sovietica degli anni 1920-1930 -
e che differivano radicalmente da quelle di altri paesi.
Si tratta insomma di un fenomeno spazio-temporale e non di
una necessità storica valida dovunque e sempre per
il socialismo passato, presente e futuro.
La
lotta contro i kulaki era strettamente
connessa con l'industrializzazione e la pianificazione. Nessuno
metteva in dubbio la necessità di combattere i contadini
ricchi. Nemmeno Bucharin. Ma come combatterli senza mettere
in pericolo l'alleanza degli operai e dei contadini nell'ambito
della NEP? Fu questa difficoltà a provocare dibattiti
e conflitti. L'opposizione chiese misure più severe
contro i kulaki (soprattutto sul piano fiscale).
Il partito esitò per parecchi anni ed infine respinse
queste richieste. Tuttavia, nel 1927, il XV Congresso, dopo
un particolareggiato rapporto di Molotov, finì per
risolversi a prendere alcune misure contro di loro, e al tempo
stesso decise di accelerare l'industrializzazione e di elaborare
il primo piano quinquennale. Molotov aveva detto che non bisognava
confondere contadini medi e kulaki. La cooperazione
agricola doveva svilupparsi lentamente e sulla base del volontariato.
Invece avvenne precisamente il contrario.
La
dittatura sul proletariato
Il terzo grande problema al centro dei dibattiti degli anni
1923-1927 fu quello della democrazia. Nel
partito l’opposizione la reclamava a gran voce, ma non
senza contraddizioni dal momento che poco tempo prima aveva
rifiutato ad altri, e soprattutto alI''opposizione operaia',
questa stessa democrazia. E così, decise di far marcia
indietro.
Quanto al divieto dell'esistenza di frazioni, era un po' come
tentare il diavolo, come creare le condizioni per una scissione
del partito. Il dibattito nel partito doveva svolgersi liberamente
ma senza che le opinioni si cristallizzassero in frazioni
rappresentanti in definitiva strutture generatrici di impotenza
e di divisione. Il margine era ridotto, tanto più che
la prassi politica di Stalin - ed è il meno che si
possa dire - non tendeva certo ad estendere la democrazia. Segretario generale del partito, Stalin si servì
della sua carica per imporre sempre più la propria
autorità eliminando i membri dell'opposizione - e quelli che potevano divenirlo - dai centri decisionali
e ricorrendo al sotterfugio di trasferirli all'estero o in
regioni periferiche dell'Unione Sovietica. Per lo più,
i dirigenti bolscevichi appoggiarono Stalin, che consideravano
il più modesto e il più capace di dirigere il
partito in quegli anni tormentati. Per lo più, sarebbero
scomparsi tragicamente negli anni trenta, e proprio per suo
ordine, ma allora niente lo lasciava presagire. Non dobbiamo
dimenticarlo, noi che sappiamo quale sarà il loro destino.
Fin dall'estate del 1923 Zinovjev aveva preso l'iniziativa
di promuovere una riunione segreta in una cantina di Kislovodsk,
una delle più belle stazioni termali del Caucaso, per
limitare l'autorità di Stalin rendendo la Segreteria
un organismo politico. Bucharin, Vorosilov e parecchi altri
dirigenti avevano partecipato alla riunione, durante la quale
fu progettata la costituzione di una Segreteria composta da
Stalin, Trotskij e Zinovjev (o Kamenev, o Bucharin). Stalin,
messo al corrente da Ordzonikidze, sventò la manovra.
Nel 1925 il partito contava 25.000 funzionari, dei quali 767
nel Comitato Centrale. La sezione del CC per l’impiego
dei quadri (Uçraspred) controllava la nomina
dei dirigenti (ad esempio 12.277 tra il XIII e il XIV Congresso
del partito).
Nel 1924 le sezioni di organizzazione e di destinazione dei
quadri si fusero per formare l'Orgraspred. A poco
a poco l'opposizione, la cui composizione era d'altronde fluttuante,
perse qualunque possibilità di espressione ed ogni
responsabilità. I suoi feudi - l'esercito rosso con
Trotskij, le università, le organizzazioni del partito
di Lenigrado con Zinovjev e di Mosca con Kamenev - furono
epurati. Nel gennaIo del 1925 Trotskij perse la carica di
Commissario del popolo per la guerra (ma non la qualifica
di membro del Politburo). Fino al dicembre del 1925 Zinovjev
e Kamenev, pur prendendo le distanze da Stalin, continuarono
a combattere Trotskij, che avevano tentato di allontanare
dal Politburo nel gennaio di quell'anno. Fu al XIV Congresso
che Kamenev cominciò a criticare Stalin, imitato subito
dopo da Zinovjev.
Kamenev perse il suo posto di titolare del Politburo, ma rimase
membro supplente e fu sostituito a Mosca da Uglanov (fucilato
più tardi per ordine di Stalin), mentre Zinovjev fu
allontanato dalla direzione del partito a Pietrogrado e sostituito
da Kirov. Isolata nel partito e nel paese, l'opposizione non
poteva contare che su poche migliaia di comunisti.
Violando le decisioni del X Congresso, tentò di organizzare
una frazione. Drappeggiandosi nelle pieghe della bandiera
dell'unità del partito e del socialismo in un solo
paese, Stalin poté infliggere facilmente la stoccata
finale.
Nell'ottobre
del 1926 Trotskij fu espulso dal Politburo e Zinovjev dalla
presidenza dell'Internazionale comunista. Nel dicembre del
1927, dopo alcuni tentativi di manifestazioni separate per
il decimo anniversario dell'Ottobre, Trotskij, Kamenev, Smilga,
Radek, Pjatakov, Laseviç, Rakovskij furono espulsi
dal partito. loffe (22) si suicidò
in segno di protesta contro l'espulsione di Trotskij.
Si chiuse così una pagina della storia del Partito
comunista sovietico.
Grazie a questi avvenimenti, e spesso su una base politica
ed ideale piuttosto soddisfacente, il potere e l'autorità
di Stalin erano notevolmente aumentati. La democrazia nel
partito e nel paese non ne usciva rafforzata, tanto più
che la Ghepeu aveva finito per svolgere un
ruolo sempre più importante in questi avvenimenti.
Creata nel febbraio del 1922 per limitare i poteri della Ceka,
della quale prese il posto, essa continuò a disporre
di poteri considerevoli. Il codice penale della RSFSR promulgato
nel 1922 ammetteva il principio del "crimine di Stato"
(artt. 57, 58, 59), dando di questa nozione una definizione
abbastanza vasta per comprendervi ogni critica scritta o verbale
contro il regime sovietico e contro il suo modo di funzionamento.
Fin dall'agosto del 1922 fu deciso di ammettere la deportazione
senza processo, per un massimo di tre anni, per chiunque avesse
partecipato ad un'attività controrivoluzionaria, su
decisione di una Commissione speciale del Commissariato del
popolo per gli affari interni (nella quale la Ghepeu svolgeva
un ruolo fondamentale).
Il controllo della Ghepeu si estese gradualmente ai campi
di lavoro forzato, alla stampa, alla letteratura, al cinema,
al teatro, a tutti i luoghi pubblici e allo stesso partito.
Nel giugno del 1923 fu la Ghepeu a far arrestare Sultan-Galev,
un bolscevico tartaro che voleva creare una grande Repubblica
socialista sovietica tartara comprendente tutte le popolazioni
turco-mongole dell'Asia centrale e dell'Ucraina meridionale.
Fu la Ghepeu a far arrestare i responsabili degli scioperi
del 1923 e dei gruppi clandestini Pravda rabocich (La verità degli operai) e Rabocaja pravda (La verità operaia). Nell'ottobre del 1923 il Politburo
decise di costringere i membri del partito a denunciare alla
Ghepeu tutte le attività ostili al partito di cui fossero
a conoscenza. Era una strada pericolosissima - dove
cominciavano le attività ostili al partito? e chi poteva
giudicarne? - che doveva aprire le porte ad innumerevoli eccessi,
a tanti errori e a tanti crimini.
Nel settembre del 1927, fu la Ghepeu a perquisire la tipografia
nella quale l'opposizione stava pubblicando la sua piattaforma
(23) per il XV Congresso. Fu la Ghepeu
ad inventare l'esistenza di una guardia bianca ex soldato
di Vrangel, per provare artificiosamente la collusione tra
i bianchi e l'opposizione. Stalin dovette riconoscere più
tardi che si era trattato di un “errore della Ghepeu”.
Al tempo stesso, egli metteva sullo stesso piatto della bilancia
tutti i suoi nemici, sia interni che esterni. Nel 1927, ad
esempio, disse che si era costituito “un fronte
unico da Chamberlain a Trotskji."
Nel 1923 Krylenko parlò per la prima volta di pericoli
sociali e del crimine di “pericolosità sociale”.
Nell'ottobre del 1924 i codici criminali delle repubbliche
sovietiche cominciarono a mettere l'accento sulla necessità
“di misure di difesa sociale” contro
i criminali colpevoli di agire direttamente contro i fondamenti
dell'ordine sovietico. Il divieto di risiedere in un determinato
luogo e la deportazione dall'una all'altra località
furono applicati secondo l'articolo 22 a tutte le persone
riconosciute “socialmente pericolose”,
il che consisteva nel decidere pene preventive, ed in modo
estremamente arbitrario (chiunque poteva essere dichiarato
socialmente pericoloso). Procuratore della RSFSR e futura
vittima di Stalin, Krylenko promosse la segregazione dei “nemici
di classe”.
Nell'ottobre del 1924 l'Esecutivo del soviet della RSFSR promulgò
un codice del lavoro forzato. Nel 1927 si contavano 185.000
persone deportate secondo le indicazioni ufficiali, sicuramente
inferiori alla realtà. Secondo una nota di Krasin a
Trotskij trasmessa il 2 giugno 1924 durante una riunione del
Comitato Centrale e conservata negli archivi Trotskij, citata
da Carr, (24) i prigionieri venivano impiegati
per la costruzione di ferrovie. In questo modo, a poco a poco,
la GPU (divenuta OGPU - in seguito alla fondazione dell'Unione
Sovietica - Direzione generale degli affari politici) fu impiegata
più contro i comunisti che non nella lotta contro i
nemici diretti del potere sovietico. Nel 1927 questa tendenza
si manifestava con estrema chiarezza e, pur avendo ancora
conseguenze piuttosto limitate, rappresentava un pericolo
potenzialmente grave, tanto più che il reclutamento
della Ghepeu lasciava molto a desiderare dal punto di vista
rivoluzionario. I vecchi bolscevichi (quelli della rivoluzione
e della guerra civile) erano stati sostituiti da elementi
spesso equivoci.
Una simile situazione non poteva certo facilitare la lotta
contro i fenomeni burocratici. L'apparato statale non era
stato sensibilmente modificato, anzi, il numero dei funzionati
era aumentato. L'osmosi tra partito e Stato si era accentuata.
Nel 1928 il 38,3% dei membri del partito era costituito da
impiegati delle amministrazioni statali e di partito. Invece,
v'erano non più di 200.000 comunisti nelle campagne
e solo per la metà costoro erano realmente contadini.
L'aumento degli effettivi del partito - da 472.000 iscritti
a 1.304.471 tra il 1924 e il 1928 - permise di accrescere
notevolmente la percentuale di iscritti di origine operaia,
ma qualitativamente la composizione del partito ne fu trasformata.
Il peso della vecchia guardia bolscevica diminuì. I
neo iscritti erano in gran maggioranza giovani operai di origine
contadina. Il partito cercò di dar loro una formazione
marxista di base. Fu questo, precisamente, lo scopo delle
conferenze tenute da Stalin alI'Accademia Sverdlov e pubblicate
poi in milioni di copie: I principi del leninismo.
Stalin si rivelò un divulgatore di vaglia che sapeva
presentare in modo pedagogico, accessibile cioè a molti,
le idee essenziali dei bolscevichi. Al tempo stesso, I
principi del leninismo rappresentavano una terribile
tentazione, quella del dogmatismo, se considerate
come un'opera di ricerca teorica. Negli anni venti il partito
- nei limiti imposti dalla sua dittatura - riuscì a
condurre frontalmente la propaganda di massa necessaria per
far penetrare alcuni principi elementari tra le masse ancora
incolte e a condurre una ricerca teorica di alto livello.
In filosofia con la rivista Podtnamenem marksizma,
in storia con Pokrovskij, in giurisprudenza con Pasukanis,
in economia politica e in sociologia, le scienze umane sovietiche
raggiunsero livelli notevolissimi.
Il rifiuto del partito di intervenire nei dibattiti letterari,
una certa libertà di creazione in letteratura, in campo
cinematografico e teatrale, unita allo slancio rivoluzionario
e alle facilitazioni concesse agli artisti, permisero la fioritura
di molte opere di grande valore egregiamente simboleggiate
dal cinema degli anni venti. (25)
Sarebbe sbagliato però idealizzare questo periodo
sotto tale angolazione. Gli scrittori non comunisti non potevano
esprimersi e molti di loro continuavano a vivere nell'emigrazione.
La lotta antireligiosa continuava in forme assolutamente inaccettabili
perché mettevano in causa la libertà di coscienza
e la libertà di culto. Il marxismo, divenuto filosofia
di Stato, veniva insegnato in modo sempre più dogmatico.
I fondamenti dello stalinismo esistevano dunque già
nel periodo della NEP, ma non le sue conseguenze più
drammatiche, non le sue fome più crudeli.
Nonostante alcuni sforzi compiuti per riattivare i soviet
su scala locale, la vita democratica rimase carente e nel
1927 non aveva fatto alcun progresso. Anzi, a cinque anni
dalla fine della guerra civile la situazione si era aggravata.
È vero che, secondo le parole di Trotskij riprese più
tardi da Stalin, I’URSS era una “fortezza
assediata”. Il cordone sanitario (26) continuava a circondarla, continuavano ad esistere le cospirazioni
antisovietiche e i pericoli di guerra, ma questo non era una
giustificazione; e, soprattutto, la persistente mancanza di
democrazia all'interno del partito e nel paese creava una
situazione pericolosa, mentre l’esistenza di strutture
autoritarie esponeva I'URSS ad un potere ancora più
dittatoriale, molto più cruento e più personale.
II fenomeno staliniano stava ormai per permeare di sè
tutta la società sovietica.
Qui
è stato ripreso, con vari adattamenti: Jean Elleinstein, Storia del fenomeno staliniano, Ed. Riuniti, 1975.
Altri testi utilizzati: Charles Bettelheim, Le lotte
di classe nell'URSS (1917-1923), Comunità,
1975;
Édouard Dolléans, Storia del movimento
operaio 1921-1952, Sansoni, 1977; Jean Elleinstein, Storia
dell'URSS, Ed. Riuniti, 1976; Roy Medvedev, Stalin
sconosciuto, Ed. Riuniti, 1979; Roy Medvedev, Lo
stalinismo, Mondadori, 1972; Michal
Reiman, La nascita dello stalinismo, Ed. Riuniti, 1980;
Arthur Rosenberg, Storia
del bolscevismo,
Sansoni, 1969. Si veda anche la bibliografia
sulla rivoluzione russa.
NOTE
(*)
In realtà il termine "stalinismo" fu coniato
da Trotskij, e poi ripreso sia dalla pubblicistica anticomunista
che, dopo il 1929, da quella sovietica
(**)
A causa delle limitazioni imposte dal software utilizzato,
non abbiamo potuto riprodurre correttamente tutti i segni
diacritici
(1) A. Orlov [transfuga sovietico negli
USA], The secret History of Stalin's crimes, London,
1954
(2) Il C.C. comprendeva sette membri effettivi
e cinque candidati
(3) Cit. in: Roy Medvedev, Lo stalinismo,
Mondadori, 1972
(4) CEKA, acronimo di Comitato straordinario
di tutte le Russie per combattere la controrivoluzione e il
sabotaggio: organismo creato nel dicembre del 1917, quando
ancora era particolarmente intensa l'attività filozarista,
che infatti sfocerà nell'allestimento di un'armata
"bianca" e nella guerra civile; nel 1922 fu sostituita
dall'OGPU, a sua volta confluita (1934) nell'NKVD, il Commissariato
del Popolo agli Affari Interni; nel 1946 divenne MDV, Ministerstvo
Vnutrennikh Del, Ministero degli Affari interni, diretto dal
famigerato L. Berija; dopo la morte di Stalin (1953) venne
istituito il KGB, Komitet Gosudarstvennoi Bezopasnosti, Comitato
per la sicurezza dello stato.
(5) Tutti uccisi, tranne Lenin, durante
la repressione di massa degli anni trenta, per ordine di Stalin
(6) È l'opinione di Isaac Deutscher
(Stalin, Longanesi, 1951), sulla base della corrispondenza
segreta dell'epoca da lui consultata negli archivi Trotskij
ad Harvard
(7) Lenin, Opere complete, Ed.
Riuniti, 1954-1970, v. 36, p. 428
(8) ibidem, pp. 429-30
(9) ibidem, p. 440 [appunto del
30 dicembre 1922]
(10) La Corsica era stata annessa dalla
Francia poco prima della nascita di Napoleone e vi era scoppiata
una vera e propria insurrezione antifrancese. Napoleone, di
origine corsa, ebbe tuttavia un ruolo determinante nel processo
di centralizzazione della Francia moderna
(11) ibidem, p. 442 [appunto del
31 dicembre 1922]
(12) ivi, v. 33, p. 448
(13) Trotskij aveva affermato: "La
militarizzazione del lavoro è la base indispensabile
dell'organizzazione del nostro potenziale di lavoro”;
aveva revocato i dirigenti del sindacato ferrovieri e cercato
d'imporre una politica centralizzatrice, criticata sia da
Lenin che dal partito. Trotskij finì per accettare
le decisioni del partito
(14) ibidem, pp. 195-196
(15) ibidem, p. 205
(16) ivi, v. 36, p. 434
(17) ivi, v. 45, p. 623
(18) M. Fainsod, Smolensk under Soviet
Rule, Harvard Press, 1958
(19) Tra i firmatari figuravano Preobraenskij,
economista ed ex Segretario del CC, Pjatakov, Smirnov, Antonov-Ovseenko,
Muranov, Bubnov, ecc., tutti scomparsi durante la grande purga
degli anni trenta
(20) L. Trotskij, Europe et Amerique,
Paris, 1926
(21) Il termine viene usato nella sua accezione
marxiana, cioè una particolare forma di accumulazione
di denaro indispensabile per avere la base economica necessaria
alla creazione dell'apparato produttivo. Naturalmente il tipo
di accumulazione cambia sensibilmente se a realizzarla è
la borghesia o la proprietà colletiva dei mezzi di
produzione. Cfr.: K. Marx, L'accumulazione originaria,
Ed. Riuniti, 1991 e K. Marx, Il Capitale (Cap. XXIII,
La legge generale dell'accumulazione capitalistica
e Cap. XXIV, L'accumulazione originaria), Ed. Riuniti
(22) Ambasciatore sovietico a Berlino nel
1918 dopo essere stato uno dei negoziatori della pace di Brest-Litovsk,
quindi ambasciatore a Vienna e a Tokio
(23) Il Comitato Centrale ne aveva vietato
la pubblicazione in virtù delle decisioni del X Congresso
sulle frazioni
(24) E. H. Carr, Storia della Russia
sovietica, v. II. Il socialismo in un solo paese
(1924-1926), Einaudi, 1981
(25)
Il film più celebre resta La corazzata
Potëmkin di Eienstejn,
ma fondamentali sono anche le opere di Dziga Vertov
(26) La preoccupazione che il "contagio
rivoluzionario" si estendesse dalla Russia bolscevica
ai paesi europei - scossi da profonde crisi - spinse le potenze
capitalistiche a isolare la Russia controllandone militarmente
i confini (Finlandia, paesi baltici, Polonia, Romania)
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