Nikita Khruščёv

Il Rapporto segreto [*]


Il Culto della Personalità

Compagni!

Il rapporto del Comitato Centrale del partito al XX Congresso, come pure un certo numero di discorsi pronunciati dai delegati al congresso e alle riunioni plenarie del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, hanno affrontato con molta ampiezza questo tema; il culto della personalità e le sue dannose conseguenze.
Dopo la morte di Stalin il Comitato Centrale del partito aveva già dato inizio a una politica tendente a spiegare brevemente, ma con chiarezza, che era intollerabile ed estraneo allo spirito del marxismo-leninismo esaltare una persona e farne un superuomo fornito di qualità soprannaturali a somiglianza di un dio. Un tale uomo è ritenuto in grado di saper tutto, veder tutto, pensare per tutti, fare tutto ed essere infallibile.
Questo sentimento per un uomo, e precisamente per Stalin, l'abbiamo tenuto vivo in mezzo a noi per lunghi anni.
Lo scopo del presente rapporto non è quello di procedere a una valutazione minuziosa della vita di Stalin e delle sue attività. Sul meriti di Stalin è stato già scritto un numero sufficiente di libri, di opuscoli e di saggi. La parte avuta da Stalin nella preparazione e nell'attuazione della rivoluzione socialista, nella guerra civile e nella lotta per l'edificazione del socialismo nel nostro paese è universalmente nota e tutti la conoscono bene.

Quello che oggi ci interessa è un problema di grandissima importanza per il partito, sia nel momento presente che per l'avvenire. Ci interessa sapere come il culto della persona di Stalin sia andato continuamente crescendo e sia divenuto, a un dato momento, fonte di tutta una serie di gravissime deviazioni dai principi del partito, dalla democrazia del partito e dalla legalità rivoluzionaria.
Considerato che non tutti sembrano aver ancora ben capito le conseguenze pratiche derivanti dal culto della personalità e il grave danno causato dalla violazione del principio della direzione collegiale del partito e dalla concentrazione di un potere immenso e illimitato nelle mani di una sola persona, il Comitato Centrale del partito ritiene assolutamente necessario portare a conoscenza del XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica i dati riguardanti questo problema.


Permettetemi innanzitutto di ricordarvi con quanta severità i classici del marxismo-leninismo denunciavano ogni manifestazione del culto della personalità.
In una lettera indirizzata a un militante tedesco, Wilhelm Blos, Marx scriveva:

"La mia ostilità al culto della persona ha fatto sì che io non abbia mai reso noto, durante l'esistenza dell'Internazionale, i numerosi messaggi di ammirazione provenienti da diversi paesi, che riuscivano solo a infastidirmi. Non rispondevo nemmeno, se non talvolta con dei rimproveri. Quando Engels ed io abbiamo aderito alla società segreta dei comunisti, lo facemmo a patto che venisse bandito dai suoi statuti tutto ciò che poteva contribuire al culto superstizioso dell'autorità. Più tardi Lassalle fece esattamente il contrario".


Qualche tempo dopo Engels scriveva:

"Marx ed io siamo sempre stati contrari a ogni manifestazione pubblica tendente ad esaltare le persone, salvo i casi in cui un motivo importante la giustificasse. E ci siamo fermamente opposti per tutta la nostra vita a tali manifestazioni, quando ci riguardavano personalmente."


È nota la grande modestia del genio della rivoluzione, Vladimir Ilich Lenin. Lenin ha sempre dato valore alla parte che ha il popolo nella creazione della storia, alla funzione direttiva e organizzativa del partito come organismo vivente e creatore e a quella dei Comitato Centrale.
Il marxismo non nega l'importanza dei capi della classe lavoratrice nella direzione del movimento rivoluzionario di liberazione.
Lenin, benché attribuisse una grande importanza alla funzione dei dirigenti e degli organizzatori delle masse, al tempo stesso, condannava inesorabilmente ogni manifestazione del culto della persona, combatteva implacabilmente le idee estranee al marxismo dell'"eroe" e della "folla", e osteggiava tutti gli sforzi che miravano ad opporre un "eroe" alle masse e al popolo. Lenin ci ha insegnato che la forza del partito dipende dalla sua unità indissolubile con le masse. Egli ci ha insegnato che dietro il partito ci sono gli operai, i contadini e gli intellettuali che lo seguono. "Prenderà e conserverà il potere - diceva Lenin - solo colui che crede nel popolo, colui che si bagna alla fonte della viva potenza creatrice del popolo".
Lenin parlava con fierezza del Partito comunista bolscevico come della guida e dell'educatore del popolo. Voleva che í problemi più importanti fossero sottoposti al giudizio degli operai competenti e a quello del loro partito. Soleva dire: "Noi crediamo in questo giudizio, vediamo in esso la saggezza, l'onore e la coscienza della nostra epoca."
Lenin si oppose con energia ad ogni tentativo inteso a diminuire e a indebolire la funzione dirigente del partito nella struttura dello Stato sovietico. Elaborò i principi bolscevichi della direzione del partito e le norme della sua esistenza, sottolineando che il principio fondamentale della direzione del partito poggiava sul suo carattere collegiale. Già durante gli anni prerivoluzionari, Lenin chiamava il Comitato Centrale del partito un "capo collettivo", custode ed interprete dei principi del partito. "Nell'intervallo tra un congresso e l'altro - diceva Lenin - il Comitato Centrale custodisce e interpreta i principi del partito".
Vladimir Ilich, mettendo in rilievo la funzione del Comitato Centrale del partito e la sua autorità, diceva: "Il nostro Comitato Centrale si è costituito come un gruppo strettamente centralizzato, esercitante una grande autorità..." [1]
Per tutta la vita di Lenin il Comitato Centrale del partito fu realmente l'espressione della direzione collegiale del partito e del paese. Poiché era un militante marxista-rivoluzionario, sempre inflessibile sulle questioni di principio, Lenin non impose mai colla forza ai collaboratori le sue opinioni. Si sforzava di convincerli e spiegava pazientemente agli altri le proprie opinioni. Lenin vegliò sempre con cura perché le norme della vita del partito fossero attuate, perché gli statuti del partito avessero forza di legge, perché i congressi del partito e le sessioni plenarie del Comitato Centrale avessero luogo a giusti intervalli.

V. I. Lenin non si accontentò di contribuire grandemente alla vittoria degli operai e dei contadini, alla vittoria del nostro partito e all'applicazione pratica dei principi del comunismo scientifico. Il suo spirito acuto si rivelò anche in questo, che egli si accorse per tempo delle caratteristiche negative di Stalin, che ebbero più tardi gravi conseguenze.
Temendo per l'avvenire del partito e dell'Unione Sovietica, V. I. Lenin mostrò la necessità di esaminare il problema dell'allontanamento di Stalin dal suo posto di Segretario generale; perché Stalin era eccessivamente brutale, non si comportava cameratescamente coi suoi compagni, era capriccioso e abusava del potere.


Nel dicembre del 1922, in una lettera al congresso del partito, Vladimir Ilich scriveva:

"Non contento di aver preso in mano le funzioni di Segretario generale, il compagno Stalin si è attribuito un potere immenso e non sono affatto sicuro che egli sia in ogni occasione capace di farne uso con la necessaria prudenza.".

Questa lettera, documento politico di straordinaria importanza conosciuto nella storia del partito come il "Testamento di Lenin", è stata distribuita ai delegati del XX Congresso del partito. L'avete letta e senza dubbio la rileggerete spesso. Rifletterete sulle semplici parole che esprimono l'inquietudine di Vladimir Ilich per il partito, il popolo, lo stato e la futura direzione della politica del partito. Vladimir Ilich diceva:

"Stalin è troppo arrogante e questo difetto, che può essere tollerato tra di noi e nei rapporti tra comunisti, non è tollerabile in chi occupa il posto di Segretario generale. Perciò propongo che i compagni esaminino la possibilità dì allontanare Stalin da tale carica e di sostituirlo con un altro uomo che, prima di tutto, si differenzi da Stalin per una sola dote, cioè una maggiore tolleranza, una maggiore lealtà, una maggiore gentilezza, una maggiore considerazione per i compagni, un temperamento meno capriccioso." [2]

Questo documento di Lenin era stato comunicato ai delegati del XIII Congresso del partito, che esaminarono la questione dell'allontanamento di Stalin dalla carica di Segretario generale. I delegati si dichiararono favorevoli al mantenimento di Stalin alla segreteria, nella speranza che egli tenesse conto delle osservazioni critiche di Vladimir Ilich e si correggesse dei difetti che destavano le gravi preoccupazioni di Lenin. [3]

Compagni! Il congresso del partito deve essere informato dei due nuovi documenti che confermano il carattere di Stalin come l'aveva già descritto Vladimir Ilich Lenin nel suo "Testamento". Questi documenti sono una lettera di Nadezhda Konstantinovna Krupskaia a Kamenev, che era a quell'epoca a capo dell'Ufficio politico, e una lettera personale di Vladimir Ilich a Stalin. Ve li leggo.

"Leone Borisovich! Per una breve lettera che Vladimir Ilich mi aveva dettato col permesso dei medici, Stalin mi ha fatto ieri una scenata grossolana e volgare. Da trenta anni che faccio parte del partito, non avevo mai udito da nessun compagno una sola parola sgarbata. Gli affari del partito e quelli di Ilich sono cari a me quanto a Stalin. Ho bisogno oggi del massimo sangue freddo. Ciò che si può - e ciò che non si può - discutere con Ilich, lo so meglio di qualunque medico. Lo so ad ogni modo meglio di Stalin. Mi rivolgo a voi e a Grigory come ai compagni più vicini di Vladimir Ilich e vi supplico di proteggermi da ingerenze brutali nella mia vita privata, da vili invettive e da basse minacce. Non ho alcun dubbio su quella che sarà la decisione unanime della Commissione di controllo, con cui Stalin ha creduto bene minacciarmi. Qualunque cosa succeda, non ho né forza, né tempo da perdere in questa stupida controversia. Sono un essere umano e i miei nervi sono allo stremo." [4]

Nadezhda Konstantinovna scriveva questa lettera il 23 dicembre del 1922.
Due mesi e mezzo dopo, Lenin inviava a Stalin la seguente lettera:

Al compagno Stalin, e, per conoscenza, a Kamenev e Zinovev.

Caro compagno Stalin, vi siete permesso di chiamare mia moglie al telefono e di rimproverarla aspramente. Benché ella vi abbia comunicato che accettava di dimenticare quanto era stato detto, nondimeno ne ha messo al corrente Zinovev e Kamenev. Io non ho l'intenzione di dimenticare così facilmente le offese che mi si fanno, ed è inutile che insista sul fatto che considero diretto contro di me ciò che viene fatto contro mia moglie. Perciò vi domando di decidere tra una ritrattazione delle vostre parole, accompagnata da scuse, e una rottura dei nostri rapporti [viva emozione nella sala].

Sinceramente

Lenin

5 marzo 1923



Compagni!

Non farò alcun commento su questi documenti, che parlano eloquentemente da soli. Se Stalin ha potuto agire in questa maniera mentre Lenin era ancora vivo, se ha potuto agire nei confronti di Nadezhda Konstantinovna Krupskaia, che il partito conosce bene e altamente apprezza come compagna fedele di Lenin e attiva combattente per la causa del partito sin dalla sua fondazione, si può facilmente immaginare come Stalin si sia comportato verso gli altri. Questo lato negativo si è andato sempre più sviluppando, e negli ultimi anni aveva assunto un carattere assolutamente insopportabile portabile.
Come hanno provato gli avvenimenti successivi, le preoccupazioni di Lenin erano giustificate: nel periodo immediatamente successivo alla morte di Lenin, Stalin prestava ancora attenzione ai suoi consigli, ma più tardi cominciò ad ignorare i gravi ammonimenti di Vladimir Ilich.

Quando si analizza la condotta di Stalin nei confronti della direzione del partito e del paese, quando ci si ferma a considerare ciò che Stalin ha commesso, bisogna ben convincersi che i timori di Lenin erano giustificati. I difetti di Stalin, che al tempo di Lenin erano solo in germe, avevano assunto il carattere di un autentico dispotismo, che ha arrecato indicibili danni al nostro partito.
Dobbiamo esaminare seriamente e analizzare in maniera corretta questo problema, per essere in grado di prevenire ogni possibilità di un ritorno, sotto qualsiasi forma, di ciò che è avvenuto durante la vita di Stalin, che non tollerava minimamente la direzione e il lavoro collegiali e praticava una brutale violenza non solo contro tutto ciò che a lui si opponeva, ma anche contro tutto ciò che contraddiceva il suo temperamento capriccioso e dispotico.

Stalin non agiva con la persuasione, con le spiegazioni e la paziente collaborazione con gli altri, ma imponendo le sue idee ed esigendo una sottomissione assoluta. Chiunque si opponeva ai suoi disegni o si sforzava di far valere il proprio punto di vista e la validità della sua posizione era destinato ad essere estromesso da ogni funzione direttiva, e, in seguito, "liquidato" moralmente e fisicamente. Questo fu particolarmente vero nel periodo seguito al XVII Congresso, quando eminenti dirigenti e semplici militanti del partito, gente onesta e devota alla causa del comunismo, caddero vittime del dispotismo di Stalin. [5]
Dobbiamo ricordare che il partito dovette sostenere una dura lotta contro i trotskisti, i destri e i nazionalisti borghesi, e che esso disarmò ideologica mente tutti i nemici del leninismo. Questa lotta ideologica è stata condotta a termine con successo, col risultato di rafforzare e temprare il partito. Qui Stalin ha avuto una funzione positiva.

Il partito ha condotto una grande lotta ideologica e politica contro coloro che, nei suoi stessi ranghi, proponevano tesi antileniniste e rappresentavano una linea politica ostile al partito e alla causa del socialismo. È stata una lotta ostinata e difficile, ma necessaria, perché sia la linea politica del blocco trotskista-zinovievista, che quella dei bukhariniani conduceva di fatto alla restaurazione del capitalismo e alla capitolazione di fronte alla borghesia mondiale. Pensiamo per un momento a ciò che sarebbe accaduto se nel 1928-1929 fosse prevalsa la linea politica del deviazionismo di destra, o l'orientamento verso "la produzione dei cotonati", la mano tesa ai Kulaki, ecc. Non avremmo oggi una potente industria pesante, non avremmo i kolkhoz, ci troveremmo disarmati e deboli di fronte all'accerchiamento capitalista.
Per questa ragione il Partito ha condotto una lotta ideologica inesorabile, spiegando a tutti i suoi membri e alle masse non iscritte al partito i mali e il pericolo delle tesi antileniniste dell'opposizione trotskista e degli opportunisti di destra. E questa grande opera di chiarificazione della linea del partito ha portato i suoi frutti; i trotskisti e gli opportunisti di destra sono stati politicamente isolati; la schiacciante maggioranza del partito ha sostenuto la linea leninista e il partito ha potuto mobilitare ed organizzare le masse per l'applicazione della linea leninista del partito e per l'edificazione del socialismo.

Mette conto osservare che, anche durante il corso della furiosa lotta ideologica contro i trotskisti, gli zinovievisti, i bukhariniani ed altri, non si erano mai adottate contro di essi misure estreme di repressione, poiché la lotta veniva combattuta sul terreno ideologico. Ma alcuni anni più tardi, quando il socialismo era fondamentalmente edificato nel nostro paese, quando le classi sfruttatrici erano state generalmente liquidate, quando la struttura sociale sovietica era radicalmente cambiata, quando la base sociale per i movimenti e i gruppi politici ostili al partito si era estremamente ridotta, quando gli avversari ideologici del partito erano da tempo politicamente vinti, si scatenò contro di loro la repressione.
Fu precisamente in questo periodo (1935-1937-1938) che nacque la pratica della repressione in massa attuata mediante l'apparato dello stato, prima contro i nemici del leninismo - trotskisti, zinovievisti, bukhariniani, da tempo sconfitti politicamente dal partito - e poi anche contro molti onesti comunisti, contro i quadri del partito, che avevano sopportato il grave onere della guerra civile, i primi e più difficili anni dell'industrializzazione e della collettivizzazione e che si erano attivamente battuti contro i trotskisti e la destra per il trionfo della linea leninista in seno al partito.

Note redazionali

[*] Al XX Congresso del PCUS, durante una seduta a porte chiuse nell'ultimo giorno di lavori, il Segretario Generale del PCUS, Nikita Khruščёv, lesse un rapporto segreto in cui denunciava, oltre al culto della personalità, le purghe e le limitazioni alla libertà imposte da Stalin. Il discorso fu un vero e proprio choc per i delegati, che dopo decenni di propaganda non avevano dubbi sulla grandezza di Stalin. Dopo un lungo dibattito il discorso venne reso pubblico nel mese successivo, ma il testo completo fu pubblicato solo nel 1989.

[1] L'XI Congresso del partito (aprile 1922) fu l'ultimo nel quale Lenin, già minato dalla malattia, poté fare una breve comparsa. Il Comitato Centrale era allora formato di 27 membri effettivi e 17 supplenti: Lenin considerava il numero insufficiente e, nelle tre note scritte il dicembre dello stesso anno, suggeriva che il Comitato Centrale venisse allargato "a un centinaio di persone", proponendo nel reclutamento "alcune innovazioni, che avrebbero dovuto migliorarne il rendimento ed eliminare il pericolo di lotte interne troppo violente e pericolose." Di fatto Stalin utilizzò la riforma suggerita da Lenin per condurre a fondo la lotta contro i suoi avversari, aumentando i quadri del Comitato Centrale e selezionandoli a seconda delle necessità nella sua lotta per il potere.

[2] È il testo del post-scriptum del 4 gennaio 1923 aggiunto da Lenin alla nota dettata una decina di giorni prima; le due note formano ciò che viene chiamato il "Testamento" di Lenin. Per la prima volta un dirigente sovietico ne cita un passaggio nella seduta plenaria di un Congresso del partito, ma in un discorso che non è destinato alla pubblicazione. Il testo del "Testamento" sarà tuttavia distribuito ai delegati del XX Congresso e finalmente riprodotto nel numero della rivista teorica del partito, Kommunist, della fine di giugno 1956, dopo che il testo era stato pubblicato sul New York Times del 19 maggio.

[3] Krupskaia aveva consegnato il 18 maggio 1924 a Kamenev una serie di appunti di Lenin, tra cui c'era anche il "Testamento", perché fossero portati a conoscenza del Congresso del partito. In quel congresso (XIII 23-31 maggio), Stalin, Segretario del partito da più di due anni, e i suoi alleati - già impegnati nella lotta contro Trotsky - riuscirono ad evitare la lettura del documento davanti al plenum del congresso. Da allora questo testo fu soppresso dalla letteratura comunista ufficiale per trentatré anni. Si troverà il racconto dello stratagemma che permise alla maggioranza del Comitato Centrale di evitare in quel congresso ogni discussione sulle ultime volontà di Lenin in un articolo di Est et Ouest, n. 151, maggio 1956, p. 14. La quasi totalità dei membri dell'Ufficio politico e più della metà dei membri effettivi del Comitato Centrale, che hanno voluto, contro il parere di Lenin, che Stalin mantenesse la segreteria, saranno da lui eliminati nelle purghe successive.
Nadezhda Konstantinovna Krupskaia (1869-1939), moglie di Lenin, aveva una pessima opinione di Stalin (che ricambiava), e lo provano queste due lettere rimaste sconosciute fino a quando Krushëv le ha citate nel suo rapporto. Stalin non poteva perdonare a N. Krupskaia i suoi tentativi di far giungere al Comitato Centrale del partito le note dettate da Lenin alla vigilia della morte, e in primo luogo il "Testamento", come pure altri pesantissimi giudizi di Lenin, come: "Volodia [Vladimir] mi diceva: "Stalin manca dell'onestà elementare, tu capisci, dell'onestà più comune"". Krupskaia si unì nel 1926 all'opposizione (v. Trotsky, Les crimes de Staline, Parigi, 1937, p. 118), ma Stalin non faticò molto a toglierla di mezzo, costringendola a scrivere un atto di accusa contro Trotsky poco dopo il processo dell'agosto 1936, che terminò con sedici condanne a morte, tra cui quelle di Zinovev e di Kamenev. Krupskaia fu sottoposta, per il resto della sua vita, a un regime di libertà vigilata. I Ricordi su Lenin, apparsi in Russia nel 1926 e poi in Francia "sono stati rimaneggiati e redatti da una commissione speciale che non ha permesso alla vedova di Lenin di scrivere una sola riga liberamente". (Victor Serge, Destin d'une révolution, Parigi, 1937).

[4] Zinovev e Kamenev saranno fucilati entrambi nel 1936.
Zinovev visse lungamente nell'emigrazione a fianco di Lenin, partecipò alle conferenze di Zimmerwald (1915) e di Kienthal (1916) e scrisse in Svizzera una parte degli articoli che, come quelli di Lenin dello stesso periodo, saranno raccolti più tardi nel volume Controcorrente, pubblicato in Russia all'inizio del 1918 e tradotto in francese dieci anni dopo. Fu presidente dell'Internazionale Comunista, fondata nel marzo 1919. Fu presidente del soviet di Pietrogrado, e fece di questa città la base della sua potenza politica: Lenin era ancora vivo, ma ormai quasi in agonia, quando Zinovev brigava ( XII Congresso - aprile 1923) per assicurarsene la successione (v. L. Trotsky, Stalin, Mondadori, p. 500), ma la stessa ambizione era coltivata anche da Stalin. Un conflitto tra Zinovev e Stalin si sarebbe prodotto ugualmente subito dopo la morte di Lenin (gennaio 1924), se l'uno e l'altro non avessero voluto prima sbarazzarsi del concorrente più qualificato alla successione e dunque più temibile: Trotsky. L'eliminazione di Trotsky, a cui aveva cooperato anche Bucharin, aprì la seconda fase della guerra fra gli epigoni, che terminò con l'estromissione di Zinovev e di Kamenev, e più tardi con quella di Bucharin.
Leon Kamenev non aveva, come Zinovev, un temperamento di demagogo, era più serio e più colto. Dopo un periodo di emigrazione, dirige nel 1913 la frazione bolscevica della Duma; il regime zarista lo invia in esilio in Siberia, da dove ritornerà solo dopo la caduta dell'autocrazia, nella primavera del 1917. In ottobre prende posizione con Zinovev contro l'insurrezione voluta da Lenin e dalla maggioranza dei dirigenti bolscevichi, ma dopo la vittoria continua a far parte dell'Ufficio politico del partito; è delegato alle conferenze di pace di Brest-Litovsk, ed è più volte presidente del soviet di Mosca. Partecipa dapprima alla lotta contro Trotsky, ma poi fa blocco con lui nel 1926. Espulso dal partito come Zinovev e tanti altri alla vigilia del XV Congresso (dicembre 1927), capitola e poco dopo viene riammesso. Stalin approfittò dell'ondata di repressione provocata da lui stesso e dalla sua polizia dopo l'assassinio di Kirov per sbarazzarsi dei due vecchi "compagni di Lenin".

[5] Il XVII Congresso si svolse dal 26 gennaio al 10 febbraio 1934, davanti a delegati che, selezionati con cura, esultavano di fronte alle "autoflagellazioni" di alcuni oppositori: Bucharin, Rykov, Tomsky, Zinovev e Kamenev fanno per l'ennesima volta atto di contrizione, ma con i loro "discorsi ipocriti" non riescono ad altro che a "nauseare" i delegati presenti. "Il partito - precisa la Storia del Partito Comunista (b) dell'URSS - non sapeva ancora, non poteva immaginare che, nel momento stesso in cui pronunciavano al congresso dei discorsi melliflui, quei signori preparavano lo scellerato assassinio di Kirov." (Napoli, 1944, p. 365)

Gianni Corbi

Il giorno in cui Khruščёv demolì il mito di Stalin


Trent'anni fa, proprio in questi giorni, si apriva a Mosca il XX Congresso. Di quella massima assise comunista ricordiamo solo la requisitoria pronunciata da un uomo di 62 anni, tozzo e dall' aspetto contadino: Nikita Kruscev, segretario generale del partito comunista dell'URSS. Un rapporto di un'ottantina di pagine, teso e drammatico, pieno di racconti di efferati delitti, di decimazioni di interi partiti comunisti, di raffinate torture per estorcere false confessioni. La descrizione minuziosa, contabile, di questi delitti dalle dimensioni bibliche e scespiriane colpì e sconvolse come una tremenda mazzata il mondo comunista.
Non bastarono dieci giorni ma ci vollero molti mesi perchè il terremoto sussultorio provocato da Nikita Kruscev spiegasse tutti i suoi effetti. Molto si è scritto in questi anni su quel congresso e sul rapporto segreto di Kruscev contro Stalin e il culto della personalità. Noi ci limiteremo a ripercorrere, e a ricostruire, attraverso la voce dei protagonisti, la storia di quei mesi e di come fu vista e vissuta dal PCI.
A partire dal 14 febbraio, data d'ìinizio del XX Congresso, per finire quattro mesi dopo, il 16 giugno, con l'intervista di Palmiro Togliatti alla rivista Nuovi argomenti e alle reazioni che ne seguirono. È stato detto, forse a ragione, che bisogna partire proprio da lì per rintracciare i primi segni evidenti della tormentata, e non ancora conclusa, evoluzione del PCI.
Quel "terribile" e "indimenticabile" 1956 cominciò per i comunisti italiani, se si vuol proprio fissare una data, un freddissimo pomeriggio del 12 febbraio. Sul marciapiede della stazione di Mosca, è attesa la delegazione del PCI al XX Congresso capitanata da Palmiro Togliatti. L'accoglienza è quella riservata alle grandissime personalità. A riceverlo, infatti, assieme ad uno stuolo di alti funzionari, c'è anche un leader della vecchissima guardia rivoluzionaria, Nikolaj Mikhajlovic Svernik, membro del partito dal 1905, per quasi un decennio capo dello stato sovietico.
Togliatti è stanco per il lungo viaggio. Era partito da Roma due giorni prima con il resto della delegazione: Mauro Scoccimarro, uno dei fondatori del PCI; Paolo Bufalini, segretario della federazione di Palermo; il dirigente napoletano Salvatore Cacciapuoti e il genovese Athos Bugliani, un carpentiere di Genova dal lungo passato antifascista. A Mosca la delegazione sarà integrata in modo molto riservato (quasi nessun resoconto riporta infatti il suo nome) da Rita Montagnana, moglie separata di Togliatti che da tempo vive nella capitale sovietica per curare il figlio Aldo, affetto da gravi disturbi psichici.
Togliatti è preoccupato. Non erano stati infatti mesi tranquilli per il PCI. In Italia il governo Segni (Dc, Psdi, Pli) virava a destra. I compagni socialisti davano segni sempre più evidenti di irrequietezza. A Mosca poi la situazione è piena di ombre e di incognite. Malenkov è stato da poco rimosso dall'incarico di premier e sostituito con Bulganin. Nikita Kruscev, pochi mesi prima, si è letteralmente prosternato davanti al maresciallo Tito per ottenerne il "perdono". Il viaggio, ricorda Cacciapuoti, si svolse tra due pareti di neve e di ghiaccio poichè il 1956 fu l'anno del grande freddo per tutta l'Europa. Dopo un pernottamento a Vienna, l'arrivo a Varsavia. Fu negli appartamenti dell'ex palazzo reale di Varsavia che Togliatti cominciò a entrare nel clima del XX Congresso.
Il segretario del PCI polacco Ochab, ricorda Bufalini, "c'informò che nel corso del XX Congresso sarebbe stato riabilitato il partito comunista polacco, sciolto dal Comintern nel 1939 su iniziativa di Stalin". Gli italiani sono d accordo? La questione, per Togliatti, è delicatissima. Si tratta infatti di rievocare un episodio molto oscuro: la condanna e la liquidazione fisica dei dirigenti comunisti polacchi. Una condanna che nell'agosto del 1938 Togliatti, come uno dei segretari dell'Internazionale, ratificherà, insieme al sovietico Manuilski, al bulgaro Dimitrov e al finlandese Kuusinen. Ora Ochab chiede a Togliatti di riparare. La decisione è stata concordata con i sovietici. Sarà infatti Togliatti nel pieno del XX Congresso a far autocritica e a sottoscrivere il documento di completa assoluzione dei polacchi. Ai suoi compagni di viaggio che, un po' turbati, chiedono notizie e spiegazioni dei fatti polacchi, Togliatti si limita a elargire un rapido corso di realpolitik. Spiega che quei tempi erano durissimi, che spie e traditori erano dappertutto, che i polacchi erano divisi in gruppi e fazioni, e che il PCI, partito di fuorusciti, si era salvato dalle purghe di Stalin solo perchè aveva saputo conservarsi unito.
A Mosca i sovietici hanno riservato al segretario del PCI una residenza lussuosa, appartata e facile da sorvegliare, ma Togliatti ha insistito, e a lungo, per andare in albergo con il resto della delegazione. Ed eccolo al sontuoso "Sovietskaia", mausoleo dell'ospitalità sovietica, stile faraonico, stanze immense, grande spreco di marmi e colonne, un salone da pranzo vastissimo con un'orchestrina sul fondo che suona canzoni sentimentali-patriottiche. Togliatti è allegro. Saluta vecchi amici che non vede da tempo. Ritrova vecchi funzionari che hanno lavorato negli uffici del Comintern o che hanno abitato con lui al "Lux", sulla via Gorkij.
Nella spaziosa suite del "Sovietskaia" Togliatti si prepara al Congresso, prende appunti per il discorso che di lì a qualche giorno dovrà pronunciare, consulta pile di documenti preparatori del Congresso che i funzionari del Comitato centrale del PCUS gli consegnano a più riprese. Per il resto del tempo gira per Mosca, vede film sovietici in una sala non lontana dall'albergo. E ogni sera non manca di scrivere lunghe lettere a Nilde Iotti. La mattina dopo incarica Vittorio Vidali d'imbucarle perchè "teme di essere troppo osservato e che le lettere possano essere aperte". Ha qualche fastidio a causa della sua ex moglie. Scrive Vidali nelle sue memorie: "Rita Montagnana desidera parlarmi. Abita a Mosca assieme al figlio, ma vorrebbe ritornare in Italia. Si rifiuta di terminare la sua vita così, vuole riprendere il suo posto nel movimento...".

Ed ecco arrivato il grande momento: 14 febbraio, giorno di apertura del XX Congresso. Sono le 10,45 del mattino. La grande Sala Bianca del Cremlino è stracolma di delegati: 1355 con voto deliberante, e 81 con voto consultivo. Ai lati della sala i rappresentanti di 55 partiti comunisti e operai. In primo piano i membri del Presidium e della direzione del PCUS: Kruscev, Bulganin, Mikojan, Suslov, Kaganovic, Voroshilov, Zukov...
In bella vista, nelle prime file, la delegazione del PCI, e poco più in là solitario, tra un brasiliano e un messicano, Vittorio Vidali, in rappresentanza del piccolo partito comunista triestino. Quello che più ci colpì, ricorda Bufalini, fu lassoluta mancanza di retorica e di fasto. La sala era disadorna e faceva spicco, sul fondo, solo la statua di Lenin. Quando poi Kruscev, che presiedeva l'apertura del Congresso, invitò i delegati, alzandosi in piedi, a onorare la memoria di tre eminenti esponenti del movimento comunista: Klement Gottwald, Josip Vissarionovic Stalin, Kiuzi Tokuda, tutti noi capimmo, dice Bufalini, "che qualcosa d' insolito e d importante stava accadendo." Cacciapuoti, più emotivo, rivolgendosi a Bufalini che gli sedeva accanto, proruppe invece in una sonora e irrefrenabile esclamazione: "a' faccia do cazzo!". Come era possibile, si chiedevano stupefatti i delegati, che il grande Stalin, faro del comunismo mondiale, fosse ricordato così sbrigativamente tra un cecoslovacco e un oscuro dirigente giapponese?
Kruscev pronuncia il suo discorso d'investitura: abile ma abbastanza vago. Parla di tutto: della produzione aumentata di oltre il 20 per cento, della situazione internazionale, della messa sotto controllo degli organi di sicurezza statale. Di Stalin neppure una parola, e solo un vago riferimento alla sconfitta della banda di Beria.
Smarriti e perplessi i delegati sfollano senza aver ben capito se quel congresso avrebbe segnato, o meno, la definitiva tumulazione della figura e della memoria stessa di Stalin. Togliatti, invece, non si scompone. Ha seguito con grande attenzione il discorso di Kruscev. Ma al ritorno al "Sovietskaia" è serio e aggrottato, risponde a monosillabi, evita le domande dei compagni. Poi si dedica alla preparazione del suo discorso. Lo pronuncerà in un russo perfetto, il 17 febbraio, e sarà un grande successo. Neanche a parlare di citare il nome di Stalin, come aveva fatto subito prima di lui Maurice Thorez. Si produce invece in un'analisi puntigliosa, calibrata, abile, del ruolo internazionale dell'URSS, della distensione, delle lotte che sarà necessario condurre per vincere "un nemico spietato e perfido", per finire con un generico accenno alla via italiana al socialismo.
I giorni passano e la regia del congresso delinea contorni antistaliniani sempre più precisi. È l' astuto Mikojan, il leader dei mille intrighi e delle molte battaglie, a pronunciare l'arringa più dura, assumendosi il ruolo del picador che indebolisce il toro prima dell'arrivo del matador. Parla degli errori commessi da Stalin in politica estera, spiega che il "Breve Corso" della storia del PCUS è pieno di lacune e di bugie, pronuncia parole calorose e commosse in memoria dei compagni Kosior e Antonov-Ovseenko, fucilati alla fine degli anni Trenta, e dei tanti eroici dirigenti rivoluzionari definiti ingiustamente "nemici del popolo".
Poi è la volta di Zukov, di Kuusinen, di Voroscilov, di Bulganin, di Sciolokhov, di Kossighin, giù giù fino ad arrivare al "famigerato" biologo Lysenko, l'accademico prediletto da Stalin.
Il matador entra in scena nel tardo pomeriggio del 24 febbraio, a congresso praticamente chiuso. Approfittando di una pausa del Congresso, Kruscev ha ottenuto di poter esporre (in una seduta speciale a porte chiuse) il rapporto preparato da P.N. Pospelov sul culto della personalità e sulle illegalità dell'epoca staliniana.
Tra la sera del 24 e la mattina del 25 pronuncia il suo famoso rapporto. La consegna del carattere segreto (Konspirativnost) fu integralmente rispettata. Ma a questa consegna del silenzio, scrive lo storico Braiko Lazitch, Kruscev fece una eccezione. Egli decise infatti di informare i capi delle principali delegazioni straniere nel momento stesso in cui avrebbe dato lettura del rapporto.
Sul modo in cui Togliatti venne a conoscenza del rapporto Kruscev sono circolate le versioni più confuse e contrastanti. Proviamo, a distanza di trent' anni, a ricostruire l'avvenimento. Secondo i comunisti francesi, il loro capo Maurice Thorez ricevette il rapporto la mattina del 25. Il funzionario che lo recapitò avvertì che il testo era estremamente confidenziale, poteva esser fatto conoscere agli altri membri della delegazione, ma doveva essere riconsegnato nel giro di ventiquattro ore. Scrive lo storico Philippe Robrieux: "Alle undici di mattina (del 25 febbraio) Thorez consegna il rapporto al suo segretario particolare Georges Cogniot con l' incarico di leggerlo attentamente in modo da assicurarne la fedele traduzione orale. Nel primo pomeriggio, verso le due, Thorez convoca la delegazione francese nella sua stanza: Jacques Duclos, Pierre Doize e lo stesso Cogniot, che espone a voce il contenuto del rapporto Kruscev".
Perchè Togliatti si comportò diversamente? Come mai di quell'avvenimento, pur così significativo, abbiamo notizie così vaghe e contrastanti? Secondo la testimonianza un po' spettacolare resa a Bocca dall'uomo di fiducia di Togliatti, Luigi Amadesi, le cose sarebbero andate così: "Due ufficiali sovietici posano sul tavolo un cofano di metallo, lo aprono. Dentro c' è il rapporto; Togliatti può leggere, ma i due ufficiali stanno di guardia alla porta: l'ordine per ora è di tacere. Ad Amadesi, che gli chiede notizie sulla misteriosa ambasceria, Togliatti risponde: "Niente, sciocchezze, tu li conosci con le loro manie di segretezza"". La versione di Scoccimarro è ancora diversa: "Io non venni subito a sapere ciò che era stato detto nel rapporto segreto. Ne parlai con Togliatti mentre bevevamo il caffè in camera sua, e lui mi chiese: "Se tu fossi stato in URSS quando avvenivano le persecuzioni cosa avresti fatto?". "Mi sarei ribellato, almeno così credo". "Non era facile. Se ne aveva un sentore lontano, non si capiva bene cosa succedeva", e non aggiunse altro".
La storia del "furbo" Togliatti che nasconde ai suoi stessi compagni, come un abile prestigiatore, l'esplosivo rapporto di Nikita Kruscev dura da trent' anni. Ma quella storia non sarebbe esatta. "Togliatti" mi dice infatti Bufalini "convocò la delegazione del PCI, ci comunicò di aver letto il rapporto del compagno Kruscev con il vincolo della più rigorosa segretezza. Ce ne illustrò tutta l'importanza, non enumerò e non drammatizzzò le accuse di Kruscev, ma non ci nascose nulla dell' essenziale".
I ricordi di Cacciapuoti, più o meno, collimano con quelli di Bufalini. Ma la rievocazione di Giuseppe Boffa (allora corrispondente dell'Unità da Mosca ed oggi uno dei maggiori esperti di storia sovietica) contribuisce a complicare ancora di più il piccolo giallo di Togliatti. "La mattina del sabato 25 febbraio", mi dice, "ero al "Sovietskaja" con Togliatti. Facemmo colazione e parlammo di varie cose, italiane e sovieticBoffa poi aggiungehe. Rimanemmo insieme fino alle 3 del pomeriggio ed escludo che, almeno fino a quel momento, avesse letto il documento. Qualche giorno dopo, il 29 febbraio o il 1 marzo, un amico sovietico mi mise al corrente dell' esistenza e del contenuto del rapporto. Naturalmente, ne parlai con Togliatti. Lui restò nel vago, ma dalle risposte capii che il rapporto doveva averlo letto nel testo integrale. A quel punto insistetti: dovevo sapere come regolarmi. Togliatti mi suggerì: "Stà in campana, sii prudente"".

grazie a: Rapubblica, 04.02.1986