inizio rosso e giallo


Giorgio Scerbanenco


Qualcuno li avrà visti, qualcuno ne avrà sentito parlare, insomma tutti più o meno conoscono l'infausta stagione - a cavallo fra gli anni '60 e '70 - dei vari La polizia incrimina, la legge assolve, Milano odia: la polizia non può sparare, Napoli violenta, Italia a mano armata, ecc.. Questi film vennero chiamati poliziotteschi, un po' come i western nostrani (ma Sergio Leone fu tutt'altro!) venivano definiti spaghetti: dei sottogeneri, un po' beceri e tirati via. Ora i soliti critici post-post-postmoderni li rivaluteranno senz'altro (ma non c'hanno un cazzo da fare?), però si trattava proprio di filmacci: sceneggiature scritte al bar in mezzora, attori che te li raccomando (pensate a uno bravo davvero come Thomas Milian finito in monnezza), esterni che più fasulli non si può, con tutta la gente per strada che si volta a guardare gli inseguimenti e che nel film è lì tale e quale.
Il buffo è che l'involontario apripista di questa serie fascistoide fu nel 1968 il grande Carlo Lizzani, con Banditi a Milano: uno strepitoso Volontè che impersona Pietro Cavallero, protagonista (vero) di una serie di spettacolari rapine a Milano, nel 1967: una storia dura, che affonda le radici nell'immigrazione dal Sud, e ancor prima nel disagio generazionale del dopoguerra (Cavallero era stato un attivista comunista), ed è veramente rappresentativa delle contraddizioni metropolitane di un'Italia ancora in bilico fra il suo passato contadino e le magnifiche sorti progressive promesse dalla DC.

Tutto ciò scompare nel filone che seguì, tutto fatto solo di poliziotti pistoleri che combattono il Male - la Mala e poi hanno le mani legate dalla... Legge. Ma era già venuto alla luce in Venere Privata (1966): primo romanzo di un Giorgio Scerbanenco (1911 - 1969) che aveva già una lunga esperienza editoriale, sia come scrittore che come giornalista, e si era anche già cimentato, negli anni '40, nel poliziesco tradizionale.
Venere Privata è una svolta: non la Roma placida e rancorosa di Gadda, o la provincia, insidiosa ma bonaria, di Soldati, e in generale l'Italia bravagente - cattivagente: qui si parla di Milano, della città che non ha tempo da perdere, affamata di modernità, in cui tutti vorrebbero cercare il successo, città che non accoglie se non a prezzi impossibili e violenti, città per gli squali della speculazione edilizia (che magari vorrebbero fare il Presidente del Consiglio), città mercato dei nuovi consumi, dalla lavastoviglie alla cocaina.
E Scerbanenco è forse uno dei primi che ha il fegato di raccontarla, questa Milano - Italia brutta, sporca e cattiva, o cattiva, incazzata e stanca: protagonista delle storie nere è Duca Lamberti, un medico radiato dall'Albo per aver praticato un'eutanasia (parola che allora era proibita, come incesto e omosessualità): non del tutto plausibili i suoi rapporti con la Questura, ma Scerbanenco evita quasi tutti i luoghi comuni dell'investigatore dilettante, ancorché scientifico, e ci regala un'indimenticabile Milano da sparare.

Un altro ciclo è quello dedicato ad Arthur Jelling, archivista della polizia di Boston.

Moltissimi i libri di Scerbanenco, che ha frequentato quasi tutti i generi (avventure, rosa, western, fantascienza): qui ricordiamo solo i principali titoli polizieschi, tra cui alcune antologie di racconti pubblicate postume.



    Duca LambertI

  • Venere privata, Garzanti, 1966, 1988, 2009, 2014; Corriere della Sera, 2013; La nave di Teseo, 2022
  • Traditori di tutti, Garzanti, 1966, 1988, 2011; Corriere della Sera, 2013; La nave di Teseo, 2022
  • I ragazzi del massacro, Garzanti, 1968, 1994, 2008; Corriere della Sera, 2013; La nave di Teseo, 2022
  • I milanesi ammazzano al sabato, Garzanti, 1969, 1988, 2005, 2015; Corriere della Sera, 2013
  • La Milano nera: Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro, I milanesi ammazzano al sabato, Garzanti, 1972, 1979
  • Le indagini di Duca Lamberti, Garzanti, 2016: Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro, I milanesi ammazzano al sabato

 

    Arthur Jelling

  • Sei giorni di preavviso, Mondadori, 1940, 1977; Sellerio, 2008; La nave di Teseo, 2020
  • Nessuno è colpevole, Mondadori, 1941, 1977; Sellerio, 2009; La nave di Teseo, 2021
  • La bambola cieca, Mondadori, 1941; Sellerio, 2008; , La nave di Teseo, 2020
  • L'antro dei filosofi, Mondadori, 1942, 1974; Sellerio, 2010; , La nave di Teseo, 2021
  • Il cane che parla, Mondadori, 1942; Sellerio, 2011; La nave di Teseo, 2023
  • Lo scandalo dell'osservatorio astronomico (1943), Sellerio, 2011; La nave di Teseo, 2023
  • Cinque casi per l'investigatore Jelling: Sei giorni di preavviso, La bambola cieca, Nessuno è colpevole, L'antro dei filosofi, Il cane che parla, Frassinelli, 1995
  • Tre casi per l'investigatore Jelling: Sei giorni di preavviso, La bambola cieca, Nessuno è colpevole, Sellerio, 2011




    altri romanzi e raccolte di racconti più o meno legati al poliziesco:

  • Le spie non devono amare (1945) Garzanti, 1971, 2002, 2018; Corriere della Sera, 2013
  • La mia ragazza di Magdalena (pseud. John Colemoore), Rizzoli, 1950; Sellerio, 2004
  • Il fiume verde, Rizzoli, 1952, 1975, 1986
  • Appuntamento a Trieste, Rizzoli, 1953, 1975; La nave di Teseo, 2019
  • La ragazza dell'addio, Rizzoli, 1956, 1984; Sonzogno, 1994; Garzanti, 1999, 2017
  • Europa molto amore (1958) Garzanti, 1972, 1991, 2000, 2017; Corriere della Sera, 2013
  • La sabbia non ricorda, Rizzoli, 1963; Sonzogno, 1994; Garzanti, 2000, 2018
  • Milano calibro 9, Garzanti, 1969, 1995, 2007, 2016; Corriere della Sera, 2013
  • Il centodelitti, Garzanti, 1970, 1979, 2009; Corriere della Sera, 2013; La nave di Teseo, 2019
  • Al servizio di chi mi vuole - Lupa in convento, Longanesi, 1970; Garzanti, 2017
  • Le principesse di Acapulco, Garzanti, 1970, 1995, 2009, 2017
  • Ladro contro assassino, Garzanti, 1971, 1996, 2013; Corriere della Sera, 2013
  • Al mare con la ragazza, Garzanti, 1973, 1995, 2017; Corriere della Sera, 2013
  • Dove il sole non sorge mai, Garzanti, 1975, 1991, 2000; Corriere della Sera, 2013
  • Metropoli del delitto, Garzanti Vallardi, 1975, 1980
  • I 7 peccati & le 7 virtù capitali; La notte della tigre, Rizzoli, 1974; Garzanti, 2010; Corriere della Sera, 2013; La nave di Teseo, 2021
  • Il Cinquecentodelitti, Frassinelli, 1994, 1999
  • Millestorie, Frassinelli, 1996
  • Storie dal futuro e dal passato, Frassinelli, 1996
  • Basta col cianuro, Cartacanta, 2000
  • Uccidere per amore, Sellerio, 2002
  • Rossa, Sellerio, 2004
  • Racconti neri, Garzanti, 2005, 2017
  • Uomini ragno, Saturnia, 1946; Sellerio, 2006
  • Gli uomini in grigio (1935), Rizzoli, 2016
  • Annalisa e il passaggio a livello (1944) Sellerio, 2007
  • Nebbia sul Naviglio e altri racconti gialli e neri, Sellerio, 2011







    Alcuni film dai suoi libri:

  • I ragazzi del massacro, di Fernando Di Leo (1969), con Pier Paolo Capponi, Susan Scott, Enzo Liberti, Marzio Margine
  • La morte risale a ieri sera, di Duccio Tessari (1970), da I milanesi ammazzano al sabato, con Frank Wolff, Raf Vallone, Eva Renzi, Gabriele Tinti
  • Il caso 'Venere privata', di Yves Boisset (Cran d'arrêt, 1970, con Bruno Cremer, Marianne Comtell, Renaud Verley, Raffaella Carrà, Claudio Gora
  • Milano calibro 9, di Fernando Di Leo (1972), con Gastone Moschin, Mario Adorf, Barbara Bouchet, Philippe Leroy
  • L'uomo che non voleva morire, di Lamberto Bava (1989): prodotto da Mediaset, per molti anni non fu trasmesso perché considerato eccessivamente violento e andò in onda solo nel 2007. Dal racconto omonimo in "Il Centodelitti".



Carlo Lucarelli

Lettera a Giorgio Scerbanenco


Mordano, 19.07.1999


Gentile signor Scerbanenco,


sono un suo affezionato lettore e le scrivo per dírle che mi sono piaciuti molto i suoi libri. Non li ho letti tutti, dal momento che la sua bibliografia sterminata conta quasi un centinaio di romanzi e un migliaio di racconti che vanno dal noir al rosa passando attraverso l'intimismo autobiografico e il giallo classico, ma quelli che ho letto mi hanno talmente colpito che sento il bisogno di scriverle questa lettera, scusandomi in anticipo del tempo che le farò perdere.
Mi ricordo che avevo quattordici anni quando lessi il suo primo libro. Era il 1974, lei era morto da cinque anni, ed era una domenica pomeriggio in cui avrei fatto qualunque cosa pur di non fare i compiti. L'alibi migliore era mettersi a leggere, ma nella libreria di mio nonno, da cui ero andato a pranzo, non c'era niente di decente. Poi, vedo quegli strani occhi che mi fissano obliqui e stilizzati dalla costola bianca di un Giallo Garzanti, appena sopra il titolo,
I ragazzi del massacro. Lo sfilo, lo apro, leggo l'inizio: "La signorina Matilde Crescenzaghi fu Michele e Ada Pirelli, nubile, insegnava alla scuola serale Andrea e Maria Fustagni" e ci resto così così perché quel tono formale e precisino mi sembra una cosa da libro Cuore, ma il finale del prologo, "Meglio sarebbe stato che la classe fosse tenuta da un sergente maggiore della Legione Straniera, e non da lei, fragile, delicata signorina della piccola borghesia dell'Alta Italia", mi incuriosisce e volto pagina. "È morta cinque minuti fa' disse la suora", un inizio classico da giallo, a cui segue una delle pagine più dure e crude che siano mai state scritte in un romanzo. Da quel momento non ho potuto mollare il libro, catturato, affascinato e sconvolto da una realtà che non conoscevo, da pieghe nascoste del cuore umano che non credevo neppure esistessero, da un mistero feroce, malinconico e disperato raccontato come non credevo fosse possibile, con quelle parole semplici, dirette e crude, apparentemente formali e precisine come quelle dell'inizio. Non ho fatto i compiti, sono andato male all'interrogazione e alla fine non mi sono neanche laureato, ma ho letto tutti i suoi romanzi simili a quello e sono diventato uno scrittore anch'io.
Sa qual è la cosa che più mi ha colpito nei suoi libri? Il coraggio. Tanti tipi di coraggio, ostinato, silenzioso e freddo, vagamente autoironico, come appare lei nelle fotografie, con quel suo sorriso sottile sotto a quel naso arcuato che sembra un becco. Il coraggio della contraddizione, per esempio. Il suo personaggio più noto, protagonista di quattro romanzi, è Duca Lamberti, ed è una contraddizione vivente. Appare per la prima volta nel marzo 1966, in
Venere privata, ed è uno strano poliziotto. Intanto non è un poliziotto ma un medico, no, anzi, non è neppure un medico. Lo era, finché non lo hanno radiato dall'Ordine a vita e messo in galera per tre anni per aver praticato l'eutanasia ad una sua anziana paziente malata di cancro. Nelle prime pagine del romanzo, se ne sta seduto su una panchina a passare il tempo contando i sassolini di un viale, come ha imparato a fare in galera, aspettando che arrivi un ruvido industriale brianzolo che vuole assumerlo come baby sitter del figlio "grand e ciula", che sta inspiegabilmente cercando di suicidarsi a forza di bere. C'è un motivo per cui il ragazzo fa questo, c'è un mistero, una cosa tremenda, che Duca deve risolvere se vuole salvare il ragazzo. Così si trasforma in un poliziotto, ma è uno strano poliziotto, determínato, feroce, apparentemente cinico e invece fragile, inquieto e disperatamente sensibile. Non è un duro all'americana, Duca, è un italiano che ne ha viste troppe e ci sta male. Ma come poliziotto è proprio strano. "Siccome i morti non tornano e nè io nè nessuno può portarle qui Alberta viva" dice al figlio dell'industriale, "allora noi dobbiamo fare qualche altra cosa. Quella più importante è di trovare la persona che l'ha uccisa, o che l'ha costretta ad uccidersi, e quando l'abbiamo trovata la strozziamo, lei deve pensare questo, che la troveremo e la strozzeremo". Non la strozzano, e nel romanzo successivo, Traditori di tutti, uscito lo stesso anno, Duca viene assunto dalla Questura di Milano, dove rimane anche in I ragazzi del massacro, dell'agosto 1968, e I milanesi ammazzano al sabato, dell'aprile 1969, a raccontare, lui, tutte le contraddizioni di un'Italia che vale anche oggi, quella dei poveri cristi, degli emarginati, degli alienati e degli indifferenti nascosti tra le pieghe di un paese inebriato dal boom economico delle prime lavatrici e delle prime seicento, quella di una criminalità nuova assurdamente feroce, senza più pudore e senza più paura, quella del potere, delle coperture politiche e degli insabbiamenti, quella della brava gente "dolorante e disperata" come Amanzio Berzaghi, vecchio milanese camionista, che lo sa che ammazzare "l'è minga giust, ma che in un meraviglioso e imprevedibile sabato novembrino" perde la testa.
È in questa Italia così moderna e così attuale che Duca cerca i bari, quelli che non stanno alle regole, "i banditi con l'ufficio legale a latere" che "imbrogliano, rubano e ammazzano, ma hanno già studiato la linea di difesa con il loro avvocato nel caso fossero scoperti e processati e non vengono mai puniti abbastanza". E li cerca con tanto odio e con tanta rigida determinazione da farsi scambiare per fascista. Mi perdoni, ma l'ho sentito dire anche di lei, l'ultima volta in Francia, da scrittori di noir autori di romanzi molto simili ai suoi: "Scerbanenco? ma non è un fascista?" lo non ci credo. Credo che sia piuttosto l'arrabbiatura e l'abbruttimento di chi ha visto "troppa miseria", come lei stesso racconta in un frammento bellissimo di autobiografia che si chiama
Io, Vladimir Scerbanenko, e che si trova in fondo all'edizione di Venere privata che Garzanti ha ristampato negli Elefanti. Lo stato d'animo di un russo figlio di madre italiana col padre fucilato durante la rivoluzione, un romano di Kiev con una k di troppo nel cognome, che cerca di sopravvivere e di farsi accettare in un paese in cui si sente straniero, operaio al tornio di una fabbrica di sveglie, filosofo autodidatta, paziente di sanatorio, ambulanziere e poi contabile alla Croce Rossa, e alla fine autore di racconti, redattore e direttore di riviste femminili, scrittore. E forse, anche i pregiudizi di un uomo morto e vissuto prima dei '68 e di tutto il resto. Ma non un fascista.
C'è un altro coraggio nei suoi libri, ed è il coraggio di chíamare le cose con il loro nome. È un coraggio che non si trova spesso nella letteratura italiana, fino a non molto tempo fa neppure in quella di genere e oggi men che mai nella fíction cinematografica o televisiva. Niente filtri per schermare la realtà, che è disperata, feroce, nuda e cruda come nei romanzi, più noti, di un James Ellroy o di un Jim Thompson. Nessuna scusa e nessun compromesso, nessun eroe senza macchia, a partire da Duca Lamberti o dai suoi colleghi questurini. "E come è stato scoperto?" "A schiaffi. Era Mascaranti che l'interrogava. Quando combinano quei trucchi non pensano mai agli schiaffi. Non c'è mica bisogno di tante torture cinesi, al quinto o sesto schiaffo di Mascaranti, uno deve decidere prima che il cervello gli vada in acqua". Non è bello, non è giusto, lo dice anche Duca, lo dice anche lei, ma è cosi che succede ed è così che si racconta. Chiamando le cose con il loro nome con uno stile che è sempre così rapido e concreto da sembrare a volte abbozzato o sgrammaticato e invece no, è una scelta accurata che non trascura nessuna parola, neppure i nomi della gente. Come ne
La lussuria, uno dei cinquecento racconti che Frassinelli ha raccolto nell'introvabile Il Cinquecentodelitti, dove siede a testimoniare una donna grigia, "vestita di grigio, sembrava avesse un grembiule più che un abito, aveva il viso grigio come l'abito, cosi i capelli, e anche la voce sembrava grigia". E come si chiama? Erminia Lavini, un nome desueto ma non abbastanza, che sembra stinto a forza di lavarlo.
E poi c'è un altro coraggio, uno dei più importanti: il coraggio di essere un narratore. Un narratore, uno che racconta storie, uno scrittore e basta, diremmo noi, ma non importa. Uno che se ne frega della divisione tra Letteratura Alta e letteratura bassa, e con artigianale, minuziosa e ardente passione, "ogni settimana, per non dire ogni giorno, per non dire ogni ora" come scrive Oreste del Buono nella sua prefazione al suo
Millestorie, sempre di Frassinelli, "era in grado di sfornare una storia fornita di trama e personaggi dotati di una toccante tendenza ad imprimersi nella memoria". Storie, storie vere ed eccezionali anche se minime, racconti di poche righe che per densità potrebbero essere le righe centrali di un romanzo di centinaia di pagine. Storie imparate da quella vita di miseria, dettate dalla sensibilità dello scrittore o sentite in tutti quegli anni passati a rispondere alla posta dei lettori, seduto alla macchina da scrivere dei settimanali rosa come in un confessionale laico. Storie da raccontare, come va fatto e senza tante scuse. Lei lo dice con la solita semplicità, e sembra quasi facile. "il profano pensa che l'ispirazione sia qualcosa di magico (...). È molto bello pensare al poeta che guarda il cielo azzurro in attesa dell'ispirazione. Ma non è così. Si scrive quando si vuole e l'ispirazione, forse, non esiste. Come in tutte le cose bisogna soltanto aver voglia di scrivere, averne piacere. Anche per stirare un mucchio di biancheria, o per fare una maglia con i ferri bisogna averne voglia o piacere (...). A me piace scrivere". Bè, questo lo abbiamo visto. Come abbiamo visto il suo coraggio nel rapportarsi alla narrativa di genere e alle sue stesse regole. Entrando e uscendo dai canoni del giallo e del noir, contravvenendo alle regole, costruendo trame che riescono ad essere sempre avvincenti anche quando sono ingenue, come quelle di Raymond Chandler, permettendosi di abbandonarsi a sentimenti di estrema tenerezza anche nei racconti più duri, fino a scrivere decine e decine di romanzi rosa, centinaia di racconti d'amore, infischiandosene di qualunque etichetta e di qualunque norma, se non quella di scegliere il modo più giusto, la struttura narrativa più efficace per raccontare una storia.
Perché sono importanti le storie. Lei lo dice con chiarezza, anche questo, in
Io, Vladimir Scerbanenko, e lo dice con la tecnica del migliore autore di noir. Riceve una lettera da una lettrice che si vuole suicidare, lei gli risponde con tutta la forza di convinzione che uno scrittore può comunicare, le parole giuste, le motivazioni giuste, tutto, ma quella cerca di uccidersi lo stesso. Allora la letteratura è inutile? Allora scrivere, raccontare, criticare, denunciare, mostrare le contraddizioni e le ipocrisie della società come ha fatto lei, come fanno gli scrittori di noir, come facciamo noi, è completamente inutile? Ci sono rimasto male, quando ho letto quelle righe, ma poi, poco dopo, ecco il colpo di scena. "Un'altra volta sola sentii in una lettera lo stesso dilagante desiderio di morire". Lei le risponde, come l'altra volta, e la signora dice che la ringrazia ma che si ucciderà lo stesso. Lei continua a scriverle e la signora le risponde, dice che si uccide ma intanto continua a rispondere e "ancora l'anno scorso ho ricevuto una sua lettera. Questa volta le parole erano riuscite a fermare quel desiderio, la mano stesa davanti alla locomotiva aveva fermato il treno in corsa. Qualche volta accade, e allora penso che il mio mestiere di scrivere non è inutile".
La saluto cordialmente e scusandomi ancora per il tempo che le ho fatto perdere la ringrazio dell'attenzione che ha voluto dedicarmi,

suo

Carlo Lucarelli

grazie a: http://www.carlolucarelli.net/

Carlo Oliva

Giorgio Scerbanenco


Quando, nel 1966, apparve il primo dei quattro romanzi di Giorgio Scerbanenco (1911-1969) con Duca Lamberti, Venere privata, pubblicato, come i successivi Traditori di tutti (1966), I ragazzi del massacro (1968) e I milanesi ammazzano al sabato (1969) e i racconti di Milano calibro 9 (1969), nella nuova “collana viola” curata per la Garzanti da Oreste del Buono, la situazione del giallo del nostro paese non era proprio esaltante.
Banditi da almeno un decennio dalla collana da edicola che deteneva il quasi monopolio del genere, incapaci da farsi accettare ai piani alti dell’editoria, dove il poliziesco veniva ancora considerato un genere per incolti o un succedaneo dei farmaci contro la sonnolenza (“Questo romanzo non vi farà dormire!”), gli autori nazionali potevano lavorare, in pratica, solo sotto mentite spoglie straniere e al minimo livello qualitativo possibile. L’imprevisto successo del nuovo personaggio, in effetti, avrebbe offerto a molti tra loro la prima occasione di liberarsi da una poco dignitosa galera. Ed è significativo che di galera, in senso letterario, ne aveva fatta parecchia. Collaboratore di periodici femminili, autore di centinaia di romanzi e racconti “rosa”, Scerbanenco si era già avventurato nel campo del giallo, pubblicando, negli anni ’40, le storie di un Arturo Jellings, oscuro archivista di polizia in un’ immaginaria Boston. Ma quella lontana esperienza era davvero remota rispetto alle novità rappresentate dal nuovo eroe. Perché Duca Lamberti, nella sua breve, fulminante carriera, riuscì a diventare appunto quello che né il commissario De Vincenzi né don Ciccio Ingravallo avevano potuto essere: l’eroe che il poliziesco italiano aspettava da una trentina d’anni.
La biografia esteriore del personaggio è nota. Medico radiato dall’albo per aver praticato un’eutanasia (il che gli è valso, in aggiunta, tre anni abbondanti di galera), segue la vocazione del padre, funzionario di Pubblica Sicurezza, grazie alla protezione di un amico di famiglia, il dottor Carrua, della Questura di Milano, che gli permette, dapprima, di seguire ufficiosamente certe indagini e poi lo associa, anche se un po’ vagamente, alle forze dell’ ordine. La morte prematura dell’autore lo ha salvato dalla necessità di riprendere la professione medica, nella quale era stato riammesso alla fine de I milanesi ammazzano al sabato.
Nessuno dei suoi gialli è un procedural e l’autore non si preocupa più di tanto della verosimiglianza formale e legale. È improbabile che un ex detenuto possa partecipare alle indagini della Mobile e che entri in polizia, sia pure per iniziativa di un funzionario autorevole. Ma queste sono banalità. Il rapporto di Duca con la Questura (nella persona, di solito, del brigadiere Mascanti) esprime semplicemente il desiderio di legalità del personaggio, ma in una dimensione tutt’altro che poliziesca.
Duca si presenta come un investigatore della tradizione hard boiled, un duro che non rifugge, nei rapporti con i “cattivi”, da una certa dose di violenza. Questo può sembrare in contraddizione con la sua componente intellettuale, con il suo gusto per i problemi teorici e le questioni generali, ma anche queste contraddizioni appartengono al genere e poi i tempi, si sa, erano difficili.
Nato in un momento di forte sbandamento ideologico (la sua comparsa, in fondo, anticipa di poco gli anni della “contestazione”) l’investigatore di Scerbanenco esprime, allo stesso tempo, il disagio della crisi (di cui riesce a prevedere con lungimiranza certi esiti, come il degrado della realtà urbana, la diffusione della criminalità organizzata, la corruzione dei pubblici poteri, anche se, naturalmente, se ne lascia sfuggire certi altri) e un’ostinata volontà di normalizzazione. Per lui, il fatto che il quadro valori corrente sia un po’ sottosopra non autorizza nessuno a fare, come si dice, i propri porci comodi.
Comunque, anche se il nostro ex medico, nella sua lotta contro chi non rispetta le regole, contro gli “schifosi”, gli “sporcaccioni” e i “traditori di tutti”, sembra preoccuparsi ben poco del garantismo o del codice di procedura, i lettori non faranno fatica a scoprire che la violenza del personaggio (cui può capitare, come tutti, di mollare qualche sganassone di troppo) è, in definitiva, molto esteriore, e che sotto di essa si cela un sano rispetto per i diritti civili. In fondo, come la maggior parte dei duri, anche lui è un buono. È sensibile al dolore degli altri molto più che al proprio. Si intenerisce per i giovani alcolizzati che macerano nel whisky chissà quali assurdi complessi di colpa e per le zitelle che dimostrano più dei loro anni perché “lavora e lavora e poi gli viene quella faccia lì”, più o meno come Philip Marlowe si lasciava intenerire dai vecchi generali malati e dalle segretarie vessate.
Il paragone non deve sembrare irriverente. In realtà Duca Lamberti è un “eroe necessario” nel senso chandleriano del termine. Ma è anche un personaggio italiano contemporaneo, una figura credibile su uno sfondo familiare. Non è, come aveva anticipato il suo creatore, “il solito maresciallo che gioca a scopone o il solito Maigret romanizzato”. È un interprete genuino e straordinariamnete eloquente del travaglio italiano di quegli anni, nonché la prova del fatto che il lungo ostracismo che l’stablishment letterario ed editoriale aveva decretato contro il giallo non aveva, ormai, più ragione di essere. I lettori che avevano trovato così credibili (e avvincenti) le sue storie, si erano resi conto di come l’Italia fosse cambiata e di come la narrativa popolare fosse perfettamente in grado - a differenza, forse, di altre forme più paludate di letteratura - di render conto di quel cambiamento.

grazie a: Carlo Oliva, Storia sociale del giallo, Lugano: Todaro, 2003

 

Luca Crovi

Il giallo del giallo ritrovato

C'è più di un mistero celato fra le pagine de Lo scandalo dell'osservatorio astronomico, sesta indagine dell'archivista-poliziotto Arthur Jelling scritta da Giorgio Scerbanenco, andata perduta per più di 60 anni e oggi pubblicata da Sellerio (pagg. 236, euro 13; a cura di Cecilia Scerbanenco). Anzitutto si tratta di un inedito totale dello scrittore italo-ucraino.
Un romanzo scritto nel 1943 e rimasto fino a oggi sconosciuto per una serie di motivi singolari. Un giallo scritto sull'onda del successo fatto registrare dai precedenti Sei giorni di preavviso, Nessuno è colpevole, La bambola cieca, L'antro dei filosofi e Il cane che parla (scritti e pubblicati fra il 1940 e il 1942). I primi due titoli erano apparsi nella collana «Il Supergiallo» della Mondadori (in due omnibus che vedevano Scerbanenco affiancato ad autori come E. Stanley Gardner, S.S. Van Dine e Agatha Christie oltre che al nostrano Ezio D'Errico), poi La bambola cieca aveva avuto l'onore di essere pubblicato singolarmente ne «I Libri Gialli» e infine gli ultimi due titoli della saga erano quindi apparsi nella collana «I Romanzi della Palma», nel periodo in cui il regime fascista aveva letteralmente chiuso la maggior parte delle collane gialle edite in Italia perché ritenute corruttrici dei costumi del Belpaese.
Nonostante le restrizioni editoriali fasciste, che avevano costretto Giorgio Scerbanenco a scegliere un'ambientazione americana per la sua serie, quelle sue storie avevano colpito subito nel segno tanto che lo scrittore era riuscito a siglare quasi immediatamente i contratti per le edizioni spagnole e tedesche dei suoi libri.
Aveva colpito nel segno soprattutto l'originalità di un personaggio come Arthur Jelling, archivista della polizia di Boston preparato a studiare i casi con umanità e pazienza. Un poliziotto «specializzato nella scoperta di delitti che non sono ancora avvenuti», abituato a lavorare più «sul vivo che ancora devono uccidere» piuttosto che «sul morto». Uno che - come ammette lui stesso - non sa prendere un'impronta» e non cerca nemmeno «pezzetti di carta lasciati distrattamente in terra» ma fonda le sue indagini semplicemente «sulle sue impressioni... sulle sue intuizioni».
E probabilmente Jelling sarebbe stato abile anche nel risolvere il mistero che circonda Lo scandalo dell'osservatorio astronomico, testo sparito dopo la guerra e fortunosamente ritrovato l'anno scorso da Cecilia ed Alberto Scerbanenco in un polveroso cassone dove l'aveva accuratamente riposto in una cartellina la madre di quest'ultimo. Per certo si sa che Giorgio Scerbanenco lo aveva consegnato nel 1943 all'amico Luigi Barzini junior in vista della pubblicazione. Poi, pochi giorni dopo l'8 settembre, come Scerbanenco stesso ha raccontato nella sua autobiografia Viaggio in una vita (che pubblicò a puntate su Novella nell'estate del 1958), lo scrittore fu costretto a varcare clandestinamente il confine italo-svizzero chiedendo asilo per motivi politici (fu in questo periodo che Scerbanenco fece la sua conoscenza fra gli altri con Indro Montanelli). Costretto a scappare in fretta e furia, lo scrittore si portò dietro solo una frustra cartella di cuoio che conteneva un unico manoscritto e confidò che l'amico Luigi Barzini si sarebbe occupato invece di persona della pubblicazione de Lo scandalo dell'osservatorio astronomico. Non poteva sospettare che il suo amico sarebbe andato incontro anche lui all'espatrio e che del testo si sarebbero così smarrite le tracce...
La copia velina recentemente ritrovata dai figli non presentava alcun titolo, ma l'editore Sellerio battezzandolo Lo scandalo dell'osservatorio astronomico ne ha scelto uno che sicuramente sarebbe stato perfetto per questa storia interamente ambientata fra le mura dell'Osservatorio Astronomico di Candan. Qui da tempo lavorano il vecchio direttore Federico Travel e i suoi tre assistenti Domenico Dammer, Tommaso Sharp e Veronica Fanse, intenti nello studio di stelle e pianeti e ossessionati in particolare dalla ricerca e dall'individuazione dell'asteroide n. 1983. I ricercatori, dopo averlo battezzato «Veronica n. 1983» (in onore alla loro avvenente collega) e dopo averlo presentato alla comunità scientifica, si accorgeranno tragicamente che il corpo celeste è tutt'altro che una nuova scoperta. Da quel momento strani eventi cominceranno a cambiare il delicato ecosistema in cui vivono gli scienziati. L'arrivo di un misterioso e psichiatrico segretario (Fronder Hass), il tentativo di strangolamento di Veronica Fanse da parte di uno sconosciuto e il ferimento di Tommaso Sharp, trasformano l'osservatorio nel perfetto teatro delle indagini affidate a Arthur Jelling alle prese con una storia fatta di stelle, pianeti e deliri umani. Ma niente e nessuno riuscirà a scomporre l'integrità morale e psicologica del poliziotto di Boston, abituato a lavorare da sempre su fatti concreti e non su congetture astruse.
Un personaggio maturo che per certi versi anticipa il Duca Lamberti protagonista dei noir degli anni Sessanta di Giorgio Scerbanenco.
Ne La bambola cieca scopriamo che «Arthur Jelling era un uomo che aveva quarant'anni, aveva studiato medicina fino a venticinque anni, si era sposato a ventiquattro, e altro non aveva fatto di più importante, se non scoprire la trama segreta di alcuni delitti famosi. Ma nella sua vita non era mai entrato il romanzo, se non di scorcio. Scoperto l'autore del celebre delitto, o archiviata la pratica dell'ultimo processo, egli tornava a casa, tra sua moglie e suo figlio, leggeva il giornale mangiando, leggeva un libro a letto, e la mattina era in ufficio, all'Archivio Criminale, come un qualunque impiegato, come il più oscuro degli impiegati, a catalogare interrogatori ed elenchi di referti, o stesure di alibi».
Potremmo dire, con una battuta, che Arthur Jelling è stato per Scerbanenco l'asteroide che gli ha permesso il successivo sbarco sul pianeta Duca Lamberti.

grazie a: http://www.ilgiornale.it/ 29.06.2011