I racconti del Maresciallo Gigi Proietti è bravissimo (a differenza di altri carabinieri e carabiniere televisivi) ma il suo Maresciallo Rocca ha un debito clamoroso nei confronti del Maresciallo Gigi Arnaudi, nato a metà degli anni '60 dalla penna di Mario Soldati e portato sul piccolo schermo da un indimenticabile Turi Ferro. Soldati conosceva bene l'Italia (anche per averla girata a lungo realizzando varie trasmissioni televisive), e conosceva gli Italiani, riuscendo a darne un'immagine garbata ma senza ammiccamenti. E così di lui disse Pasolini: "L’assoluta leggerezza della scrittura di Soldati significa fraternità. Il suo rapporto col lettore non è autoritario, ma mitemente fraterno."E a un maresciallo in carne ed ossa (che pare si chiamasse come il personaggio) si ispirò per offrirci un ritratto attento, al tempo stesso tenero e amaro, di un'Italia ancora incerta fra il suo passato analfabeta e contadino ed il futuro di magnifico progresso promesso proprio dalla televisione democristiana. Analogie con altre atmosfere, certo: quelle di Maigret che s'infuria per la stupidità del male, di Padre Brown che ragiona e perdona, di Lew Archer che a volte solidarizza con chi non dovrebbe, con Spade che ne ha viste fin troppe. Altri ambienti, si capisce, ma la natura dell'uomo, sempre ai confini con qualche squallida zona d'ombra, più che con diaboliche trame, la ritroviamo in molta letteratura poliziesca interessata più al "fattore umano" (come diceva Graham Greene) che al banale arresto di un colpevole. Mario Landi, già regista di Maigret, dirige nel 1968 sei episodi che forse avrebbero richiesto un maggior coraggio nel descrivere certa provincia italiana, ma che comunque restano un buon esempio di come possano andare d'accordo tv e letteratura, intrattenimento e intelligenza. Vi saranno, a metà degli anni '80, anche I nuovi racconti del Maresciallo, con un Arnoldo Foà così bravo da non far rimpiangere il predecessore.
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