Len Deighton Len Deighton (Londra, 1929), come Ambler, Fleming, Greene e le Carré, è a tutti gli effetti uno scrittore di spy stories, e nella letteratura cosiddetta d'intrattenimento occupa un posto di assoluto rilievo. Premessa indispensabile: storie di spionaggio ne esistevano già da tempo, da Doyle alla baronessa Orczy, ma se il poliziesco ha avuto grandi cambiamenti e rimescolamenti interni (nuovi sottogeneri, esaurimento di tutta una serie di situazioni, divaricazione fra detection classica e hard boiled, e così via), ha pur sempre mantenuto un impianto originario basato sul meccanismo delitto - indagine, e poco importa se molti autori hanno addirittura messo in secondo piano lo smascheramento e la punizione del colpevole, o se altri hanno usato il giallo per parlare di tutt'altro. Si potrebbe dire altrettanto delle spy stories, allora, perchè anche lì vi è un minimo denominatore comune rappresentato da un qualche segreto "sociale" (non privato, cioè, ma riconducubile a un'entità collettiva organizzata, in particolare uno Stato) conteso in vario modo da un tot di contendenti. E invece no: perchè l'investigazione poliziesca ha sì avuto dei sorprendenti balzi in avanti in virtù dei progressi scientifici (ieri le impronte digitali, oggi il DNA, tanto per capirsi), ma è destinata a rimanere sostanzialmente la stessa sul piano strutturale, a meno che non si scivoli sulla fantascienza e sui mondi possibili in cui il detective dovrà soprattutto prevenire (Minority Report) o reprimere tutt'altro tipo di reati (Fahrenheit 451). Lo spionaggio, però, si è modificato in modo molto più legato all'evoluzione delle varie società: certo, nessun dispositivo tecnologico potrà mai davvero sostituire l'individuo che ascolta-osserva segretamente un altro individuo, ma è evidente che le operazioni sul campo sono radicalmente mutate proprio perchè sono mutate non solo le tecnologie, ma le finalità stesse dell'attività di intelligence: dispositivi GPS e satelliti (v. Echelon) consentono di acquisire in pochi secondi informazioni che solo fino a qualche anno fa richiedevano mesi di indagini e un impiego notevole di risorse; discorso analogo per la trasmissione delle informazioni: che ne è oggi di quell'insieme di procedure astutissime rese totalmente obsolete da un qualsiasi telefono cellulare da pochi dollari? E l'affascinante mondo della crittografia, con Giulio Cesare e Bacone, liquidato in pochi bit? Eccetera. Dunque, si può senz'altro dire che Ian Fleming è stato l'inventore della spy story moderna: tecnologia, globalizzazione (Bond oggi è a Istanbul domani in Giamaica), guerra fredda, contaminazioni criminali (la Spectre è inverosimile, ma le mafie multinazionali no?), sistemi d'arma definitivi, ecc... Che poi Bond sia ridicolmente frivolo e sessista (sulla sua tipologia sono stati scritti fiumi di parole: valga per tutti: Umberto Eco, Il caso Bond, 1996; ma la nemesi è in agguato: sarà proprio Sean Connery a interpretare l'investigatore creato da Eco ne Il nome della rosa), che le sue avventure siano assolutamente inverosimili ("Nella realtà James Bond avrebbe avuto un grosso dossier a suo nome al Cremlino dopo la sua prima impresa e non sarebbe sopravvissuto alla seconda." Allen W. Dulles, ex direttore della CIA), che la rappresentazione del mondo fornita sia fiabescamente manichea, oltre che leggermente reazionaria, tutto ciò non toglie che Fleming sia stato un formidabile innovatore, un vulcano di idee poi saccheggiate in mille modi. E poi sapeva scrivere, cosa non irrilevante se parliamo di libri. E poi bastano i titoli immaginati da Fleming, entrati in massa nel linguaggio corrente: "mai dire mai", "solo per i tuoi occhi", "dalla... con amore", "licenza di uccidere", e, naturalmente "007". Detto questo, Deighton era decisamente più bravo di Fleming, anche se gli è debitore - come tutti gli altri autori che si sono cimentati nel genere: il primo libro con 007, Casino Royale, è addirittura del 1952. Il mondo spionistico raccontato da Deighton è assolutamente più vicino alla realtà, così come il rapporto fra burocrazie statali e apparati di intelligence, questione appena sfiorata da Fleming e che è invece è dirimente (basti pensare che forse la partita più complessa non si giocava tanto, poniamo, tra CIA e KGB, quanto fra la CIA e il complesso insieme delle altre agenzie statunitensi); gli agenti di Deighton sono certo meno brillanti e invulnerabili di Bond, ma decisamente più credibili; le realtà politiche che fanno da cornice ai libri di Deighton non solo sono del tutto verosimili (contrariamente a...), ma in alcuni casi hanno anticipato in modo sorprendente scenari futuri: in Un cervello da un miliardo di dollari viene prefigurato un progetto di secessione dall'URSS da parte dei paesi baltici che all'epoca (1966!) risultò quasi risibile, ma che poi... Deighton racconta le sue spie non solo in un ambito concreto e possibile, ma come persone: la vita, insomma. La pratica Ipcress (1962), probabilmente il lavoro migliore di Deighton, è in definitiva l'affascinante racconto di un'indagine, non tanto di una guerra di spie. E se al cinema (con un Michael Caine perfetto) verrà chiamato Harry Palmer, sarà pur sempre l'agente senza nome il protagonista delle storie di Deighton. Un altro merito di Deighton sta nell'aver introdotto nella letteratura poliziesca l'ucronia (dal greco ou = non e chrònos = tempo, letteralmente "nessun tempo"), cioè una vicenda ambientata in un mondo nel quale la Storia ha preso una strada completamente diversa da quella reale. Riprendendo in qualche modo l'idea di Philip K. Dick nel suo straordinario The Man in the High Castle (1962; La svastica sul sole, La Tribuna 1965 - Nord 1977 - Fanucci 2005), ne La grande spia s'immagina che la Germania stia vincendo la seconda guerra mondiale ed abbia occupato la Gran Bretagna.
alcuni film dai suoi libri:
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