inizio rosso e giallo


John Dickson Carr
Roberto C. Sonaglia

Carr e il gotico

 

Streghe, demoni e spettri - ossia gli ingredienti prediletti del ricettario carriano - non fanno più paura da almeno due secoli, da quando, cioè, il soprannaturale smette di suscitare il minaccioso interesse dell'Inquisizione per trasformarsi in raffinato esercizio letterario. Non che questo primo periodo del genere cosiddetto «gotico» coincida con una ritrovata salute morale... Da Byron e soci alla Radcliffe, dai decadenti a Swinburne (coinvolgendo, perché no?, lo stesso D'Annunzio), il genere noir ha fornito di sé un'immagine di poco edificante vampirismo clinico: la necrolatria, il sadismo misogino, le complicazioni carnali, le sinistre ombre monacali, fanno di tale letteratura qualcosa di ben diverso dalle storielle di fantasmi cui molti di noi sono piacevolmente avvezzi.
Per loro fortuna, gli amanti del brivido intelligente possono contare su una seconda ondata di autori che continueremo, sempre per approssimazione, a definire gotici. M. R. James, Machen, Blackwood, Lovecraft, Onions e compagni sono la base su cui poggia tutt'oggi un'ispirazione che francamente ha ben poco di necrofilo. Come ha rilevato giustamente Carlo Fruttero nell'introduzione a Storie di fantasmi, i nostri volti di Gorgona, i demoni attuali della distruttività, sono ben altri, rappresentati ormai dallo spauracchio nucleare, dall'inquinamento, dalla frenesia tecnologica non meno che, aggiungeremo noi, dall'appiattimento culturale e dal degrado delle tradizioni etniche. Così - lasciate finalmente da parte le implicazioni erotico-morbose e le turbe psichiche - la casa abbandonata, la porta cigolante, lo specchio misterioso, diventano elementi di otium sano e spesso intelligente, una fuga calcolata da più minacciose realtà, nonché, culturalmente parlando, un recupero della dimensione estetica della nostra Vecchia Europa. Tali dovevano già essere avvertite ai tempi più remoti in cui M. R. James spediva imperturbabili e asessuatissimi professori universitari nelle latebre delle abbazie in rovina, mentre lontano echeggiavano le cannonate della Grande Guerra.
Certo Carr, pur con tutti i suoi spettri, non è mai stato contemplato nelle antologie gotiche, o meglio neogotiche, probabilmente perché un'altra approssimazione, questa volta di carattere strutturale o editoriale, non certe letterario, ne fa ricadere l'opera sotto i titolo generico di «poliziesco». D'altra parte, riuscirebbe spontaneo attribuire a certe cupe scenografie carriane i compito di giustificare sic et simpliciter, la struttura architettonica del romanzo poiché un delitto impossibile dovrebbe svolgersi in un'ambientazione altrettanto impossibile...
Ciò è vero solo in parte; premesso che, dal punto di vista estetico, la finzione gotica pare più fondata sull'atmosfera che sulla struttura, sia essa logica o irrazionale, non si possono non sottolineare le scelte stesse di Carr laddove, come ad esempio ne Il cantuccio della strega, la scenografia inquietante del villaggio nella brughiera non è certamente esorcizzata dalla scoperta finale dell'assassino il quale, poveretto, in nessun modo avrebbe potuto contribuire a tanta desolazione; né, ricordando il maniero di Sfida per Bencolin, si riesce a giustificare la sua pianta teschiforme con un'imprescindibile necessità di trama. Qui e altrove, il Nostro rivela un'innegabile inclinazione per il soprannaturale fine a se stesso.
Si dirà che nei suoi romanzi i fantasmi alla fin fine non esistono, essendo ogni mistero dipanato per forza di galileiana razionalità; la qual cosa ci sembra, anzi, un'evoluzione assai raffinata e moderna del modello neogotico più che un discostarsi da esso: se questa civilissima tradizione ha da continuare, è doveroso un progressivo adattamento alle esigenze della sensibilità odierna senza, ovviamente, cadere nell'eccesso di attualità. A tale proposito, vale la pena di ricordare la vigorosa, e spesso minimizzata, differenza tra «orrore» e «mistero» nella narrativa del genere. Il primo è roba del passato, e sopravvive nella cinematografia sensazionale: il sangue, la violenza alla Dario Argento, discendono direttamente dal primo gotico, quando la rivelazione finale, i tratti orrifici dell'apparizione o le descrizioni antropometriche della salma rappresentano, nella maggior parte dei casi, un capitombolo di climax in cui sono incorsi molti autori; il secondo è in un certo senso la sublimazione del racconto paranormale; come per il genere erotico d'alto livello, tanto per tentare un paragone, «mistero» è il sentimento di attesa inquietante, il vedere e non vedere, la lingerie attraverso cui le forme dell'incognito trapelano con deliziosa quanto veniale morbosità.
Carr fa anche di più; proponendo una particolare dimensione del misterioso, a suo tempo sviluppata da Gaston Leroux, egli gioca addirittura sull'esistenza/inesistenza del soprannaturale, artificio decisamente più adatto alle nostre menti smaliziate che sorridono iidealmente dei fantasmi e, tuttavia, non sanno ancora decidere se credere o meno ad una realtà metafisica. Questo gioco elegante, come nei neogotici, presenta tutti i sintomi di un biofilo gusto estetico, ripercorrendo il cammino tracciato dalla ghost story classica dove lo spirito, con la sua incorporeità, sposta già l'indice dal carnale all'impalpabile, dall'orrore al mistero. Né è minimamente presente in Carr la lusinga del peccato o il compiacimento raccapricciante: i suoi personaggi non accusano il «male interno» degli antichi predecessori; questo è eventualmente fuori, nell'aria delle brughiere, nei muri delle vecchie dimore. Se gli si può imputare un difetto, rispetto ai cugini specializzati nell'arte del mistero, è proprio quello di essere «asettico» in modo addirittura esagerato; i suoi personaggi, disinfettati dai turbamenti elementari, sono colmi di salute e buon senso «old England», e c'è un ottimismo di fondo al quale si sacrifica per necessità l'unica vittima rituale che, in questo caso, è l'assassino.
In conclusione, l'impianto architettonico tradizionalmente poliziesco (delitto-indagine-smascheramento del colpevole) non ci sembra sufficiente a negare le più o meno profonde analogie di J. D. C. con i colleghi neogotici. Lo stesso carattere razionale della struttura carriana può essere ridimensionato, o meglio dimensionato ad un'estetica di maniera. Non a caso Carr, autore cronologicamente contemporaneo, dimostra un signorile disdegno per la tecnologia moderna, tramite la quale ogni delitto impossibile risulterebbe... possibile; la «meccanica» è accettata solo se riferita a stadi evolutivi antichi e antiquati - bastoni da sparo, elettrocalamite, eccetera - legati, in una parola, a periodi nei quali la scienza era ancora artigianale, a misura d'uomo, ma anche molto favolosa (c'è un fascino negli archi voltaici e nei lambicchi di Frankenstein che non troveremmo in un moderno laboratorio, con strumenti americani e giapponesi prodotti in serie smisurata). E se, rispetto a Wallace e a Queen, egli rivela un uso più contenuto dell'arzigogolo materiale, degli aggeggi complicati, è proprio per seguire una sua vocazione ad una logica pura che tuttavia risulta quantomeno strampalata se riferita agli avvenimenti di ogni giorno!
Il ritratto finale, letterariamente parlando, è dunque quello di uno scrittore assai più «fantastico» di quanto possa apparire a prima vista, essendo il fantastico - e qui vogliamo ridar vigore alla nostra tesi - ingrediente imprescindibile nella ghost story tradizionale.