Per Scuola di Francoforte s'intende quel nutrito gruppo di studiosi marxisti indipendenti riunito - a inizio '900 - intorno all'Istituto per la Ricerca Sociale (Institut für Sozialforschung). L'Istituto era nato in modo autonomo dal punto di vista finanziario, perché aveva ricevuto una generosa donazione privata, ma in seguito si affiliò all'Università di Francoforte. (1) Uno dei primi direttori fu Karl Grünberg, che era stato professore di Scienza politica all'Università di Vienna e nel 1910 aveva fondato l'Archivio per la storia del socialismo e del movimento operaio, rivista alla quale collaborarono anche György Lukács e Karl Korsch. In vari periodi, all'Istituto lavorò un formidabile gruppo di intellettuali che avrebbero esercitato un influsso profondo su tutto il pensiero occidentale: Theodor Wiesengrund Adorno, Franz Borkenau, Henryk Grossmann, Max Horkheimer, Leo Löwenthal, Friedrich Pollock, Karl August Wittfogel, e, più tardi, agli inizi degli anni '30, Erich Fromm ed Herbert Marcuse . Nel 1929 direttore dell'Istituto divenne Max Horkheimer e sotto la sua direzione si delinearono quelle caratteristiche culturali che identificano la Scuola di Francoforte. Horkheimer era nato nel 1895 a Stoccarda e si era laureato in filosofia con una tesi su Kant; significativo è che avesse seguito anche dei corsi di psicologia, in particolare sulla Gestalt, (2) e infatti questa disciplina occuperà sempre un posto centrale nei suoi interessi. Egli era un marxista indipendente: non militava in alcun partito anche se le sue simpatie politiche erano andate a Rosa Luxemburg. Rispetto ai comunisti ed ai socialdemocratici Horkheimer era equidistante: ai primi rimproverava di avere ridotto il marxismo a un catechismo inerte, mentre accusava i secondi di avere abbandonato le posizioni rivoluzionarie e di essersi conformati alla realtà esistente; agli uni e agli altri Horkheimer contrapponeva un marxismo incentrato sulla dialettica e alla ricerca continua di confronto con altre scuole di pensiero. È proprio questa concezione dialettica del marxismo la caratteristica fondamentale degli esponenti della Scuola di Francoforte. Infatti Horkheimer, Adorno, Marcuse e gli altri guardavano con estremo interesse a György Lukács e al suo Storia e coscienza di classe (1923), un libro che ha esercitato un influsso profondo su tutto il marxismo occidentale, e incentrarono il dibattito verso un'aspra critica del pensiero scientifico, cioè del metodo delle scienze naturali. A queste discipline rimproveravano in primo luogo di avere un approccio meccanicistico alla realtà, di limitarsi a una registrazione e classificazione dei fenomeni, di non vedere che il mondo è lacerato da profonde contraddizioni. Così scriveva Horkheimer nel 1932: "Al metodo orientato sull'essere e non sul divenire, corrispondeva il modo di considerare la forma di società esistente come un meccanismo di processi che si ripetono sempre uguali, che può essere bensì disturbato per un tempo più o meno lungo, ma che comunque non richiede un comportamento scientifico diverso dalla spiegazione di una macchina complicata." Per Horkheimer il limite di fondo del metodo scientifico tradizionale era appunto quello di non riuscire a concepire la realtà sociale come contraddittoria, dinamica, soggetta a gravi "convulsioni." Naturalmente bisogna tenere presente che in quel periodo la società era in piena crisi economica, la crisi scoppiata negli Stati Uniti nel 1929 e poi diffusasi in Europa. Secondo il marxismo classico la scienza era uno strumento neutrale rispetto a proletariato e borghesia, invece per Horkheimer la scienza, e con essa il dominio sulla natura e la sua trasformazione, comportano inevitabilmente anche un dominio dell'uomo sull'uomo: un'idea che oggi può sembrare scontata, ma che allora non lo era affatto, tanto da essere probabilmente una delle innovazioni più rilevanti dei francofortesi. C'è qui una divaricazione netta rispetto al pensiero marxiano, perché Marx aveva sempre pensato che la scienza e la tecnica fossero per un verso assolutamente indispensabili per il progresso della società umana, e per un altro verso qualcosa di neutro; c'è un uso capitalistico della scienza e della tecnica e c'è un loro uso, di altro segno, in una società libera dallo sfruttamento. Su questo aspetto gli esponenti della Scuola di Francoforte e, in primo luogo, Horkheimer, seguono invece il punto di vista di Lukács, espresso appunto in Storia e coscienza di classe, radicalizzandolo: non solo la scienza non è qualcosa di neutro, ma è inevitabilmente "dominio", a tal punto che il tentativo dell'uomo di governare la natura, di trasformarla ai propri fini, si rovescia necessariamente nel suo contrario (non si può dire che vi fosse un'impronta "ecologica" in questa analisi, tuttavia è indiscutibile che anche il movimento ambientalista sia debitore nei confronti dei francofortesi). L'uomo diventa schiavo di potenze incontrollabili: l'intera civiltà occidentale - da Odisseo a Hitler, come si afferma nel libro di Horkheimer e Adorno, Dialettica dell'Illuminismo - è una storia di regresso, di imbarbarimento. Rispetto alla concezione ascendente, hegeliana, che Marx aveva della storia del mondo (dalla lotta di classe sarebbe scaturito l'inevitabile progresso dell'dell'umanità), i francofortesi hanno un punto di vista radicalmente diverso, pessimistico: non credono al progresso, lo ritengono un mito, e pensano che il lavoro della scienza e della tecnica sia addirittura la causa decisiva del degrado e del regresso della civiltà. Oltre ai temi strettamente filosofici e sociologici, la Scuola di Francoforte si occupò intensamente di psicologia del profondo e di psicoanalisi, e questo è un altro dei suoi tratti caratteristici, e originalissimi: il primo tentativo di coniugare psicoanalisi e marxismo. Impresa assai ardua quella di compenetrare categorie di tipo socio-economico e concetti - come le pulsioni istintuali, la vita psichica inconscia - che non sono riconducibili a nessuna elaborazione marxista. Per Horkheimer e gli altri le categorie fondamentali restano quelle socio-economiche, perché l'uomo deve in primo luogo produrre e riprodurre le proprie condizioni materiali di esistenza, d'altro canto la psicoanalisi è indispensabile per capire fino in fondo il processo storico: gli individui non sono mere "maschere" - per usare il termine marxiano - di rapporti economici, come sosteneva il marxismo classico Gli individui si trovano all'interno di determinati rapporti economici, decisivi per la loro vita, tuttavia vivono anche psicologicamente queste relazioni. Se, dunque, si ignorasse la vita psichica individuale non si capirebbe perché gli individui vengono integrati all'interno dei meccanismi sociali e politici nonostante le contraddizioni che caratterizzano questi stessi contesti, e perché gli individui accettino l'autorità e le gerarchie sociali, subendo decisioni dei gruppi dominanti che il più delle volte li danneggiano gravemente. Facendo riferimento alla distinzione freudiana fra "impulsi non differibili" - la fame, la sete, e così via - cioè gli impulsi legati alla stessa conservazione fisica dell'individuo, e "impulsi differibili", quelli sessuali o libidici in senso lato, Horkheimer è convinto che gli uomini non siano determinati solo dal loro immediato spirito di conservazione, ma anche dalla necessità di "estroiettare le loro energie libidiche": gli esseri umani hanno bisogno che la loro personalità sia riconosciuta e confermata all'interno di una collettività, hanno bisogno di sicurezza. Dunque lo sforzo di Horkheimer si orienta verso l'individuazione dei complessi rapporti fra impulsi "non differibili" e " differibili", fra vita materiale e vita psichica, per mettere in evidenza come queste connessioni possano spiegare la relativa stabilità di un ordinamento sociale estremamente contraddittorio e lacerato da gravissimi contrasti interni. Anche Erich Fromm lavorò intensamente nella direzione di coniugare psicologia e marxismo e assai più degli altri ottenne un riscontro fra il grande pubblico: si pensi al seguito che ebbero L'arte di amare e Avere o essere? negli anni '60. Fromm era uno psicanalista di professione, ma non concordava su un punto centrale del pensiero freudiano, e cioè l'idea secondo cui nell'uomo, accanto alle pulsioni erotiche, si trovano anche le pulsioni distruttive: Eros e Thànatos erano in contrasto aperto con la teoria marxista che vedeva nell'abolizione dello sfruttamento la chiave per costruire una comunità di liberi e di uguali, fondata sull'armonia e su legami di solidarietà e di pace. Freud aveva liquidato l'utopia marxista di una società completamente solidale e nel Disagio della civiltà scriveva: "Non è affar mio la critica economica del sistema comunista, non posso sapere se l'abolizione della proprietà privata sia opportuna e proficua, ma sono in grado di riconoscere che la sua premessa psicologica è un'illusione priva di fondamento; con l'abolizione della proprietà privata si toglie al desiderio umano di aggressione uno dei suoi strumenti, certamente uno strumento forte, ma altrettanto certamente non il più forte. [...] La verità negata con tanto zelo è che l'uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d'amore, capace al massimo di difendersi se viene attaccata, ma che occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività." Ne consegue, secondo Freud, che l'uomo vede nel prossimo non soltanto un eventuale aiuto e/o oggetto sessuale, ma anche un bersaglio per sfogare la propria aggressività; può tendere a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad umiliarlo, a farlo soffrire, a ucciderlo. Con Plauto, "homo homini lupus." Anche alla luce degli abissi morali in cui lo stalinismo ha precipitato le idee rivoluzionarie, come dare torto a Freud? L'altra figura centrale della Scuola di Francoforte fu Theodor Wiesengrund Adorno (Francoforte, 1903 - Briga, 1969); il cognome di suo padre era Wiesengrund, Adorno era quello della madre, ed egli assunse quest'ultimo... Aveva studiato a fondo musica nella Vienna di Schönberg e di Berg, e si era laureato in filosofia: Kant, Hegel, il marxismo, e anche i grandi pensatori irrazionalisti, Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche. Purtroppo non ha mai scritto opere sistematiche, preferendo la formula del saggio breve, dell'articolo, dell'aforisma (celebri e bellissimi i suoi Minima Moralia): "Chi oggi sceglie il lavoro filosofico come professione, deve rinunciare all'illusione, con la quale precedentemente prendevano l'avvio i progetti filosofici, che sia possibile afferrare in forza del pensiero la totalità del reale." Adorno era convinto che nell'epoca contemporanea questa totalità del reale fosse andata distrutta, frantumata, e che il mondo moderno fosse qualcosa di così contraddittorio e lacerato da rendere priva di senso l'aspirazione di rappresentarlo nella sua totalità. In questo senso è decisiva l'opera che Adorno scrisse insieme ad Horkheimer fra il '42 e il '44, Dialettica dell'Illuminismo: al centro di questo lavoro è l'autodistruzione dell'Illuminismo: la convinzione dell'uomo di poter dominare la natura si tramuta nel proprio contrario, l'uomo in realtà è sempre più asservito da poteri che lo sovrastano e che egli non può controllare. "L'illuminismo nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni, ma la terra interamente illuminata splende all'insegna di una trionfale sventura, gli uomini pagano l'accrescimento del loro potere con l'estraniazione da ciò su cui lo esercitano. L'Illuminismo si rapporta alle cose come il dittatore agli uomini, che conosce in quanto è in grado di manipolarli. Ogni tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la natura, cade tanto più profondamente nella coazione naturale: è questo il corso della civiltà europea." Naturalmente per Illuminismo non s'intende una particolare epoca storica, bensì un atteggiamento: la tendenza dell'uomo a dominare e a trasformare la natura in base ai propri fini e bisogni. Il fatto che questo tentativo sia destinato sostanzialmente a fallire e a rovesciarsi nel suo contrario, cioè nell'infelicità e nel dominio dell'uomo sull'uomo, porta l'elaborazione di Adorno ad un approdo radicalmente pessimistico sulla civiltà e la storia del mondo, in ciò attirandosi le critiche feroci del marxismo ortodosso (e ottuso). Per Adorno e Horkheimer la scienza, sia nella sua dimensione teorica che in quella tecnico-pratica, ha gravissime responsabilità in questo senso: "Benché alieno dalla matematica, Bacone ha saputo cogliere esattamente l'animus della scienza successiva. Il felice connubio a cui egli pensa fra l'intelletto umano e la natura delle cose è di tipo patriarcale; l'intelletto che vince la superstizione deve comandare alla natura disincantata, il sapere che è potere non conosce limiti né nell'asservimento delle creature né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo; [...] i re non dispongono della tecnica più direttamente di quanto ne dispongono i mercanti, essa è democratica come il sistema economico in cui si sviluppa: la tecnica è l'essenza di questo sapere." La tecnica e la scienza sono dunque un tipo di sapere che mentre si applica alla natura e vuole scoprirne le leggi, tende poi a trasformare la natura stessa, provocando un vero e proprio disastro per l'uomo e per la sua condizione nel mondo. L'altro grande tema su cui si è incentrata la riflessione di Adorno è la critica dell'"industria culturale", categoria da lui elaborata e che ha rappresentato il punto di partenza per i lavori di Roland Barthes, Marshall McLuhan, Noam Chomsky, e più in generale per la lettura contemporanea dei mass media: l'analisi sociologica di Adorno è un'aspra critica dei mezzi di comunicazione di massa: cinema, radio, rotocalchi, pubblicità, televisione (e se si tiene conto che la tv era allora ancora agli inizi, e che erano al di là da venire Internet, telefoni cellulari, GPS, ecc., si comprende quanto anticipatrici siano state le idee di Adorno) fanno introiettare all'individuo il sistema esistente, i valori - i disvalori, in realtà - della società. I mass media non sono qualcosa di neutro, semplici contenitori che possono essere riempiti con i contenuti più vari, ma sono essi stessi "ideologia", in quanto il loro compito precipuo è quello di diffondere un'immagine del mondo che sia conveniente per pochi ed accettabile da tutti, di sviluppare linguaggi uniformi e standardizzati, e ciò, inevitabilmente, contribuisce a determinare un conformismo generalizzato. I mezzi di comunicazione di massa tendono a integrare l'individuo nella società esistente, nel sistema di dominio presente. Da qui l'attenzione che Adorno ha dedicato alla pubblicità: sembra qualcosa di innocente, ma in realtà è uno strumento "diabolico" - letteralmente, dal greco: dià bàllon, gettare [qualcosa di cattivo] in mezzo [a cose buone] - finalizzato a manipolare la coscienza individuale, a trasformare gli uomini in robot, in qualcosa che possa servire agli scopi del sistema sociale dominante. Riprendendo ampiamente un articolo di Bruno Gavagnuolo su l'Unità (8.2.03): è tempo di riscattare la Scuola di Francoforte dall'oblio in cui l'hanno sepolta prima il neo-marxismo scientista o ideologico, poi il post-modernismo scettico che si è assiso sulle ceneri del marxismo e di ogni cultura d'opposizione. Ma la congiura del discredito e del silenzio su Adorno, Horkheimer e Marcuse ha trovato dopo il 1989 un altro formidabile alleato: il neoliberalismo conservatore, nemico di ogni lievito libertario e utopico, spesso figlio di un rinnegamento del precedente Marxismus (si pensi ai tanti maitres à penser transitati disinvoltamente dalla dialettica rivoluzionaria al moderatismo). La Scuola di Francoforte è stata spesso accusata di essere "apocalittica" e "romantica", ma molte delle sue analisi si rivelano estremamente efficaci nel mondo liberista e globale di oggi, dominato dalla guerra come strumento di affermazione della propria ideologia. Un certo marxismo dogmatico aveva accusato i francofortesi di vedere la tecnologia planetaria come l'architrave della modernità tardo-capitalistica, invece di scorgere in essa (canonicamente) il riflesso del capitalismo monopolistico e delle sue relazioni interne storicamente determinate. E allora partiamo proprio dal tema della Tecnica, che oggi più che mai è ridiventato centrale, dal momento che - proprio come dicevano i francofortesi - la Tecnica nel capitalismo avanzato non è un semplice corredo strumentale, una protesi "utilitaria" distinta e semplicemente "comandata" dalla produzione di merci, ma è la fantasmagoria pratica dell'esistenza. È guerra, biopolitica, marketing, ricerca, cultura dell'immagine, un artificio produttivo indistinguibile e inseparabile dalla vita quotidiana. La Scuola di Francoforte ha un impianto originariamente "kantiano", ossia è dominata da un tarlo: qual è lo statuto di oggettività delle scienze sociali? I francofortesi non si accontentano di tipizzazioni sociologiche, al contrario sono consapevoli che il mondo sociale dato è intriso di "conflitti e di dominio", di alienazioni e squilibri. E quindi le teorie devono essere loro volta intrise di tensione conflittuale. La teoria, dunque, "mima" la realtà in movimento, non già confermandola, ma tenendone aperte le falle: è una sorta di autocoscienza collettiva e introspettiva, dove le figure sociali descritte sono concrezioni simboliche della vita, forme simboliche della vita associata. La Scuola di Francoforte attua un profondo rinnovamento metodologico rispetto al marxismo classico, perché punta principalmente all'integrazione di economia, psicologia, storia, filosofia: in tal modo rinnova radicalmente il materialismo liberandolo dall'economicismo e introduce nel concetto di "dominio" - oltre alle tradizionali caratteristiche economico-politiche, la forza di molteplici rappresentazioni e potenze psichiche operative, come "individualismo", "efficientismo", "lealtà di gruppo", "personalità autoritaria", "antisemitismo." Ideologie e forme di coscienza specifiche che nella società moderna sorreggono la materialità dell'apparato tecnico-economico e ne fanno un "mondo interiore", cioè un rapporto sociale gerarchizzato, organizzato prima di tutto all'interno dei "soggetti umani". La psicoanalisi diviene snodo energetico di economia e cultura che rivela il quantum di repressione vitale a servizio del superio o dell'io e dei suoi"ideali" (polverizzati storicamente dal declino del mondo morale liberale sotto i colpi del totalitarismo spersonalizzante). C'è, nel metodo offerto dagli scritti di Hokheimer e Marcuse, una duplice mossa: da un lato l'economia viene psicologizzata, dall'altro (siamo negli anni '30-40) la psiche viene mercificata e colonizzata dal dispositivo di uno scambio di merci sempre più anonimo, senza che il singolo sappia trovare in esso una rispondenza autentica ai suoi bisogni di svilpppo armonico e consapevole. È cancellata per questa via la dominanza della relazione economica e di mercato? Magari a beneficio di un'onnipotenza metafisica e millenaria della Ratio strumentale? Niente affatto. Perché Adorno, Horkheimer e Marcuse ritenevano che fosse l'ipertrofia storicamente determinata del meccanismo capitalistico a cancellare le sue stesse basi ideali di sussistenza (ideologia individualistica, utilità razionale, commisurazione di mezzi e fini). Sino a far coincidere strumentalità tecnologica e produzione di merci. La tecnica, per i francofortesi, era il mercato alla sua massima potenza: distruzione creatrice che sradica monopolisticamente il mercato e lo reinventa. di continuo, senza riguardo a limiti, regole, identità, alterità, natura. Certo, in questa analisi vi fu un limite di determinismo, che arrivò a far coincidere guerra, fascismo e capitalismo, come destino apocalittico dell'"Automaton" (3) capitalistico. Inoltre, anche rispetto alle socialdemocrazie, invalse nei francofortesi una visione demonizzante, che rinviava ad un generico "altrove" inattuale la liberazione, mentre rifiutava ogni possibilità di plasmare e riformare il capitalismo. E tuttavia oggi l'acme della reazione liberista nel mondo unipolare ci mostra anche di quali dinamiche sia intrisa una globalizzazione schiava degli imperativi sistemici monetari e di impresa multinazionale, imperativi volti a creare spazi vitali di mercato sovranazionale che spiantano mercati subalterni, creano dipendenze nuove e flussi di scambio ineguale, eccitano i fondamentalismi. Con le periferie del mondo ridotte ad aree di saccheggio energetico e biologico, a platee di consumo artificiale indotto. E con la guerra ipertecnologica come risorsa (non più estrema, ma "naturale") di controllo geopolitico e penetrazione economica. Perciò riflettere sulle "profezie negative" dei francofortesi è estremamente salutare. Infatti quelle profezie, oltre essere sottilmente sofisticate rispetto ai meccanismi molecolari del dominio mediatico tardo-moderno (e ad anticipare le lezioni di Bourdieu e Foucault sul sapere/potere) ci parlano del "cuore di tenebra" dell'Occidente divenuto ormai Mondo. Un cuore sempre in bilico tra libertà e barbarie. (1) Ovviamente
con l'avvento del nazismo gli esponenti della scuola
furono costretti ad abbandonare la Germania, e si trasferirono
negli Stati Uniti; lo stesso
Istituto per la Ricerca Sociale fu trasferito a New York nell'ambito
della Columbia University. L'essere venuti a contatto con le
caratteristiche e le tecniche della società industriale
più avanzata consentì agli esponenti della
Scuola di Francoforte di approfondire in corpore
vili le proprie
ricerche. |