Fu segretario del Komintern dal 1937. Durante la guerra di Spagna fu il rappresentante del Komintern. Arrestato in Francia allo scoppio della guerra, riparò in URSS dove restò fino al 1944, senza essere in grado di opporsi alla repressione staliniana contro vari militanti comunisti italiani rifugiatisi in URSS. Dopo il 25 luglio 1943 Togliatti rientra in Italia e, con la “svolta di Salerno”, pone fine alla questione istituzionale impegnando al massimo il partito, che nel frattempo ha assunto il nome di Partito Comunista Italiano, nella lotta al nazifascismo e per la ricostruzione del Paese dopo la tragedia del fascismo e della guerra. L’interpretazione che diede del fenomeno fascista fu basato sulla rielaborazione delle tesi gramsciane: il fascismo è visto come il prodotto della crisi della borghesia italiana, una borghesia che non si è evoluta, che non ha avuto una maturazione democratica e preferisce il corporativismo e la violenza alla libertà ed alla lotta politica; il fascismo è un "regime reazionario di massa." L’impronta che nel dopoguerra Togliatti diede al partito fu la realizzazione di una struttura di massa, integrata nella società e pronta al dialogo con tutte le classi sociali e con tutte le altre forze politiche. Togliatti si poneva l’obiettivo del dialogo e della collaborazione non solo con le altre forze della sinistra, ma anche, in qualche modo, con il partito di massa cattolico, la Democrazia Cristiana. Nel secondo governo Badoglio Togliatti diviene Ministro di Grazia e Giustizia e promulga la famosa amnistia nei confronti degli ex fascisti, il primo passo verso il dialogo e l’auspicato accordo con i ceti medi che erano stati la base sociale e politica del fascismo. Il “partito nuovo” voluto da Togliatti è il tipico partito di massa in grado di metabolizzare ed interpretare le richieste e le esigenze del corpo sociale e del corpo elettorale e di trasformarle in soluzioni legislative e normative: purtroppo dopo la rottura dell’unità antifascista della primavera del 1947 il PCI non tornerà più al governo, privando il paese dell’appoggio di un grande movimento democratico e di massa rappresentante della parte più avanzata e produttiva del popolo italiano. Il rapporto con gli intellettuali fu proseguito nell’ottica gramsciana e, nonostante le rotture con Vittorini e Calvino, segnò una forte influenza della sinistra e dei comunisti nell’ambito della cultura, anche per il disinteresse dei conservatori in tale campo. Togliatti fu prima di tutto un fine intellettuale, uomo di formazione umanistica ed illuminista che aveva saputo conciliare la propria struttura culturale di derivazione crociana con l'elaborazione di Lenin e di Marx. La cultura per le masse e la loro formazione fu di primaria importanza. Come ha scritto Giorgio Bocca nella sua nota biografia di Togliatti: “Ora questa egemonia c’è stata nel dopoguerra, era stata progettata da Antonio Gramsci e messa in pratica dal partito nuovo di Palmiro Togliatti; ma era un’egemonia con fondate motivazioni. Per cominciare, i comunisti leggevano. In tutte le case di militanti comunisti si trovavano i libri che appartenevano genericamente a una cultura di sinistra ma che spesso erano semplicemente dei libri di cultura, prodotti da case editrici di ottimo livello come Einaudi o Laterza.” Togliatti è stato accusato da più parti di stalinismo e, molto schematicamente, vale la pena far cenno a questa contraddizione. Nel dopoguerra la figura di Stalin era oggetto di venerazione e di rispetto da parte di tutto il movimento comunista internazionale, se non altro per il grande sforzo prodotto dai russi nella lotta contro il nazifascismo: venti milioni di soldati dell’Armata Rossa e di civili sovietici caddero per impedire la vittoria delle truppe di Hitler e di Mussolini. La durezza della guerra fredda, d'altra parte, costringeva necessariamente ad una radicale scelta di campo, e lottare contro le ingiustizie del capitalismo non poteva che significare - in quegli anni - doversi schierare a fianco del blocco che si contrapponeva all'URSS. Di qui, in buona misura, l'estrema prudenza di Togliatti nel condannare Stalin e lo stalinismo anche alla luce della denuncia di Krushëv al XX congresso del PCUS dopo la morte del dittatore georgiano e l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956); però dopo tali eventi iniziò nel PCI un lento, ma proficuo periodo di destalinizzazione. Discutibile ma interessante l'analisi di Giorgio Bocca: “Così credo sia impossibile ignorare, nel giudizio globale sul comunismo, il fatto che senza l’Armata rossa e i milioni di morti sul campo di battaglia (che ne facciamo di questi: li sommiamo o li sottraiamo a quelli dell’orrore?) probabilmente non saremmo qui a scrivere o disputare di revisionismo, ma saremmo nel grande Riecco millenario. Il fatto che il paese del comunismo abbia salvato l’Europa da una secolare notte nazista non cancella gli errori e le colpe del sistema, ma ci sembra che spieghi la necessità dei piani quinquennali per la creazione di un'industria e di un armamento pesanti che non saranno equiparabili alla libertà e alla giustizia, ma che le hanno rese possibili almeno da noi, e che in certo senso hanno reso possibile anche la caduta dei regimi comunisti. Il “Libro nero” è un documento attendibile, e ne sono convinti quanti a partire dall’Ottobre rosso hanno intuito e poi constatato le involuzioni del partito unico e del sistema autoritario. Ma che nel corso di una storia tragica, (non all’improvviso, con la scienza di poi) hanno cercato di evitarli o di correggerli, cosa assai difficile nella storia come dimostrano i genocidi delle conquiste spagnole e americane, le stragi indonesiane o indiane, gli eccidi sudamericani o quelli kenyani per mano degli irreprensibili soldati di Sua Maestà britannica. Il comunismo divorava vittime umane, ma accendeva anche speranze e movimenti di liberazione in ogni parte del mondo. Ecco perché a chi ha vissuto questi decenni di storia questo revisionismo in blocco, questi pentimenti tardivi, queste cancellazioni della propria storia, della propria vita appaiono fastidiose.” Questo brano rappresenta bene la grandezza, la miseria e la tragicità dell’esperienza comunista di cui Togliatti fu indubbiamente uno dei più autorevoli protagonisti e più lucidi interpreti, raccogliendone su di sé tutti gli aspetti sia positivi, sia negativi. La fine dell’unità antifascista, la scissione di Palazzo Barberini e la disfatta elettorale del 18 aprile 1948 segnarono la fine si ogni speranza dei comunisti italiani, ma anche di Nenni, di tenere l’Italia fuori dalla guerra fredda: la “cortina di ferro” scendeva anche sullo stivale ed al partito di Togliatti la storia riservava il ruolo di opposizione che il leader comunista seppe esercitare in maniera equilibrata e non estremista pensando maggiormente al bene comune che agli interessi di parte. La fedeltà togliattiana al sistema democratico italiano che aveva contribuito a realizzare si vide nell’estate del 1948 dopo l’attentato da parte di Pallante: il segretario comunista volle evitare ogni tragica fuga in avanti di tipo insurrezionale, che avrebbe provocato una guerra civile disastrosa e comunque persa in partenza: a Jalta l’Italia era stata assegnata alla sfera di influenza occidentale e che tale decisione fosse irreversibile, o quantomeno non potesse essere messa facilmente in discussione, era sancito dalla massiccia presenza di truppe statunitensi sul territorio italiane (forze che, ovviamente, non sarebbero rimaste ad osservare passivamente un'eventuale tentativo rivoluzionario). Questo atteggiamento togliattiano per alcuni fu doppiezza, per altri profondo senso dello stato. Per tutti può valere quanto detto dallo stesso Togliatti fin dai tempi della Costituente: “Mettetevi in testa che questo non è un Parlamento borghese che i deputati proletari devono combattere. Questo è un Parlamento conquistato con il sangue di tutti, in primo luogo da noi; le distinzioni non valgono.” La fedeltà al Paese fu molto alta, come d’altronde la devozione alla causa del comunismo internazionale, anche se seppe dire di no allo stesso Stalin rifiutando di abbandonare la guida del PCI per assumere un ruolo di primo piano nelle organizzazioni internazionali comuniste. Dopo il 1953 la formula centrista entra in crisi e De Gasperi si ritira dalla politica: ci si avvia lentamente verso il centro-sinistra di cui Togliatti vedrà solo la fase embrionale, la lungimirante intuizione di Amintore Fanfani, a cui assicurerà un’opposizione diversa. La distensione internazionale, negli anni di Papa Giovanni XXIII, di J.F. Kennedy e di N. Krushëv, e la progressiva fine della spinta innovativa e propulsiva del centro-sinistra, il cui culmine saranno i fatti del luglio 1964 (tentativo di colpo di stato), faranno aumentare l’importanza dell’elaborazione togliattiana, poi portata avanti da Luigi Longo, della “via italiana al socialismo”, cioè la ricerca di un dialogo con laici, socialisti e cattolici. Togliatti aveva ben messo a fuoco la fragilità e l’eterogeneità della democrazia italiana ed aveva capito che le sinistre non avevano la forza sufficiente per governare da sole: in qualche modo si rendeva necessario l’appoggio del partito democristiano; la borghesia, se lasciata sola, sarebbe inevitabilmente deragliata a destra come era avvenuto nel 1922. Togliatti concepiva i partiti come elemento di mediazione e di ricomposizione della società per preservare e rafforzare la democrazia italiana. Come dice la Costituzione “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49). Proprio quando i partiti politici italiani si sono allontanati da tale interpretazione è iniziato il logoramento e la degenerazione della democrazia italiana. Togliatti fu un ottimo traduttore di varie opere di Voltaire, Marx ed Engels, ed in genere incoraggiò la diffusione delle opere marxiste in Italia. A lui si deve l'iniziativa di pubblicare la prima edizione - anche se non integrale - dei Quaderni del carcere di Gramsci. Come direttore dell'organo teorico del PCI, Rinascita, combinò una linea di relativa apertura a moderne tendenze culturali ed artistiche con un atteggiamento eccessivamente prudente in varie situazioni. In una calda giornata dell’agosto 1964, nel campo pionieri di Artek, in quell’Unione Sovietica che aveva rappresentato una vera e propria seconda patria, la morte scendeva lenta sull’anziano leader comunista che era riuscito a sopravvivere a tre attentati, ma non ad un infarto. La vita sfuggiva a colui che “sarà ricordato più per i suoi silenzi che per i suoi discorsi” e che “dava del lei anche a se stesso” (Bocca). Tutta l’Italia di sinistra esprimeva il proprio dolore partecipando ai suoi funerali. Così ebbe a scrivere Enzo Biagi sull’Europeo in quell'estate del 1964: “Nel 1922 rischia di essere fucilato da un plotone di camicie nere; nel 1937, ad Alicante, sfugge miracolosamente ai moschetti dei falangisti che lo hanno messo contro un muro; nel 1948 scampa alle rivoltellate dell’esaltato Pallante. Muore ad Artek, in una dolce, rarefatta aria cecoviana, e la morte lo raggiunge sotto un bosco di betulle, mentre sta facendo un discorsetto in lingua russa ai pionieri del campo. I bambini gli sono sempre piaciuti”. La figura del leader comunista è stata, negli ultimi anni, oggetto di aspre discussioni, ma Togliatti, insieme a De Gasperi e a Nenni, è sicuramente da considerarsi uno dei padri della nostra democrazia repubblicana e non si può non riconoscersi nelle parole di Giorgio Bocca, che del segretario comunista è stato incisivo e valido biografo: “Non si capisce Palmiro Togliatti se non si capisce che anche il suo lucido realismo che alcuni chiamano cinismo, il suo intellettualismo, la sua accettazione dei poteri ‘millenari’ delle grandi istituzioni, fossero la Chiesa Cattolica o il grande stato socialista, avevano un senso perché credeva, pensava che stesse sorgendo una società nuova. Sbagliava, ma quanti uomini, quante generazioni hanno commesso un errore simile? E cosa sarebbe la storia degli uomini senza questi errori?”
OPERE di TOGLIATTI Discorsi agli italiani, Mosca, Edizioni in lingua estera, 1942 SU TOGLIATTI Aldo Agosti, Palmiro Togliatti, UTET, 1996 |