"Giallo", si sa, è solo italiano: per una scelta estetica (commerciale) così Lorenzo Montano volle le copertine della collana Mondadori da lui ideata nel 1929 e dedicata al romanzo poliziesco, cui seguiranno numerose altre collane. Che in Francia rimase, appunto, roman policier, e sobriamente mystery dove si legge inglese. Poi ci furono i noir, l'hard boiled, i polar, i thriller (magari legal o medical), le crime stories, i police procedural, eccetera, ma da noi, sempre gialli. E a Mondadori siamo molto debitori: per quella prima collana, e poi negli anni '50 e '60 per tre importanti iniziative editoriali: Maigret, Sherlock Holmes e Fantomas, e per gli Omnibus Gialli. Fantômas era già stato scoperto da Salani poco dopo le prime edizioni francesi, così come avrebbe fatto Sonzogno negli anni '20 - '30 con Arsenio Lupin; e dagli inizi degli anni '50 anche Garzanti, e nel 1979 la splendida collana La memoria di Sellerio, e... No, qui non si fa una storia del giallo, si pagano sbrigativamente alcuni debiti e si danno un po' di informazioni. E magari in bibliografia troverete di che farvi una cultura mostruosa. «Parlando della popolarità di cui gode il romanzo poliziesco bisogna accordare largo spazio alla sete di vicende avventurose o di pura e semplice suspense che il lettore avverte e che il romanzo poliziesco soddisfa. Si prova piacere già solo a vedere degli uomini agire e a partecipare con loro ad azioni le cui conseguenze sono concrete e immediatamente accertabili. I personaggi dei romanzi polizieschi lasciano tracce non solo nelle anime dei loro simili, ma anche nei loro corpi e così pure nel terriccio del giardino. Da una parte ci sono il romanzo letterario e la vita reale, dall'altra c'è il romanzo poliziesco, cioè un particolare settore della vita reale.» «Io leggo solo romanzi gialli» «La lettura di un poliziesco è un fatto paradossale, in quanto comporta un rovesciamento della condizione che è propria, naturale ed essenziale, alla lettura. La condizione psicologica di un lettore di gialli è più quella di uno spettatore cinematografico che di un lettore vero e proprio: e come nel cinema lo spettatore si identifica con un personaggio - generalmente col protagonista, con l'eroe positivo - e così vive la vicenda dal di dentro, affidandosi all'onda emotiva di una "meditazione senza distacco, come nei sogni", nel romanzo poliziesco il lettore si identifica col personaggio di "spalla"; cioè accetta a priori, per pregiudizio, un ruolo di inferiorità e passività intellettuale.» «Per fare chiarezza sui comportamenti morali, sociali, storici, individuali e collettivi, ci vuole la detection. Il romanzo di impegno civile non può che essere giallo.»
perché perché una sezione dedicata al giallo, al poliziesco, in un sito rosso, comunista, lo hanno spiegato in vario modo le citazioni riportate sopra; e più semplicemente, aggiungiamo: invece di una riunione, una poltrona (magari un'amaca) e un giallo... Se poi volete proprio approfondire, ecco alcuni spunti eruditi assai:
Per cominciare, devo confessare che amo leggere i romanzi polizieschi. Per molto tempo ho pensato che essi fossero un semplice divertissement, un'evasione: quando se ne legge uno non si pensa a nient'altro; poi, appena terminato, non ci si pensa più. Ma questo mio breve saggio costituisce la prova che un simile modo di considerare la questione è quantomeno incompleto. È vero che, quando si finisce un romanzo poliziesco, si smette di esserne affascinati; ma è anche vero che, personalmente, non posso fare a meno di essere attratto dall'enorme successo del romanzo poliziesco in quanto genere letterario. Gettando un colpo d'occhio sul contenuto totale della nostra esistenza, scopriremo, anche nella nostra comune coscienza, la più grande varietà di interessi e di mezzi per soddisfarli. Vi troveremo, in primo luogo, il vasto sistema dei bisogni materiali, alla cui soddisfazione lavorano numerose industrie, nonché il commercio, la navigazione e le arti tecniche; al di sopra si trova il mondo delle leggi, del diritto, la vita familiare, le classi sociali, tutto l'immenso dominio dello Stato; viene poi il bisogno religioso che esiste nell'animo di ognuno e riceve la propria soddisfazione nella vita della Chiesa; e troveremo, in ultimo luogo, l'attività, dalle ramificazioni multiple e interagenti, della scienza, nell'insieme del sapere e delle conoscenze. All'interno di queste sfere si svolge anche l'attività artistica, nata dall'interesse per la bellezza le cui realizzazioni procurano una soddisfazione spirituale. La questione che allora si pone riguarda il fatto di sapere a quale necessità interna risponda questo interesse per la bellezza, questo bisogno d'arte, in rapporto a tutti gli altri dominii della vita e del mondo. A tutta prima, potremmo pensare che il semplice fatto dell'esistenza di tutte queste sfere debba bastarci e che ogni domanda che vada al di là sia superflua o oziosa. Ma la scienza esige che noi ricerchiamo i loro rapporti essenziali e intimi e le loro reciproche connessioni.Ebbene, io non sono dunque nient'altro che una vittima dell'ideologia borghese, risucchiato in un vortice come milioni di altri infelici, tutto teso a costruire una complicata razionalizzazione per soddisfare un semplice vizio idiosincratico? La mia esperienza personale, nonché la mia incapacità di sentirmi minimamente in colpa per essermi concesso un piacere su cui gravano gli strali e i divieti dei farisei (perché anche la rivoluzione, come la religione, ha i suoi Tartufi) mi hanno condotto a intraprendere delle ricerche sull'enigma più difficile e complesso della teoria sociale: come interagiscono le leggi della psicologia individuale con le grandi linee dell'ideologia e dell'evoluzione sociale considerate nel loro complesso? Occupandomi della storia sociale del romanzo poliziesco più sotto il profilo sociale che letterario, ne ho deliberatamente ignorato una dimensione importante: la personalità, il carattere e la vita della maggior parte degli autori. Sono semplicemente troppi. D'altra parte, considerare allo stesso tempo l' "offerta" e la "domanda" di romanzo poliziesco avrebbe reso irrealizzabile la mia indagine. Solo in qualche caso mi sono allontanato da questa linea, e allora ho tenuto conto della psicologia degli autori. Ma esiste un'altra ragione che giustifica il fatto di aver trascurato l'itinerario psicologico degli scrittori. In larga misura, il genere in questione appartiene a quella parte della produzione letteraria che i tedeschi chiamano Trivialliteratur e che comporta una notevole proporzione di "scrittura automatica", in cui gli autori compongono, scompongono e ricompongono come alla catena di montaggio gli schemi degli intrecci e i personaggi. In simili casi, la personalità degli autori è interessante solo in quanto li rende capaci e desiderosi di scrivere in quella maniera. A quanti ritengono che un marxista perda il proprio tempo ad analizzare romanzi polizieschi, non posso che rispondere: il materialismo storico può - e deve - essere applicato a tutti i fenomeni sociali. Nessuno di essi è per sua natura meno degno di essere studiato. La forza di questa teoria risiede proprio nella sua intenzione di spiegarli tutti. La crescente criminalizzazione della società borghese - e di ogni società fondata, anche parzialmente, sull'economia di mercato, vale a dire sulla sete di arricchimento privato - si riflette in modo evidente nella popolarità del romanzo poliziesco. È una giustificazione supplementare, quasi politica, del mio interesse per questo genere letterario. da: Ernest Mandel, Delitti per diletto. Storia sociale del romanzo poliziesco, Interno Giallo, 1990
II romanzo poliziesco, conosciuto dalla maggior parte delle persone di cultura solo come pasticcio extraletterario destinato a sopravvivere a malapena nelle biblioteche circolanti, si è conquistato a poco a poco una posizione la cui importanza ed il cui significato non possono più venire negati. da: Siegfried Kracauer, Il romanzo poliziesco, Ed. Riuniti, 1984
Perché il romanzo poliziesco viene spesso definito un genere «paraletterario»? Forse perché si regge su compromessi e indulgenze, o perché fa appello alle passioni più torbide? Considerazioni del genere, e altre che si potrebbero fare, non sono irrefutabili; molti infatti sostengono che non vi siano in letteratura generi minori, ma unicamente buoni o cattivi libri. Miller: «La qualità meno utile in campo artistico è la lucidità della coscienza. Quando si scrive, l'autore lotta per fare emergere ciò che egli stesso ignora.»Da questi testi emerge una convinzione ben precisa: il romanzo si sviluppa come un feto. Il romanziere lo porta in sé, lo nutre della sua sostanza, ma ignora, durante la gestazione, quale sarà il frutto. Niente progetti. Niente regole. L'intelletto non deve intervenire nell'oscuro travaglio della nascita. Come dice Miller: «È dannoso riflettere.» E Durrell: «Si rischia di approdare a un esercizio letterario freddo e meccanico.» Per questo - non è inutile sottolinearlo - il romanziere ha la sensazione di essere un demiurgo. È a un tempo se stesso e più di se stesso. Si guarda creare. Se molti scrittori di romanzi polizieschi rivendicano con accanimento il titolo di romanzieri, è perché vogliono valorizzarsi, stimandosi creatori. E tuttavia è evidente che uno scrittore di romanzi polizieschi non lavora affatto come un semplice romanziere. Ha bisogno di un piano, rispetta certe regole, sa in ogni momento dove è diretto. Approda allora a quell'«esercizio letterario, freddo e meccanico» di cui parla Durrell? Ecco la difficoltà. La creazione letteraria deve proprio essere inconscia? Gli scrittori sopra citati sono tutti «vitalisti». Si ricorderà in che cosa consiste il vitalismo: esso sostiene che la vita «inventa» dei composti chimici, che la scienza è incapace di riprodurre in laboratorio. Le sintesi che la vita ottiene senza sforzo, in grazia di una facoltà misteriosa, la scienza, armata di tutte le risorse fisico-chimiche, non riuscirà mai a realizzarle, anche se ne conoscesse tutti gli elementi. E ciò che è vero a livello di biologia, lo è pure a livello di letteratura. Una frase di Chateaubriand è molto più ricca delle parole che la compongono. In un personaggio di Proust c'è ben più di quanto non si rilevi analizzandolo. Questo quid in più emerge, probabilmente dall'inconscio. È pura intuizione, pura «ispirazione». Eppure sono molti gli scienziati che rifiutano la spiegazione vitalista e sostengono che la vita non può essere altro che un felice accordo di atomi e di molecole, così come sono sempre più numerosi i criteri che cercano di forzare il mistero della creazione letteraria e di fondare, per così dire, la chimica del romanzo. Il loro antenato più illustre, l'uomo che ha voluto dimostrare come l'invenzione letteraria, anziché sfuggire alla nostra presa, è solo il risultato di processi coscienti e perfettamente individuabili, è Edgar Poe. Poe è stato, in letteratura, l'artefice di una rivoluzione identica a quella di Cartesio in filosofia. Cartesio aveva dimostrato che il pensiero, passando da un'idea chiara e distinta a un'altra idea chiara e distinta, era in grado di stabilire l'esistenza di Dio e di spiegare tutti i fenomeni della natura, eliminando così ogni residuo irrazionale dal processo conoscitivo. Poe, a sua volta, analizza la genesi della poesia e dimostra chiaramente che l'ispirazione è un prodotto di sintesi, i cui vari elementi sono il risultato non solo di una scoperta razionale, ma anche di una deduzione logica. E se il tutto sembra più ricco della somma delle sue parti, è semplicemente perché un tutto strutturato trasforma i propri elementi costitutivi in «dati caratteristici» e appare come un'«essenza» ricca di possibilità. Come si ha «integrazione» si ha anche significazione globale e poesia. Ma ascoltiamo Edgar Poe: «Molti scrittori (...) preferiscono far credere che compongono con una specie di sottile frenesia o estatica intuizione, e certo rabbrividirebbero se dovessero consentire al pubblico di dare un'occhiata dietro la scena (...) e vedere le ruote e i rocchetti, i paranchi per i cambiamenti di scena, le scale e le trappole (...) tutto l'equipaggiamento che novantanove volte su cento costituisce la prassi comune dell'histrio letterario (...). Per quanto mi riguarda non (...) ho la minima difficoltà a ricordare il progressivo svolgimento delle mie composizioni (...). Scelgo The Raven (...). Mi propongo di dimostrare che nessuna parte dell'opera è frutto del caso o dell'intuizione e che il lavoro è progredito passo passo verso la conclusione con la precisione e la rigida conseguenza di un problema matematico.» (3) Poe dimostra così che ogni parola di The Raven è stata scelta in base a ragioni ben precise e tutta la poesia è stata costruita partendo da considerazioni sulla necessità di produrre effetti ben determinati. Ora, ciò che è vero per la poesia, lo è ugualmente per il romanzo. Il metodo è identico nei due casi. «Solo tenendo sempre presente il dénouement si può dare a un intreccio il necessario aspetto di coerenza o connessione causale.» (4) In altri termini, la storia deve essere scritta a rovescio, partendo dalla fine per immaginare via via gli episodi intermedi. «Posso dire che la mia poesia abbia avuto inizio dalla fine, dove ogni opera d'arte dovrebbe cominciare.» (5) Così Poe inventa il romanzo poliziesco. C'è indubbiamente una parte di «bluff» in questo modo di concepire l'invenzione letteraria, e si può scommettere che la genesi di The Raven è stata concepita a cose fatte. L'importante, tuttavia, è che Poe sia stato creduto, che la sua spiegazione arrivasse in un momento in cui, come vedremo più avanti, sembrava ragionevole affrontare i misteri della natura con il giusto impiego di un metodo scientifico. Si poteva dunque, con fiducia, tentare di scrivere romanzi di nuovo genere, riprendere il controllo dell'immaginazione e obbligarla a inventare delle trame sotto il controllo costante della riflessione. Si poteva, in qualche modo, innestare su di essa la logica. A ben considerare, si trattò di una rivoluzione notevole. C'era dunque la possibilità di raggiungere la concretezza della vita, partendo da una rigorosa consequenzialità della riflessione? I personaggi, le loro azioni, i loro sentimenti... si sarebbero potuti smontare e rimontare, in modo che risultasserò del tutto intelligibili senza cessare di essere reali? Proprio così. E questa fu l'ambizione del romanzo poliziesco, all'alba del XX secolo. Ben lungi dall'essere considerato un genere «minore», il romanzo poliziesco parve, al contrario, aprire una strada ancora inesplorata. Se rompeva col romanzo tradizionale, era per arricchire la letteratura al contatto della scienza, dominando l'ispirazione, addomesticandola e facendola lavorare a comando, esattamente come si cominciava a fare con l'elettricità. Per essere Balzac, per superarlo, era sufficiente «prendere la ragione per il suo giusto verso» come, più tardi, doveva dire Rouletabille! Era meraviglioso: il romanzo poliziesco è nato in un'atmosfera di stupore. È stato, per circa una trentina d'anni, il genere di romanzo preferito da una certa élite. Dorothy Sayers sottolinea: «È interessante notare come sia notevole il fascino che il genere superiore (6) del romanzo poliziesco esercita sugli intellettuali in genere, tanto scrittori che lettori.» (7) E John Carter: «Anche se la produzione del romanzo poliziesco cessasse domani, non potrebbe essere dimenticato, perché il suo successo dura da lungo tempo e in modo fecondo, avendo dato vita a un corpo di opere letterarie, che i Taine e Saintsbury del futuro non potranno passare sotto silenzio; è infatti noto che il romanzo poliziesco è la lettura preferita di uomini di stato, di professori delle nostre più antiche università: in conclusione, di tutta quella parte del pubblico intellettualmente più viva.» (8) E tuttavia non ha mai mantenuto le sue promesse. Molti critici pensavano che fosse in evoluzione. Bisogna invece dimostrare che il romanzo poliziesco non poteva conoscere evoluzione; in qualche modo, è stato prigioniero fin dal principio di una struttura complessa, le cui varie componenti si sono via via sviluppate - e da ciò l'illusione di una sua evoluzione come genere - ma la cui natura profonda è sempre rimasta immutata. Il romanzo poliziesco non è stato mai né veramente scientifico, né veramente romanzesco. È stato ed è un'altra cosa, che né Edgar Poe né i suoi epigoni avevano previsto e che io chiamo una «macchina da leggere.» Per spiegare il funzionamento di questa strana macchina dovrò, però, svolgere una ricerca piuttosto ampia, talvolta con un taglio forse troppo accademico, di cui chiedo anticipatamente scusa. Non è facile trattare seriamente di un argomento, tutto sommato, frivolo: si rischia fatalmente di passare dalla pedanteria al sottinteso, e viceversa. Se tuttavia, come spero, questa ricerca consentirà di comprendere meglio che cosa sia una letteratura «di consumo», allora merita, secondo me, di essere intrapresa. Ho preso in esame soltanto i classici inglesi e americani: Freeman, E. Queen, D. Carr, Chesterton ecc. Sono loro gli ispiratori della letteratura poliziesca nel suo insieme, inoltre hanno scritto opere molto tipiche. Per definire il genere del romanzo poliziesco, non è affatto necessario farne la storia: qualche sondaggio al momento buono sarà sufficiente a fornire le informazioni necessarie. (1) G. Leroux, Le mystère de la chambre jaune, 1905 (Il mistero della camera gialla, Milano 1967). (2) Th. Narcejac, Esthétique du roman policier, Paris 1947; R. Caillois, Le roman policier, Paris 1964. (3) E. A. Poe, The Philosophy of Composition (Filosofìa della composizione, in Opere Scelte, Mondadori, 1971). (4) ibid. (5) ibid. (6) II tipo inferiore sarebbe il thriller. (7) D. Sayers, The Omnibus of Crime, New York 1929. (8) H. Haycraft, The Art of the Mystery Story, New York 1946. da: T. Narcejac, Il romanzo poliziesco, Garzanti, 1976 un ringraziamento speciale a: Oreste Del Buono - Lia Volpatti, Il dizionario dei detectives, Mondadori, 1980 |