Ralph Harper

Il mondo del thriller. Il lettore: il suo mondo segreto

Correlativi soggettivi

Forse più di ogni altro genere il thriller riguarda noi stessi. Noi leggiamo di uomini in crisi, e li seguiamo mentre affrontano il pericolo e giungono infine in un luogo di salvezza e di conoscenza di sé. Le loro storie sono raccontate in modo oggettivo come la narrativa sa fare. I loro mondi sono autonomi ed espliciti. Conosciamo il loro ambiente ed in breve tempo arriviamo a conoscere questi stessi eroi in crisi. Talvolta essi cambiano davanti ai nostri occhi. Scoprono di se stessi cose che non sapevano prima. Talvolta ci da conforto la loro stabilità ed attendibilità. «Tu sei una roccia».
Possiamo credere di leggere di altra gente, ma di fatto stiamo leggendo di noi stessi.

Mentre leggiamo, possiamo imparare molte cose che avevamo accettato per scontate, come i volti e il comportamento degli eroi. Non avevamo sospettato che delle persone così grigie, irriflessive o così prive di comunicativa potessero essere così interessanti, eroiche, se lasciate sole. Pensavamo di sapere tutto ciò che si deve sapere sulle crisi - crisi mondiali, nazionali, emotive, religiose. Ma non ci eravamo mai trovati in una crisi in cui venisse espresso tutto ciò che siamo e che abbiamo. Non avevamo sperimentato quella concentrazione di pericolo, isolamento e tensione, destino dell'uomo in fuga. Pensavamo di sapere cosa significasse voler scappare dalla noia, ma non avevamo scoperto ancora che scappare da qualcosa spesso serve solo a nascondere un viaggio verso qualcos'altro. La verità è che non avevamo compreso a pieno che dietro il soggetto delle storie che leggiamo ci sono i correlativi di noi stessi. Essi sono soggetti non ancora oggettivi. Si nascondono, in silenzio ed in segreto, nel nostro manifesto interesse per la narrativa.

Avventure segrete

II soggetto immaginario del thriller differisce dagli eroi di altre avventure non solo perché è cacciatore e cacciato, ma per un mutamento di identità che «deve» verificarsi, quando decide di affrontare il male da solo senza aiuto. Chiamiamo questo genere di avventura ineguimento, ma dovremmo anche definirlo una avventura segreta. Il piacere che il lettore di thriller prova nel seguire questa avventura, è rivolto alla segretezza ancor più che alla crisi ed agli sforzi dell'eroe per vincere. Molta gente sembra trovare la segretezza affascinante di per sé.

Un segreto è una verità nascosta. Se desideriamo conoscere qualcosa e scoprirvi noi stessi e non la conosciamo, siamo nell'atmosfera di una verità segreta tenuta nascosta. Se siamo in attesa che la verità si manifesti o aspettiamo fino a che possiamo costringerla mostrarsi, si dice che siamo in uno stato di suspense La tensione della suspense è distintiva, ma non è per sé responsabile di quel brivido particolare che a compagna il thriller. Quella reazione è la preoccupazione per il cambiamento fondamentale della personalità umana: cioè la ricostruzione della stessa identità Questa a sua volta non è un brivido provocato dall'ignoto, ma l'eccitazione causata dallo sconvolgimento della sola cosa dell'esistenza umana su cui pensiamo poter contare: l'io e la sua stabilità. Il piacere suscitato da un thriller di successo è un misto di eccitazione per la libertà e di paura e stordimento davanti alla potenziale perdita dell'io.

L'io sconvolto è solo in parte quello deIl'eroe immaginario, in un certo senso è sempre anche l'io del lettore, che ha deciso, per la durata della sua lettura, di liberarsi dell'uomo vecchio e di assumere una nuova identità. In questo modo vita segreta si unisce a vita segreta.
L'attenzione prestata ali'una viene prestata anche al'altra. Ma c'è una differenza. Non dobbiamo necessariamente mostrarci consapevoli della nostra incerta vocazione; possiamo infatti esserne del tutto inconsapevoli. È sufficiente il fatto che inconsciamente permettiamo alla mente di legarsi a storie sui mutamenti di identità di altre persone. La profondità della nostra reazione misurerà la sfida fatta indirettamente alla opinione nascosta che abbiamo noi stessi.

Falsa identità

Ogni eroe di thriller prima o poi deve nascondersi.
Se non lo fa, sarà catturato ed allora non solo avrà perso la possibilità di diventare un salvatore, ma potrà anche perdere la vita. Tutto dipenderà dall'uso che egli farà della sua identità. Questo è il vero significato della crisi nel thriller. Non la natura della tensione, o del pericolo o della violenza, non la caratteristica dell'isolamento, ma la ricerca di una nuova vita attraverso una nuova identità. Il modo del thriller non è quello del moralista: è segreto non manifesto. L'eroe impiega stratagemmi e travestimenti. Può cambiare nome, il suo aspetto fisico, la sua storia, le sue idee. Può sempre sparire completamente o nascondersi. Diventerà un nulla. Anche un agente cui è stato dato un numero invece di un nome, per nascondersi, ha solo cambiato un'identità con un'altra. Qual è quella reale? Naturalmente lo sono entrambe, ma hanno funzioni diverse. La sua vecchia identità, per quanto egli la mostri poco in pubblico, sarà una da cui non potrà mai liberarsi completamente, finché sarà egli stesso ad essere coinvolto. Egli dovrà continuamente impedirle di emergere e di smentire la nuova. Egli può assumere tutte le coperture di cui ha bisogno. Ciò significa che ogni qualvolta desideri nascondere le sue azioni e i loro fini, assumerà una identità che almeno non farà pensare ad un inganno. La migliore identità di copertura infatti è essere realmente se stessi.

Cosa significa comunque essere realmente se stessi?
Ai fini del travestimento non ha importanza. Importa che gli altri accettino l'eroe per quello che si mostra.
Possiamo essere angosciati perché non sappiamo chi e che cosa siamo, ma, finché rispondiamo all'idea che la gente ha di noi, la nostra vita interiore è irrilevante. Tuttavia la domanda è importante per noi stessi. C'è sempre il rischio di perdere contatto con una identità che è stata repressa per lungo tempo e che non è mai stata definita e stabile. Se ciò dovesse accadere, la mente demoralizzata non potrà più mantenere la falsa identità, oppure l'io cesserà di essere tale e diventerà un automa agli ordini dei suoi capi. Un agente computer non è nè impossibile nè sconosciuto. Richard Hannay non avrebbe mai potuto dubitare della sua identità. Una volta un nemico tentò di ipnotizzarlo, ma egli resistette con successo:

Dottori che si occupavano di ipnotismo mi hanno ripetuto più volte che io ero il soggetto più difficile in cui si fossero mai imbattuti. Uno di loro una volta mi disse che ero rigido come una montagna inamovibile. Devo supporre che lo strato di roccia intrattabile della banalità, in me, incontrava allora quel fluido che cercava di dominarmi e lo respingeva. Mi sentivo terribilmente indifeso, la voce non era la mia, i miei occhi erano tormentati e mi dolevano, ma avevo recuperato le mie facoltà. 1

L'agente inglese di Pratica Ipcress non potè neppure essere indotto a pensare di essere stato trasportato in volo in Ungheria, mentre tutto il tempo veniva tenuto prigioniero in Inghilterra. La falsa identità è volta a proteggere l'io o a fuorviare qualcun altro. Qualcun altro può anche cancellare l'io fondamentale da cui dipende la nostra capacità di distinguere la realtà dall'apparenza.
Anche se non sempre riconosciamo l'importanza di questo io, quelli che vogliono servirsi di noi lo sanno. Per alcuni il tentativo di sopraffarli è sufficiente a far sì che essi si prendano sul serio per la prima volta.
In un thriller un uomo deve nascondersi per molte ragioni: per tenersi fuori dai guai, fino a che decida di raccogliere la sfida; per sfuggire ai guai, finché questi non siano diventati il suo mestiere; per distogliere l'attenzione da se stesso; per dare alla crisi la possibilità di placarsi; per distogliere l'attenzione da quelli più importanti di se stesso, quando egli stesso sia messo alle strette. Ci sono due scelte molto diverse: dileguarsi o muoversi tra i propri nemici con una identità diversa.
Richard Hannay nei Thirty-nine Steps [I trentanove scalini, di J. Buchan] cerca di nascondersi travestendosi non una, ma molte volte e lasciando Londra in treno per la Scozia. Quando egli viene scoperto mentre attraversa le brughiere, comprende che deve continuare a fuggire, ad assumere nomi, abiti ed occupazioni diverse. Egli scappa, ma solo per essere ingannato di nuovo dal talento superiore del suo avversario nell'assumere anch'egli nuove identità. Se il dilettante è sconfitto dal professionista nel gioco dei travestimenti, il detective inesperto, incredibilmente, dimostra di essere più competente della spia veterana.
Non importa la verosimiglianza; ciò che conta è la virtù, la stabilità e l'onestà dell'io fondamentale. Questa è una visione confortante e nello stesso tempo una copertura che cela la dura realtà della vita

L'io nascosto

Ci sono anche degli esseri umani che, falliti nella vita, gradualmente scompaiono, si spengono e sono dimenticati anche se continuano a vivere. Il dottor Dick Diver in Tenera è la notte di F. Scott Fitzgeraid, è un caso patetico, calzante. Ci sono altri che, stanchi dei conflitti e delle tensioni dell'esistenza, alla fine preferiscono liberarsi delle responsabilità e della conseguente tensione e preoccupazione. Ci sono persone (come Stiller di Max Frish) a cui piacerebbe potersi sbarazzare completamente del passato e cominciare una nuova vita con una identità non soggetta alle definizioni degli altri.
Essi userebbero un nome diverso e un passato falso per liberarsi della ricerca di un nuovo centro e di una nuova identità. Poi, naturalmente, ci sono le comuni spie ed agenti che hanno perso ogni contatto con la legge e le convenzioni sociali, perché si sono fatti trascinare in una situazione che sembra essere contro di loro. È stata così imposta ad essi una identità nuova e, dal loro punto di vista, anche falsa. L'isolamento li priva crudelmente anche del conforto segreto di sapere che il loro vero io è approvato dagli appartenenti al mondo precedente.

Al centro del loro isolamento questa gente sperimenta le emozioni della segretezza, dell'essere al di fuori della legge e di ogni attesa. Essi devono stare sempre in guardia contro la scoperta del loro inganno, perché anche una identità di copertura, volta a proteggere, deve farlo con l'inganno. Bilanciando ciò che ricordano di se stessi e ciò che hanno finto, presto imparano a conoscere una tensione diversa da quella sperimentata fino ad allora. Infatti sempre il ritorno alla realtà si alterna con lo sforzo di portare a termine con successo la loro missione; la tensione e, alla fine, la fatica, diventano così deprimenti e croniche che si avvicinano al punto di rottura. A questo punto sopraggiunge una paralisi o una scissione o una vertigine nauseante. Eppure, quano la tensione è nuova, è gradita come segno di una nuova integrazione della personalità. Tutti i sistemi funzionano a tutto gas.
La dialettica della tensione spiega la ambiguità della identità di copertura. Quando questa si assottiglia e diventa suscettibile di essere scoperta, si perde la precedente eccitazione, che non si riacquisterà più. Non vi riusciranno neppure i professionisti che sanno in ogni momento cosa attendersi. Il dilettante invece prova una eccitazione che va oltre l'accrescersi della sensibilità e della consapevolezza, cioè il piacere che si può provare sull'orlo dell'inatteso. Quando l'imprevisto è al di fuori della legge, il fatto che esso sia in completo contrasto con la vita normale determina un piacere dolce e strano.
Per alcuni la causa può anche essere un desiderio represso, nascosto, di salvare il male. Per altri sarà suffciente considerare l'imprevisto semplicemente come sintomo di una perduta libertà di azione.

I thrillers danno delle facili lezioni a coloro che hanno qualcosa da nascondere. L'abuso che se ne può fare è ben lontano dall'intenzione dello scrittore, che apparentemente si preoccupa della protezione di un buon cittadino e di una buona società. Il fine sembra giustificare sempre questi mezzi ed il problema che sorge non riguarda la loro disonestà. Presentati come modi di autoscoperta essi sembrano adatti a quel fine, sia che intendano proteggere il bene dal male sia il male stesso.
Pochi rivelano ad altri ciò che sanno di se stessi. Anche se la loro segretezza può esasperare ed insultare altra gente, essi hanno il diritto di rivelare di sé solo quanto desiderano. Noi li giudichiamo inoffensivi, se ostili, fino a che, non cercano di colpirci o di celarci qualcosa che ci appartiene di diritto. Alcuni non vogliono nascondersi, ma non conoscono se stessi quanto coloro che li circondano. Eppure noi li accusiamo solo di cecità.

Le regole dell'inganno

Solo quando le regole per mantenere la falsa identità (cioè l'inganno) appaiono chiare, la coscienza da profondi rimorsi. Ashenden era un dilettante, ma imparò subito. «II principio di Ashenden... era di dire quanto della verità gli conveniva.» 2
Per coloro che vogliono dai loro simili tutta la verità e nient'altro che la verità, questa massima di comportamento non è molto soddisfacente. C'è qualcosa di spregevole che disturba, nel concetto di convenienza. Esso suggerisce la possibilità di un conflitto di interessi tra noi e coloro che sembrano dirci la verità ma di fatto non lo fanno Dubitiamo che la verità sia tale se non è completa. Purtroppo è vera come può esserlo la verità. La verità infatti è sempre incompleta, sia di proposito che per mancanza di conoscenza. Il principio di Ashenden ha delle variazioni che lo rendono facilmente adattabile a quasi tutte le situazioni che richiedono simulazione. Potremmo definirlo il principio della falsa traccia.
In questo modo viene rispettata la correttezza del comportamento. Se molto di quanto viene mostrato o detto è vero, c'è però una minima parte che non solo è falsa, ma viene ostentata di proposito perché ognuno la veda. Sono sempre presenti tutte le possibilità. Gli estranei sospettosi devono solo intravedere la inevitabile sproporzione tra verità e falsità. Consideriamo la variazione personale di Ashenden a questo: «Era strano... come riuscisse a combinare una vera emozione con una falsa realtà.» 3 Con certa gente ed in certe situazioni, è importante ed evidente solo l'emozione dell'uomo, non le parole che l'accompagnano. Se qualcuno sembra sincero, specie se è stato onesto con noi per il passato, siamo propensi a credergli e a non cercare contraddizioni nel comportamento. In genere giudichiamo l'uomo, non le sue parole o le sue azioni L'uomo talvolta cambia, ed allora solo le sue parole e le sue azioni ci definiscono la sua nuova personalità.
Leamas (Ipcress) viene utilizzato per nascondere le vere intenzioni del suo capo, ma l'ironia di questa situazione non scalfisce il principio usato contro di lui e che egli incarnò così bene: «Le caratteristiche che mostrava a Fiedier, l'irrequieta incertezza, l'arroganza protettiva che nascondevano la vergogna, non erano approssimazioni, ma estensioni delle caratteristiche che possedeva in realtà.» 4 Questo non è l'equilibrio creato da Ashenden tra sincerità e falsità, ma il forgiare una nuova personalità che si costruisce su alcune forze e debolezze deil'io fondamentale. Ecco perché diciamo che, mentre viene costruito un nuovo io, «la copertura non deve mai essere inventata, deve sempre essere un'estensione della verità» 5 L'identità di copertura è la struttura del nuovo uomo, e la differenza tra il vecchio ed il nuovo è qualitativa.

Ci sono altre variazioni. Una storia falsa può essere convincente se dice la verità su molte cose che sono ovvie, ma non su quelle che riguardano il nuovo corso.
Attraverso la menzogna o l'uccisione, l'identità di copertura si mantiene intatta. Oppure si può ammettere tutto, ma con una interpretazione che distoglie l'attenzione da una nuova direzione compromettente. Una cosa è necessaria soprattutto, vivere la parte come se fosse l'unica. «C'era un'altra massima di Peter che mi aveva aiutato quando ero commesso viaggiatore. Se stai recitando una parte, non riuscirai mai a reggerla, se non ti convinci di essere quel personaggio.» 6 Forse sulla scena questa massima può produrre una impressione di realtà e di immediatezza che uno associa solo ai grandi attori. Il danno che si causa al meccanismo emotivo dell'attore è incalcolabile. Quando lo spettacolo è finito, l'azione può continuare. Dopo aver recitato molti ruoli, la personalità diventa così frantumata (Persona di Ingmar Bergman) che non sembra valga più la pena essere una persona. Riguardo ali'uomo in fuga che ha bisogno di una copertura, egli può imparare a recitare bene un ruolo e sarà smascherato se incontrerà qualcuno appartenente al suo mondo precedente. «Come era diffìcile non sbagliare mai! Ashenden doveva stare sempre in guardia.» 7 Stare in guardia è proprio ciò che non si può fare, se l'io fondamentale è immerso nella parte. Fare ciò significa dimenticare la divisione naturale, consapevole, tra l'uno e l'altro io. Poiché ciò è naturale, è quasi impossibile stare in guardia, almeno per lungo tempo. Prima o poi subentrano la fatica o lo shock, e tutto può andare perduto in un attimo di esitazione. Nessuno è realmente al di sopra ogni sospetto.

La scoperta della falsa identità

Mentre l'attore o l'agente non comprendono l'instabilità del loro ruolo, il lettore di un thriller - e ancor più lo spettatore teatrale - sono sempre consapevoli dei rischi. L'agente può essere smascherato. Cadrà in errore. Diventerà timoroso e si porrà in disparte. Il lettore aspetta ciò che praticamente è l'inevitabile. Egli sa che in questo caso lo scrittore in genere vuole sottoporre l'eroe ad un altro pericolo, un'ultima trappola, per dimostrare la sua abilità nel presentarlo. Ma lo scrittore può avere anche una motivazione più nobile. Può rispettare i rischi che comporta mantenere l'identità di copertura e sentire di dover spiegare la sua idea del probabile così da non essere deriso come creatore di fantasticherie. È irreale permettere a qualcuno di conservare la falsa identità, ma lo è ancor più mostrarlo mentre sfugge ad una trappola una volta che quella è stata scoperta. A meno che uno scrittore sia preparato a scrivere una tragedia, prima o poi egli dovrà comunque liberare il suo eroe dal disastro.

Quando le circostanze lo permettono o gli attori desiderano mostrare la loro versatilità, talvolta accade che un uomo si scopra a recitare più di un ruolo per volta.
Nel mondo dello spionaggio un uomo simile è un doppio agente. Egli serve entrambe le parti; ognuna pensa che serva solo lei; in quel caso egli è neutrale, non essendo leale verso nessuno ma solo verso se stesso. Nella maggior parte dei casi il doppio agente è fedele ad una fazione e finge di essere fedele all'altra per ostacolarla o per carpirle importanti segreti. Anche se i doppi agenti sanno cosa stanno facendo, l'imbrogliarsi dei ruoli, che è una costante delle loro vite, produce una tensione così forte, che «è solo questione di tempo: prima o poi perdono il controllo della situazione. Cominciano ad affondare in un mare di confusione.» 8
Anche se possono essere tentati a scappar via, se hanno un po' di buon senso sapranno che «non è bene scappare. Lo sanno e continuano a ripeterselo ogni giorno.» 9
Non c'è un luogo dove scappare.
Dovunque fugga l'uomo braccato, è sempre possibile che qualcuno lo trovi. Non ha neanche la pausa dopo la rappresentazione che l'attore può aspettare con impazienza, a meno che non si sia abbandonato completamente al suo ruolo. La spia, quando è sola, non si trova certo in una situazione migliore rispetto a quando è tra la gente. La solitudine è il suo momento più pericoloso.

Un uomo che vive in disparte, non per gli altri, solo, è esposto ad ovvi pericoli psicologici. In se stessa, la pratica dell'inganno non è particolarmente faticosa; si tratta di esperienza, di abilità professionale, di un'abilità che la maggior parte di noi può acquistare facilmente. Ma mentre un truffatore, un attore o un giocatore possono tornare dopo lo spettacolo nelle file degli ammiratori di loro stessi, l'agente segreto non può godere di questo sollievo. Per lui l'inganno è prima di tutto questione di legittima difesa. Deve proteggersi non soltanto dall'esterno, ma anche dall'interno e contro gli impulsi più naturali. 10

Egli deve temprarsi soprattutto contro «la frattura sotto quella superficie limpida.» 11 Lo slittamento esterno indica che si è verifìcata una frattura all'interno, che solo raramente si può riparare. Se l'errore non viene notato, non tutto è perduto. Se invece viene notato e sembra inevitabile il momento della cattura, solo i più coraggiosi continueranno a stare al gioco. Il resto crolla, viso e corpo, tutto. Quando il falso ruolo viene smascherato, apparirà il vero uomo se è ancora dentro, ma nudo, vulnerabile. Avendo riposto la sua fiducia nel suo ruolo e nella sua capacità di sostenerlo, avendo dedicato la sua vita alla sua missione, egli scopre che il fallimento può annientare la fiducia che egli ha in se stesso. Tutto è perduto. È veramente tutto perduto?
Trarrà un certo sollievo dal suo ritorno dalla terra delle menzogne al luogo della verità?

Il peso morale

Le avventure del thriller sono in effetti avventure nella menzogna.
In Lo specchio delle spie c'è un passo in cui un ambizioso funzionario dello spionaggio fa menzione al sottosegretario del suo ministero della sua necessità di una storia di copertura per una operazione che si prefigge. Quest'ultimo replica: «Storia di copertura? Ah sì, una bugia». Ed il narratore aggiunge: «Era un ecclesiastico e non amava le irregolarità.»12 Ad alcuni piace la cospirazione in sé, il «Grande Gioco».
Altri, d'animo più nobile, sono contenti che venga data loro l'opportunità di servire il proprio paese. Copertura significa menzogna, inganno, fuorviare deliberatamente, evitare, falsificare la verità. Di fatto, per essere un bravo agente, un uomo non deve limitarsi solo a mentire, ma deve vivere la sua menzogna, mirando ad una alleanza che egli non sempre sente, fingendo di essere qualcuno che non è. Per alcuni questo comporta un peso morale che non sempre sanno abituarsi a portare.

Per altri i problemi sono del tutto diversi. Il più comune è il rischio che essi corrono, quanto più mentono e fingono, di invischiarsi nella loro stessa menzogna così che non solo essi commettono errori, ma perdono contatto con ciò che è vero e reale. «Dannazione, signora», egli esplose «Non ha nessun intuito per ciò che è vero o falso?» 13 Quando tutto diventa una menzogna, non resta niente che si possa usare come criterio di verità. Lo stesso bugiardo può essere tratto in inganno dalle sue bugie. Lo stesso accadrà all'uomo che ha insegnato agli altri a mentire: «Imparano a imbrogliare, a cancellare le proprie tracce e imbrogliano anche te.» 14 La rete dello spionaggio è diventata una rete di bugie in cui lo stesso capo diventa schiavo dei suoi schiavi. Nulla ci si può aspettare in questo mondo se non la tragedia, perché prima o poi i disonesti si servono degli onesti, i peggiori dei migliori. Solo gli spettatori ed i lettori hanno la possibilità di fuggire serbando intatta la loro onestà. E possono averla scampata per un pelo.

Il lettore, che a questo punto sente di imparare una dura lezione dai thrillers, può chiedersi se valga la pena correre i rischi dei loro eroi. Le eccezioni confermano solo la regola, per cui sarebbe imprudente consigliare una falsa identità per vivere bene. Moltissimi, sedicenti avventurieri verrebbero strumentalizzati o catturati e, se scappassero da un male esterno, correrebbero il rischio di restare invischiati nei loro stessi inganni professionali. A meno che riescano a sopportare gli scrupoli morali che derivano loro dalla precedente esistenza ben ordinata e tranquilla, saranno costretti dalla logica del pericolo ad accettare la massima: «Tutto è lecito, nello spionaggio, nell'amore e nella guerra». La necessità fa nascere nuove virtù o semplicemente attutisce il rimorso della coscienza.
Il lettore di thrillers in ogni caso è nella stessa posizione di Gige, il pastore lidio di cui Platone descrisse la fortuna nella Repubblica. Un giorno egli scoprì un morto con un anello d'oro in un dito. Infilò l'anello e, quando per caso girò la gemma verso l'interno, scoprì di essere invisibile ai suoi compagni. Allora Platone si chiede che cosa accadrebbe, se ognuno di noi avesse un anello simile, e la sua risposta è:

In genere si crede che nessuno avrebbe una volontà così ferrea da tener duro nell'agire bene o nel tenersi lontano dalle cose altrui, quando potrebbe recarsi al mercato e servirsi senza timore di tutto ciò che vuole; entrare nelle case e dormire con qualsiasi donna abbia scelto, liberare i prigionieri ed uccidere la gente a suo piacimento e, in una parola, girare tra gli uomini con i poteri di un Dio. 15

È probabile che uomini diversi vorrebbero cose diverse e che alcuni farebbero del male agli altri ed altri si rifiuterebbero. Molto di ciò che vorremmo è proibito. Eppure ciò non significa che vorremmo fare ciò che è illecito per infrangere la legge o per fare il male. Nella maggior parte dei casi vorremmo fare semplicemente qualcosa che avevamo già desiderato in passato ma che non ci era stato possibile realizzare. Saremmo attratti da particolari esperienze e dalla loro novità. Allo stesso modo i lettori di thrillers sono interessati all'esperienza sostitutiva principalmente perché è nuova per loro, non perché possa essere illecita. Solo quando un lettore scopre di gustare l'elemento sadico invece di esserne inorridito, dovrebbe preoccuparsi della moralità della sua lettura.

II vero io

Ci sono moltissime occasioni, durante la lettura di un thriller, in cui posso chiedermi chi sono. Il torturatore o la vittima? La risposta a volte emerge più lenta ed incerta di quanto ci aspetteremmo. Sono io l'eroe ed in quale momento della sua vita? Prima che gli accada qualcosa, quando lo abbiamo appena incontrato ed egli si aggira ancora liberamente nel mondo a cui entrambi siamo abituati? O quando nel mezzo della crisi io condivido in parte la sua tensione ed il suo terrore? O infine quando ha vinto contro tutti i tentativi di annientarlo? Possiamo continuare a fingere di essere come lui anche qui? Sia la libertà sia la redenzione sono sullo stesso piano della resistenza? Crediamo realmente in tutto ciò oppure ci limitiamo a desiderarlo? Pensiamo veramente che la vita è così difficile, che le crisi dei thrillers rappresentano la nostra risposta ad essa?
Qui non c'è una risposta finale. Se nessuno mi conosce, neppure io conosco me stesso.

Una risoluzione facile sarebbe dire che il thriller è un modo che l'uomo ha per esprimere i suoi tumulti interiori, i suoi desideri ed i suoi timori. Il lettore dovrà scoprire per se stesso il significato del suo sconforto e disagio da un lato, del suo piacere dall'altro, ed anche il rapporto tra distacco e partecipazione emotiva.
Naturalmente il thriller spesso spazza via i vincoli della nostra coscienza e ci ricorda esperienze che ci sono state negate. Allo stesso modo il thriller ci ricorda che le nostre vite in genere non sono avvolte in una sfera di emozioni, il cui chiarimento potrebbe risolvere i maggiori problemi del mondo. Più di ogni altro genere, il thriller ci invita a manifestare i disordinati contenuti del nostro subconscio insieme con gli atteggiamenti riconosciuti, e a decidere quali vogliamo prendere seriamente.

Ognuno ha un suo mondo nascosto: la silenziosa ed incessante voce della coscienza, per non parlare poi delle stesse e dei ricordi particolari, delle speranze e dei desideri, delle inibizioni e delle abitudini. Noi conosciamo noi stessi e siamo conosciuti attraverso queste cose. In genere ci rifiutiamo di far conoscere alla maggior parte delle persone che incontriamo ciò di cui siamo consapevoli. Alcuni, come Dashiell Hammett, non vogliono dividere con nessuno ciò che conoscono di se stessi; la maggior parte della gente al contrario è più che disposta a farsi conoscere da qualcun altro. L'ironia sta nel fatto che tutti noi sappiamo meno di quanto pensiamo e spesso conosciamo le cose meno importanti.
Siamo coperti dall'ignoranza come pure dalla presunzione e non sempre accettiamo ciò che sappiamo o temiamo di sapere. Così talvolta accade che un uomo o una donna siano scossi dalla coscienza di aver vissuto con qualcuno, se stessi, che in realtà non conoscono affatto.

«Come può una persona dimostrare chi è realmente? Non lo so. So io stesso chi sono? Quella è la scoperta terrificante che ho fatto durante la mia prigionia: non ho parole per la mia realtà.» 16

Questa esperienza dell'io come vuoto, senza nome, senza timore, è ciò che spinge molta gente a leggere thrillers. In quella lettura sarà data loro un'altra possibilità, molto particolare, di scegliere se stessi. «È - come ha detto Kierkegaard - tanto difficile scegliersi, perché in questa scelta l'isolamento assoluto è identico alla più profonda continuità.» 17 Dobbiamo essere sicuri della continuità, se vogliamo sopportare l'isolamento.

Non dovremmo condannare coloro che non hanno il gusto dell'avventura. Essi non sono irragionevoli.
L'avventura infatti, quanto più è libera ed aperta, tanto meno può evitare le situazioni di crisi. L'eccitazione è trasformata in tensione e paura e la simpatia per il mondo intero in isolamento. L'avventura ideale è quella in cui due persone si imbattono insieme nella crisi o due si incontrano per la prima volta. «Erano passati da una cospirazione ad un'altra ancora; ciò li aveva portati a contatto con gente intrappolata insieme sotto terra o in un ascensore tra i piani.» 18
La maggior parte delle crisi sono risolte meglio da due persone che da una sola, a meno che una sia debole ed imprudente. Escludendo ciò che è ovvio, possiamo anche pensare all'affiatamento di una persona con un'altra, che giunge come una scoperta miracolosa al centro dell'avventura e che da sola giustifica il tormento. Un lettore, anche quando il suo thriller non gli mostra il nuovo rapporto che si stabilisce tra due persone, prova la soddisfazione di sentirsi tutt'uno con se stesso mentre identifica la sua vita con quella dell'eroe. La poesia di S. Giovanni della Croce [Juan de la Cruz], La notte oscura dell'anima, è stata presa come simbolo di altri tipi di esperienza sconosciuti al santo. Ma le sue parole suggeriscono una analogia: «come una scura notte, illuminata dal fuoco dei desideri d'amore», il lettore si abbandona alla sua lettura ed esce dal mondo dell'io riconosciuto, visto solo da se stesso e senz'altra guida della luce che arde nel suo cuore.

Non abbiamo un rapporto più stretto e segreto con noi stessi di questo viaggio attraverso la narrativa thriller, dall'alto della rispettabilità e della perfezione giù nella valle della violenza e della fuga e poi, forse, di nuovo in alto verso la liberazione e la capacità di penetrazione.
La capacità di penetrazione non riguarda mai solo gli altri, anzi talvolta non li riguarda affatto, ma getta piuttosto i suoi raggi penetranti su tutta la lostra esistenza, rivelando le vere linee ed i colori di ciò che credevamo di sapere, e focalizzando forme ed ombre di una sostanza che non abbiamo mai osato possedere. A parte l'elemento sensazionale e appariscente, solo qui nel thriller, più che in ogni altra parte della nostra vita intellettuale, ci abbandoniamo a ciò che siamo realmente.


Note

1 BUCHAN, The Three Hostages, p. 930.

2 MAUGHAM, Ashenden l'inglese.

3 Ibid.

4 LE CARRÉ, La spia che venne dal freddo, p. 176.

5 LE CARRÉ, Lo specchio delle spie, p. 201.

6 BUCHAN, The Thirty-Nine Steps, p. 158.

7 Ashenden l'inglese.

8 LEN DEIGHTON, Funerale a Berlino (Milano: Garzanti, 1976), p. 17.

9 FRISCH, I'm Not Stiller, p. 50.

10 LE CARRÉ, La spia che venne dal freddo.

11. WEST, La notte è fatta per ascoltare.

12 Pp. 110-111.

13 La notte è fatta per ascoltare.

14 LE CARRÉ, La spia che venne dal freddo (Milano: Longanesi).

15 PLATONE, La Repubblica, § 360.

16 I'm Not Stiller, p. 68.

17 Aut-Aut (passo usato come epigrafe in 'I'm Not Stiller).

18 WEST, La notte è fatta per ascoltare (Milano: Garzanti, 1975).

 

da: Ralph Harper, Il mondo del thriller, Guida, 1977