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Palmiro Togliatti
Il Memoriale di Yalta |
Promemoria sulle questioni del movimento operaio internazionale e della sua unità
Yalta, agosto 1964
La lettera del P.C.U.S., con
l'invito alla riunione preparatoria
della conferenza internazionale giunse a Roma pochi giorni prima
della
mia partenza. Non abbiamo quindi
avuto la possibilità di esaminarla
in una riunione collettiva della dire
zione, anche per l'assenza di molti
compagni. Abbiamo soltanto potuto
avere uno scambio rapido di idee
fra alcuni compagni della segreteria. La lettera sarà sottoposta
al Comitato Centrale del partito, che si
riunirà alla metà di settembre. Rimane intanto
fermo che noi prenderemo parte, e parte attiva, alla riunione
preparatoria. Dubbi e riserve
circa l'opportunità della conferenza
internazionale rimangono però in
noi, soprattutto perché è ormai evidente che a
questa non parteciperà un gruppo non trascurabile di partiti,
oltre quello cinese. Nella stessa riunione preparatoria ci sarà senza
dubbio offerta la possibilità di esporre e motivare le
nostre posizioni,
anche perché esse investono tutta
una serie di problemi del movimento operaio e comunista internazionale.
Di questi problemi farò un rapido cenno nel presente memoriale,
anche allo scopo di facilitare ulteriori scambi di idee con
voi, qualora questi alano possIbili.
Sul modo migliore di combattere le posizioni cinesi
Il piano che noi proponevamo per
una lotta efficace contro le errate
posizioni politiche e contro l'attività
scissionista dei comunisti
cinesi era
diverso da quello che effettivamente è stato seguito.
In sostanza il
nostro piano si fondava su questi
punti:
• non interrompere mai la polemica contro le posizioni
di principio e politiche cinesi;
• condurre questa polemica, a
differenza di ciò che fanno i cinesi,
senza esasperazioni verbali e senza
condanne generiche, su temi concreti, in modo oggettivo e persuasivo,
e sempre con un certo rispetto per l'avversario;
• in pari
tempo procedere, per
gruppi di partiti, a una serie di incontri per un esame approfondito
e
una migliore definizione dei compiti
che si pongono oggi nei differenti
settori del nostro movimento (Occidente europeo, paesi dell'America
latina, paesi del terzo mondo e loro
contatti col movimento comunista
dei paesi capitalistici, paesi di democrazia popolare, ecc.).
Questo lavoro doveva farsi tenendo presente
che dal '57 e dal '60 la situazione
in tutti questi settori è seriamente
cambiata e senza un'attenta elaborazione collettiva non è possibile
arrivare a una giusta definizione dei
compiti comuni del nostro movimento;
• solo dopo questa preparazione
che poteva occupare anche un anno o più di lavoro, avrebbe
potuto
essere esaminata la questione di una conferenza internazionale,
la quale potesse
veramente essere una nuova tappa del nostro movimento, un suo
effettivo raflorzamento su posizioni nuova e giuste.
In questo modo avremmo anche potuto meglio isolare i comunisti
cinesi, opporre loro un fronte più compatto, unito non
soltanto per l'uso
di comuni definizioni generali delle
posizioni cinesi, ma per una più proonda conoscenza dei
compiti comuni di tutto il movimento e di quelli
che concretamente si pongono in
ognuno dei suoi settori. Del resto,
una volta ben definiti i compiti e la
linea politica nostra settore per settore, si sarebbe anche potuto
rinunciare alla conferenza internazionale,
qualora ciò fosse apparso necessario per evitare una scissione
formale.
È stata seguita una linea diversa
e le conseguenze non le giudico del
tutto buone. Alcuni (forse anche
molti) partiti si attendevano una
conferenza a brevissima scadenza,
allo scopo di pronunciare un'esplicita solenne condanna, valida
per
tutto il movimento. L'attesa può anche averli disorientati.
L'attacco dei cinesi si è intanto
sviluppato ampiamente e così la loro azione per costituire
piccoli gruppi scissionistici e conquistare alle
loro posizioni qualche partito. AI loro attacco si è risposto
in generale
con una polemica ideologica e propagandistica, non con uno sviluppo
della nostra politica legato alla lotta contro le posizioni cinesi.
Alcuni atti sono statli compiuti in
quest'ultima direzione dall'Unione
Sovietica (firma del patto di Mosca
contro gli esperimenli nucleari, viaggio del compagno Khrustciov
in
Egitto, ecc.) ed essi sono stati delle vere e importanti vittorie
conseguite contro i cinesi. Il movimento
comunista degli altri paesi non è
però riuscito a far nulla di questo
genere. Per spiegarmi meglio, penso, per esempio, all'importanza
che
avrebbe avuto un incontro internazionale, convocato da alcuni
partiti
comunistli occidentali, con un'ampia
sfera di rappresentanti dei paesi democratici del "terzo
mondo" e dei
loro movimenti progressivi, per elaborare una concreta linea
di cooperazione e di aiuto a questi movimenti. Era un modo di
combattere i cinesi coi fatti, non soltanto con le
parole.
Ritengo interessante in propositola nostra esperienza di partito.
Abbiamo nel partito, e ai suoi margini
qualche gruppetto di compagni e
simpatizzanti che inclinano verso le
posizioni cinesi e le difendono.
Qualche membro del partito ha dovuto essere cacciato dalle nostre
file perché responsabile di atti di
frazionismo e di indisciplina. In generale però noi conduciamo
su tutti
i temi della polemica con i cinesi
ampie discussioni nelle assemblee
di cellula e di sezione, e negli attivi cittadini. Il maggior
successo lo si ha sempre quando si passa dall'esame dei temi
generali (carattere dell'imperialismo e dello Stato, forze motrici
della rivoluzione, ecc.) alle questioni concrete della nostra
politica corrente (lotta contro il governo, critica del partito
socialista,
unità sindacale, scioperi, ecc.). Su
questi temi la polemica dei cinesi è completamente
disarmata e impotente.
Da queste osservazioni ricavo la
conseguenza che (anche se oggi già
si lavora per la conferenza internazionale) non si deve rinunciare
a
iniziative politiche che ci servano a
sconfiggere le posizioni cinesi e che
il terreno sul quale è più facile batterle è quello
del giudizio sulla situazione concreta che oggi sta davanti a
noi e dell'azione per risolvere i problemi che si pongono, nei
singoli settori del nostro movimento, ai singoli partiti e al
movimento in generale.
Sulle propspettive della situazione presente
Noi giudichiamo con un certo pessimismo le prospettive della
situazione presente, internazionalmente
e nel nostro Paese. La situazione è
peggiore di quella che stava davanti a noi due-tre anni fa.
Dagli Stati Uniti d'America virene
oggi il pericolo più serio. Questo
paese sta attraversando una profonda crisi sociale. Il conflitto
di
razza tra bianchi e negri è soltanto
uno degli elementi di questa crisi.
L'assassinio di Kennedy ha palesato
fino a che punto può giungere I'attacco dei gruppi reazionari.
Non si può in nessun modo escludere che nelle elezioni
presidenziali debba trionfare il candidato repubblicano
(Goldwater), che ha nel suo programma la guerra e parla come
un
fascista. Il peggio è che l'offensiva
che costui conduce sposta sempre
più a destra tutto il fronte politico
americano, rafforza la tendenza a
cercare in una maggiore aggressività internazionale una
via d'uscita a
contrasti interni e la base di un accordo con i gruppi reazionari
dell'Occidente europeo. Ciò rende la situazione generale
assai pericolosa.
Nell'Occidente europeo la situazione è molto differenziata
ma prevale, come elemento comune, il
processo di ulteriore concentrazione monopolistica, di cui il
Mercato
Comune è il luogo e lo strumento.
La concorrenza economica americana, che si fa più intensa
e aggressiva, contribuisce ad accelerare il
processo di concentrazione. Diventano in questo modo più forti
le
basi oggettive di una politica reazionaria, che tende a liquidare
o limitare le libertà democratiche, a mantenere in vita
i regimi fascisti, a creare regimi autoritari, a impedire ogni
avanzata della classe operaia e ridurre sensibilmente il suo
livello di
esistenza.
Circa la politica internazionale, le rivalità e i contrasti
sono
profondi. La vecchia organizzazione
della NATO attraversa un'evidente
seria crisi, grazie particolarmente
alle posizioni di De Gaulle. Non bisogna farsi illusioni, però.
Esistono
certamente contraddizioni che noi
possiamo sfruttare a fondo; sino ad
ora, però, non appare, nei gruppi dirigenti degli Stati
continentali, una
tendenza a svolgere in modo autonomo e conseguente un'azione
a favore della distensione dei rapporti
internazionali. Tutti questi gruppi,
poi, si muovono, in un modo o nell'altro e in maggiore o minore
misura, sul terreno del neocolonialismo, per impedire il progresso
economico e politico dei nuovi Stati liberi africani.
I fatti del Viet Nam, i fatti di Cipro mostrano come, soprattutto
se
dovesse continuare lo spostamento
a destra di tutta la situazione, possiamo trovarci all'improvviso
davanti a crisi e pericoli molto acuti, in cui dovranno essere
impegnati a
fondo tutto il movimento comunista
e tutte le forze operaie e socialiste
d'Europa e del mondo intero.
Di questa situazione crediamo si
debba tener conto in tutta la nostra
condotta verso i comunisti cinesi.
L'unità di tutte le forze socialiste in
una azione comune, anche al di sopra delle divergenze ideologiche,
contro i gruppi più reazionari dell'imperialismo, è un'imprescindibile
necessità. Da questa unità non si
può pensare che possano essere
esclusi la Cina e i comunisti cinesi.
Dovremo quindi sin da oggi agire
in modo da non creare ostacoli al
raggiungimento di questo obiettivo,
anzi di facilitarlo. Non interrompere
in alcun modo le polemiche, ma avere sempre come punto di partenza
di esse la dimostrazione, sulla base
dei fatti di oggi, che l'unità di tutto
il mondo socialista e di tutto il movimento operaio e comunista è necessaria
e che essa può venire realizzata.
In relazione con la riunione della
commissione preparatoria il 15 dicembre, si potrebbe già pensare
a
qualche particolare iniziativa. Per
esempio, all'invio di una delegazione, composta dei rappresentanti
di
alcuni partiti, che esponga ai compagni cinesi il nostro proposito
di
essere uniti e collaborare nella lotta contro il nemico comune
e ponga
loro il problema di trovare la via
e la forma concreta di questa collaborazione. Si deve inoltre
pensare
che se come noi pensiamo sia
necessario tutta la nostra lotta
contro le posizioni cinesi deve essere condotta come una lotta
per la
unità, le stesse risoluzioni a cui si potrà giungere,
dovranno tener conto di questo fatto, lasciar da parte
le generiche qualifiche negative e
avere invece un forte e prevalente
contenuto politico positivo e unitario.
Sullo sviluppo del nostro movimento
Noi abbiamo sempre pensato che
non era giusto dare una rappresentazione prevalentemente ottimista
del movimento operaio e comunista
dei paesi occidentali. In questa parte del mondo, anche se qua
e là si
sono fatti progressi, il nostro sviluppo e le nostre forze sono
ancora oggi inadeguati ai compiti che ci si
presentano. Fatta eccezione per alcuni partiti (Francia, Italia,
Spagna,
ecc.) non usciamo ancora dalla situazione in cui i comunisti
non riescono a svolgere una vera ed efficace azione politica,
che li colleghi
con grandi masse di lavoratori, si limitano a un lavoro di propaganda
e
non hanno un'influenza effettiva sulla vita politica del loro
paese. Bisogna in tutti i modi ottenere di superare questa fase,
spingendo i comunisti a vincere il loro relativo isolamento,
a inserirsi in modo attivo e continuo nella realtà politica
e sociale, ad avere iniziativa politica, a
diventare un effettivo movimento di
massa.
Anche per questo motivo, pur
avendo sempre considerato errate
ed esiziali le posizioni cinesi, abbiamo sempre avuto e conserviamo
forti riserve sull'utilità di una conferenza internazionale
dedicata soltanto o in prevalenza alla denuncia
e alla lotta contro queste posizioni,
appunto perché temevamo e temiamo che, in questo modo, i partiti
comunisti di paesi capitalistici siano spinti nella direzione
opposta a
quella necessaria, cioè a chiudersi
in polemiche interne, di natura puramente ideologica, lontane
dalla realtà. Il pericolo
diventerebbe particolarmente grave se si giungesse
a una dichiarata rottura del movimento, con la formazione di
un centro internazionale cinese che creerebbe sue "sezioni" in
tutti i paesi. Tutti i partiti e particolarmente
i più deboli, sarebbero portati a dedicare gran parte
della loro attività
alla polemica e alla lotta contro queste cosiddette "sezioni" di
una
nuova "Internazionale". Tra le masse
ciò creerebbe
scoraggiamento e
lo sviluppo del nostro movimento
sarebbe fortemente ostacolato. È
vero che già oggi i tentativi frazionistici dei cinesi
si svolgono ampiamente e in quasi tutti i paesi. Bisogna evitare
che la quantità di questi tentativi diventi qualità,
cioè vera, generale e consolidata scissione.
Oggettivamente esistono condizioni molto favorevoli alla nostra
avanzata, sia nella classe operaia,
sia tra le masse lavoratrici e nella
vita sociale, in generale. Ma è necessario saper cogliere
e sfruttare
queste condizioni. Per questo occorre ai comunisti avere molto
coraggio politico, superare ogni forma di
dogmatismo, affrontare e risolvere
problemi nuovi in modo nuovo, usare metodi di lavoro adatti a
un ambiente politico e sociale nel quale
si compiono continue e rapide tra
sformazioni.
Molto rapidamente faccio alcuni
esempi.
La crisi del mondo economico borghese è molto profonda.
Nel sistema del capitalismo monopolistico
di Stato sorgono problemi del tutto
nuovi, che le classi dirigenti non
riescono più a risolvere con i metodi tradizionali. In
particolare sorge
oggi nei più grandi paesi la questione di una centralizzazione
della direzione economica, che si cerca di
realizzare con una programmazione
dall'alto, nell'interesse dei grandi
monopoli e attraverso l'intervento
dello Stato. Questa questione è all'ordine del giorno
in tutto l'Occidente e già si parla di un progrmazione
internazionale, a preparare
la quale lavorano gli organi dirigenti del Mercato Comune. È
evidente
che il movimento operaio e democratico non può disinteressarsi
di
questa questione. Ci si deve battere anche su questo terreno.
Ciò richiede uno sviluppo e una coordinazione delle rivendicazioni
immediate operaie e delle proposte di riforma della struttura
economica (nazionalizzazioni, riforme agrarie, eccetera), in
un piano generale di sviluppo economico da contrapporre alla
programmazione capitalistica.
Questo non sarà certo ancora un
piano socialista, perchè per questo
mancano le condizioni, ma è una
nuova forma e un nuovo mezzo di
lotta per avanzare verso il socialismo. La possibilità di
una via pacifica di questa avanzata è oggi
strettamente legata all'impostazione e soluzione di questo problema.
Un'iniziativa politica in questa direzione
ci può facilitare la conquista di una
nuova grande influenza su tutti gli
strati della popolazione, che non sono ancora conquistati al
socialismo,
ma cercano una via nuova.
La lotta per la democrazia viene
ad assumere, in questo quadro, un
contenuto diverso che sino ad ora,
più concreto, più legato alla realtà
della vita economica e sociale. La
programmazione capitalistica è infatti sempre collegata
a tendenze antidemocratiche e autoritarie, alle
quali è necessario opporre l'adozione di un metodo democratico
anche
nella direzione della vita economica.
Col maturare dei tentativi di programmazione capitalistica si
fa più
difficile la posizione dei sindacati.
Parte essenziale della programmazione è infatti la cosiddetta "politica
del redditi", che comprende
una serie di misure volte a impedire il libero sviluppo della
lotta salariale, con un sistema di controllo
dall'alto del livello dei salari e il divieto del loro aumento
oltre un certo limite. È una politica destinata a
fallire (interessante l'esempio delI'Olanda); ma può fallire
solo se i sindacati sappiano muoversi con decisione e con intelligenza,
collegando anch'essi le loro rivendicazioni
immediate alla richiesta di riforme
economiche e di un piano di sviluppo economico che corrisponda
agli
interessi dei lavoratori e del ceto
medio.
La lotta dei sindacati non può
però più, nelle odierne condizioni
dell'Occidente, essere condotta soltanto isolatamente, paese
per paese. Deve svilupparsi anche su scala
internazionale, con rivendicazioni e
azioni comuni. E qui è una delle più
gravi lacune del nostro movimento.
La nostra organizzazione sindacale
internazionale (FSM) fa soltanto
della generica propaganda. Non ha
finora preso nessuna iniziativa efficace di azione unitaria contro
la politica dei grandi monopoli. Del tutto
assente è anche stata, finora, la nostra iniziativa verso
le altre organizzazioni sindacali internazionali. Ed è
un serio errore, perchè in queste organizzazioni già vi è chi
critica e
tenta di opporsi alle proposte e alla
polItica dei grandi monopoli.
Ma vi sono, oltre a questi, molti
altri campi dove possiamo e dobbiamo muoverci con maggiore coraggio,
liquidando vecchie formule che
non corrispondono più alla realtà di
oggi.
Nel mondo cattolico organizzato e
nelle masse cattoliche vi è stato
uno spostamento evidente a sinistra
al tempo di Papa Giovanni. Ora vi è al centro, un riflusso
a destra.
Permangono però, alla base, le condizioni e la spinta
per uno spostamento a sinistra che noi dobbiamo
comprendere ed aiutare. A questo
scopo non ci serve a niente la vecchia propaganda ateistica.
Lo stesso
problema della coscienza religiosa,
del suo contenuto, delle sue radici
tra le masse, e del modo di superarla, deve essere posto in modo
diverso che nel passato, se vogliamo
avere accesso alle masse cattoliche
ed essere compresi da loro. Se no
avviene che la nostra "mano tesa"
ai cattolici, viene intesa come un puro espediente e quasi come
una
ipocrisia.
Anche nel mondo della cultura (letteratura, arte, ricerca scientifica,
ecc.) oggi le porte sono largamente aperte alla penetrazione
comunista. Nel mondo capitalistico si
creano infatti condizioni tali che tendono a distruggere la libertà della
vita intellettuale. Dobbiamo diventare noi i campioni della libertà della
vita intellettuale, della libera creazione artistica e del progresso
scientifico. Ciò richiede che noi non
contrapponiamo in modo astratto le
nostre concezioni alle tendenze e
correnti di diversa natura; ma apriamo un dialogo con queste
correnti
e attraverso di esso ci sforziamo di
approfondire i temi della cultura,
quali essi oggi si presentano. Non
tutti coloro che, nei diversi campi
della cultura, nella filosofia, nelle
scienze storiche e sociali, sono oggi
lontani da noi, sono nostri nemici o
agenti del nostro nemico. È la comprensione reciproca,
conquistata con un continuo dibattito, che ci dà autorità e
prestigio, e nello stesso
tempo ci consente di smascherare
i veri nemici, i falsi pensatori, i
ciarlatani dell'espressione artistica
e così via. In questo campo molto
aiuto ci potrebbe venire, ma non
sempre è venuto, dai paesi dove già
dirigiamo tutta la vita sociale.
E lascio da parte, per brevità,
molti altri temi che potrebbero essere toccati.
Nel complesso, noi partiamo, e
siamo sempre convinti che si debba
partire, nella elaborazione della nostra politica, dalle posizione
del XX
Congresso. Anche queste posizioni
hanno però bisogno, oggi, di essere
approfondite e sviluppate. Per esempio, una più profonda
riflessione sul
tema della possibilità di una via pacifica di accesso
al socialismo, ci
porta a precisare che cosa noi intendiamo per democrazia in uno
Stato borghese, come si possono allargare i confini della libertà e
delle
istituzioni democratiche e quali siano le forme più efficaci
di partecipazione delle masse operaie e lavoratrici alla vita
economica e politica.
Sorge così la questione della possibilità di conquista
di posizioni di
potere, da parte delle classi lavoratrici, nell'ambito di uno
Stato che
non ha cambiato la sua natura di
Stato borghese e quindi se sia possibile la lotta per una progressiva
trasformazione, dall'interno, di questa natura. In paesi dove
il movimento comunista sia diventato forte come da noi (e in
Francia), questa è la questione di fondo che oggi sorge
nella lotta politica. Ciò
comporta, naturalmente, una radicalizzazione di questa lotta
e da questa dipendono le ulteriori prospettive.
Una conferenza internazionale
può, senza dubbio, dare un aiuto per
la migliore soluzione di questi problemi, ma essenzialmente il
compito di approfondirli e risolverli spetta
ai singoli partiti. Si può persino temere che l'adozione
di formule generali rigide possa essere un ostacolo. La mia opinione è che,
sulla linea del presente sviluppo storico, e
delle sue prospettive generali (avanzata e vittoria del socialismo
in tutto il mondo), le forme e condizioni
concrete di avanzata e vittoria del
socialismo saranno oggi e nel prossimo avvenire molto diverse
da ciò
che sono state nel passato. In pari
tempo assai grandi sono le diversità
da un paese all'altro. Perciò ogni
partito deve sapersi muovere in modo autonomo. L'autonomia dei
partiti, di cui noi siamo fautori decisi,
non è solo una necessità interna
del nostro movimento, ma una condizione essenziale del nostro
sviluppo nelle condizioni presenti. Noi
saremmo contrari, quindi, a ogni
proposta di creare di nuovo una organizzazione internazionale
centralizzata. Siamo tenaci fautori dell'unità del nostro
movimento e del
movimento operaio internazionale,
ma questa unità deve realizzarsi nella diversità di
posizioni politiche concrete, corrispondenti alla situazione
e al grado di sviluppo in ogni paese.
Vi è, naturalmente,
il pericolo dell'isolamento dei partiti l'uno
dall'altro e quindi di una certa confusione. Bisogna lottare
contro questi pericoli e per questo noi crediamo si dovrebbero
adottare questi
mezzi: contatti assai frequenti e
scambi di esperienza tra i partiti, su
larga scala; convocazione di riunioni collettive dedicate allo
studio di
problemi comuni a un certo gruppo
di partiti; incontri internazionali di
studio su problemi generali di economia, filosofia storia, ecc.
Accanto a questo noi siamo favorevoli a che tra i singoli partiti
e
su temi di comune interesse, si
svolgano dibattiti anche pubblicamente, in modo da interessare
tutta l'opinione pubblica: ciò richiede,
ben s'intende, che il dibattito sia
condotto in forme corrette, nel reciproco rispetto, con argomentazioni
oggettive, non con la volgarità e violenza adottate dagli
albanesi e dai
cinesi!
Rapporti col movimento dei paesi coloniali ed ex coloniali
Attribuiamo una importanza decisiva, per lo sviluppo del nostro
movimento, allo stabilirsi di ampi rapporti di reciproca conoscenza
e di
collaborazione tra i partiti comunisti e i movimenti di liberazione
dei
paesi coloniali ed ex coloniali. Questi rapporti non devono però essere
stabiliti solo con i partiti comunisti
di questi paesi, ma con tutte le forze che lottano per l'indipendenza
e
contro I'imperialismo e anche, nella
misura del possibile, con ambienti
governativi di paesi di nuova libertà
che abbiano governi progressivi. Lo
scopo deve essere di giungere a elaborare una comune piattaforma
concreta di lotta contro I'imperialismo
e il colonialismo. Parallelamente dovrà essere da noi
meglio approfondito il problema delle vie di sviluppo dei paesi
già coloniali, di che cosa significhi per
essi l'obiettivo del
socialismo, e così via.
Si tratta di
temi nuovi, non ancora affrontati sino ad ora. Per questo, come
ho già
detto, noi avremmo salutato con
piacere una riunione internazionale
dedicata esclusivamente a questi
problemi e ad essi bisognerà in ogni
modo dare una parte sempre più
grande in tutto il nostro lavoro.
Problemi del mondo socialista
Credo si possa affermare, senza
tema di sbagliare, che la sfrenata e
vergognosa campagna cinese e albanese contro I'Unione Sovietica,
il
PCUS, i suoi dirigenti e in special
modo il compagno Khrusëv, non
ha avuto, tra le masse, conseguenze degne di grande rilievo,
nonostante essa venga sfruttata a fondo dalle propagande borghesi
e governative. L'autorità e il prestigio delI'Unione Sovietica
tra le masse rimangono enormi. Le più grossolane calunnie
cinesi (imborghesimento delI'URSS, ecc.) non hanno alcuna presa.
Qualche perplessità esiste, invece, circa la questione
del richiamo dei tecnici sovietici dalla Cina.
Ciò che preoccupa le masse e anche (almeno nel nostro
paese) una
parte non indifferente di comunisti è il fatto in sè del
contrasto così
acuto tra due paesi che sono diventati entrambi socialisti attraverso
la
vittoria di due grandi rivoluzioni.
Questo fatto pone in discussione i
princìpi stessi del socialismo e noi
dobbiamo fare un grande sforzo per
spiegare quali sono le condizioni
storiche, politiche, di partito e personali che hanno contribuito
a creare l'odierno contrasto e conflitto. Si
aggiunga a questo che in Italia esistono ampie zone abitate da
contadini poveri, tra i quali la rivoluzione
cinese era diventata assai popolare
come rivoluzione contadina. Ciò obbliga il partito a discutere
delle posizioni cinesi, criticarle e respingerle anche nei pubblici
comizi. Agli
albanesi, invece, nessuno fa attenzione, anche se abbiamo, nel
Mezzogiorno, alcuni gruppi etnici di lingua albanese.
Oltre al conflitto con i cinesi vi
sono però altri problemi del mondo
socialista ai quali chiediamo si presti attenzione.
Non è giusto parlare dei paesi socialisti (e anche dell'Unione
Sovietica) come se in essi tutte le cose
andassero sempre bene. Questo è
l'errore, per esempio, del capitolo
della risoluzione del '60 dedicato a
questi paesi. Sorgono infatti continuamente, in tutti i paesi
socialisti,
difficoltà, contraddizioni, problemi
nuovi che bisogna presentare nella
loro realtà effettiva. La cosa peggiore è di dare
l'impressione che tutto
vada sempre bene, mentre improvvisamente ci troviamo poi di fronte
alla necessità di parlare di situazioni difficili e spiegarle.
Ma non si
tratta solo di fatti singoli. È tutta la
problematica della costruzione economica e politica socialista
che è
conosciuta, in Occidente, in modo
troppo sommario e spesso anche
primitivo. Manca la conoscenza della diversità delle situazioni tra paese e paese, dei diversi
metodi della
pianificazione e della loro progressiva trasformazione, del metodo
che
viene seguito e delle difficoltà che
si incontrano per la integrazione
economica tra i diversi paesi e così
via. Alcune situazioni risultano scarsamente comprensibili. In
parecchi
casi si ha l'impressione che esistano, nei gruppi dirigenti,
diversità di
opinioni, ma non si comprende se
sia veramente così e quali siano le
diversità. Forse potrebbe essere utile, in qualche caso,
che anche nei
paesi socialisti si svolgessero dibattiti aperti cui prendessero
parte
anche dei dirigenti, su temi attuali.
Ciò contribuirebbe certo a un accrescimento di autorità e
di prestigio
del regime socialista stesso.
Le critiche a Stalin, non bisogna
nasconderselo, hanno lasciato tracce abbastanza profonde. La
cosa più
grave è una certa dose di scetticismo con la quale anche
elementi vicini a noi accolgono le notizie di
nuovi successi economici e politici.
Oltre a ciò, viene considerato in generale non risolto
il problema delle
origini del culto di Stalin e come esso diventò possibile.
Non si accetta
di spiegare tutto soltanto con i gravi vizi personali di Stalin.
Si tende
a indagare quali possono essere stati gli errori politici che
contribuirono a dare origine al culto. Questo dibattito ha luogo
tra storici e quadri qualificati del partito. Noi non
lo scoraggiamo, perché spinge a una
conoscenza più profonda della storia della rivoluzione
e delle sue difficoltà. Consigliamo però la prudenza
nelle conclusioni e di tener presenti le pubblicazioni e ricerche
che
si fanno nell'Unione Sovietica.
Il problema cui si presta maggiore attenzione, per ciò che
riguarda
tanto I'URSS quanto gli altri paesi socialisti, è però,
oggi, in modo particolare, quello del superamento del
regime di limitazione e soppressione delle libertà democratiche
e personali che era stato instaurato da
Stalin. Non tutti i paesi socialisti
offrono un quadro eguale. L'impressione generale è di
una lentezza e
resistenza a ritornare alle norme leniniste, che assicuravano,
nel partito e fuori di esso, larga libertà di espressione
e di dibattito, nel campo della cultura, dell'arte e anche
nel campo politico. Questa lentezza
e resistenza è per noi difficilmente
spiegabile, soprattutto in considerazione delle condizioni presenti
quando non esiste più accerchiamento capitalistico e la
costruzione
economica ha ottenuto successi
grandiosi. Noi partiamo sempre dall'idea che il socialismo è il
regime
in cui vi è la più ampia libertà per
i lavoratori e questi partecipano di
fatto, in modo organizzato, alla direzione di tutta la vita sociale.
Salutiamo quindi tutte le posizioni di
principio e tutti i fatti che ci indicano che tale è la
realtà in tutti i paesi socialisti
e non soltanto nell'Unione Sovietica. Recano invece
danno a tutto il movimento i fatti
che talora ci mostrano il contrario.
Un fatto che ci preoccupa e che
non riusciamo a spiegarci pienamente è il manifestarsi
tra i paesi socialisti di una tendenza centrifuga. Vi è in
essa un evidente e grave pericolo, del quale crediamo che i compagni
sovietici si debbano preoccupare. Vi è senza dubbio del
nazionalismo rinascente. Sappiamo però
che il sentimento nazionale rimane
una costante del movimento operaio
e socialista, per un lungo periodo
anche dopo la conquista del potere.
I progressi economici non lo spengono, lo alimentano. Anche nel
campo socialista, forse (sottolineo questo "forse" perché
molti fatti concreti ci sono sconosciuti), bisogna
guardarsi dalla forzata uniformità
esteriore e pensare che l'unità si
deve stabilire e mantenere nella diversità e piena autonomia
dei singoIi paesi.
Concludendo, noi riteniamo che
anche per quanto riguarda i paesi
socialisti bisogna avere il coraggio
di affrontare con spirIto critico molte situazioni e molti problemi,
se
si vuole creare la base di una migliore comprensione e di una
più
stretta unità di tutto il nostro movimento.
Sulla situazione italiana
Molte cose dovrei aggiungere per
informare esattamente sulla situazione del nostro Paese. Ma questi
appunti sono già troppo lunghi e ne
chiedo scusa. Meglio riservare a
spiegazioni e informazioni verbali
le cose puramente italiane.
Questo scritto, più comunemente noto come Memoriale di Yalta, venne pubblicato pochi mesi dopo la morte di Togliatti: la difficile decisione - che comportava un ulteriore irrigidimento delle relazioni tra PCI e PCUS - fu presa dal successore di Togliatti alla Segreteria del PCI, Luigi Longo.
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