|
Luigi Longo Segretario del PCI (1964-1972) |
Schivo, modesto, timido, un volto affilato e malinconico sotto il berretto di giovane militante, un'aria pensosa e mite, il tratto garbato, la gentilezza, “l'opposto - scrisse Berlinguer commemorando la sua morte avvenuta nel 1980 - dell'immagine grottesca dell'uomo immusonito e fanatico con cui si costruiva e da taluno si fa ancora oggi la caricatura del rivoluzionario”.
Ricordando la sua vita “che è quella di un leggendario combattente e insieme di un politico acuto e lungimirante, di un organizzatore infaticabile ma anche di un creatore pieno di fantasia, di un realizzatore amante della concretezza” (sono sempre parole di Berlinguer); ricordando soprattutto l'uomo, il nostro compagno, il commissario delle Brigate internazionali, il combattente partigiano alla testa del CLN. Una lunga vita di lotta, cominciata a Torino, da giovanissimo.
Infanzia e adolescenza difficili, umili origini contadine (è nato a Fubine, un paesone in provincia di Alessandria, il 15 marzo del 1900). “Noi abbandonammo il paese nell’anno che fu detto del “vendemmione”; per l’abbondanza dell'uva che si raccolse. Ma i prezzi scesero a terra. Raccontava mio nonno che da una bigoncia d'uva portata al mercato di Casale, dedotte le spese di viaggio, aveva ricavato appena di che comprare una cannella di legno per spillare il vino delle botti”, racconta lui stesso in una delle conversazioni con Salinari. Lui non dimenticherà mai la fatica, le sofferenze; le umiliazioni delle classi povere.
Deputato per tutte le legislature, alla Camera si batté soprattutto per le pensioni: «In me - ricorda - è sempre presente l'estremo bisogno di assistenza e di aiuto dei lavoratori che frequentavano, tanti anni fa, la cantina dei miei genitori, e che non avevano che le proprie braccia per vivere, di vecchi che dopo una vita di lavoro e di stenti non avevano altra prospettiva per i loro ultimi giorni che il ricovero negli ospizi”.
Dal Monferrato i suoi vanno a Torino, dove aprono infatti una mescita di vino in corso Ponte Mosca, nei pressi dello stabilimento Grandi Motori della Fiat che ha aperto da poco. Una vita di stenti anche qui. I suoi vogliono che diventi falegname, ma a scuola è così bravo che decidono di farlo studiare, per farne uno “statale”.
La prima tessera
Nel ’20 la sua prima tessera, si iscrive al circolo socialista studentesco di Torino; conosce Antonio Gramsci e Togliatti, frequenta la sede dell’Ordine Nuovo, nel centro della città.
Così ben vigilata che gli squadristi si guardano sempre dall’assalirla. “Tutte le porte erano sbarrate verso l’esterno con sacchetti di terra e vari camminamenti disposti a zig zag portavano dalle porte ai cortili, con interruzioni di tanto in tanto, di cavall di frisia e di filo spinato… In qualche angolo più riservato c’erano cestini di bombe a mano e alcuni moschetti”.
Nel ’21 è a Livorno, tra i fautori della scissione che porta alla nascita del PCI. È ancora studente del Politecnico, ha superato bene il primo anno di esami ma, da allora in poi, i suoi studi universitari vengono sacrificati all'impegno politico: "avevo già due figli - ricorderà - ma ancora mi trascinavo libri e dispense per esami che mai avrei sostenuto". Dal '21 infatti la sua vita si intreccia per sempre con quella del partito.
In URSS
Nel '22 è membro di una delegazione che si reca a Mosca per il congresso dell'Internazionale. Incontra Lenin, questo il suo ritratto di allora: «Mi impressionò non solo il suo ragionamento sensato, limpido, ma anche la vivacità, la passione con cui esponeva il pensiero, come fosse bruciato da un fuoco interiore».
A Mosca ci andrà varie volte, a partire dal congresso di Lione; nel 1926, appunto, ci va portando con sé il figlioletto di tre anni, che ha avuto da Estella, Teresa Noce, sua compagna da qualche anno. Incontra Stalin, naturalmente, e tutti gli alti gradi del Cremlino. «Di Stalin ricordo la figura semplice, rigida, ossuta... Il suo parlare era lento, fermo, scandito». Osservazioni acute e disincantate. “A Mosca, al Kim, la Sezione giovanile del Komintem, trovai alcuni dirigenti che avevo già conosciuto, Sciatskin, Rudolf Khiltarian, Lominadze, un gigante di circa due metri d'altezza che si diceva fosse molto legato a Stalin (era georgiano anche lui)."
In Spagna
«La capacità di Longo come dirigente emerse in modo straordinario nella guerra di difesa della Repubblica spagnola - scrive sempre Berlinguer - Le Brigate internazionali che Longo dirige sono certo un modello di eroismo e di capacità combattente, ma sono anche luogo di esperienza politica unitaria - spesso ardua - tra comunisti, socialisti, democratici».
Lui è il mitico Gallo, l’ispettore generale delle Brigate internazionali. Così lo descrive Giovanni Pesce, medaglia d’oro della Resistenza. “La prima volta che lo vidi avevo diciannove anni. Si era nel 1937. Ero arrivato in Spagna da un anno. Un anno di guerra del battaglione Garibaldi, della Brigate internazionali. Lo vidi sul ponte di Brunete. Stavo andando a cercare una mitragliatrice… quando sulla strada, proprio accanto ad un piccolo fiume vidi un ufficiale. Era solo, con un binocolo osservava le linee nemiche da dove era stata scatenata una tremenda offensiva… Se ne stava tutto solo ad osservare tranquillo mentre attorno era come l’inferno”.
E dice Leo Valiani: “Facemmo passare la frontiera ai primi volontari delle Brigate internazionali, delle quali Longo diventò ben presto l’organizzatore principale e in ultimo anche il vero comandante”.
La risolutezza di Longo nell'assumersi delle responsabilità e nel prendere delle decisioni, la sua calma e il suo sangue freddo nel mezzo dei pericoli, furono, assieme a una grande conoscenza degli uomini e alla scrupolosa cura dei dettagli, fra i principali elementi della coesione e dei successi, ancorché mai definitivi, data la sproporzione degli armamenti, delle Brigate internazionali. Che non nacquero felicemente dalla spuma del mare come Venere. “Albeggiava quando, il 14 ottobre - racconta Gallo - scesero dalla stazione di Albacete i primi 500 volontari. Essi iniziavano la grande epopea delle Brigate internazionali in Spagna. Questi arrivi continuarono con lo stesso ritmo per quasi tutto quell’anno 1936. A ogni arrivo però le difficoltà si moltiplicavano per dieci, per cento. Svolgevamo un'attività febbrile per scoprire nuovi locali, farceli assegnare, farli evacuare senza troppo infastidire i civili, infine per pulirli, adattarli a caserma... Non vi erano materassi, gavette, piatti per tutti; i cucchiai erano quasi sconosciuti, si dovettero istituire turni per consumare i pasti; un piatto e un cucchiaio dovevano servire per due o tre persone, ma mancava l'acqua per lavarli».
Eppure «oggi Guadalajara, domani Madrid» le brigate di Gallo diventano una grande realtà. «La Repubblica spagnola sarà drammaticamente perduta. Ma quando sarà necessario - è sempre Berlinguer - iniziare la lotta dì resistenza patriottica e partigiana, quel patrimonio sarà prezioso in Italia e in tutta Europa». Come un Garibaldi di questo secolo, è Gallo a «inventare e organizzare le strutture militari e politiche della guerra di Liberazione».
Gli anni 60 e 70
Longo fu un dirigente comunista che non ha mai rinunciato ad esprimere le proprie convinzioni anche quando queste potevano sembrare “controcorrente” all’interno del Partito.
Nel 1968, infatti, incontra incontra i dirigenti del movimento studentesco e in un articolo su Rinascita non esita a dire: «Non si può negare che ci sia stato distacco tra il Partito e la realtà politica che si è venuta creando nel campo studentesco. Certi fermanti politici e culturali esistenti nelle Università solo tardivamente hanno interessato i nostri compagni, le nostre organizzazioni. Perché?». In un altro momento delicato, nel 1976 critica apertamente la politica del Partito nei confronti del governo Andreotti: «Siamo certi che la nostra cautela nei confronti del governo Andreotti sia stata sempre giustamente motivata?»
E ancora, in uno dei suoi ultimi interventi al Comitato Centrale, in modo sferzante attacca la politica dei sacrifici avviata proprio in questi anni: «la mia impressione è che da parte di alcuni si sia assunta stilla questione dei sacrifici una curiosa posizione, vorrei dire da primi della classe, mostrando scandalo per !a richiesta di contropartite. Mi riferisco qui a certi scritti del compagno Amendola o ad alcuni discorsi del compagno Peggio che, per questo, hanno sollevato vivaci reazioni. Ebbene io non credo che sia un delitto da parte dei lavoratori esigere la garanzia che i loro sacrifici non servano in realtà a ricostituire quell'assetto politico ed economico che ha prodotto la crisi, l'affare Lockeed, lo scandalo Sindona, le cosiddette deviazioni del Sifar e del Sid, le trame nere e così continuando».
Nel celebre dipinto "La battaglia di Punta dell'Ammiraglio" che raffigura la sconfitta dell'esercito borbonico da parte dei volontari garibaldini, Renato Guttuso volle rappresentare Luigi Longo al fianco di Giuseppe Garibaldi per sottolineare, come ebbe a dire, la stretta continuità tra la Resistenza ed il Primo Risorgimento. Nacque da qui l'appellativo di "Garibaldi del Novecento" che accompagnò per molti anni colui che sarebbe stato il futuro segretario del PCI, carica cui fu eletto dopo la morte di Palmiro Togliatti nell'agosto 1964.
Questa affascinante similitudine in realtà si presta molto alla figura di Luigi Longo che, già nella Guerra di Spagna, si era distinto alla guida della Brigate Internazionali delle quali con lo pseudonimo di "Comandante Gallo" era diventato Commissario di Divisione ed Ispettore Generale. Luigi Longo infatti era stato il fondatore e l'animatore delle Brigate Garibaldi che tanta parte ebbero nella vicenda della Resistenza Italiana tra il '43 ed il '45 nel consentire la Liberazione del Nord Italia occupato dalle armate tedesche e controllato dai fascisti della Repubblica Sociale con sede a Salò. Longo si pose anche il problema, apparentemente irrisolvibile, di superare le divisioni che si erano manifestate tra i gruppi e le formazioni partigiane di diverso orientamento politico, che ne indebolivano fortemente l'efficacia di azione.
Nacque così, non senza intuibili difficoltà, il Corpo Volontari della Libertà (CVL) del quale, nel dicembre 1944, Luigi Longo divenne Vice Comandante insieme a Ferruccio Parri sotto il comando unico del generale Raffaele Cadorna, che ammetterà onestamente in un suo diario di esercitare "un potere poco più che formale, essendo i due Vice coloro che reggevano "con forti ed abili mani la ribellione".
L'azione partigiana unitaria consentì al nostro Paese di riscattare la sua disonorevole alleanza con Hitler e la violenta aggressione nei confronti di molti Paesi europei e del Nord Africa.
Se le sanzioni decise dai vincitori della 2a Guerra Mondiale nei confronti dell'Italia furono contenute, lo si deve senza dubbio al ruolo fondamentale della Resistenza nella sconfitta dei nazifascismi nel nostro Paese. Non è un caso che gli stessi alleati, per mano del generale americano Clark, vollero insignirlo a fine conflitto di una tra le più prestigiose decorazioni militari statunitensi: la "Bronze Star".
Longo ebbe, in seguito, un ruolo fondamentale nella ricostruzione, prima di tutto morale, del Paese dopo il ventennio della dittatura ed una spaventosa guerra mondiale.
Membro dell'Assemblea Costituente e parlamentare per molti anni, fu segretario del PCI dal 1964 al 1972 e divenne poi presidente del Partito ed in questo ruolo affrontò con lucidità ed apertura sia la questione del nuovo rapporto con il mondo cattolico, che era uscito positivamente influenzato dal pontificato di Giovanni XXIII, sia la contestazione giovanile, che si innestava nel grande movimento internazionale del '68.
Ma basterebbe ricordare il grande ruolo che Luigi Longo ebbe per la causa della libertà dei popoli e della democrazia sia nella difesa della repubblica spagnola che nella Resistenza italiana per rilevare il grande debito che tutti abbiamo nei suoi confronti.
La capacità di Longo come dirigente emerse in modo straordinario nella guerra di difesa della Repubblica spagnola. Le Brigate internazionali che Longo diresse furono anche luogo di esperienza politica unitaria - spesso ardua - tra comunisti, socialisti, democratici. La risolutezza di Longo nell'assumersi delle responsabilità e nel prendere delle decisioni, la sua calma e il suo sangue freddo nel mezzo dei pericoli, furono, assieme a una grande conoscenza degli uomini e alla scrupolosa cura dei dettagli, fra i principali elementi della coesione e dei successi, ancorché mai definitivi, data la sproporzione degli armamenti, delle Brigate internazionali. La Repubblica spagnola sarà drammaticamente perduta. Ma quando sarà necessario iniziare la lotta di resistenza ai tedeschi, quel patrimonio sarà prezioso.
|
Enrico Berlinguer
Ricordando Luigi Longo |
Dal discorso commemorativo pronunciato da il 18 ottobre 1980
L'esempio che Longo ci dà è quello della più grande fermezza attorno ai valori per i quali si combatte, ma contemporaneamente di uno sforzo continuo e faticoso di comprensione razionale nel misurare finalità, obiettivi e metodi per non smarrirsi in cedevolezze opportunistiche o nelle astrattezze del soggettivismo estremistico, per non perdere mai le coordinate morali della propria azione anche dinnanzi alle situazioni più difficili e disperate. Egli pensava che la propria fermezza e la propria tenacia derivassero anche, in parte, dalla sua origine contadina, una origine che egli rivendicava con orgoglio come sua vera natura, quasi sorvolando sulla sua adolescenza di studente modello e di giovane intellettuale dalle vaste letture.
Probabilmente avrà importanza l'origine, ma certo conta la formazione: ed essa è quella di chi cresce politicamente a Torino, nella città più operaia d'Italia e nelle lotte drammatiche del dopoguerra. Gli rimarrà così per sempre l'impronta decisiva per un comunista, ma anche - credo - per chiunque voglia stare dalla parte della causa del progresso; la fedeltà alla classe operaia, a1 popolo, alla parte più emarginata e offesa degli uomini e delle donne, quella che egli chiamava «la povera gente» con antico linguaggio e con sempre nuova indignazione per la ingiustizia sociale. Ma vive in lui contemporaneamente, l'insegnamento intellettuale e morale di Antonio Gramsci, un insegnamento tanto più profondamente avvertito come giusto quanto più l'avvicinarsi a Gramsci fu una conquista raggiunta lentamente dopo la iniziale posizione bordighiana.
Il giovane socialista Longo contribuisce a portare la Federazione giovanile socialista con i comunisti e a trasformarla in Federazione giovanile comunista. Per larga parte degli anni '20 ne sarà segretario: e da questa lotta, da giovane e con i giovani, rimane a Longo una sensibilità e una attenzione ininterrotta e costante - fino ai tempi più recenti - per le nuove generazioni.
Il suo avvicinamento al movimento operaio, al socialismo, al comunismo avviene nel tempo entusiasmante della Rivoluzione d'ottobre.
Attraverso le aspre lezioni dell'inizio degli anni '20 in Italia e in Europa egli giunge alla convergenza con Gramsci nello storico congresso di Lione. L'esperienza aveva dimostrato ancora una volta che non è più rivoluzionaria la linea che appare verbalmente più estrema, ma, al contrario, quella che è capace di una analisi più compiuta della realtà, quella che tende a fare del Partito comunista non una setta, ma un protagonista reale del progresso d'Italia.
Si trattò di una scelta difficile: ma egli intende e ci insegna che la coerenza deve restare nelle scelte umane di fondo ma non può o non deve trasformarsi mai, se non vuole andare alla disfatta, in dogmatismo, cioè nella incapacità di capire la vicenda storica, di cogliere il nuovo, di abbandonare convincimenti che risultano erronei. E questa infatti è stata una delle più grandi e decisive lezioni di Longo. Anche dopo Lione egli elaborò nella FGCI una linea che prese il nome della «opposizione dei giovani» che risultò perdente dinnanzi alla critica di Togliatti. Ma egli non trasformò il dissenso, né in questo né in nessun altro caso, in un elemento di turbamento e di lacerazione. Egli ha insegnato al suo partito a comprendere bene che si può esprimere pienamente il dissenso dentro il partito rinvigorendone la vita democratica e, contemporaneamente, rinsaldandone la unità e la capacità di lotta. Non è unito quel partito in cui ogni motivo di discussione e di contrastò divenga insanabile rottura. Ma non è unito neppure quel partito in cui regni il piatto conformismo, in cui la maggioranza si trasformi in strumento di interno dominio. Ecco la esigenza della tolleranza, della interna dialettica e al tempo stesso della unità, che Longo ha saputo affermare e difendere: il metodo cui siamo rimasti e rimarremo fedeli.
Ma il discutere non può bastare. Essenziali sono il lavoro e l'iniziativa, in stretto legame con le masse. Longo sarà determinante per educare il suo partito a questo compito primario.
A partire dall'inizio degli anni '30 - quando si afferma la «svolta» che porterà il Partito comunista a ricercare ogni strada per portare in Italia il lavoro politico pur nelle condizioni della illegalità, perché il Partito non sia più soltanto un partito di esiliati - Togliatti, Camilla Ravera, Longo e Secchia sostengono e fanno prevalere questa posizione negli organi dirigenti. È una vicenda di cinquant'anni fa, ma senza l'immane lavoro e gli straordinari sacrifici, senza il prezzo del carcere pagato da migliaia di comunisti per radicare l'organizzazione del partito in Italia non sarebbe stato possibile neppure la tappa successiva: la tessitura di una trama di unità operaia e antifascista che ancora oggi resta il fondamento più saldo della Repubblica. [...].
La capacità di Longo come dirigente emerse in modo straordinario nella guerra in difesa della Repubblica spagnola. Le Brigate internazionali che Longo dirige sono certo un modello di eroismo e di capacità combattente, ma sono anche luogo di esperienza politica unitaria - spesso ardua - tra comunisti, socialisti, democratici.
La Repubblica spagnola sarà drammaticamente perduta. Ma quando sarà necessario iniziare la lotta di resistenza patriottica e partigiana quel patrimonio sarà prezioso in Italia e in tutta l'Europa.
Non è vero che da quella grande stagione di riscossa democratica e nazionale non ci sia più nulla da apprendere. E non solo per gli esempi straordinari di abnegazione, di dedizione e di eroismo; ma anche e soprattutto perché fu nella lunga battaglia antifascista e nella Resistenza che l'unità delle forze democratiche dettò la linea di un programma di rinnovamento dell'Italia in ogni campo, che fu in larga parte raccolto nel patto costituzionale. Si saldò cosi una comunanza di sentimenti, pur nelle diversità ideali e politiche, tra i comunisti, i socialisti e gli altri partiti democratici. [...].
In quelle prove si temprarono uomini che saranno costruttori della Repubblica e resteranno garanzia per la nazione: uomini come Pertini, uomini come Parri, Lombardi, Amendola, Saragat, Mattei.
Luigi Longo, capo delle Brigate Garibaldi, vice comandante del Corpo volontari della libertà, ha un ruolo decisivo di quella vicenda: ancora una volta, come in Spagna, capo militare ma, prima ancora, forte dirigente politico. È Longo per primo che, appena liberato dal confino dopo la caduta del fascismo, esorta tutti gli antifascisti ad unirsi per la lotta armata di massa - e non soltanto nell'esercito regolare - per realizzare il compito primo e decisivo, quello di sconfiggere i fascisti e di cacciare i tedeschi dall'Italia.
Pur nella profonda diversità di situazioni e di caratteri si può dire che Longo è stato il Garibaldi di questo secolo.
Togliatti realizza la svolta di Salerno, cioè la unità di tutte le forze democratiche e delle masse popolari nella battaglia antitedesca e antifascista. Longo, al Nord, è guida determinante di una guerra che fa intervenire come protagoniste, per la prima volta nella storia della nazione, la classe operaia e le classi lavoratrici della città e delle campagne e non solo con le azioni armate ma con la lotta di massa, cioè con gli scioperi, il movimento delle donne, la resistenza giovanile, la mobilitazione degli intellettuali.
Ecco che cosa sono stati i comunisti! Ecco che cosa sono stati e sono Togliatti e Longo nella storia d'Italia: personalità decisive della fondazione di uno Stato nuovo, di una nuova democrazia!
E proprio perché la novità è grande, proprio perché la Costituzione repubblicana contiene in sé i principi di un programma innovatore, si scatena l'attacco; sicché occorre subito ergersi per difendere le conquiste ottenute, per impedire i ritorni all'indietro, per continuare la strada intrapresa.
È ancora Longo a farsi animatore di esperienze nuove di organizzazione e di lotta delle masse. La saggezza e il coraggio che ne hanno guidato l'azione nella Resistenza sono più che mai necessari quando, con l'attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, è messa a rischio la democrazia stessa.
Bisogna lottare e si lotta; ma bisogna anche evitare di sorpassare un limite oltre il quale è pronta a scattare la trappola della provocazione e della sconfitta del movimento operaio. Bisogna sapere scioperare, ma anche fermare lo sciopero quando diventa necessario.
Con la guida di Longo il partito supera quella terribile prova: ma è innanzitutto la democrazia che ne esce rafforzata, perché un monito possente si è levato contro chi poteva aver pensato di trasformare la sconfitta elettorale del Fronte popolare in un colpo mortale al moto di emancipazione della classe operaia e dei lavoratori.
È arduo - e diviene talvolta terribile - contrastare una offensiva fatta di discriminazione pesante, di persecuzione sistematica, di rottura e di lacerazioni tra le forze popolari del Paese.
Ma il tentativo di isolare e di emarginare i comunisti non riesce neppure quando viene incrinata l'intesa unitaria tra socialisti e comunisti, e quando si cerca di cancellare i dati originali del movimento operaio e popolare italiano e in particolare l'esistenza di un cosi forte Partito comunista, solidamente schierato per la difesa e lo sviluppo della democrazia, che non rinuncia, però, all'obiettivo del socialismo e, anzi, intende socialismo e democrazia come necessariamente connessi.
Ecco la «via italiana al socialismo» che l'VIII Congresso proclama con un nuovo programma e un nuovo Statuto. Tocca a Longo, che ne era stato uno degli artefici, portare avanti questa politica dopo la scomparsa di Togliatti.
È Longo che propone alla Direzione del partito la immediata pubblicazione del memoriale di Yalta, facendone un punto fermo della nostra strategia di avanzata al socialismo e della nostra azione autonoma nel movimento operaio internazionale.
È Longo che, dopo avere sostenuto anche con il suo personale intervento gli sforzi per il rinnovamento socialista in Cecoslovacchia, prende posizione insieme con la Direzione del partito contro l'intervento militare del Patto di Varsavia.
È Longo che, pur avendo vissuto il tempo grande e drammatico dell'Internazionale comunista, spinge con coraggio il nostro Partito a una visione e a una pratica nuove dell'internazionalismo, che superano i confini dei partiti comunisti e si fondano sul rispetto reciproco e sulla indipendenza di ogni partito e Stato. [...].
Il nostro paese ha perduto un grande italiano, un grande intellettuale e un dirigente politico di grande statura. Ma voi mi permetterete di dire che noi sappiamo quale uomo e quale maestro di umanità abbiamo perduto.
La vita del nostro partito è segnata e deve continuare ad esserlo da un costume ideale e morale che abbiamo appreso, certo, dai nostri maestri, da Gramsci, da Togliatti, da Longo, ma, insieme, dalla parte migliore del nostro popolo. Il nostro partito non avrebbe potuto e non potrebbe in alcun modo vivere senza l'impegno personale e il sacrificio, che ha dovuto spingersi talora sino a quello della propria vita, di decine e decine di migliaia di militanti di tutte le generazioni.
|
Alessia Guerriero
Alexander Höbel. Il PCI di Luigi Longo (1964-1969) |
Gli anni della segreteria di Luigi Longo sono stati considerati generalmente dalla storiografia come un periodo di transizione. La figura del capo leggendario della Resistenza sarebbe stata oscurata da due forti personalità politiche che hanno guidato, in due momenti distinti, il Partito comunista italiano: Togliatti e Berlinguer.
Il libro di Alexander Höbel, Il PCI di Luigi Longo (1964-1969), edito dalle Edizioni scientifiche italiane nel 2010, ha senz’altro il merito di evidenziare l’impostazione e il contributo specifico del segretario - braccio destro di Togliatti per vent’anni - che resse il PCI in un momento storico particolare, negli anni del centro-sinistra, della contestazione giovanile e della crisi cecoslovacca, connotando la propria direzione all’insegna di una tensione costante rivolta verso la collegialità, con un deciso affievolimento dell’accentramento togliattiano, nel quadro di una chiara tendenza volta alla spersonalizzazione della leadership.
Si tratta di un lavoro di ricerca condotto con diligente cura filologica - attraverso l’utilizzo di una mole rilevante di fonti archivistiche, a stampa e degli Atti parlamentari - in cui l’autore ricostruisce l’intenso confronto/scontro politico-culturale nel PCI degli anni Sessanta.
L’opera è suddivisa in due parti principali: la prima, dalla morte di Togliatti all’XI Congresso (1964-1966), e la seconda che prende le mosse da quell’importante assise congressuale per spingersi sino all’ascesa di Berlinguer.
L’XI Congresso rappresenta un momento fondamentale, e imprescindibile, per la comprensione della vicenda politica dei comunisti, in quanto fu proprio in quell’occasione che Longo, neosegretario del Partito dopo la morte di Togliatti, lanciò apertamente la politica delle alleanze con il PSIUP e le forze socialiste democratiche avanzate. Rappresentò anche la sede in cui venne eletto il nuovo Comitato centrale che inglobò nuove personalità politiche del calibro di Tortorella, La Torre e Di Giulio: si trattava, come lo stesso Höbel evidenzia, dell’ingresso più consistente di nuovi dirigenti dal dopoguerra, che manifestava una volontà di rinnovamento sia pure nel solco del mantenimento della continuità.
Il problema principale con cui il PCI si trovò a combattere proprio in quegli anni riguardava il superamento della Conventio ad excludendum operante dal 1947. I comunisti auspicavano l’apertura di una nuova stagione nello scenario politico italiano e a tal fine inizialmente guardarono con favore alla formula governativa del centrosinistra. Presto si ingenerò, tuttavia, la delusione per la battuta d’arresto nell’impostazione riformatrice del centrosinistra a seguito della subordinazione, con il conseguente rinvio, da parte del gruppo doroteo democristiano della nascita delle Regioni alla volontà del PSI di estendere il centrosinistra alle giunte locali. In questo contesto politico del 1963 si consumava di fatto la frattura della maggioranza socialista capeggiata da Lombardi, mentre si avviava l’apertura a sinistra con il primo governo “organico” presieduto da Moro. Di lì a poco il riformismo avrebbe subito l’ennesimo contraccolpo con l’attuazione di una politica economica restrittiva. A sottolineare le difficoltà di quella fase era stato Amendola in un discorso tenuto alla Camera il 23 giugno di quell’anno, quando l’esponente comunista aveva posto la necessità di una nuova maggioranza basata su un’intesa tra comunisti, cattolici e socialisti. Quanto anticipato da Amendola veniva ripreso e approfondito da Longo, il quale individuava come interlocutore principale del PCI il PSIUP; benché non avesse ottenuto risultati tangibili la Lettera aperta ai socialisti, scritta da Longo, va intesa come la volontà da parte del segretario di scongiurare ulteriori pericoli di isolamento del Partito attraverso la ricerca di un consenso più ampio.
Di gran lunga importante risulta anche il rapporto che il PCI intraprese con il Movimento sessantottino; i fatti di Valle Giulia posero fine alle diffidenze che i comunisti nutrivano nei confronti del movimento studentesco e sancirono l’inizio del dialogo. In vista del Convegno di Firenze promosso dalla FGCI, Longo e alcuni leader studenteschi scrissero il documento preparatorio in cui si rendeva noto che l’azione congiunta dei comunisti e degli studenti soleva operare in virtù della valorizzazione di tutte le forme autonome di organizzazione delle masse; il Movimento studentesco veniva interpretato dai dirigenti della FGCI, di orientamento ingraiano, come un’occasione utile a precisare i termini della “via italiana al socialismo” tanto cara a Longo. Il segretario medesimo affermò in quella sede che occorreva assumere un atteggiamento di apertura e “comprensione del nuovo”, sancendo il collegamento della lotta dei comunisti con quella anticapitalistica avanzata dagli studenti; si trattava di una presa di posizione in netta controtendenza rispetto all’atteggiamento di chiusura assunto da Amendola.
A segnare il momento più alto e significativo del dialogo tra Partito e Movimento fu l’incontro di Longo con alcuni esponenti provenienti dalla FGCI; il segretario spiegò chiaramente il modo di intendere la lotta studentesca: come una possibilità utile per mobilitare le masse e conquistare nuove posizioni più avanzate. Come chiarì in seguito su un articolo apparso sulla rivista di Partito «Rinascita», Longo colse l’esigenza della contestazione di trovare un referente politico. Il successo della linea comunista fra i giovani fu chiaro nella tornata elettorale del 1968, in occasione della quale si registrò una crescita del PCI e del PSIUP, che ottennero il 43,5% dei voti tra le fasce giovanili. Longo rappresentava, come Höbel sottolinea, “l’uomo del dialogo possibile” per la sua capacità di concepire il movimento e le sue istanze “interni ad una strategia di democratizzazione integrale” che il PCI perseguiva da decenni: si trattava di tematiche che avrebbero legato il Sessantotto agli anni Settanta generando “l’onda lunga del Sessantotto”; furono gettati sul tappeto una serie di obiettivi di riforma come: lo Statuto dei lavoratori, il Servizio sanitario nazionale e l’Equo canone.
Altro aspetto imprescindibile nell’analisi della segreteria Longo riguarda la politica estera. L’apprezzamento espresso dal segretario e dai comunisti italiani nei confronti della Primavera di Praga e di Dub?ek, fautore del “nuovo corso”, succeduto a Novotny alla guida del Partito comunista cecoslovacco, va concepito come difesa ed appoggio nei riguardi degli esperimenti delle diverse vie al socialismo teorizzate, dal segretario comunista, con la formula dell’“unità nella diversità”. Il “nuovo corso” cecoslovacco era considerato fonte di rinnovamento e stimolo per il superamento delle vecchie remore che limitavano tuttavia il pieno sviluppo della democrazia socialista. In agosto con la destituzione manu militari di Dub?ek da parte del PCUS, che pose fine all’esperimento democratico, Longo si espresse apertamente condannando ancora una volta la logica dei blocchi e riaffermando i princìpi del nuovo Internazionalismo; benché la posizione del segretario fosse chiara egli si diceva contrario ad una rottura col PCUS e agì in tal senso per ritessere i rapporti con i dirigenti sovietici. Come scrive Höbel la condanna dei comunisti italiani dell’intervento sovietico a Praga e la contrarietà nei confronti della politica dei blocchi e delle alleanze ad essi legate sancirono un primo ‘strappo’ ed una discontinuità dei rapporti con l’URSS. Si andava definendo un nuovo internazionalismo appoggiato dai comunisti italiani, che ricollocava il PCI sulla scena mondiale attraverso un graduale superamento delle divisioni storiche del movimento operaio europeo con l’attuazione della cooperazione economica. Si trattava di un internazionalismo opposto alla linea cinese perpetrata da Mao, che apriva alle relazioni con movimenti di liberazione e schieramenti più ampi.
Lo studio di Höbel si conclude con il XII Congresso del PCI del 1969 che sancì l’elezione di Berlinguer come vicesegretario di Longo, colpito prima da un ictus e successivamente da un’ischemia. Si trattava di una designazione che manifestava, come precisa l’Autore, il “rinnovamento nella continuità” poiché il futuro segretario puntò ad una politica estera di ampio respiro, di dimensioni europee e mondiali che andasse oltre la “concezione bipolare”, portando il Paese fuori dalla Nato e avviandolo nella direzione della neutralità; ciò era possibile, secondo Berlinguer, attraverso l’attuazione delle “strategia delle riforme” fondata su importanti conquiste sociali e nuove forme di controllo e potere da parte delle classi lavoratrici. L’elemento di novità che il Congresso aveva fatto emergere, rispetto al periodo togliattiano, riguardava inoltre il principio dell’autonomia organizzativa e politica del PCI attraverso la saldatura con una generazione nuova: si trattava di un traguardo fondamentale che aveva permesso al Partito di uscire da quell’isolamento in cui era stato confinato sino a quel momento, mentre andava affermandosi nella politica italiana “la questione comunista”.
grazie a: http://storiaefuturo.eu/
|
Andrea Pozzetta
Luigi Longo e la costruzione del “nuovo internazionalismo”: 1964-1969 |
La tematica della dimensione internazionale del PCI è stata oggetto, in questi ultimi anni, di una considerevole attenzione storiografica. Dopo una fase in cui gli studi e i dibattiti (Aga Rossi, Zaslavsky 1997; Pons 1999) si sono concentrati sui caratteri più “esogeni” del PCI (in particolare sulla questione della subalternità a Mosca nel periodo postbellico), il punto focale privilegiato dalla storiografia si è spostato sulla ricerca, da parte del partito, di un nuovo rapporto con l’Unione Sovietica dopo la svolta del 1956: un legame non più basato su forme vincolanti e invasive, ma teso all’originalità e all’autonomia (Gualtieri 2001; Galeazzi 2005; Pons 2006; Spagnolo 2007; Barbagallo, Vittoria 2007; Bracke 2008; Lomellini 2010). Sono rientrati in questa prospettiva gli studi (Maggiorani, Ferrari 2005; Ferrari 2007) sulla crescente attenzione del PCI al ruolo dell’Europa e alle forze politiche socialdemocratiche, ma anche alcuni fondamentali lavori (Riccardi 2006; Borruso 2009; Pappagallo 2009; Galeazzi 2011) sull’azione verso il mondo extraeuropeo e i movimenti di decolonizzazione.
Dalle ultime acquisizioni storiografiche (Höbel 2010), emerge come momento di grande dinamismo, nella ricerca di un nuovo modo di intendere la propria collocazione internazionale, la fase della segreteria di Luigi Longo. Si tratta di un periodo che è stato giudicato, spesso riduttivamente, di transizione o di preparazione alla segreteria di Berlinguer ma che, al contrario, ha rappresentato un momento essenziale di sperimentazione e di ricerca.
Tutt’altro che privo di elaborazioni autonome o di un peculiare profilo politico, proprio Luigi Longo è stato promotore di istanze innovative all’interno del partito e di cruciali prese di posizione nei confronti del movimento comunista internazionale. Pur di fronte a disorientamenti e incertezze strategiche, il problema dell’internazionalismo e del rapporto con l’Unione Sovietica ha rappresentato uno degli aspetti più originali della sua “corta” segreteria 1. Del resto, la questione del legame con l'URSS assume una valenza particolare in Longo, se si pensa alla sua formazione politica negli organismi del Comintern e al ruolo assunto all’interno del gruppo dirigente del PCI sin dagli anni Trenta (Höbel 2013). Già punto di riferimento della generazione formatasi nelle scuole sovietiche, avviata all’identificazione totalizzante con la politica dell'URSS e del suo gruppo dirigente, Longo giungerà a sviluppare creativamente le teorie togliattiane sul policentrismo, sancendo la collocazione del PCI in una posizione ambigua, ma pur sempre autonoma, all’interno della famiglia comunista internazionale.
Soprattutto il triennio 1966-68 ha rappresentato una fase particolarmente intensa per l’“internazionalismo di tipo nuovo” teorizzato dal segretario comunista: superato l’XI congresso del 1966 e saldamente confermata la propria leadership 2, Longo potrà, infatti, confidare sul sostegno di una nuova leva di dirigenti promossi ai massimi vertici e, grazie al loro apporto, proseguire con più slancio alla realizzazione di quel nuovo internazionalismo abbozzato sin dal 1964.
Obiettivo di questo saggio è definire l’apporto personale di Luigi Longo, in qualità di segretario generale, alla teorizzazione e messa in pratica del nuovo internazionalismo negli anni 1964-1969.
Il mito del Memoriale, il mito dell’autonomia
La sapiente e ben mirata “operazione Memoriale”, attuata da Longo con la pubblicazione degli ultimi appunti di Togliatti, può essere considerata una prima enucleazione del programma internazionalistico del nuovo segretario.
La decisione di pubblicare il Memoriale di Yalta trova origine nella volontà di Longo di aprire la sua segreteria con un gesto epocale, in controtendenza con il costume del partito 3 e, nello stesso tempo, di presentare solennemente un manifesto d’intenti, avvalendosi dell’autorevolezza e del prestigio di Togliatti. Come afferma Longo nella Direzione comunista, “certe posizioni sui paesi socialisti hanno avuto con il nome di Togliatti una eco particolare”, favorendo un inedito dibattito:
basti pensare agli errori, e alle cose mal compiute, dei dirigenti dei paesi socialisti. Non se ne era mai parlato prima in questi termini. Non credo, ad esempio, che oggi Krusciov ripeterebbe il suo rapporto. Penso che noi dovremmo agire in modo che si discuta più liberamente tra i partiti, in primo luogo tra noi e il PCUS, conducendo avanti questo dibattito 4.
Inteso come testamento spirituale del leader scomparso, il Memoriale di Yalta sarà posto al centro di un nuovo mito fondatore del comunismo italiano, volto a legittimare, in primo luogo, la nuova leadership incarnata da Longo e la sua politica internazionale. L’enunciazione del principio dell’“unità nella diversità”, la spregiudicata differenziazione dal modello sovietico, la critica disinvolta ai suoi difetti di democrazia e libertà, rappresentano una sensazionale risorsa per il PCI per rilanciarsi come partito autonomo, in grado di rivolgersi paritariamente ai “fratelli maggiori” sovietici ma, allo stesso tempo, di promuovere un’originale visione internazionalistica.
Si tratta di un’ambiziosa linea strategica, indirizzata primariamente a obiettivi di politica interna (il superamento della conventio ad excludendum e l’aggiramento di quello che Galli [1966] ha definito “bipartitismo imperfetto”) ma che sul lungo periodo produrrà una progressiva discrasia, destinata a portare in evidenza i caratteri più contradditori della linea del PCI. L’ambiguo espediente retorico dell’“unità nella diversità” servirà a enucleare una provvisoria e rassicurante sintesi ideale per il partito, ma non eliminerà il nodo reale del legame con Mosca: la trasfigurazione del PCI come “figliol prodigo” dell’intero movimento comunista, non impedirà, infatti, una schizofrenia interna e una permanente ambiguità sui termini del rapporto con l'URSS. Più che risolvere la questione dell’allineamento internazionale del partito, il PCI la eluderà, persistendo a muoversi su un terreno di perenne mediazione a fronte della persistenza, da parte sovietica, della più tradizionale politica internazionalistica.
Si rafforza contemporaneamente, nel vertice del PCI, un secondo mito illusorio: quello della continua e costante autoriforma del sistema sovietico e, dunque, del ruolo dello stesso PCI per favorire tale progresso. “Noi vogliamo in Italia altre strutture - afferma Longo in Direzione dopo l’improvvisa destituzione di Chruscev - diverse da quelle sovietiche, ma riconosciamo anche che quelle strutture si possono evolvere, ammodernare, divenire più capaci di assicurare la piena democrazia” 5. Come il segretario afferma in una lettera al Comitato Centrale del PCUS, proprio le modalità della caduta di Chruscev “ripropongono problemi più generali riguardanti lo svolgersi dei dibattiti e la vita politica, i rapporti fra il partito e la pubblica opinione nei paesi socialisti”. La preoccupazione più evidente è anche per le possibili conseguenze nella linea della distensione e delle vie nazionali al socialismo che, se rimessa in discussione, rappresenterebbe “una jattura” per il PCI 6.
Al di là delle comunicazioni e discussioni riservate ai ristretti gruppi dirigenti, l’atteggiamento pubblico di Longo è ben più cauto; rimanendo ampiamente entro i confini teorici espressi nel ’56 e nel ’61 da Chruscev, il segretario del PCI precisa, ad esempio, in un’intervista a Eugenio Scalfari, che il principale problema per il sistema sovietico rimarrebbe quello di “superare il regime di limitazioni e di soppressione delle libertà democratiche e personali che era stato instaurato da Stalin” e dunque di “superare lentezze e resistenze a ritornare alle norme leniniste” 7.
Si può cogliere, in queste affermazioni, la contraddittorietà nella percezione e rappresentazione del proprio legame internazionale. Da un lato viene avviato, dall’alto, una graduale rimodulazione del mito sovietico; nello stesso tempo, tuttavia, la piena consapevolezza nella necessità di un distacco ideale dall'URSS rimane ben confinata nell’ambito del ristretto gruppo dirigente identificato nella Direzione e non coinvolge i gradini inferiori del partito, nei confronti dei quali la critica rimane strettamente inclusa entro i limiti già posti dal Memoriale.
Longo sembra mantenere due diversi livelli di analisi: uno “riservato” e uno “pubblico”. Significativo, in questo senso, è l’episodio del processo ai due scrittori sovietici Sinjavskij e Daniel; nel febbraio 1966, dopo aver rivendicato durante l’XI congresso del PCI una concezione del socialismo come massima garanzia di libertà religiosa e culturale (Longo 1966), la condanna in Urss dei due scrittori per “attività antistatali” suscita in Longo e nella Direzione del partito non pochi imbarazzi: in forma riservata il segretario si muove per redigere una lettera al PCUS che possa far comprendere ai sovietici gli effetti negativi sul PCI di simili questioni; pubblicamente, invece, dispone di “Intervenire sulle grandi città - con sedi universitarie - per orientare eventuali posizioni degli intellettuali”8 e “pubblicare su “l’Unità” e su “Rinascita” note e articoli che reagiscano alla campagna antisovietica, lumeggino gli aspetti negativi della personalità dei due scrittori, rivelino la legalità del procedimento, ribadiscano le nostre riserve sul problema di fondo del rapporto Stato-cultura” 9.
L’episodio è indicativo delle incongruenze che affiorano dall’approccio del PCI verso l'URSS. Mentre nel ristretto gruppo dirigente sono evidenti le valutazioni critiche sui limiti del sistema sovietico, anestetizzate dalla speranza di poter influire sui suoi processi interni, nei confronti del corpo del partito e dell’opinione pubblica, il PCI reagisce riconfermando la politica di solidarietà internazionalistica, pur rivendicando le proprie peculiarità ideologiche. Del resto, l'URSS continua a ricoprire un ruolo costituente per la base comunista e a rappresentare una costante risorsa simbolica e di consenso interno. La fede nell’autoriforma dell'URSS e nella possibilità del PCI di incidere nei processi politici sovietici, può essere letta, in questo senso, come una sorta di istintivo rifugio politico volto a esorcizzare la portata della propria “eresia”.
Si approfondisce in questo senso quella discrasia, a proposito del vincolo internazionale, che emerge come una diversificazione tra le valutazioni sulla politica interna sovietica, sulla sua struttura economica, sulle sue istituzioni, sul suo ruolo nell’arena internazionale e sui rapporti con i partiti fratelli: non si concepisce più, l'URSS e il movimento comunista internazionale, come un tutt’uno, da accettare o respingere nella sua interezza, ma si comincia a condurre un approccio più elastico e disinvolto.
“Meno schematismo, più realismo”: la costruzione di un nuovo internazionalismo
Il mutamento nel giudizio sull'URSS è strettamente intrecciato, nella visione strategica di Longo, al processo di legittimazione del PCI nel Paese e, di conseguenza, alla promozione di un “internazionalismo di tipo nuovo”. L’obiettivo non è rivendicare per il partito posizioni di isolamento, ma costruire una nuova rete di rapporti internazionali non più incentrata sul ruolo dominante e centralistico dell'URSS, in grado di avvalorare le diverse e inedite vie al socialismo e, nello stesso tempo, accreditare in Italia il PCI come credibile forza di governo. Occorre per Longo smantellare una rappresentazione del partito come espressione diretta del campo socialista, attraverso un allentamento pacifico e condiviso del legame con l'URSS.
La strategia internazionalista del segretario si rivolge verso tre diverse tipologie di attori politici: da un lato i paesi socialisti e i partiti fratelli, verso cui si intende rimodulare i rapporti all’insegna dell’auspicata “unità nella diversità”; affianco a questi, i movimenti antimperialisti e di liberazione nazionale del Terzo mondo; infine, le forze progressiste europee: non solo i partiti comunisti occidentali, ma anche le componenti più avanzate della socialdemocrazia e del mondo cattolico.
Il naturale interlocutore da coinvolgere per attuare un simile ambizioso progetto è, secondo il segretario, il Partito comunista francese, ancora profondamente distante dal PCI nelle valutazioni sulla forma dell’internazionalismo comunista. Un primo passo verso una riconciliazione tra i due partiti è intrapreso da Longo con un’intervista al settimanale francese “l’Express” del novembre 1964, in cui il segretario italiano nega la volontà di creare un autonomo polo comunista occidentale: il policentrismo deve invece concretizzarsi nella realizzazione “di incontri e di conferenze di gruppi di partiti, per elaborare e coordinare la rispettiva azione su precise questioni di loro diretto e comune interesse” entro l’unità del movimento internazionale 10. Nel maggio 1965, un incontro a Ginevra tra Longo e il segretario francese Waldeck Rochet, favorisce il disgelo tra le due forze politiche, che tuttavia sembrano trovare un punto di raccordo unicamente sulla necessità di un largo fronte di solidarietà al Vietnam e di un percorso comune delle sinistre europee per una politica antimonopolistica nel Mec 11. La successiva Conferenza di Bruxelles dei partiti comunisti del Mec, del resto, si rivela fallimentare, una riunione “squallida e senza prospettive”, secondo l’inviato del PCI, Pajetta 12. La sua importanza, nondimeno, risiede nei risultati più impliciti e nella vicinanza realizzatasi tra PCI e PCF: si tratta di una prima dimostrazione che l’internazionalismo comunista è in piena evoluzione; la conferenza e le diverse riunioni preparatorie, infatti, hanno potuto intensificare la rete dei contatti del PCI, rafforzando il partito come interlocutore autorevole nel contesto europeo.
Come il segretario sosterrà, commentando la prospettiva “abbastanza desolante” del classico internazionalismo, dobbiamo […] senza rinunciare a manifestazioni unitarie di partiti comunisti, muoverci per problemi reali indirizzandoci ai partiti che sentono questi problemi […]. Non possiamo però vedere solo quello che è possibile tra partiti comunisti, ma orientarci verso altre forme più larghe […]. Bisogna dare […] nuovo respiro alla nostra azione internazionale […]. Il problema si pone nei rapporti con altre forze. Noi siamo liberi - deve essere la nostra risposta - di assumere qualsiasi iniziativa internazionale, e non abbiamo vincoli limitativi. Bisogna cercare nuovi legami con tutte le forze rivoluzionarie […]. Ci va meno schematismo, più realismo, una visione più ampia” 13.
Tra le principali preoccupazioni di Longo si pone, sin dall’inizio della sua segreteria, quella di evitare la conferenza mondiale dei partiti comunisti, più volte paventata dall'URSS per sconfessare lo “scisma” cinese e serrare attorno a sé i ranghi del comunismo internazionale. I “vecchi strumenti e le vecchie procedure” dell’internazionalismo devono, secondo il segretario, evolversi in una nuova unità che “va cercata su un terreno più ampio di quelle su cui si muovono i partiti usciti dal vecchio ceppo della 3a internazionale: forme nuove di solidarietà, di collaborazione, di unità internazionale vanno cercate anche con forze di orientamento non marxista ma che sono attestate su solide posizioni antimperialistiche e che cercano […] vie originali di avanzata e di costruzione del socialismo” 14. Il segretario è appoggiato dalla gran parte della Direzione, sebbene permangano posizioni più tradizionaliste; per un esponente della “vecchia guardia” come Scoccimarro, ad esempio, occorre in primo luogo mantenere “una linea che eviti rotture con il PCUS: avremmo ripercussioni serie nel nostro partito” 15. Longo condivide, almeno in parte, simili preoccupazioni, ma sembra anche convinto che “Oggi né gli Usa né l'URSS rappresent[i]no più come politica l’intierezza dei due campi” 16.
È sempre in quest’ottica, ad esempio, che Longo tenta di accattivare il sostegno del leader polacco Wladyslaw Gomulka al suo progetto di autonomizzazione nel comunismo internazionale (Galluzzi 1989, 84).Quando tuttavia, nel febbraio 1966, Longo si recherà in missione in Polonia, con l’obiettivo di ottenere dal POUP un valido alleato sulla questione ancora pendente della conferenza mondiale dei partiti comunisti, dovrà rendersi conto che Gomulka, protagonista nel decennio precedente di un esperimento di rinnovamento del socialismo polacco, è tornato a una concezione particolarmente dogmatica del campo socialista. Come riferirà in Direzione, l’incontro con il leader polacco “è stato abbastanza aspro”; Gomulka ha sostenuto apertamente di non essere d’accordo “con la critica di diversi aspetti della vita dei paesi socialisti” espressa dal PCI: “Voi non conoscete la situazione che esiste nei paesi socialisti; i problemi molto complessi che esistono quando si costruisce il socialismo. La linea politica nei paesi socialisti possono soltanto capirla i partiti che esistono negli stessi paesi socialisti […] molto spesso i nostri avversari si richiamano alle tesi del PCI nella loro lotta contro il potere popolare e il socialismo”. Una missione diplomatica più che deludente, quindi, da cui vengono riesumate, con particolare asprezza, accuse di revisionismo e deviazionismo. La critica deve risuonare particolarmente sgradita a un dirigente come Longo, impegnato a interpretare la via italiana al socialismo come espressione originale del tradizionale marxismo-leninismo. Sul tema della conferenza mondiale, inoltre, la posizione polacca è di netta preclusione: “Non vi sono possibilità di unità nella diversità”, osserva Gomulka 17.
L’episodio è emblematico per la comprensione delle velleità riformatrici di Longo verso l’intero campo socialista; soltanto una piena adesione da parte dell'URSS alla politica internazionale promossa dal PCI ne avrebbe infatti garantito il successo (Pons 2001b).
In un nuovo incontro Longo-Waldech Rochet, svoltosi nell’aprile 1966 a Sanremo, il segretario italiano ribadisce che un nuovo sistema di rapporti internazionali si rende necessario “anche in considerazione degli sforzi che i partiti democristiani stanno sviluppando per darsi una organizzazione internazionale e una politica articolata a livello regionale”; rimane quindi prioritario attivare una serie di iniziative “capaci di toccare i partiti dell’Europa capitalistica, i partiti dell’America latina e i partiti e movimenti di liberazione dell’Africa” a cui può contribuire l’“intensificazione dei rapporti bilaterali” tra il PCI “e questi diversi partiti e movimenti”; sul piano europeo, particolare enfasi viene invece data alla necessità di favorire “nuovi rapporti con le forze socialiste e con le forze cattoliche” 18. Il progetto che Longo sembrerebbe paventare è quello di un’egemonia italo-francese non solo sui piccoli partiti comunisti dell’Europa occidentale, ma più in generale sulle sinistre europee, in grado di attrarre l’interesse dei movimenti antimperialisti del Terzo Mondo e di influire sugli orientamenti di Mosca. Una trama ambiziosa che Longo continua a tessere in funzione di una maggiore legittimazione del PCI in Italia, ma che non riesce tuttavia a trovare, nemmeno nel PCF, un pieno e incondizionato appoggio (Galeazzi 2011, 150-151). Una nuova conferenza dei partiti comunisti del Mec, tenutasi a Vienna dal 9 all’11 maggio sul tema della lotta contro i monopoli, conferma l’insoddisfazione del PCI, malgrado si osservino alcune posizioni più favorevoli a uno sviluppo delle relazioni con i cattolici 19.
La teorizzazione di un “nuovo internazionalismo” verso forze e movimenti esterni alla tradizionale rete comunista prosegue tuttavia con slancio da parte del segretario, il quale, soprattutto dopo l’XI congresso del PCI, può poggiare su un entourage di giovani e intraprendenti collaboratori.
Antimperialismo e Terzo Mondo
Al centro delle iniziative del partito verso il Terzo Mondo, si pone, sin dagli ultimi mesi del 1964, l’azione verso il Vietnam. La campagna di solidarietà viene impostata attorno al tema dell’“anticolonialismo come parte integrante e rilevante della lotta per la pace”20, mentre febbrili iniziative diplomatiche sfociano, nella primavera del 1965, nel viaggio di un’autorevole delegazione del PCI (fra cui Giancarlo Pajetta, allora anche vicepresidente della commissione esteri della Camera dei Deputati, Aldo Natoli, Achille Occhetto) ad Hanoi per un incontro con Ho Chi Minh21. Pajetta darà una lettura estremamente positiva dell’evento, osservando come il cui prestigio internazionale del PCI risulti “ancor più grande di quello che alle volte si pensi” 22. Sul campo interno, invece, Longo ne ricaverà la necessità di favorire un’azione unitaria “in parlamento e fuori, per mobilitare le masse”23, incalzando le componenti democristiane più progressiste e prefigurando una potenziale nuova maggioranza alternativa al centro-sinistra 24.
La crescente diffusione nei paesi in via di sviluppo di un modello economico di tipo socialista, con forti particolarità nazionali e strutturalmente diverso dal tradizionale modello sovietico, diviene, nello stesso tempo, di grande interesse per il PCI e per la valorizzazione della sua “via italiana”. L’attenzione dei comunisti italiani, soprattutto verso il contesto africano e maghrebino, non si limita al contatto con i marginali partiti comunisti locali, ma si estende a tutti i movimenti di massa antimperialisti.
Emblematico è il caso dell’Algeria, paese peraltro già visitato da Longo nel gennaio 1964. Un secondo viaggio di una rappresentanza comunista, nel novembre 1964, rivela l’estremo interesse della nuova classe dirigente locale verso il partito italiano, accolto come un’autentica delegazione governativa 25.
Dopo il colpo di Stato che destituisce Ben Bella e porta al potere il colonnello Boumediène, la Segreteria del PCI si muove inizialmente in sostegno al leader deposto 26. Nei mesi successivi emerge, tuttavia, una diversa opinione, tesa a proseguire i rapporti amichevoli con l’Fln, la cui via al socialismo viene assunta quale originale contributo all’estensione delle “vie nazionali”. I rapporti vengono ufficialmente riallacciati nel 1967, dopo alcune missioni del PCI ad Algeri e una visita di una delegazione dell’Fln in Italia; in ottobre Pajetta riferirà in Direzione: “il nostro partito svolge una sua politica, diversa da quella di altri partiti (PCF ad esempio)” e per questo i dirigenti algerini “sono molto interessati ad essere amici nostri” benché considerino i comunisti algerini “un gruppetto al di fuori di questa esperienza che stanno facendo di avvio al socialismo”. Come osserverà Longo, “Facciamo bene a tenere questi contatti, nel quadro della nostra politica di unità delle forze progressiste. Può anche aver torto l’Fln nei confronti dei comunisti, ma è un problema che non può farci ignorare l’esistenza dell’Algeria e non può essere pregiudiziale. […] Dobbiamo apprezzare l’Fln come una forza antimperialista che ha la direzione di un paese” 27. Del resto, il PCI si presenta, ai movimenti di liberazione nazionale, come un partner credibile, svincolato da logiche strettamente dottrinarie e ideologiche; come afferma Pecchioli, ospite nell’autunno 1967 del congresso del Partito Democratico di Guinea, questi movimenti “Dimostrano una grande volontà di contribuire all’unità del movimento, e di avere un rapporto stretto col PCI, che si presenta con le mani pulite” 28.
Un simile approccio pragmatico e realista viene intrapreso anche verso l’Egitto dove, nel febbraio 1965, su invito dell’Unione socialista araba, una delegazione del PCI, guidata sempre da Pajetta, è accolta “come delegazione di stato” trovando “un gruppo dirigente che fa una politica non impegnata, dichiaratamente antimperialista, che collabora con i paesi socialisti” 29. Anche l’interesse per l’esperimento di Nasser si colloca nella strategia volta a dimostrare la validità delle vie nazionali al socialismo e a valorizzare la diversità nei modelli socialisti.
È evidente, dunque, come per Longo, e per la maggior parte dei dirigenti più giovani, il modello sovietico rappresenti soltanto una delle tante varianti socialiste; è ora interesse del PCI legittimare i caratteri di diversità, nel movimento internazionale, e tutti quegli esperimenti di transizione socialista condotti all’esterno del ceppo storico della Terza Internazionale.
La tensione a una ricerca di una nuova visione organica nei rapporti internazionali, capace di sfuggire alle briglie bipolari, emerge soprattutto nel complesso rapporto con Cuba, paese anch’esso interessato a un approccio meno vincolante nei confronti dell'URSS. Nel giugno 1965 una delegazione del PCI, guidata da Mario Alicata, incontra Fidel Castro e i principali dirigenti cubani, i quali dimostrano “grande interesse […] per la nostra esperienza”: la visita ha ricevuto “grande rilievo […] sui giornali, alle radio, ecc.” ma soprattutto si è riscontrata una coincidenza di vedute sul tema pregnante del movimento internazionale30.
Di fronte all’evoluzione del “nuovo internazionalismo” di Longo la Direzione del PCI non sembra presentarsi unanime. Tra 1967 e 1968, non poche critiche iniziano a sollevarsi verso l’indirizzo imboccato; si acuisce anzi un dibattito tra i sostenitori del tradizionale internazionalismo, di prioritario collegamento con il PCUS e, all’opposto, i propugnatori di un più intenso contatto con i movimenti del Terzo Mondo. L’acceso dibattito dell’ottobre 1967 sulla figura di “Che” Guevara, da poco scomparso, è sintomatico della divergenza creatasi. Da un lato “l’Unità”, recependo l’orientamento del segretario, rende solenne omaggio al guerrigliero e pubblica un documento a firma del Comitato Centrale in cui il “Che” è salutato come eroe e campione della lotta antimperialista31; dall’altro lato vi è chi, come Amendola, si dimostra apertamente freddo verso i contatti stretti con i movimenti del Terzo Mondo (per “la posizione fortemente critica che hanno verso l'URSS”) e prende le distanze dal comunicato di cordoglio, sostenendo che non ci si deve far “vincere dall’emozione dando giudizi positivi di merito, pur se non è il momento di dare giudizi negativi” 32. Napolitano, in modo simile, si richiama con preoccupazione alle crescenti simpatie verso il guevarismo nella base del PCI, ricordando la pericolosità di una “esaltazione acritica della guerriglia, con accenti antisovietici, come sola via rivoluzionaria”: l’ondata di solidarietà in seguito alla morte di Guevara, quindi, non deve far dimenticare che quelle guevariste “sono posizioni radicalmente diverse dalla nostra” 33. Pecchioli, al contrario, ricorda che “Non dobbiamo lasciare agli altri l’esaltazione di questo esempio morale”, mentre secondo Ingrao “c’è anche un contributo di Guevara alla ricerca. Possiamo non condividere le conclusioni, ma perché negare questo contributo?”. Su posizioni simili anche Occhetto, Galluzzi, Berlinguer, Bufalini; lo stesso Longo afferma: “Perché non ricordare lo sforzo di contributo? Non importa che respingiamo le conclusioni, ma lo sforzo resta. E resta in un momento in cui chiediamo a tutti uno sforzo di ricerca”; d’altro canto, di fronte alle crescenti simpatie per la guerriglia in determinati settori della società italiana e dello stesso PCI, il partito forgiato dalla Resistenza non deve farsi intimorire: “Non aver paura di a parlare di più di queste cose, e del modo come sono vissuti e morti Gramsci, Grieco, Di Vittorio, Togliatti e tutti gli altri. Reagire al tema dell’‘imborghesimento’. […] Fare più cose di strada” 34.
Nel febbraio 1968, uno sconcertato Pajetta riferisce di un colloquio avuto a Cuba con Fidel Castro, il quale si era scagliato contro “la mancanza di ogni rispetto per le opinioni degli altri partiti da parte del PCUS, con il burocratismo e la falsità eretti a metodo […] un abito storico che indice il gruppo dirigente sovietico a dirigere a dito gli altri partiti comunisti, con o senza Comintern”. Castro aveva invece osservato come a Cuba si guardasse al PCI “come ad una forza propulsiva dell’intero movimento rivoluzionario europeo; si spera in un PCI […] con una personalità sua propria”. Evidentemente in imbarazzo, Pajetta aveva replicato che “per un comunista è difficile ascoltare quanto detto dal compagno Castro e rispondere, rimanendo sul terreno della fraternità”; aveva dunque tentato una difesa del ruolo storico dell’Unione Sovietica: “quanto vi è di negativo in quella eredità può essere superato non ponendosi al di fuori ma all’interno del movimento stesso, con un impegno comune” 35. Al di là delle maggiori cautele di Pajetta, rispetto a Longo, a proposito del “nuovo internazionalismo”, anche questo episodio è paradigmatico per comprendere, da un lato, la reputazione internazionale del PCI come partito pragmatico e svincolato da Mosca e, dall’altro, per cogliere le incertezze dei suoi dirigenti verso più coraggiose scelte pubbliche di autonomia.
È anche in seguito a queste esperienze internazionali che Longo si manifesta propenso ad aggirare il problema della conferenza mondiale di Mosca proponendo ai sovietici, quanto meno, un suo allargamento. La recrudescenza degli attacchi cinesi al PCUS, inoltre, sembra ricordare al segretario che “La nostra responsabilità è anche internazionale” 36; eppure, soltanto una conferenza aperta ai diversi modelli di socialismo potrebbe sancire “la realizzazione della nuova unità internazionale. Cioè unità nella diversità” 37, evitando la riproposizione di “nuovi centri o discipline internazionali” 38. Non a caso, Longo incoraggia anche la ricucitura di un rapporto privilegiato con la Jugoslavia di Tito, un’occasione per rafforzare l’iniziativa del PCI verso i paesi non allineati (Galeazzi 2011, 161-166).
Anche questa visione del comunismo internazionale come realtà eterogenea e in trasformazione, incontra aperte resistenze nella Direzione comunista. Da una parte i dirigenti più vicini a Longo come Galluzzi e Pecchioli, assieme a Pajetta, Berlinguer, Ingrao e al segretario della FGCI Petruccioli, appaiono convinti che un’estensione della conferenza mondiale rafforzerebbe le tesi del PCI e allontanerebbe, per la palese eterogeneità delle forze partecipanti, ogni pericolo di neoverticismo; all’opposto, decisamente ostile è non solo l’area facente riferimento ad Amendola (secondo cui “L’estensione può anche essere abbastanza pericolosa” e quindi il “collegamento prioritario” va mantenuto “con il PCUS e il PCF”), ma anche la “vecchia guardia” internazionalista; secondo Emilio Sereni “Dobbiamo rivedere certi giudizi nostri” e non alimentare le tesi cinesi secondo cui “non è più la classe operaia la forza rivoluzionaria decisiva, ma sono i movimenti di liberazione”. Anche secondo Colombi “c’è una responsabilità primaria nei partiti comunisti, e non la si può lasciare né a Castro né a Boumediene. […] Il PCUS non può sottrarsi alla responsabilità di essere la guida - anche se non organizzativa - del movimento comunista” 39.
Prove di policentrismo
La conferenza sulla sicurezza collettiva di Karlovy Vary (24-27 aprile 1967) cui partecipano 24 partiti comunisti europei, contribuisce a rafforzare le speranze di Longo in un “riorientamento” della politica internazionale sovietica. La non partecipazione romena e jugoslava (motivata da principi autonomisti) mette ancora una volta in luce, tuttavia, le incertezze delle scelte strategiche di Longo, sinceramente propenso a una svolta ma restio a gesti plateali di dissociazione.
Chiamato a presiedere i lavori nella giornata finale, Longo si sofferma sulla prospettiva di un’Europa allargata, unita e autonoma, strumento di superamento dei blocchi e di distensione (Maggiorani, Ferrari 2005, 162-163); soprattutto, evidenzia la necessità di nuove convergenze a sinistra su scala internazionale: “All’interno della socialdemocrazia si registrano differenziazioni e contraddizioni” che portano alcune sue componenti all’abbandono del tradizionale atlantismo, al “dibattito col marxismo e col mondo comunista” in una prospettiva di collaborazione che “potrebbe modificare profondamente il clima e i rapporti di forze in ogni paese e nell’Europa in generale”; anche nei confronti delle masse cattoliche “un’azione comune in favore della sicurezza europea” è possibile dato il rinnovato interesse per le tematiche della pace e del superamento dei blocchi40. L’intervento di Breznev sembra del resto fornire un appoggio alla linea del PCI, proclamando la disponibilità sovietica a intavolare dialoghi e trattative con la Germania occidentale e a sviluppare nuovi rapporti con le socialdemocrazie.
Appare evidente, dunque, l’interesse di Longo a favorire un’apertura di credito soprattutto verso la SPD tedesca, il cui nuovo approccio verso il mondo socialista fornisce un valido sostegno alle tesi del PCI. La normalizzazione dei rapporti Est-Ovest garantirebbe, infatti, un’evoluzione positiva della distensione in Europa e favorirebbe un allentamento della discriminante anticomunista, in particolare in Italia, dove l’unificazione tra Psi e Psdi rischia di isolare ulteriormente il PCI. Come Longo intuisce, il PCI può rappresentare il soggetto più indicato per favorire una svolta nelle relazioni Est-Ovest attraverso la Ostpolitik di Willy Brandt, approfondendo, nello stesso tempo, la propria autonomia da Mosca (Di Donato 2011).
Se i segnali di un reciproco interesse tra comunisti italiani e socialdemocratici tedeschi risalgono al 1966-67 (Pestalozza 1967a; 1967b), i primi contatti diretti tra funzionari dei partiti avvengono immediatamente dopo la conferenza di Karlovy Vary e proseguono per tutto l’autunno e l’inverno 1967 (Höbel 2010, 429-436; Segre 1992; Galluzzi 1989, 95-97; Lajolo 1975, 99-102)41. I contatti con le socialdemocrazie si estendono inoltre a Svezia, Finlandia, Danimarca, Norvegia, dove la giornalista dell’“Unità” Antonietta Macciocchi compie per la Sezione esteri una missione con lo scopo di “esplorare le possibilità di un dialogo tra questi partiti socialdemocratici e il PCI”. La giornalista può constatare un forte “interesse per il dialogo” e il superamento del “vecchio clima di sospetto e diffidenza verso i comunisti” 42.
Sul breve periodo, l’incontro con la socialdemocrazia non porterà a risultati politici significativi, se non al fatto stesso di aver avviato un dialogo; del resto, permangono differenze enormi sul piano politico, incluso il concetto stesso di distensione. Così com’è intesa da Longo, la distensione non deve, infatti, risolversi in una difesa dello status quo, ma in un processo in grado di erodere i vincoli esterni, riavvicinare le sinistre artificialmente divise e favorire l’accesso del PCI all’area governativa. La tematica rimane saldamente collegata alla questione antimperialista e antiatlantica: come Longo scriverà su “Rinascita”, di fronte all’“accentuata aggressività dell’imperialismo americano” rimane prioritario opporre una “‘strategia antimperialistica’ […] che, adeguandosi alle varie possibilità e condizioni locali […] tenda a convogliare […] tutte le forze operaie, progressiste, democratiche” (Longo 1968a, 27-28). Una simile disamina appare comprovata dall’esplosione dello scandalo Sifar e dal colpo di Stato in Grecia, eventi che contribuiscono a far prendere seriamente in considerazione, nelle analisi del segretario comunista, il rischio di una deriva autoritaria anche in Italia 43.
È da questa prospettiva, all’indomani della “guerra dei Sei giorni”, che si delinea la proposta di una conferenza mediterranea di tutte le forze di sinistra. Dall’idea iniziale di una conferenza europea ristretta, si giunge, su iniziativa di Longo, a un incontro ben più largo con i movimenti di liberazione del Nord Africa e del Medio Oriente 44. Durante la riunione, che si terrà a Roma nell’aprile 1968, il segretario descriverà l’evento come una manifestazione di raggiunta unità nella diversità, rappresentandolo come risultato delle teorie internazionaliste del PCI: l’“esistenza di divergenze non è sinonimo di rottura, ma può essere, al contrario, uno stimolo ad una discussione più approfondita” 45. Di fronte alla rinnovata proposta di convocare la conferenza mondiale dei partiti comunisti, l’incontro mediterraneo vuole, infatti, offrire un modello diverso, aperto e inclusivo, di coordinamento internazionale.
Il legame debole
Partendo da queste premesse, non può certamente destare stupore l’attenzione e la simpatia con cui il vertice del PCI segue lo sviluppo del “nuovo corso” in Cecoslovacchia (Dub?ek 1968; 1969; Richta 1968). L’obiettivo di rinnovare le basi del socialismo attraverso una riforma politica, non può non cogliere l’interesse di Longo, da tempo impegnato a risolvere il problema del rapporto tra democrazia, libertà e socialismo (Höbel 2001; Marini 1992).
Nel Comitato centrale di marzo, il segretario illustra chiaramente come il nuovo corso si trovi in piena sintonia con l’elaborazione teorica dei comunisti italiani: esso rappresenta anche “uno stimolo a superare […] le remore che ancora si frappongono ad uno sviluppo pieno della democrazia socialista” 46. La linea di Dub?ek non solo rinvigorisce il principio delle vie nazionali al socialismo e convalida la “via italiana”, fondata su simili premesse teoriche; essa, infatti, sembra anche avvalorare la fede del gruppo dirigente del PCI nell’agognata autoriforma dei sistemi socialisti. Alla visita di Longo in Cecoslovacchia, organizzata in piena campagna elettorale, e all’incontro con Dub?ek 47, segue dunque un comunicato congiunto dei due segretari, i quali si dichiarano “convinti che il socialismo […] possa e debba oggi avanzare verso nuove frontiere, nuove conquiste, nuove affermazioni. Ciò è particolarmente vero per l’Europa. Per questo essi intendono rivendicare e valorizzare i grandi ideali di libertà e di democrazia, di umanesimo e di pace che del socialismo sono propri” 48.
Al ritorno a Roma, l’impressione di Longo sul rinnovamento cecoslovacco è nel complesso “positiva” ma, in realtà, l’analisi della situazione politica è articolata e non priva di punti critici; come confida alla Direzione del partito, “vi sono, in questa spinta al rinnovamento, tendenze mascherate che vanno contro il sistema e il partito. […] Intanto gli altri partiti sono impegnati in un lavoro di reclutamento e di organizzazione”. È la proposta di creare un partito di opposizione a destare maggiore perplessità: “Cosa vuol dire un partito di opposizione, ritorno al capitalismo? Io non penso, per la verità, che un tale movimento se ben combattuto, possa trovare in Cecoslovacchia una base ampia di consensi”. Eppure, “di fronte a questa spinta eversiva […] non c’è una sufficiente risposta del partito. […] Politicamente sono perciò deboli: radio, televisione, giornali operano liberamente quasi fuori di ogni controllo. Credo che anche alla base vi sia un certo smarrimento”. Significativa è la considerazione finale del segretario: “Se la situazione attuale della Cecoslovacchia si determinasse in Polonia la cosa sarebbe grave: la Polonia non reggerebbe, dico questo non per giustificare certe eventualità ma semplicemente per spiegare” 49.
Da questa analisi sembrerebbe emergere un giudizio critico verso la gestione del rinnovamento e una viva preoccupazione per quelle che a Longo appaiono estreme e incontrollate conseguenze delle riforme avviate. Difficile dunque affermare (come è quasi divenuto luogo comune nella storiografia del PCI e nella pubblicistica celebrativa) un’adesione fin da subito incondizionata ed entusiastica di Longo: emergono, al contrario, serie riserve e vaste zone d’ombra, pur accanto a speranze e premesse positive. Le ambiguità sulle scelte strategiche da imprimere al PCI si manifestano, dunque, anche dal caso cecoslovacco, che rischia di tramutarsi in un paradosso teorico: se, infatti, nell’occidente capitalistico Longo rivendica un modello socialista pluralistico, che garantisca le libertà democratiche e la possibilità di un’alternanza tra maggioranza e opposizione, risulta difficile ammettere, in un paese già socialista, un ritorno al “pluralismo borghese”, concepito come fattore di resa e di arretramento rivoluzionario.
La tenuta internazionale del campo socialista rimane, del resto, una priorità da salvaguardare e, in questo senso, Longo sembrerebbe favorire una maggiore cautela da parte dei dirigenti del PCC, un rinnovamento più controllato e graduale. Il pubblico appoggio a Dub?ek, tuttavia, non viene e non può venir meno da parte di Longo: non si tratta, infatti, unicamente di manifestare solidarietà per il processo di riforma in sé, ma di sostenere, nei confronti dell'URSS, la legittimità della diversità nel movimento comunista internazionale e, in politica interna, di dimostrare con coerenza la propria autonomia dai vincoli internazionali. “Quel che più mi preoccupa è la linea nostra, ed è questa che dobbiamo difendere”, sosterrà il segretario: “Le conseguenze sarebbero non meno gravi di un contrasto con il PCUS. Riconosciamo la funzione dell'URSS e anche le sue preoccupazioni. Ci differenziamo sul modo di affrontare i pericoli” 50.
Una netta presa di posizione è, nondimeno, ancor più problematica di fronte alle durissime reazioni sovietiche nei confronti del PCC. Longo, dopo la pubblicazione del Manifesto delle 2000 parole, intuisce come la situazione sia ancor più “grave e allarmante” e che, dunque, sia necessaria da parte del PCI “una posizione molto precisa”; movimenti di truppe del Patto di Varsavia ai confini cecoslovacchi lasciano infatti emergere pericolose assonanze con gli eventi ungheresi del 1956: “Le truppe se ne vanno, ma prendono la strada più lunga. Anche a Budapest se ne erano andate ma erano poi tornate”. Il segretario propone quindi di discutere una bozza di comunicato che rinnovi il sostegno al PCC assieme all’esigenza dell’unità internazionalistica con l'URSS: “Vorrei che fosse letto - precisa Longo - anche alla luce delle possibili conseguenze pratiche che può avere nei rapporti tra noi e il PCUS; e non solo alla luce della sua impostazione politica” 51. Il segretario è consapevole di ritrovarsi di fronte a un punto di non ritorno: la difesa dell’unità nella diversità, dell’autonomia del PCI e delle vie nazionali al socialismo necessita, ora, non più soltanto di dichiarazioni di principio, ma di concrete prese di posizione su fatti reali, anche assumendo il rischio di formalizzare e rendere pubblica una spaccatura nel movimento comunista.
Se l’allentamento del legame di ferro con Mosca è stato, fino ad ora, sostanzialmente indolore, sorgono qui i presupposti per uno scontro aperto: si tratta, per Longo, di un doloroso imprevisto che non lascia impassibili gli altri dirigenti comunisti. Scoccimarro appare perplesso, mentre Colombi è apertamente contrario: “Questo documento significa rottura brusca con il PCUS in momento grave. […] Non so se è giusto insistere sull’autonomia. Non dobbiamo dividere il partito. Non ho tutta questa fiducia nei dirigenti del Pc cecoslovacco, perché molte loro azioni non sono né oneste né democratiche” 52. La maggioranza della Direzione comunista si ritrova comunque concorde nell’esigenza fondamentale di rimanere coerenti con l’elaborazione teorica del PCI, prediligendo la salvaguardia della “via italiana” e dell’autonomia.
In un attento equilibrio tra le diverse opzioni sul campo e valutando tutte le possibili ripercussioni, Longo propone infine una linea di condotta che aderisce criticamente alla linea del PCC, difendendo la buona fede di Dub?ek ma riconoscendo allo stesso tempo la validità delle preoccupazioni sovietiche. Di fronte alla possibilità di un contrasto con il PCUS, sembra comunque propendere per la difesa dei principi dell’autonomia: una presa di posizione irrinunciabile per dimostrare nel Paese il carattere autonomistico del PCI 53.
Com’è noto, di fronte all’invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia (sebbene Longo si fosse già in precedenza spinto a ventilare la possibilità di scindere la sua responsabilità di segretario dalla Direzione, emettendo un intervento presso i sovietici a titolo personale) 54, la scelta del gruppo dirigente italiano è per il “grave dissenso” verso l’“ingiustificata” azione militare (Longo 1968b, 120-121), cui si aggiungerà la “riprovazione” del segretario 55. La presa di posizione di Longo è sofferta, ma resa necessaria dagli interessi di politica interna del PCI, che può, ora, dare prova della propria autonomia; come Longo (1968b, 85-107) affermerà pubblicamente dopo la condanna dell’intervento, “crediamo […] di aver dato, ancora una volta, prove indiscutibili della nostra piena autonomia”.
Per Longo, si apre in questo modo una delle fasi più tormentate della sua vita politica; i tentennamenti e i blocchi psicologici, le incertezze per gli umori della base, gli evidenti smarrimenti del suo gruppo dirigente, le lacerazioni di fronte alle critiche del nascente gruppo del “Manifesto”, quasi si incarnano nel corpo del segretario che, colpito da ictus, diviene l’emblema di un partito disorientato dopo lo sgretolamento del “legame forte” con l'URSS.
In una riunione della Direzione del 23 agosto, Longo aveva voluto rispondere “al quesito: dove vi collocate, di qua o di là” 56. La soluzione era stata ancora una volta intermedia, riassumibile nella formula, coniata da Pons (2001a, 937), “né ortodossia, né eresia”: “Siamo per il socialismo, solidari con il movimento democratico contro l’imperialismo. In questo movimento - operaio e comunista internazionale - rivendichiamo il diritto e il dovere di esprimere chiaramente la nostra posizione”. La riaffermazione dell’autonomia “ci consente di parlare chiaro, e di sviluppare contatti e iniziative capaci di mobilitare all’azione per l’unità le forze più larghe. In secondo luogo riaffermare la nostra prospettiva socialista. Poiché ci sentiamo parte di questo movimento, richiamare le posizioni del rinnovamento democratico e dell’unità nella diversità” 57.
Sebbene la convinzione nell’autoriforma del socialismo sia ora evocata con sfumature meno ottimistiche rispetto al passato, permane la convinzione sul ruolo che il PCI può impersonare per favorire il processo di rinnovamento e dunque sulla necessità di rimanere nel campo internazionale comunista: “siamo nel campo socialista, contro l’imperialismo. Senza cambiare la nostra posizione del dissenso e della critica, stare attenti a non lasciarci respingere fuori dal campo dove vogliamo restare” 58.
L’oscillazione tra rivendicazione della propria diversità nell’ambito del movimento comunista (come requisito di nazionalizzazione del partito) e richiamo all’unità internazionalista, perdurerà ancora a lungo dopo i fatti di Cecoslovacchia. Gli orientamenti impressi al PCI da Luigi Longo, il quale gradualmente si allontanerà dall’effettivo lavoro di direzione a causa delle sue condizioni di salute, si concretizzeranno tuttavia nella piena affermazione della dimensione nazionale su quella internazionale: è il primo termine, ora, a prevalere e a determinare l’elaborazione del secondo, mentre proprio l’aspetto internazionale non può che fungere da convalida per la politica interna e configurarsi come mezzo per dimostrare l’autonomia del PCI.
Tra i risultati dell’indirizzo imboccato da Longo, vi sarà la partecipazione critica del PCI alla conferenza mondiale di Mosca dei partiti comunisti del giugno 1969: su proposta del segretario, il PCI appoggerà solo uno dei quattro paragrafi del documento elaborato per la riunione, differenziandosi pubblicamente dagli altri partiti comunisti. Sarà Berlinguer, eletto vicesegretario durante il XII Congresso del PCI del febbraio 1969, a portare a Mosca le istanze del PCI: l’evento può rappresentare proprio un ideale passaggio di consegne tra i due dirigenti.
È certamente singolare la vicenda che vede Luigi Longo affermarsi, per gran parte della storia del PCI, come l’esponente più legato a Mosca e alla leadership sovietica e infine elaborare, proprio al momento della sua segreteria, il primo fondamentale passo di rottura con l'URSS. L’evoluzione politica di Longo, del resto, può essere intesa come l’originale risultato di quell’inserimento del PCI nel sistema politico italiano; la nazionalizzazione del partito ha reso evidente la sua diversità con il modello sovietico, lasciando emergere la necessità di una maggiore differenziazione da esso.
Longo è stato segretario del PCI dal 1964 al 1972 ma, improvvisamente colpito da malattia nel 1968, dal 1969 è affiancato e gradualmente sostituito da Enrico Berlinguer con l’incarico di vicesegretario. [?]
Con l’XI congresso, di fronte al quale si era radicalizzato il confronto tra Ingrao e Amendola, Longo riesce a riconfermare la propria leadership attraverso un’opera di conciliazione e di riaffermazione del ruolo della segreteria; coadiuvato da dirigenti della generazione dei quarantenni come Enrico Berlinguer e Paolo Bufalini, Longo può anche beneficiare della creazione di un Ufficio politico e di un Ufficio di segreteria, composto, quest’ultimo, da un entourage di sua diretta espressione (vi fanno parte tra 1966 e 1969 Emanuele Macaluso, Armando Cossutta, Paolo Bufalini, Alessandro Natta, Fernando Di Giulio, Achille Occhetto e Giorgio Napolitano, in una posizione di rilievo in quanto unico dirigente, oltre al segretario, a risiedere in entrambi gli uffici). [?]
Non stupisce che all’esterno del partito la segreteria di Longo appaia come una vera e propria incognita; significativa in questo senso l’analisi che compie la Cia, la quale descrive il passaggio di leadership come una misura transitoria ma, potenzialmente, in grado di stabilizzarsi, data l’abilità politica del dirigente comunista; egli è descritto come stabilmente supportato da Mosca ma intenzionato a rivedere la sua immagine di rigido “stalinista”; cfr. 16 ottobre 1964, Central Intelligence Agency, Office of Current Intelligence, The Italian Communist Party Today, Special Report, declassificato nell’ottobre 2000, reperibile all’indirizzo
http://www.foia.cia.gov/sites/default/files/document_conversions/89801/DOC_0000454113.pdf (ultima visita 01/06/2014). [?]
APC (Archivio del Partito comunista italiano, Fondazione Istituto Gramsci), Direzione, mf 28, 1 ottobre 1964, 857-858, Intervento di Longo in Direzione. [?]
APC, Direzione, mf 28, 6 novembre 1964, 926-927. [?]
APC, Direzione, mf 28, 15 ottobre 1964, Lettera al CC del PCUS, 866. [?]
Una intervista di Longo al direttore dell’“Espresso”, in “l’Unità”, 17 settembre 1964, 2. [?]
APC, Ufficio di segreteria, mf 18, 16 febbraio 1966, 1183. [?]
APC, Ufficio politico, mf 18, 15 febbraio 1966, 1190. [?]
Intervista di Longo all’Express, in “l’Unità”, 2 novembre 1964, 6. [?]
Cfr. APC, Estero, Francia, mf 527, Incontro Longo Waldeck Rochet, Ginevra 24-5-1965; Incontro tra Longo e Waldeck Rochet, in “l’Unità”, 27 maggio 1965, 1; PCF e PCI per una ripresa operaia nell’Europa, in “l’Unità”, 9 giugno 1965. [?]
APC, Direzione, mf 29, 25 giugno 1965, 883. [?]
Ibidem, 835. [?]
La bozza della lettera è allegata in APC, Segreteria, mf 29, 13 luglio 1965, 1688-1691. [?]
APC, Segreteria, mf 29, 2 marzo 1965, 586. [?]
APC, Segreteria, mf 29, 30 marzo 1965, 645-46. [?]
APC, Direzione, mf 18, 10 marzo 1966, Verbale sommario dell’incontro con i compagni polacchi, 2-3-4 marzo 1966, 522-546. [?]
APC, Direzione, mf 18, 13 maggio 1966, Informazione sull’incontro di Sanremo con i compagni francesi, 3-4- maggio 1966, 646-650. [?]
Cfr. APC, Direzione, mf 18, 13 maggio 1966, 643. [?]
APC, Segreteria, mf 29, 5 marzo 1965, 1360. [?]
Cfr. APC, Estero, mf 528, 1965, Incontri internazionali. Note sull’attività del PCI. [?]
APC, Segreteria, mf 29, 21 maggio 1965, 757. [?]
APC, Segreteria, mf 29, 25 giugno 1965, 834-835. [?]
Significativo in questo senso l’incontro di Longo con il sindaco di Firenze La Pira del 22 dicembre; cfr. APC, Segreteria, mf 29, 23 dicembre 1965, 1141-1142. [?]
Cfr. APC, Estero, Algeria, mf. 520, 1965, Viaggio in Algeria in occasione delle celebrazioni del 1° novembre. [?]
Cfr. APC, Segreteria, mf 29, 30 giugno 1965, 1620. [?]
APC, Ufficio Politico, mf 19, 17 ottobre 1967, 991-992. Cfr. APC, Ufficio di Segreteria, mf 19, 12 ottobre 1967, 1309-1312. [?]
APC, Ufficio politico, mf 19, 17 ottobre 1967, 992. [?]
APC, Direzione, mf 29, 2 marzo 1965, 605. [?]
APC, Direzione, mf 29, 25 giugno 1965, 831-832. [?]
L’omaggio del PCI all’eroe scomparso, in “l’Unità”, 17 ottobre 1967, 1. [?]
APC, Ufficio politico, mf 19, 17 ottobre 1967, 992, 995. [?]
Ibidem, 994; anche Pajetta, che pure difende la necessità di estendere i contatti con Cuba e con i movimenti del Terzo Mondo, non lesina critiche a Guevara: “nemmeno definirei ‘esemplare’ la sua vita, poiché se lo fosse dovremmo partire tutti per il Vietnam oggi e per l’Algeria ieri. Un ministro di un paese socialista secondo me non può lasciare il suo lavoro, difficile, per andare a fare il partigiano”, in ibidem, 995. [?]
Ibidem, 995-997. [?]
APC, Estero, Cuba, mf 552, 1968, Relazione sulla attività della delegazione del PCI a Cuba, 20-25 febbraio 1968. Secondo Castro, i metodi del Pc cinese, in particolare il “frazionismo” e “il loro arruolamento in America Latina di avventurieri e di vigliacchi” sono “identici a quelli del PCUS”. [?]
APC, Direzione, mf 18, 27 dicembre 1966, 1057. [?]
APC, Direzione, mf 18, 27 ottobre 1966, 891. [?]
APC, Direzione, mf 19, 24 gennaio 1967, 292. [?]
APC, Direzione, mf 19, 16 novembre 1967, 842-848. [?]
Il testo del discorso di Longo alla conferenza di Karlovy Vary, in “l’Unità”, 27 aprile 1967, 11. Per il discorso conclusivo cfr. Longo: unità per costruire un’Europa pacifica e sicura, in “l’Unità”, 28 aprile 1967, 11. [?]
APC, Estero, RFT, mf 545, 19 ottobre 1967, A. Jacoviello, Appunto per Longo, 1806. [?]
APC, Estero, Svezia, mf 552, 1968, Appunti per il compagno Longo e per la Sezione esteri del PCI sul viaggio compiuto presso le socialdemocrazie scandinave tra l’8 e il 20 febbraio 1968, 2648-2665. [?]
Quasi rievocando parole d’ordine proprie del periodo di semiclandestinità, Longo affermerà in Direzione: “C’è il problema della preparazione del partito e dell’opinione a svolte brusche, in cui non c’è tempo per comunicati. Se si dovesse arrivare a delle strette, avremo misure molto difficili anche se non si tratterà di una ripetizione della Grecia. Cioè la necessità che il movimento abbia una sua spinta, anche se non ci sarà il giornale o il comunicato. Creare una preparazione politica per cui ognuno sappia quello che deve fare per sviluppare il movimento in quelle condizioni. C’è tutta una situazione da vedere, e da vedere come già preparare l’opinione di fronte a situazioni del genere. […] Si tratta di preparazione politica e anche organizzativa. Nella misura in cui indichiamo l’esistenza di questa preparazione, rendiamo anche più difficili i tentativi del genere. Dobbiamo anche pensare che non sempre potremo utilizzare telefoni o macchine. Non si tratta di creare organizzazioni fantasma, ma di sapere come comportarsi in certe evenienze”, APC, Direzione, mf 19, 29 maggio1967, 556-557. [?]
La riunione preparatoria del gennaio 1968 vedrà la presenza di PCI, Psiup, PCF, Psu francese, Fln algerino, Akel di Cipro, Eda greco, Alleanza Socialista Jugoslava, Pc marocchino, Unione Nazionale delle Forze Popolari del Marocco, Unione Socialista Araba, Pc spagnolo, Organisationes Frente spagnola, Baath siriano, Partito Operaio Turco; cfr. Fondazione Istituto Gramsci, Fondo Luigi Longo, busta 38, Documento interno approvato nella riunione preparatoria della Conferenza delle Forze Progressiste del Mediterraneo (Roma, 22-23 gennaio 1968). [?]
Il saluto di Longo ai delegati della Conferenza del Mediterraneo, in “l’Unità”, 12 aprile 1968, 12. [?]
L’impegno delle gradi ore, in “l’Unità”, 29 marzo 1968, 13. [?]
APC, Ufficio politico, mf 20, 24 aprile 1968. [?]
APC, Esteri, Cecoslovacchia, mf 552, 1968, Viaggio di Longo a Praga - Progetto di comunicato, 297-299. Nel comunicato ufficiale, invece, non compare alcun riferimento agli “ideali di libertà e umanesimo”, cfr. “l’Unità”, 8 maggio 1968, 1, 12. [?]
APC, Direzione, mf 20, 10 maggio, 1968, 656-661. [?]
APC, Direzione, mf 20, 17 luglio 1968, 800. [?]
Ibidem. [?]
Ibidem, 803-815. [?]
Cfr. La posizione del PCI sulla questione cecoslovacca, in “l’Unità”, 19 luglio 1968, 1 e 10. [?]
“Dobbiamo mantenere dei rapporti, non possiamo impegnarci tutti”, APC, Direzione, mf 20, 19 luglio 1968, 822. [?]
Longo: riprovazione dell’intervento, in “l’Unità”, 23 agosto 1968, 1. [?]
APC, Direzione, mf 20, 23 agosto 1968, 903. [?]
Ibidem, 903-906. [?]
APC, Direzione, mf 20, 18 settembre 1968, 959. [?]
Bibliografia
Aga Rossi E., Zaslavsky V., 1997 Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, il Mulino.
Agosti A. (cur.) 1992 Luigi Longo, La politica e l’azione, Roma, Editori Riuniti.
Barbagallo F., Vittoria A. (cur.)2007 Enrico Berlinguer, la politica italiana e la crisi mondiale, Roma, Carocci.
Borruso P. 2009 Il Pci e l’Africa indipendente. Apogeo e crisi di un’utopia socialista (1956-1989), Firenze, Le Monnier.
Bracke M. 2008 Quale socialismo, quale distensione? Il comunismo europeo e la crisi cecoslovacca del ’68, Roma, Carocci.
Di Donato M. 2011 Il rapporto con la socialdemocrazia tedesca nella politica internazionale del Pci di Luigi Longo (1967-1969) in “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, n. 2.
Dub?ek A. 1968 Il nuovo corso in Cecoslovacchia, Roma, Editori Riuniti.
1969 Le ventimila parole di Dub?ek. Per un’autentica democrazia socialista (30 ottobre 1967 – 4 agosto 1968), Milano, Il Saggiatore.
Ferrari P. 2007 In cammino verso Occidente. Berlinguer, il Pci e la comunità europea negli anni ’70, Bologna, Clueb.
Galeazzi M. 2005 Togliatti e Tito. Tra identità nazionale e internazionalismo, Roma, Carocci.
2011 Il Pci e il movimento dei paesi non allineati. 1955-1975, Milano, Franco Angeli.
Galli G. 1966 Il bipartitismo imperfetto. Comunisti e democristiani in Italia, Bologna, il Mulino.
Galluzzi C. 1989 Togliatti, Longo, Berlinguer, Milano, Sperling & Kupfer.
Gualtieri R. (cur.) 2001 Il Pci nell’Italia repubblicana. 1943-1991, Roma, Carocci.
Höbel A. 2001 Il Pci, il ’68 cecoslovacco e il rapporto con il PCUS, in “Studi Storici”, n. 4.
2010 Il Pci di Luigi Longo, 1964-1969, Napoli-Roma, Edizioni scientifiche italiane.
2013 Luigi Longo, una vita partigiana. 1900-1945, Roma, Carocci.
Lajolo D. 1975 Finestre aperte a Botteghe Oscure, Milano, Rizzoli.
Lomellini V. 2010 L’appuntamento mancato. La sinistra italiana e il dissenso nei regimi comunisti (1968-1989), Firenze, Le Monnier.
Longo L. 1966 Relazione di Luigi Longo, in XI Congresso del Partito comunista italiano. Atti e risoluzioni, Roma, Editori Riuniti.
1968a L’unità del movimento operaio e comunista, in Longo, Berlinguer.
1968b Sui fatti di Cecoslovacchia, Roma, Editori Riuniti.
Longo L., Berlinguer E. 1968 L’unità del movimento operaio. La posizione dei comunisti italiani per la creazione di un nuovo tipo di unità nel movimento operaio internazionale, Roma, Editori Riuniti.
Maggiorani M., Ferrari P. (cur.) 2005 L’Europa da Togliatti a Berlinguer. Testimonianze e documenti (1945-1984), Bologna, il Mulino.
Marini G. 1992 La repressione della primavera cecoslovacca: dal “grave dissenso” alla “riprovazione”, in Agosti.
Pappagallo O.2009 Il Pci e la rivoluzione cubana. La “via latino-americana al socialismo” tra Mosca e Pechino 1959-1965, Roma, Carocci.
Pestalozza L. 1967a La sinistra tedesca, in “Rinascita”, 21 aprile, n. 16.
1967b Una nuova sinistra nasce tra i giovani, in “Rinascita”, 5 maggio, n.18.
Pons S. 1999 L’impossibile egemonia. L’Urss, il Pci e le origini della guerra fredda (1943-1948), Roma, Carocci.
2001a L’Italia e il Pci nella politica estera dell'URSS di Breznev, in “Studi Storici”, n. 4.
2001b L’Urss e il Pci nel sistema internazionale della guerra fredda, in Gualtieri.
2006 Berlinguer e la fine del comunismo, Torino, Einaudi.
Riccardi L. 2006 Il “problema Israele”. Diplomazia italiana e Pci di fronte allo stato ebraico (1948-1973), Roma, Guerini.
Richta R. 1968 La via cecoslovacca. Civiltà al bivio: le proposte di Praga per un nuovo socialismo, Milano, Franco Angeli.
Segre S. 1992 Luigi Longo nell’Europa della guerra fredda e della distensione, in Agosti.
Spagnolo C. 2007 Sul Memoriale di Yalta. Togliatti e la crisi del movimento comunista internazionale (1956-1964), Roma, Carocci.
grazie a: http://storiaefuturo.eu/ |