Michael Crichton

Stato di paura

Garzanti, 2004, pp. 605, € 18,60

 

L'autore, morto nell'ottobre 2008, è notissimo: da Andromeda e Congo da Jurassik Park all'invenzione di ER, ci ha abituati a intrecci complessi, che non rinunciano a scontrarsi coi problemi dell'oggi e del domani.
A differenza della maggior parte di autori di best seller, infatti, Crichton non fa mistero delle proprie convinzioni, e soprattutto dei propri dubbi: in Stato di paura imbastisce un thriller piuttosto improbabile, e che fa acqua da molte parti, con l'intento molto esplicito di mettere in discussione alcune delle più radicate convinzioni diffusesi negli ultimi decenni in tema di ecologia.
Lo fa con grande determinazione, utilizzando ampiamente materiali scientifici e fornendo in appendice una ricca e documentata bibliografia (tra parentesi: la minima parte di questi libri ed articoli ha avuto una traduzione italiana: un esempio paradossale di come siamo dipendenti - passivamente, in questo caso - dalla lingua imperiale). Il lettore italiano rimarrà infastidito dall'asprezza con cui Crichton parla delle organizzazioni ambientaliste, dipinte più che altro come entità burocratiche e autoreferenziali, preoccupate soprattutto di raccogliere fondi per campagne ad effetto e volutamente decise a mantenere i propri campi di iniziativa a livelli estremamente superficiali.
Un ritratto che non ha molto a che vedere con il volontariato nostrano, continuamente alle prese con difficoltà economiche, ma che fa riferimento a una realtà americana in cui la politica - in senso lato - ha da sempre un'articolazione organizzativa e finanziaria completamente diversa dalla tradizione europea (si pensi solo al fatto che dal punto di vista fiscale le normative statunitensi - a differenza di quelle che conosciamo qui - favoriscono in misura notevole le donazioni a tutte le organizzazioni senza scopo di lucro).
Crichton, dunque, sostiene che la maggior parte delle tematiche ambientaliste (a partire dall'effetto serra, e in generale dall'influenza negativa che hanno le attività industriali sulla natura) si basano su pre-giudizi, su analisi che pretendono di essere tali mentre invece restano delle mere ipotesi, o, peggio, delle tesi decisamente smentite dalla letteratura scientifica. Ad esempio, citando svariate fonti autorevolissime, Crichton fornisce cifre e dati che non avvalorano affatto l'idea, ormai diffusissima, secondo la quale da oltre un secolo vi è un surriscaldamento globale del pianeta - dovuto al progressivo aumento delle emissioni di anidride carbonica attraverso i gas di scarico - con conseguente disgelo dei ghiacci polari e impazzimento dell'equilibrio climatico, da cui tsunami, uragani, ecc..
E aggiunge che il Protocollo di Kyoto è una bufala colossale.
O, in altro campo, interessante la feroce messa in discussione dell'abolizione dell'uso del DDT.

Insomma, ce n'è da far venire i sorci verdi a tutti i verdi...

Non convince Crichton quando giustamente attacca con forza certi gruppi di pressione ambientalisti ma evita di far cenno alle potentissime lobbies industriali: insomma, quand'anche vi fosse superficialità e opportunismo nel multiforme arcipelago verde, Bhopal ed Exxon Valdez non se l'è mica inventate qualche ecologista paranoico.

Ma il libro va letto perché ci riporta bruscamente alla necessità di stare sempre in guardia rispetto al pericolo ideologico: Marx diceva che l’ideologia è illusione interessata che protegge se stessa nel suo essere tale, che vuole rimanere tale; l’ideologia non è menzogna cosciente ma auto-mistificazione inconscia, auto-inganno dettato dalla paura della realtà, visione artefatta di comodo assillata dalla cattiva coscienza. In altre parole: siamo davvero sicuri che certe affermazioni perentorie ("La tragedia di New Orleans dimostra che il capitalismo...") appoggino su basi reali?

Un'intervista a Crichton ed una replica