Il 1956 è stato un anno unitario e inusualmente omogeneo, con all'interno del mondo comunista dinamiche intessute, in modo devastante, di illusioni e di delusioni, e con una spinta evidente, sul piano planetario, alla globalizzazione politica, il che ha comportato una conferma, e un consolidamento, del duopolio sovietico - americano, e, insieme, una conferma e un consolidamento, dal Medio Oriente all'Asia, e alla stessa Europa, della natura larghissimamente imperfetta di tale duopolio. Il che smentisce chi consegna in toto alla categoria di «guerra fredda», categoria onnicomprensiva, l'intero quarantacinquennio 1946-1991. Il 1956, infatti, a differenza di altri anni che, con un termine abusato, vengono definiti "epocali", ha, ben identificabili, e ben raccontabili, da Mosca a Budapest, dai prodromi della crisi di Suez all'azione militare franco-britannica nella zona del Canale, un inizio e una fine. Ha certo vari presupposti (la morte di Stalin, il cosiddetto «disgelo», la prima amministrazione Eisenhower, il disfarsi del maccartismo, le prove tecniche di unità europea, il riavvicinamento sovietico - americano, la pienezza dell'unità riconquistata dall'Austria, la Germania nella Nato, il patto di Varsavia, le prime insofferenze della Cina nei confronti della tutela di Mosca, la conferenza di Bandung, il «risveglio» del mondo arabo e musulmano), così come, e in misura forse maggiore, ha conseguenze di enorme portata. Racconta tuttavia una vicenda di breve periodo e che può sembrare, ed in parte è, provvista di una logica autonoma. Crisi del comunismo sovietico Il compatto 1956, proprio dal punto di vista della sua raccontabilità, non è insomma un anno sineddoche. Non rappresenta una parte per il tutto, differenziandosi così, ad esempio, dal fluido 1968, che è difficile dire quando abbia inizio e quando abbia fine. Il 1956, sempre che non lo si consideri sul solo versante comunista e quindi come il primo di una serie di rintocchi funebri destinati a diventare progressivamente irreversibili sino al biennio conclusivo 1989-1991, sembra cioè un processo che si risolve in se stesso ed è nel contempo il sintomo di una crisi che da tempo sappiamo preagonica e che si protrarrà per 35 anni, la crisi cioè del comunismo di tipo sovietico (inimmaginabile però alla fine del 1956), così come è il sintomo, se non l'evento clamorosamente decisivo, del precipitare tra Algeria ed Egitto della crisi ormai pienamente agonica (e ben immaginabile dopo Dien Bien Phu) del colonialismo europeo e delle sue ultime, e veIleitarie, ambizioni. A pensarci bene, d'altra parte, non sembra essere del tutto un caso che il comunismo storico novecentesco (non ancora giunto nel 1956 alla sua massima estensione, mancando ancora all'appello Cuba, gran parte dell'Indocina, così come i presto abortiti afro-comunismi) e il colonialismo europeo classico (ridotto invece ai suoi minimi termini) abbiano avuto, nel loro asimmetrico crepuscolo, e nonostante i tempi sfasati, una evidente relazione. La decolonizzazione ha in fatti interferito con le pretese duopolistiche delle due superpotenze e ha, per trent'anni (1946-1976), impegnando il deuteragonista statunitense (spasmodIcamente impegnato nell'impedire che il processo colonizzatore potesse virare verso il comunismo), favorito l'URSS. La quale, tuttavia, è sopravvissuta solo sedici anni (1975-1991) al concludersi, in Indocina (sconfitta USA) e in Africa (fine della presenza portoghese), del processo decolonizzatore stesso. Un anno ricco, denso, e drammatico, il 1956. Sembra cominciare (e in realtà sempre continuerà lungo questa strada, nonostante il tragico inizio di novembre) alI'insegna del perfezionamento del disgelo. Il 25 gennaio, con un messaggio personale, il maresciallo Bulganin, uomo forte all'epoca dell'entourage di Kruscev, propone a Eisenhower un trattato sovietico-americano di cooperazione. Il 14 febbraio si apre poi il XX Congresso del Pcus, noto anche come il congresso della destalinizzazione e del rapporto segreto, poi fatto filtrare ad Ovest attraverso i comunisti polacchi. Ma sono in gioco, durante e subito dopo il Congresso, anche il depotenziarsi della vecchia guardia stalinista, la distensione, la competizione pacifica, la riabilitazione di molti veterani della rivoluzione eliminati da Stalin (ma anche la riabilitazione dell'ungherese Rajk, giustiziato nel 1949), l'abbandono del principio leninista circa l'inevitabilità assoluta della guerra, effetto, quest'abbandono, del successo della politica trumaniana del containment, nonché presupposto di un possibile maggior spazio per le "vie nazionali", spaio, poi ufficialmente riconosciuto, il 17 aprile, nel legnoso documento firmato dai "partiti fratelli" (ivi compreso l'italiano) che pone fine all'esistenza del Kominform. Tutto è pilotato da Mosca. Ma si crea l'illusione, nell'Europa dell'Est, che sia iniziato un processo che possa condurre a forme sempre più marcate di autonomia. E che la destalinizzazione possa essere sinonimo di indipendenza e anche di democratizzazione. Intanto, in ltalia, Togliatti, che probabilmente ben conosce la fragilità dei sistemi di tipo sovietico, e che forse già pensa di ottenere senza strappi da Mosca il placet alla «via italiana» in cambio di una lealtà assoluta nei confronti della politica sovietica, mantiene, nel corso del Comitato centrale del PCI del 13 marzo, e poi ancora della conferenza nazionale del 3 aprile, un atteggiamento reticente che gli viene rimproverato in seno al partito e ancor più da quella parte del mondo della cultura che simpatizza per i socialisti e per i comunisti. Londra e Parigi contro Nasser Intanto il mondo diventa più complesso e plurale. In febbraio l'lndonesia si disincaglia definitivamente dall'Olanda. In marzo, mentre l'Algeria resta una ferita insanabile (e Cipro resta ancora un problema per i britannici), la Franiaa riconosce l'indipendenza prima del Marocco e della Tunisia (e in aprile la Spagna del Marocco spagnolo). Nella politica internazionale in primo piano si pongono, tra la primavera e l'estate, l'India di Nehru, l'Indonesia di Sukarno, la Jugoslavia di Tito e poi l'Egitto di Nasser. Che il 26 luglio, dopo il rifiuto di Francia e Gran Bretagna a collaborare alla costruzione della diga di Assuan, proclama la nazionalizzazione del canale di Suez. La Francia sospetta che Nasser, il quale tra l'altro ha ricevuto armi dalla Cecoslovacchia, aiuti gli algerini. La Gran Bretagna, che non molti anni prima poteva far partire le sue navi verso l'India o l'Oceania consentendo loro di effettuare tutti gli scali in località dell'Impero britannico, si accorge che le sue rotte devono attraversare territori non sempre necessariamente amici. E anche questo è il 1956. Nell'altra parte del mondo il processo innnescato involontariamente dal XX Congresso comunque non si arresta. Ciò che è cominciato dall'alto, nelle stanze del Cremlino e nel chiuso del Politburo, è destinato a sfuggire di mano ai suoi promotori e a essere poi tragicamente concluso, con ben altri intenti, con finalità di liberazione radicale, e con metodo rivoluzionario, nelle strade di Budapest. E l'epicentro, prima del tragico epilogo ungherese, resta a lungo la Polonia, dove, il 6 aprile l'ex segretario del POUP, Gomulka, in prigione dal 1951, viene liberato e politicamente riabilitato. Sia in Polonia che in Ungheria, tuttavia, ma anche in Cecoslovacchia e in Romania, gli elementi stalinisti si oganizzano per evitare che il vento del XX Congresso li travolga. Persino in Jugoslavia vi è, da tempo, un clima di chiusura e di restaurazione. È peraltro in Polonia, com'era già accaduto a Berlino Est nel giugno 1953, e come accadrà a Budapest, che la spinta alla liberalizzazione diventa, complice in questo caso una decurtazione assai severa dei salari, aperta insurrezione operaia. Il 28 giugno, infatti, si soIlevano spontaneamente gli operai di Poznam. È una rivolta anonima. Con caratteristiche «ottocentesche». Non si ricordano i nomi dei capi e degli organizzatori, ammesso che ve ne siano stati Viene ad ogni buon conto mandata contro gli operai prima Ia polizia. Ma non basta. Arriva allora l'esercito. Tra gli operai, alla fine, i morti sono più di cento. Il meccanismo illusione-delusione, come a Berlino dopo la morte di Stalin, è evidente. Certo, gli operai di Poznan insorgono, come i berlinesi di tre anni prima, per ragioni sociali. Ma osano perché pensano che sia politicamente possibile, a destalinizza zione avviata, ribellarsi contro difficili condizioni di vita. Il 1956, disvelando con sei lustri antidpo rispetto alla perestrojka la rigidità insormontabile (pena l'autodistruzione) del sistema, diventa così nel mondo comunista un boomerang. Dopo l'effetto-domino della speranza si ha ora l'effetto-domino della repressione violenta e antioperaia. In Italia, dopo Poznnam, ha del resto inizio, in ambito comunista, la dissidenza di Di Vittorio e di settori della CGIL. La svolta più drammatica è però ancora di là da venire. Anche iN Ungheria, come in Polonia, si ha un braccio di ferro tra vecchi stalinisti e innovatori. Il 18 Iuglio Rakosi, segretario del partito al potere, è sostituito da Gerö, che non può però piacere ai riformatori. A settembre si riunisce il circolo studentesco Petöfi, poi cassa di risonanza di rivendicazioni radicali. A inizio ottobre i funerali postumi del riabilitato Rajk sono seguiti da 300.000 persone e Imre Nagy è reintegrato nel partito. Ma è ancora in Polonia, dove le riforme paiono aprirsi un varco, che il processo si riavvia. GomuIka torna ihfatti alla testa del partito tra il 21 e il 22 ottobre. Il 23, per "fare come Varsavia", ma con propositi assai più radicali, ha inizio l'insurrezione di Budapest. Nagy diventa capo del governo, dando vita a una coalizione pluralistica e facendo uscire l'Ungheria, il 1 novembre, dal patto di Varsavia. Che le cose stanno cambiandoè del resto dimostrato dal fatto che il capo del govemo ora conta assai di più del segretario del partito. Il 24, quasi in tutte fabbriche del paese, si formano inoltre veri e propri consigli operai. Siamo in presenza di una rivoluzione a tre teste; indipendentistica, democratica e operaia. Sarà proprio quest'ultima, con alto tributo di sangue, che resisterà più a lungo all'invasione sovietica, sino alla normalizzazione successiva all'invasione del 3-4 novembre. Ma anche oltre tale normalizzazione. S'incendia il Medio Oriente Contemporaneamente, negli stessi giorni, s'incendia il Medio Oriente. Il 29 ottobre le truppe israeliane entrano nel Sinai. Il 31 ottobre le forze franco-britanniche bombardano aeroporti egiziani. Nei giorni successivi intervengono anche i paracadutisti. I risultatil militari, Israele a parte, non sono brillanti. L'Onu, l'URSS e gli USA costringono gli anglo-francesi, il 6 novembre, a porre fine al loro intervento. Lo stesso 6 novembre, con larga maggioranza, Eisenhower, dopo una campagna elettorale moderata e non priva di intonazioni isolazionistiche, è eletto per la seconda volta presidente degli Stati Uniti. USA e URSS sono del resto, neIl' occasione, complementari non meno che rivali. Gli USA, in particolare, tirando le orecchie a inglesi e francesi, ottengono definitivamente la leadership assoluta sull'Ovest del pianeta. E in merito alla virulenta e contemporanea repressione sovietica in Ungheria, non ci sono, da parte americana, né note diplomatiche, né pressioni, né offerte di mediazione. Tanto che gli insorti ungheresi, in molti casi, si sentono traditi. L'URSS, a sua volta, stravince a Budapest e a Suez, ma perde, almeno in Europa, una buona parte di quel capitale di gratitudine e di prestigio che aveva acquisito a Stalingrado. Il comunismo sovietico sopravvive così come mera politica di potenza. E il 1956 si rivela un anno di congedo più ancora che un anno di innovazione. Inizia il declino del comunismo, si conclude la traiettoria del colonialismo. A Budapest si ha poi l'ultima e generosa insurrezione operaia del ciclo storico 1848-1956. Tuttavia, nonostante il persistere di un claudicante duopolio, nuove realtà (dalla Cina all'Europa, dall'India al mondo arabo) in forma ancora aurorale ridisegnano autonomamente, complicandolo, l'atlante del pianeta. l'Unità, 23.10.2006 |