Israel Zangwill
Accidenti, qui si tratta nientemeno che del primo esempio di mistero della camera chiusa! Insomma, una pietra miliare.
In realtà già Poe...
Poi ci saranno Collins, Gaboriau, Conan Doyle (La banda maculata), Leroux (Il mistero della camera gialla), Wallace, Futrelle, Van Dine (La canarina assassinata), Ellery Queen (Delitto alla Rovescia), e l'insuperabile Dickson Carr, che in Le tre bare, The Hollow Man, ha fatto addirittura un elenco dei sistemi possibili per commettere un delitto in una camera chiusa. (Segnaliamo due belle antologie negli Omnibus Mondadori)
Com'è andata la faccenda lo spiega l'autore stesso:
Ai delitti e ai misteri
Poiché questo piccolo volume è stato scritto quattro anni fa, penso di essere in grado di riesaminarlo senza pregiudizi. È abbastanza naturale che all'autore un nuovo libro che abbia appena finito di scrivere, appaia pieno di difetti, ma nei confronti di uno già da tempo pubblicato può essere più obiettivo e può valutarlo senza timore di troppa indulgenza o severità. Il grande mistero di Bow mi sembra un giallo eccellente, considerando quelli in commercio, poiché non solo è ricco di suspense come molti altri, ma anche pieno di fantasia e umorismo nei suoi personaggi. L'umorismo potrebbe addirittura apparire esagerato. I gialli, infatti, sono in genere piuttosto seri e drammatici. Dovrebbero essere pervasi da un'atmosfera di orrore e paura come quelli di Poe. L'umorismo insomma stona; ma a quei tempi ero un realista, convinto che non si potesse eliminare l'umorismo dalla descrizione della vita quotidiana che è poi quella nella quale avvengono i delitti.
È poi indispensabile per un buon giallo, che il lettore possa essere in grado o meno di risolverlo, e che la soluzione dell'autore sia comunque soddisfacente. Spesso un giallo si legge con il fiato sospeso finché non si arriva alla soluzione, per poi rimanere con la sensazione di essere stati derubati con arroganza. Inoltre, è importante che la soluzione non sia soltanto adeguata, ma che tutte le informazioni siano date nel corso del libro. L'autore non deve mai inventarsi improvvisamente, alla fine, un nuovo personaggio né una nuova circostanza. L'unico che abbia mai risolto II grande mistero di Bow è il sottoscritto. Non è un paradosso, ma è accaduto proprio così. Una notte, molto tempo prima che il libro fosse scritto, mi dissi che nessuno scrittore di gialli aveva mai assassinato un uomo in una stanza in cui era impossibile entrare. Non feci in tempo a pensarlo, che mi balenò in testa, la soluzione; tenni da parte l'idea finché, anni dopo, durante una stagione morta, l'editore di un noto giornale di Londra mi chiese di procurargli una storia originale. Ero sul punto di rifiutare, ma ormai ero talmente preso da quell'idea così carica di mistero, che non potei rinunciare all'opportunità di lavorarci seriamente, anche se in seguito il Morning Post avrebbe scritto che lo stile del libro era troppo scherzoso. Tuttavia, riuscii ad incuriosire i miei lettori, molti dei quali, durante la pubblicazione della storia, spedirono elogi, non sollecitati, sotto forma di soluzioni, tanto che alla fine del libro l'editore mi chiese di scrivere qualche parola come ringraziamento.
Spedii dunque una lettera al giornale ringraziando coloro che avevano provato gentilmente a risolvere per me il mistero, nel tentativo di farmi uscire dal pasticcio in cui mi ero cacciato. Mi dispiaceva ferirli, dichiarando senza mezzi termini che tutti avevano fallito, nessuno escluso, proprio come la polizia, nell'individuare il vero assassino. Quindi cercai di dire loro la verità con tutto il tatto di cui ero capace, per vie traverse, mentendo come segue:
All'Editore dello «Star»
Signore: Ora che II grande mistero di Bow è stato risolto in modo soddisfacente per almeno una persona, mi concedereste l'uso delle colonne del vostro inestimabile giornale affinchè io possa ringraziare le vostre centinaia di lettori che hanno contribuito alla soluzione con i loro gentili suggerimenti man mano che il giallo veniva pubblicato o letto? Ve lo chiedo soprattutto perché è loro gran parte del merito se sono riuscito a concludere la storia in modo così soddisfacente per me. Quando l'ho iniziata, non avevo la minima idea, naturalmente, di chi avesse commesso il delitto, ma ero certo che nessun altro potesse scoprirlo. Di conseguenza, man mano che ciascun lettore suggeriva il nome di una persona sospetta, decidevo che lui o lei non sarebbe stato il colpevole.
Un po' alla volta, fu evidente che tutti erano innocenti, tutti tranne uno, e non avevo altra scelta che farne l'assassino. Mi dispiacque molto, poiché amavo quel personaggio, ma quando si ha a che fare con lettori tanto perspicaci, cos'altro si può fare? Non si può permettere a chiunque di vantarsi di aver indovinato e, nonostante i problemi derivanti dall'aver dovuto cambiare la trama cinque o sei volte, sento di aver scelto la strada che meglio si adatta alla dignità della mia professione. Se non fosse stato per questo, avrei certamente portato davanti ai giudici la signora Drabdump, come aveva suggerito quel lettore che, in base all'illustrazione dello Star, affermava dovesse essere alta oltre i due metri e che quindi avrebbe potuto salire sul tetto e allungare il braccio giù per il camino per tagliare la gola di Constant. Non sono responsabile per come «l'artista» ha rappresentato il personaggio. Quando ho visto la brava donna, l'ultima volta, superava di poco il metro e settanta, ma forse l'autore dell'illustrazione ha avuto delle informazioni più recenti. Lo Star, si sa, è sempre così terribilmente aggiornato.
Non voglio tralasciare l'osservazione divertente di un lettore, che ha scritto: «Mortlake, come Tarzan può essere saltato da una finestra all'altra, attaccato ad una corda, almeno in una storia». Spero che i miei colleghi scrittori, sentendosi provocati, non vogliano conoscere il suo nome, poiché sono contrario agli assassinii, almeno nella vita reale. Da ultimo, una parola alle legioni di lettori che mi hanno rimproverato per aver permesso al signor Grodman di scrivere oltre 170 parole su di una cartolina. Siete stato proprio voi, signore, a dire che il mio giallo conteneva elementi umoristici. Ho tentato di mettercene alcuni e questa lettera, stoccata alle abitudini del nostro grande affezionato lettore, è da considerare come uno di questi. Tuttavia, se devo essere rimproverato per la lunghezza della lettera (o meglio della cartolina), devo dire che proprio oggi ne ho ricevuta una di 250 parole, ma non dal signor Grodman. Ad ogni modo, fin tanto che il signor Grodman stesso non disconoscerà la sua cartolina, io posso considerarmi giustificato se la lascio nel mio libro.
Ringraziando ancora i vostri lettori per il loro ineguagliabile aiuto, vi porgo cordiali saluti.
Vostro, ecc.
È chiaro che non si deve prendere tutto ciò sul serio. Infatti, il giallo è un genere di storia la cui trama non si può cambiare all'ultimo momento, dato che richiede una sincronia attenta e una interconnessione ben articolata. Poiché, se la vostra trama è basata sullo scherzo, dopo un po' di tempo non ci sarà più da scherzare.
Questo è ciò che ho letto nel Lyttelton Times, New Zealand: «La catena delle prove indirette sembra praticamente infrangibile. Lo stesso signor Zangwill, infatti, era perplesso, dopo aver scrupolosamente collegato ogni anello, sul come romperla. Il metodo da lui usato alla fine è, a mio parere, più ingegnoso che convincente». Dopo di che, ho deciso di non scherzare mai più, ma, come dice il proverbio, di buone intenzioni è lastricato l'inferno.
Il vero mistero di questa storia è come l'autore sia riuscito a portarla a termine. È stata scritta in due settimane, giorno per giorno, per accontentare l'improvvisa richiesta da parte dello Star di qualcosa di stimolante.
Quelle due settimane furono anche disturbate da una combinazione straordinaria di altri impedimenti e impegni. Questo non è un tentativo di giustificare le mancanze del libro, poiché l'autore aveva sempre la possibilità di rivederlo o rinunciare a scriverlo. Quest'ultima possibilità può essere tranquillamente lasciata al pubblico dei lettori, mentre se l'opera «sta in piedi», così come «stava in piedi» sullo Star, è perché l'autore non può raccontare la stessa storia più di una volta.
L'aver introdotto il signor Gladstone nel libro è giustificato dal fatto che questi è un personaggio mitico.
Israel Zangwill
Londra, settembre 1895
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Il grande mistero di Bow (The Big Bow Mystery, 1891), Mondadori,1990, Sellerio, 1994, l'Unità, 2002, Polillo, 2008; o L'enigma del Bow, Garden, 1990; o Morte a porte chiuse, Bariletti, 1990
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Israel Zangwill
The Big Bow Mystery |
Tra i molti prodotti della fantasia, c’erano non poche soluzioni degne di rilevanza, che però fallirono miseramente, come razzi al posto di stelle cadenti. Una di queste era che, nell’oscurità della nebbia, l’assassino era salito alla finestra della camera da letto, dal marciapiede, per mezzo di una scala. Poi, con un diamante, aveva tagliato via uno dei vetri, riuscendo così ad entrare. Nell’andarsene, aveva rimesso a posto il vetro (o un altro che si era portato dietro), ragione per cui la serratura della porta non era stata scassinata. Quando fu ribattuto che i vetri erano troppo piccoli, un terzo lettore rispose che il fatto era irrilevante, perché sarebbe bastato infilare una mano per aprire la finestra, per poi ripetere l’operazione prima di andarsene. Questo edificio di vetro fu fatto crollare da un vetraio: scrisse che era impossibile fissare un vetro da una parte sola dell’intelaiatura, perché sarebbe caduto non appena fosse stato toccato e, in ogni caso, lo stucco umido non sarebbe sfuggito all’investigatore. Si avanzò anche l’ipotesi che fosse stato tolto e rimesso un pannello della porta e alla fine al numero 11 di Glover Street era stato attribuito un numero infinito di botole e porte scorrevoli, neanche si fosse trattato di un castello medievale. Un’altra di queste teorie ingegnose sosteneva che l’assassino era rimasto nella stanza per tutto il tempo in cui c’era stata la polizia… nascosto nel guardaroba. Oppure che si era messo dietro la porta quando Grodman l’aveva sfondata e che non era stato notato nella confusione generale e perciò era riuscito a fuggire, con l’arma del delitto, nel momento in cui l’ex investigatore e la signora Drabdump stavano esaminando la chiusura della finestra.
A sostegno non mancavano spiegazioni scientifiche che facevano capire come l’assassino avesse sprangato e chiuso a chiave la porta dietro di sé. Sarebbero state usate delle potenti calamite fuori della porta per girare la chiave e rimettere la spranga all’interno. La fantasia della gente fu popolata da assassini con potenti calamite. Unico difetto di tale ingegnosa ipotesi: l’impossibilità. Un fisiologo tirò in ballo i prestigiatori che inghiottono spade (a causa di una particolare anatomia della gola) e disse che forse il defunto aveva inghiottito l’arma dopo essersi tagliato la gola. Questo, però, era troppo da inghiottire persino per il pubblico.
Riguardo all’ipotesi che il suicidio fosse stato attuato con un rasoio o soltanto con la sua lama, o anche con un pezzo di ferro, che poi era affondato nella ferita, non potè essere accettata neanche per un momento…
Tuttavia, forse, il più brillante di questi lampi di genio fu la lettera scherzosa, ma probabilmente non del tutto, che apparve sul Pell Mell Press:
…Egregio signore, vi ricorderete che quando gli assassini del caso Whitechapel sconvolsero l’opinione pubblica, avevo suggerito che l’assassino era il coroner della zona. Fui ignorato. Il coroner in questione è ancora in libertà. E così l’assassino di Whitechapel. Forse tale coincidenza porterà le autorità a prestarmi più attenzione, questa volta. Il problema sembrerebbe il seguente. Arthur Constant non può essersi tagliato la gola e non può essersela fatta tagliare da qualcun altro. Ma poiché una di queste circostanze si è verificata, tutto ciò è assolutamente assurdo. E, trattandosi di assurdità, sono giustificato a non crederci. Giacché tale ovvia assurdità è stata messa in circolazione soprattutto dalla signora Drabdump e dal signor Grodman, mi sento autorizzato a non credergli.
Per farla breve, signore, cosa ci garantisce che tutta la storia non sia soltanto frutto di fantasia, inventata dalle due persone che per prime hanno trovato il corpo? Quali prove abbiamo che non siano state proprio loro ad aver sfondato la porta e rotto le serrature e le spranghe e a richiudere tutte le finestre prima di chiamare la polizia? …L’ipotesi del nostro scrittore non è poi così originale come lui la ritiene. Non ha lui, in fondo, guardato con gli occhiali di coloro che continuarono ad insistere che l’assassino di Whitechapel non era altri che il poliziotto che aveva scoperto il corpo? Qualcuno trova sempre il corpo, se si trova.
Redattore capo P.M.P.
(Israel Zangwill, The Big Bow Mystery, “Il Grande Mistero di Bow”, traduz. Leda Armstrong, I Classici del Giallo Mondadori n. 606, 1990, pagg. 48-51)
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