Maj Sjöwall & Per Wahlöö 1973: nei gialli Garzanti compare una coppia di (impronunciabili) nomi totalmente sconosciuti al pubblico italiano, il cui personaggio, l'ispettore Martin Beck (nato letterariamente sei anni prima) della Squadra omicidi di Stoccolma, viene ovviamente presentato come il "Maigret scandinavo", esattamente come si farà trent'anni dopo con Kurt Wallander, creato da Henning Mankell. Insomma, basta che un detective non sia impomatato come Poirot, violento come Caution, o gelido come Holmes, e subito gli si trova una qualche assonanza con Maigret, per via, naturalmente, dell' "umanità", del saper capire sia le vittime che i colpevoli, ecc. ecc.. Veramente stucchevole il giochino: pazienza se del "Maigret vattelapesca" si scrive nei risguardi o in ultima di copertina, anche gli editori tengono famiglia, il fatto è che poi della facile etichetta abusano i soliti pigri recensori, che in questo modo se la cavano a buon mercato. Martin Beck di Maigret ha ben poco, all'infuori della pazienza, anche perché si muove in una realtà, quella scandinava, che non ha molte affinità con Parigi e dintorni. La Signora Beck, poi, col cavolo che si adegua amabilmente, come fa invece la sua omologa parigina, agli orari impossibili del marito. "Martin Beck non era il capo della squadra omicidi né aveva ambizioni del genere. A volte, dubitava perfino di poter diventare sovrintendente, sebbene le sole cose che potessero sbarrargli la via fossero la morte o qualche errore molto grave nell'esercizio dei suoi doveri. Era ispettore di primo grado della polizia e da otto anni lavorava nella Omicidi. Alcuni ritenevano che, come investigatore, fosse il migliore di tutta la Svezia. Senza voler bestemmiare in chiesa (cosa che peraltro può anche essere divertente), ci sembra un poliziotto quasi più vero di Maigret: Simenon rimane un maestro assoluto, ma quella sua Parigi sonnolenta e viziosa è davvero d'altri tempi, e Beck si muove invece in una società dinamica e, piaccia o meno, desolatamente moderna. Andrea Camilleri così scrive in La vampa d’agosto: "Po’ sinni stetti a liggirisi fino alle unnici un bello romanzo poliziesco di dù autori svidisi che erano marito e mogliere e indove non c’era pagina senza un attacco feroce e motivato alla socialdemocrazia e al governo. Montalbano mentalmente lo dedicò a tutti quelli che si sdignavano di leggiri gialli pirchì, secondo loro, si trattava sulo di un passatempo enigmistico." Sì, le indagini di Beck non si svolgono in situazioni create artificiosamente, ma in una società complessa, in continua trasformazione, che non ha a che vedere col cliché della Scandinavia prospera, felice e moderna. Una società certamente più avanzata e civile di altre, ma in cui non mancano le violenze domestiche, l'alcolismo, l'abbandono scolastico, le droghe pesanti, la corruzione politica. E il crimine si innesta in queste contraddizioni, in realtà sociali in cui la solidarietà è spesso oscurata dall'individualismo, dall'esclusione. Per Wahlöö è morto nel 1975, Maj Sjöwall nel 2020.
Film:
“Il nostro vero obiettivo era formulare un atto d'accusa severo e puntuale al modello svedese di socialdemocrazia. Un progetto, da completare in dieci anni, composto da dieci opere per denunciare un unico crimine, quello perpetrato dai socialdemocratici ai danni dei lavoratori svedesi”. Così la stessa Maj Sjöwall sintetizza il progetto condiviso col marito e il senso dell'impegno in chiave ideologica del progetto stesso. Le parole di Maj sono dello scorso anno e testimoniano, in un'intervista del settembre 2008, sia la fedeltà allo stile di sempre, essenziale e diretto , sia una consapevolezza assoluta del percorso fatto e completato nei modi e nei tempi prefissati. Questa lucidità e severità sono certamente tra gli ingredienti del successo dei due coniugi nordici: si tratta di un successo relativamente recente, dovuto alla riscoperta di un modello che risale ormai alla metà fra gli anni '60 e '70, ma che i giallisti scandinavi o nordici riconoscono come base ineludibile della propria formazione, punto di riferimento e motivo di sfida rispetto ai maestri. In effetti non sempre gli autori contemporanei, nemmeno, Mankell, uno dei più letti, riescono a reggere il confronto: aumenta la dimensione cerebrale del racconto, nonché la stessa mole del racconto, il paesaggio si dilata verso dimensioni dall'intreccio internazionale, il tempo si confonde più con il tempo del vissuto che con quello oggettivo della ricerca nel passato. È come se il modello originale si fosse slabbrato, concedendosi eccessi che forse sono in grado di compiacere un certo gusto postmoderno. Gli ingredienti della finzione letteraria sono gli stessi, eppure Sjöwall e Wahlöö riescono a tenere un altro profilo, più alto, fornendo un esempio di rigorosa fenomenologia degli eventi: i dati oggettivi, la ricostruzione dei fatti e la formulazione delle ipotesi sono presentati in un quadro nel quale complessità e semplicità sono coerenti e naturali, sia che riguardino il livello dell'investigazione poliziesca, sia che appartengano al privato, al mondo personale e interiore dei personaggi. Gli esempi relativi a questa scelta di oggettività, felicemente realizzata sul piano stilistico, sono tanti. Il paesaggio è evidentemente quello urbano e rurale svedese: è presente a livello geografico ed è, semplicemente, paesaggio. Non per questo costituisce uno sfondo incolore, anzi: desolato o lieto, a seconda dei movimenti atmosferici, è quello che è, reale, essenziale e credibile. “Fuori cadeva la pioggia, tagliente e gelida. Presto sarebbe nevicato”. (Roseanna) oppure: “Il tempo era bello e l'aria limpida; il forte vento portava con sé una precoce frescura autunnale..” (Un assassino di troppo) oppure: “Una leggera brezza soffiava da sud, la baia ne era protetta e si stendeva lucida come uno specchio. Dove i raggi obliqui del sole pomeridiano non arrivavano, una gelida umidità saliva dal terreno paludoso , e sui giunchi della riva covava una leggera foschia” (Un assassino di troppo). E dopo il ferimento di un poliziotto in uno scontro a fuoco, mentre arrivano i soccorsi che lo salveranno: “Proprio in quel momento il sole penetrò la coltre di foschia, gettando una luce pallida e fredda sulla scena assurda. Ciò accadde la mattina del 18 novembre 1973 nella parte più periferica del distretto di polizia di Malmo, per non dire della stessa Svezia. A poche centinaia di metri, le le lunghe onde lucide si gonfiavano sulla spiaggia di sabbia che, nella foschia, pareva sconfinata. Il mare. Al di là del mare, si stendeva il continente europeo” (Un assassino di troppo). In alcuni casi si arriva alla freddezza della descrizione geografica vera e propria. “Malmö è la terza città della Svezia e si differenzia molto da Stoccolma. Ha meno di un terzo degli abitanti della capitale e si estende su una pianura, mentre Stoccolma è edificata su un sistema di isole collinose. Malmö è anche ubicata seicento chilometri più a sud ed è il porto del paese verso il continente. Il ritmo di vita laggiù è più tranquillo, e l'atmosfera meno aggressiva; si dice che perfino gli agenti di polizia siano più gentili e abbiano maggior senso civico, così come il clima è più mite. Piove spesso ma di rado fa veramente freddo, e molto prima che intorno a Stoccolma il ghiaccio si sia sciolto, le onde dell'Öresund s'infrangono pigramente contro le piatte e assolate spiagge sabbiose e i bassipiani calcarei” (L'autopompa fantasma). I lettori di Mankell riconosceranno un tema paesaggistico classico, quello del contrasto fra aree nordiche e il sud del paese (nel caso di Mankel e del suo protagonista Kurt Wallander, il riferimento è Malmo, ma soprattutto Ystad e comunque tutta la Scania): qui il tema è sviluppato con il solito rigore della registrazione caro ai due autori. Un altro carattere costante, poi ripreso da altri, Mankelll o Larsson, è la registrazione minuziosa dei fatti attraverso la scansione temporale e addirittura oraria: “Erano le nove e mezzo di sera del nove giugno 1967, un venerdì. Venti minuti dopo iniziò a piovere” (L'uomo al balcone). Analogamente il protagonista dei romanzi “su un crimine”, il sovrintendente Martin Beck, è un vero poliziotto: come precisa la stessa Sjöwall, era, per l'epoca, nella letteratura di area scandinava, una figura innovativa, che usciva davvero dal cliché della finzione ed entrava nella realtà, come professionista e come persona. Martin è una persona con una morale. Il suo collega ed amico Kollberg è una persona con una morale. Anche questo fa la differenza rispetto ai contemporanei. Sjöwall e Walhloo scrivono in tempi ancora lontani dal disincanto, credono nell'analisi e nella critica dell'esistente, hanno valori da trasmettere. Fanno della letteratura una forma di militanza politica, in un momento nel quale la denuncia era sostenuta da conoscenza, generava altra conoscenza e speranza di trasformazione. Questa dimensione politica, dovuta proprio al contesto storico, rende questi romanzi meno amari di quelli odierni: anche quando le cose finiscono male e l'onestà non paga o le miserie umane appaiono troppo pesanti da reggere, l'atmosfera non può essere quella cupa e disperata che troviamo in autori anche schierati a sinistra come Larsson. Martin è un uomo semplice, non particolarmente ambizioso dal punto di vista carrieristico, anzi capace, insieme a Kollberg, di cogliere gli aspetti ridicoli o perversi della scalata al successo, vista come una forma di disperazione o di follia, certamente di alienazione: “Dobbiamo diventare qualcosa, del resto?” (Roseanna). Non per questo si sottrae a eventuali responsabilità e l'impegno a seguire un caso è assoluto. La sua razionalità è strettamente legata alla lealtà, con se stesso e con la squadra. Non è un solitario, il suo è un moderno, scientifico, lavoro d'equipe. Martin ha i suoi guai familiari: il rientro in famiglia significa, da anni, affrontare il “fronte casalingo”. La sua, da questo punto di vista, è una storia banale, simile a mille altre: dopo un anno di matrimonio è già indifferenza, mancanza di stima, routine, insofferenza. La ragazza fresca ed entusiasta dei primi mesi di fidanzamento si è trasformata quasi subito in una casalinga gretta e opprimente, “pigra di natura e soddisfatta del suo ruolo di donna di casa”; ancora peggio, ha trasmesso ai figli, ormai adolescenti, la sua visione ottusa della realtà“ la cosa strana era che anche i figli erano uguali a lei” (Roseanna). L'investigatore, disperato, si interroga sulla possibile trasmissione ereditaria dei tratti della personalità, ma è più che altro una riflessione amara, che solo in parte verrà attenuata, col tempo, dal ritrovato rapporto con almeno uno dei figli. Attivo, collaborativo e in sintonia con i colleghi, capace di amicizia e lealtà, Martin è, nella vita familiare, un uomo solo, deluso e sfinito. In questa fase della sua vita, la cifra che lo caratterizza è la compassione, accompagnata a un certo distacco necessario alla sopravvivenza. Prova pena per se stesso, ma anche per le tragedie dei colleghi e, più spesso, per il dramma quotidiano, a volte inconsapevole, di donne sole, di anziani senza prospettive, di bambine assassinate perchè per una frazione di secondo si sono trovate nel posto sbagliato, di corpi violati e ridotti a oggetto. Nei confronti di Roseanna Mc Graw, caso difficile e di lunga risoluzione, prova subito interesse e pietà: prima, quando ancora l'identità della donna è sconosciuta, la pietà è per il corpo giovane e violato, ridotto a oggetto di laboratorio e di descrizione per elenco puntato (nella perfetta sintesi che ne fa Kollberg, che permette di ricostruire, senza i moderni supporti tecnologici, solo grazie all'osservazione puntuale, la fisionomia della giovane donna uccisa). Risulta così anche spiegato il successo odierno della coppia di autori nordici: soluzioni stilistiche efficaci, capacità di gestire intrecci che legano un crimine all'altro in una spirale che diventa vertigine, ma, soprattutto, impegno, desiderio di realismo, nel senso autentico della parola: descrizione della realtà, disvelamento. Un approccio del genere contiene, senza retorica, un messaggio di speranza. Resta poi da capire il successo del giallo e del noir nordico contemporaneo: la moda, secondo alcuni, una forma di esotismo rovesciato che porta a battere altre strade rispetto a quelle del tradizionale mondo anglosassone o del più recente, ma ormai consolidato, giallo latino e mediterraneo. Forse in questo senso ha ragione Arnaldur Indridason, l'islandese che dichiara, senza farsi troppi problemi: “Abbiamo successo probabilmente perchè siamo i migliori”. Fra l'altro, proprio Indridason ha sviluppato, a mio parere meglio di altri, quelle che erano le doti dei maestri Sjöwall e Wahlöö: essenzialità dello stile, nessuna sbavatura, nessuna concessione ad esagerazioni care al giallo mediterraneo e una capacità di costruire, come lo svedese Larsson, una spirale del crimine che si avvita su stratificazioni di altri crimini o eventi passati. grazie a: lanaturadellecose.it/ |