Joe R. Lansdale Nato in Texas nel 1951, è sempre stato orgoglioso della propria terra, anche se nei suoi libri non si presenta certo secondo gli stereotipi del texano. Grande appassionato di fantascienza e della letteratura avventurosa (da Edgar Rice Burroughs a Mark Twain, da Jack London a Ray Bradbury), oltre che dei film di genere, fin da giovanissimo si è dedicato alla scrittura.Nel 1972 pubblica il primo lavoro e per tutti gli anni settanta scriverà su varie riviste numerosi racconti gialli e di fantascienza. Come da tradizione americana, prima di dedicarsi completamente alla scrittura (dal noir alla fantascienza, dall'horror al western) ha svolto i lavori più disparati: piantatore e raccoglitore di rose, buttafuori nei locali notturni, bidello, operaio. Avvicinatosi fin da bambino alle arti marziali, ne ha praticate molte, fino a creare un proprio particolare stile in cui ha cercato di fondere le varie tradizioni (e nei suoi libri sono numerosi, anche se molto sobri, i riferimenti alle tecniche di combattimento). Il suo stile letterario, asciutto e immaginifico al tempo stesso, ha trovato un notevole (e assolutamente eccessivo) apprezzamento sia da parte della critica che del pubblico, tanto che da molti è ritenuto uno dei più grandi scrittori americani: il giudizio è decisamente troppo lusinghiero, perché Lansdale ha certo ridato vitalità, a modo suo, al genere hard boiled, ma senza la complessità culturale e la raffinatezza stilistica dei "vecchi" maestri. Che poi Lansdale abbia volutamente scelto forme letterarie crude, gestendole con notevole abilità, è fuori di dubbio, tuttavia risulta stucchevole il continuo insistere nella volgarità dei dialoghi (peraltro spesso esilaranti), quasi che shit e fuck debbano per forza essere gli antidoti al manierismo. In ogni caso la strana coppia Hap & Leonard è tra le più interessanti e credibili del poliziesco contemporaneo: il primo è un malinconico ex intellettuale liberal, ancora affezionato a certi valori ma ormai déraciné: "la situazione era piuttosto triste: poco meno di quarantacinque anni e nessun vero lavoro, niente fondo pensione, un'assicurazione di merda e un morso di scoiattolo nel braccio." Fuori luogo ovunque, Hap trova un ironico e quotidiano contrappunto nel suo fraterno amico Leonard; che è nero, gay, cinico, conservatore, sempre pronto ad usare il proprio fucile a pompa, e gelosissimo dei propri biscotti alla vaniglia. Non sono degli investigatori privati (entrambi hanno lavori più o meno precari) ma si ritrovano regolarmente in mezzo a torbide e violentissime vicende ("ogni volta che ci muoviamo, apriamo una scatola piena di vermi") in cui s'impegnano con intelligenza ma anche con l'avventatezza di chi forse crede ancora in un qualche senso di giustizia. Bibliografia completa su Wikipedia.
il suo sito
film:
Joe Lansdale è un placido signore che scrive noir e rilascia lezioni private di arti marziali; dal ’97 ha aperto una sua scuola, il Lansdale’s Self-Defense Systems. In Italia grazie all’editore Fanucci e poi a Einaudi è oramai di casa. Texano come il suo [ex] presidente, non va però a caccia, “ci andavo da ragazzo quando eravamo poveri, adesso i polli sono più facili da cacciare al supermercato”. L’ultima sua fatica s’intitola La morte ci sfida, un tributo alle riviste pulp, ai fumetti e ai b-movie dell’orrore. Il libro inizia con una dedica al lettore: “questo non è un libro per grandi riflessioni: popcorn, bicchierone di coca cola e ti metti a sedere sul divano”. Un po’ di snobismo da parte di Lansdale, poi il racconto s’alza di tono, mescola i generi, li forza, con il solito autocontrollo. A marzo è uscito il Carro magico, ora ritorna con La morte ci sfida, il suo ennesimo libro. È vero mi considerano un autore prolifico. Ad ogni presentazione mi dicono sempre la stessa cosa, ma consideri che scrivo da 30 anni, più o meno un libro e mezzo all’anno. Non una media eccezionale, secondo me. Philip K. Dick ha dedicato addirittura un libro al suo agente delle tasse. Scrivere lo considero un esercizio regolare se vuoi vivere con la scrittura, per me sono sufficienti tre ore al giorno per 5 giorni alla settimana. Adesso sto scrivendo un racconto lungo e due brevi, una sceneggiatura per un film e uno script per un serial televisivo. Sono molti i registri che attraversano la sua scrittura. Quanto tempo ha dedicato all’elaborazione di un romanzo come La morte ci sfida? Mi piacciono le cose leggere come quelle non leggere, così passo dal fumetto a temi e soluzioni più serie. Quando ho scritto questo libro mi stavo divertendo, l’ho preso come una vacanza. L’ho buttato giù in 15 giorni, l’ho scritto tra due libri serissimi. Lo desideravo fin da ragazzo, poi è stato pubblicato a metà degli anni ottanta, poi riadattato oggi. Per certi versi in anticipo con lo stile di Quentin Tarantino. Mi sono bastati altri quindici giorni per scrivere una sceneggiatura, che è stata comprata da una società francese. La Warner ha fatto molte offerte ma inutilmente. In tutto sono undici le sceneggiature opzionate per un film. La critica le riconosce di non avere pregiudizi di stile e di genere, di temi e ossessioni. Ci sono molti lettori affezionati al libro prediletto e al genere scelto per la singola opera, ma quando scrivo penso che tutti i lettori siano come assenti; detesto le aspettative, sentirmi osservato mentre scrivo, perché scrivo fondamentalmente per me stesso e mi piace spaziare tra i generi. Mi lascio prendere dai personaggi, sono loro a decidere dove andare e allo stesso tempo a fare i conti con il mio inconscio, di uno che ha letto e scritto tantissimo da sempre. In un altro libro precedente ha raccolto la sfida di romanzare persino Batman. Quando ho cominciato non erano in pochi a dirmi di lasciar perdere, pensando che io avessi aspirazioni più strettamente letterarie. Ma io amavo Batman, scriverne è stato un grande piacere per cui non ho avuto nessuna difficoltà a trattare la materia. Spesso qualche lettore si confonde, non riesce a capire in che direzione muove la mia scrittura. La sfida è stata scrivere un romanzo in tutti i sensi, non per ragazzi o un semplice adattamento. Sicuramente non ne avrei scritti dieci di romanzi su Batman. Più che sufficiente scriverne uno, con il quale ho ricavato quattro puntate per la serie tv. Lei ha più volte dichiarato che il suo paese, il Texas, è uno stato mentale. Sono un liberal dell’east Texas. Forse per qualcuno è difficile capire cosa voglia dire. Vivo in un paese dove tutti hanno un camioncino e il fucile accanto. Mi sono appassionato alle arti marziali per difendermi e porto in faccia tutti i segni, i bei tratti del viso, naso rotto compreso, sono frutto di esperienza. Quanto amo il presidente Bush... Esiste un calendario in America dove per ogni giorno c’è una frase stupida del presidente. Non è da tutti riuscire a mettere in fila una sequenza simile. Preferirei avere uno scoiattolo come presidente, anzi a pensarci bene lo abbiamo. Per questo motivo mi piace quando non sono in America, posso dire quello che mi pare. Sono un animale politico, non posso fare a meno di affrontare certi temi sociali, ma anche se sono un indipendente che ha sempre votato democratico, la mia scelta politica non ha nessuna importanza quando scrivo. (Epolis, luglio 2008) da: http://contentistheking.wordpress.com
n fondo alla palude, insozzato dal fango, scheggiato dal razzismo, dall'odio e dalla violenza resiste, anzi rinasce, quel che resta del sogno americano. A regalargli una spruzzata di vita, sangue nuovo, a far battere forte il cuore, ci pensa Joe R. Lansdale con il suo Acqua Buia (Einaudi, Stile Libero) l'ultimo libro salutato negli Stati Uniti come il suo capolavoro, "erede diretto", per dirla con le parole del New York Times, di Mark Twain e John Steinbeck. Un romanzo che corre sul consueto scenario del Texas orientale ai tempi della Grande Depressione ma che ha il respiro universale come solo le opere migliori sanno avere. Sino a creare una sorta di non luogo, di non tempo che ha la forza di parlare a tutti noi, del nostro oggi. Di dare un volto alle nostre paure, anche quelle più segrete. Con l'ineguagliabile pregio, grazie al convincente affresco dei personaggi e al ritmo della storia, di non farsi travolgere dal pessimismo, ma anzi di indicare la strada per uscire dall'intricata foresta del nostro scontento. Con la forza del "sogno e della speranza", come racconta lui stesso di passaggio in Italia. Qui da noi lei è da tempo un autore di culto, consacrato - come si usa dire - da critica e pubblico. Leggendo le recensioni dei giornali americani si ha la sensazione che con Acqua Buia abbia definitivamente conquistato anche gli Stati Uniti. Concorda, è il suo miglior libro? Il romanzo ha il passo di una favola, benché noir, e ancora una volta i protagonisti sono ragazzi. Perché li usa così spesso? In che senso? Nel libro c'è una figura a metà tra incubo e realtà, una sorta di orco (ancora la fiaba): Skunk, il killer dei boschi. Come le è venuto in mente? C'è poi, a fare da sfondo ma in realtà vera protagonista, la Grande depressione. Perché? Epoca che poi offre inevitabili analogie con oggi. Dalla crisi a un altro nodo cruciale dell'America di ieri e forse di oggi: il razzismo, questa volta accompagnato anche dall'intolleranza verso i gay, qui rappresentati dai uno dei giovani protagonisti. L'America di oggi è migliorata in questo aspetto? Che ne pensa del lavoro svolto da Obama? Acqua Buia, senza rivelarne la trama, è alla fine un libro sui sogni e sulla voglia di realizzarli. Lei crede ancora al sogno americano come modello di sviluppo? Ma forse ora, con la crisi, la speranza di cui lei parla è più difficile da alimentare. Non crede? la Repubblica, 8 giugno 2012 |