Claude Aveline
Quando nel 1972 Mondadori pubblicò nella collana Omnibus Gialli L'abbonato della linea U, pochi in Italia ne conoscevano l'autore. Forse qualche appassionato di polizieschi si ricordava di un vecchissimo Giallo Mondadori (metà anni '30), La doppia morte dell'Ispettore Belot, ma in genere questo scrittore francese risultava pressoché sconosciuto, e purtroppo non incontrò i favori del pubblico italiano, troppo abituato al mistery di impianto inglese o al giallo d'azione americano.
Certo, Simenon era di casa in Italia (soprattutto grazie al Maigret di Gino Cervi), e anche il noir d'oltralpe era apprezzato, ma le atmosfere di Aveline si discostavano nettamente dai cliché, anche dignitosi, alla Jean Gabin, evocavano una Parigi assai poco appetibile, non tenebrosa e affascinante come quella del feuilleton, e nemmeno umida e rassicurante come quella di Maigret, ma obliquamente oscura, un po' viscida, e soprattutto estranea, ostile.
E Aveline, infatti, era tutto fuorchè uno scrittore di genere propenso a cucinare alla francese, con tanto di pastis o calvados a seconda dei gusti.
Evgen Avtsine (1901 - 1992), di famiglia russa emigrata per sfuggire ai pogrom antisemiti della Russia zarista,
era un inquieto e raffinato intellettuale di quella scuola (il termine è inappropriato, ma è per capirsi) francese che visse intensamente le vicende sociali e politiche, dal Fronte Popolare al Maquis alla ricostruzione, e che seppe mescolare con intelligenza critica engagement e avanguardia, scoperta di nuove strade espressive e radicamento nella cultura di massa.
Giovanissimo, Avtsine (che aveva già adottato stabilmente lo pseudonimo di Aveline) era stato editore di testi filosofici, amico di mostri sacri come Anatole France e Jean Vigo, e partecipe entusiasta dei fermenti innovativi che percorrevano la cultura parigina. In realtà le sue prime opere letterarie ebbero alterne fortune, tanto che nel 1932 Aveline decise di rinunciare alle forme espressive più complesse e di usare lo strumento del poliziesco, al quale, proprio grazie a lui, vennero finalmente riconosciuti "i certificati di nobiltà."
Non che Aveline volesse accreditarsi come portavoce colto del "genere", infatti riteneva che non avesse senso voler a tutti i costi catalogare la letteratura ("non esistono generi buoni e cattivi, esistono scrittori buoni e cattivi"); e comunque Aveline non intendeva creare un personaggio fisso da riproporre in una serie: "Avevo fatto morire il mio poliziotto al primo colpo, e perfino due volte, non avevo previsto che avrebbe dovuto riprendere servizio. Per fortuna, non l'avevo fatto morire troppo giovane. In seguito, ho quindi raccontato avventure accadute prima del 1932."
Sì, perchè l'ispettore Belot nasce e muore subito (non sveliamo nulla), ma per fortuna Aveline ce lo ripropone più volte nell'arco di quarant'anni, a confermare che non vi era da parte dell'autore nessun confine fra i romanzi polizieschi e quelli privi di qualsiasi connotato di genere.
Tant'è che fin dall'inizio, cioè dal primo racconto con Belot, Aveline sentì il bisogno di spiegare compiutamente (come a loro modo avrebbero fatto Zangwill, Glauser, Chandler) quanto vi potesse essere di profondo nel poliziesco, che racconta "le passioni degli uomini e il modo in cui ispirano le loro azioni", esattamente come aveva fatto Dostoëvskij.
Una curiosità: i nomi dei propri personaggi, Aveline non li aveva inventati ma presi di sana pianta (con alcune correzioni per evitare omonimie o equivoci) dalla monumentale Storia di Francia di Jules Michelet, e nella fattispecie fra coloro che seguirono Guglielmo il Bastardo alla conquista dell'Inghilterra (1066).
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La doppia morte dell'ispettore Belot (La double mort de Fréderic Belot, 1932), Mondadori, 1933, 1982
- Voiture 7 place 15, Mercure de France, 1937
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L'abbonato della linea U (L'abonné de la ligne U, 1947), Mondadori, 1972
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Il getto d'acqua (Le Jet d'eau, 1947), Mondadori, 1974
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L'occhio di gatto (L'Œil de chat, 1970), Mondadori, 1973
- Suite policière, Mercure de France, 1987 (raccolta completa della serie poliziesca)
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