L’ultimo Togliatti è quello che matura il Memoriale di Yalta, il sopravvissuto dei capi dell’Internazionale Comunista che tenta la ricomposizione unitaria del movimento comunista internazionale. In effetti i cinesi sembrano riconoscerlo come interlocutore e accettano il confronto «alla pari» come evidenzia il saggio Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi pubblicato nel dicembre del 1962 sull’organo del Partito Comunista Cinese - il «Genmingibao» («Il Quotidiano del Popolo») dopo il X Congresso del PCI. Togliatti è infatti ben consapevole che il contrasto ideologico è in buona parte strumentale e che il vero problema per i cinesi è il rispetto del l’autonomia nazionale in quanto proprio con Stalin li aveva visti subire malvolentieri l’autoritarismo sovietico. Così i cinesi sanno quanto il leader del PCI sia da sempre critico verso Krushëv. Nel frattempo prendono vita anche in italia i primi nuclei del movimento filocinese: è del 1964 l'uscita del primo foglio maoista «Viva il leninismo». Il leader del PCI è rimasto anche scottato da una delle prime contestazioni che ha registrato in un’aula universitaria, proprio all’Università di Pisa dove era tornato come nel dopoguerra per una lezione sull’antifascismo. Quando ha ricordato l’incontro del ’44 con il rappresentante politico degli Stati Uniti, Murphy, e lo stupore dell’americano per la posizione legalitaria del PCI era stato interrotto da uno studente: «Solo un generale americano poteva essere così ingenuo da credere che il PCI volesse il comunismo.» Ne era nato un battibecco. «Prova tu a fare la rivoluzione!» aveva reagito Togliatti e il giovane, che era il ventiduenne Adriano Sofri, gli aveva replicato: «Ci provo, ci provo.» Al centro delle sue preoccupazioni ci sono i problemi del movimento comunista internazionale e come svolgere il suo ruolo costruttivo tra Mosca e Pechino. A febbraio il CC del PCUS con un maxi-rapporto di Suslov ha attaccato duramente le tesi cinesi e in nome della «compattezza del movimento comunista internazionale» insiste per una Conferenza dei partiti comunisti filovietici che formalizzi scomunica e rottura e ha già fissato una riunione preparatoria. «Le riserve» espresse dal PCI sulla sua opportunità con un’apposita risoluzione dell’ottobre del ’63 non hanno pesato. È quindi un Togliatti che deve tornare alla carica quello che parla il 21 aprile al CC con un ampio rapporto dedicato proprio all’Unità del movimento operaio e comunista internazionale. Torna a differenziarsi da Krushëv e a criticare la proposta della Conferenza: «Bisogna vedere se essa sia o non sia il mezzo più adeguato per superare le divergenze.» Che il viaggio e il Memoriale rientrassero in una manovra antikrushëviana è confermato non solo da osservatori esterni come Leo Valiani, ma soprattutto da esponenti del PCI. Secchia non ha dubbi: «Il memoriale di Yalta ha giocato un forte ruolo nel determinare la caduta di Krushëv. Fu la pallina nera aggiuntasi alle altre e forse quella che pesò più di molte altre.» Analoga versione è sostenuta con convinzione anche da dirigenti dell’ex «centro» togliattiano come Emanuele Macaluso che, pur nel quadro di una difesa a tutto campo della politica del leader del PCI, ammette: «Il viaggio di Togliatti - da parte di chi conosceva le preoccupazioni critiche del PCI - doveva servire a dimostrare che “da destra e da sinistra”, da Togliatti a Mao, per motivi diversi e opposti, c’era critica, insofferenza, rottura. Doveva servire a dare prove ulteriori, conferme, all’“avventurismo” di Krushëv. Io ho dato questa lettura di quel viaggio.» Anche un altro esponente ortodosso del «centro» togliattiano come Natta ricorda: «Togliatti si rende conto, per fatti e premonizioni diverse, che siamo, e non solo per le questioni internazionali, ad un momento critico, di limite e di contraddizione, della politica e della direzione di Krushëv, e che è aperto o sta aprendosi il problema di un mutamento». Già per le celebrazioni del 1° maggio il leader del PCI aveva mandato una delegazione non certo «krushëviana» - Ingrao, Berlinguer e Colombi - per ribadire nei colloqui con i sovietici il dissenso italiano sulla Conferenza anti-cinese e certamente è al corrente delle crescenti difficoltà in cui si trova Krushëv (ne è al corrente persino Secchia) e che al Cc del PCUS di febbraio «era stato già fortemente criticato» tanto da dover minacciare le dimissioni, strappando a fatica un rinnovo di fiducia. Il dato di fatto è che Togliatti si muove su invito sovietico, ma non di Krushëv. In tutti i colloqui che ha a Roma (con Lajolo, la Noce, Nenni e il medico Spallone) prima di partire confida di aver inutilmente tentato di rinviare il viaggio e fa sempre riferimento a pesanti insistenze che gli vengono dall’URSS, ma non allude mai a Krushëv. E difatti il segretario del PCUS appare contrariato dalla venuta di Togliatti e fa di tutto per evitare l’incontro. Proprio il 9 Krushëv parte per un viaggio nelle repubbliche di Tatara e di Baskira che lo occupa fino al 12, e poi, anziché recarsi a Yalta come si aspettava il segretario del PCI, prosegue ancora in un giro in zone agricole che lo impegna fino al 18. Togliatti, come ricorda la Jotti, ne è fortemente contrariato. Il 13 scrive allora a Krushëv: è il testo del Promemoria che conclude con l’auspicio di «ulteriori scambi di idee con voi, qualora questi siano possibili.» Nel pomeriggio perde conoscenza, è colpito da emorragia cerebrale ed è l’inizio dell’agonia. Longo raggiunge Yalta il giorno dopo insieme al medico personale di Togliatti con un aereo messogli a disposizione dal governo italiano. Quando il 20 Togliatti si spegne, giunge finalmente Krushëv con Podgorny, Kossighin e Ponomariov e rende omaggio a «uno degli ultimi della grande generazione leninista della rivoluzione e dell’Internazionale.» Ma è a Ponomariov che Longo consegna il testo indirizzato da Togliatti a Krushëv. Al rientro a Roma, mentre si organizzano i funerali, si pone il problema se rendere o meno pubblico quello che appare ormai il «testamento politico » di Togliatti. Per il PCUS a Roma c’è Breznev che non esercita alcuna pressione in merito tanto che Longo pensa che a Mosca non abbiano ancora fatto a tempo a tradurre le ultime parole di Togliatti. Ma Breznev è bene informato e durante il funerale, prima dei discorsi commemorativi, si limita a chiedergli, in modo molto neutro, se intende renderlo pubblico e prende atto della risposta di Longo senza commento. Il Memoriale di Yalta sarà pubblicato integralmente dalla Pravda solo in ottobre. Pochi giorni prima la destituzione di Krushëv. La sua vittoria postuma? «Nell’ultimo periodo della sua vita - ricorda Cerreti - di fronte alla rottura aperta tra partiti comunisti e tra Stati socialisti, questo dirigente di primo piano dell’Internazionale, uno degli ultimi sopravvissuti dell’epoca eroica del comunismo, colui che dopo Dimitrov aveva più prestigio di tutti, il segretario del più importante partito dell’Occidente, quest’uomo stava vivendo la sua tragedia politica, una specie di Waterloo, senza tuttavia che egli si sentisse attore o stratega nella grande battaglia a differenza di Napoleone.» E Ingrao a sua volta: «Non riesco a vedere una linearità nella curva delle sue posizioni tra il ’56 e il ’64. Il dramma suo dovette essere in quegli anni ben più aspro di quanto apparve.» Krushëv a suo modo si vendicherà nelle proprie Memorie cercando di demolire l’immagine del Togliatti della «svolta di Salerno», legalitario e statista. «Nel 1944 - scrive - Palmiro Togliatti, segretario del PCI, era deciso a organizzare una rivoluzione armata per instaurare in Italia un sistema socialista, ma Stalin lo dissuase.» E più avanti insiste ancora su questa fantasiosa versione: «Togliatti si preparava a fare la sua mossa. Era pronto a dare inizio all’insurrezione armata che sarebbe divenuta una realtà se non fossero state presenti nel Paese le truppe americane. Stalin scoraggiò Togliatti. Lo avvertì che l’insurrezione sarebbe stata repressa dai soldati americani in Italia.» da http://www.ircocervo.it/
«Quanti sono i Togliatti?» si è chiesto una volta Bruno Bongiovanni su queste colonne. Al centro dei pensieri di Togliatti c’era evidentemente il fatto che su tutte le questioni sul tappeto egli aveva opinioni diverse da quelle del segretario del PCUS. Si guardi infatti alle posizioni espresse nel «Memoriale» incominciando da quelle riguardanti la questione cinese. È innegabile che proporre come faceva Togliatti - nello stesso momento in cui da parte sovietica si puntava a realizzare contro Pechino la massima unità del «campo» per la «scomunica» nei confronti dell’eretico - di «battere le posizioni cinesi» col dialogo e l’iniziativa politica, lasciando «da parte le generiche qualifiche negative», significava proclamare decaduta l’idea stessa di «campo» nei suoi vari aspetti («unità del campo», «disciplina del campo», «appartenenza al campo»). Affermare poi che «ogni partito deve sapersi muovere in modo autonomo» e dunque respingere «ogni proposta di creare di nuovo una organizzazione internazionale centralizzata», giacché l’unità del movimento non avrebbe potuto ormai realizzarsi che «nella diversità di posizioni politiche», significava liquidare di colpo non soltanto il progetto di Chruscev di ricostituzione di una struttura internazionale, ma tutta una serie di principi (quello, prima di tutto, sul ruolo di guida dell’URSS e del PCUS) che avevano sino a quel momento caratterizzato il comunismo mondiale. Sostenere infine la centralità del problema, per quel che riguardava tutti i paesi del socialismo sovietico, del «superamento del regime di limitazioni e soppressione delle libertà democratiche e personali che era stato instaurato da Stalin», significava non solo prendere atto del fallimento della battaglia antistalinista di Chruscev ma individuare nella «questione della democrazia» il tema di fondo per un approccio nuovo all’URSS, alla sua realtà e alla sua storia. Qui sta certamente il punto più importante del «Memoriale».
* Corrispondente a Mosca e poi editorialista dell’Unità, è stato direttore del Centro studi sui paesi dell’Est dell’Istituto Gramsci e del Centro studi di politica internazionale (CeSPI). Ha pubblicato tra l’altro: Gli anni del Cominform (1977), Dopo Breznev (1982), Il giorno che Chruscev parlò (1986), Il crollo dell’impero sovietico (1996), Di Vittorio e l’ombra di Stalin (con Bruno Trentin, 1997), URSS. Perché è crollata (2001), Comunismi e comunisti (2005), La solitudine di Berlinguer (2009).
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