Antonio Gramsci - Biografia
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"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno
di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza"
Nasce il 22 gennaio 1891 ad Ales (Cagliari), quarto di sette figli.
"Nino" a quattro anni è vittima di una caduta che lo segnerà per tutta la vita, anche a causa della sua gracilità congenita.
Nel 1898 la famiglia Gramsci si trova improvvisamente in una situazione economica drammatica, perché il padre è condannato a cinque anni di carcere per malversazione. Lo stesso Nino, subito dopo la licenza elementare, è costretto a lavorare per due anni nell'ufficio del catasto di Ghilarza.
"Ho cominciato a lavorare da quando avevo undici anni, guadagnando ben 9 lire a mese (ciò che del resto significava un chilo di pane al giorno per 10 ore di lavoro al giorno compresa la mattina della domenica e me la passavo a smuovere registri che pesavano più di me e molte notti piangevo perché mi doleva tutto il corpo".
Nel frattempo studia privatamente e poi riuscirà a completare gli sudi: proprio durante il liceo matura le prime posizioni politiche, un forte "istinto di ribellione" per le ingiustizie sociali, che prima lo avvicinano all'autonomismo sardista e poi al movimento socialista.
"Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L'istinto della ribellione che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso 10 in tutte le materie nelle scuole elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante in tessuti. Esso si allargò per tutti i ricchi che opprimevano i contadini della Sardegna ed io pensavo allora che bisognava lottare per l'indipendenza nazionale della regione: "Al mare i continentali!" Quante volte ho ripetuto queste parole. Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale. Mi sono appassionato così alla vita, per la lotta, per la classe operaia."
Il concorso bandito dal Collegio Carlo Alberto di Torino a favore degli studenti disagiati gli consente di superare gli esami d'ingresso all'Università con una borsa di studio, peraltro insufficiente a garantirgli la possibilità di una vita dignitosa. Così, in una lettera del 1927 al fratello, ricorderà questo difficile periodo: "Carissimo Carlo, probabilmente tu qualche volta mi hai un po' invidiato perché mi è stato possibile studiare. Ma tu non sai certamente come io ho potuto studiare. Ti voglio solo ricordare ciò che mi è successo negli anni dal 1910, al 1912. Nel '10, poiché Nannaro era impiegato a Cagliari, andai a stare con lui. Ricevetti la prima mesata, poi non ricevetti più nulla: ero tutto a carico di Nannaro che non guadagnava più di 100 lire al mese. Cambiammo di pensione. lo ebbi una stanzetta che aveva perduto la calce per l'umidità e aveva solo un finestrino che dava in una specie di pozzo, più latrina che cortile. Mi accorsi subito che non si poteva andare avanti, per il malumore di Nannaro che se la prendeva con me. Incominciai col non prendere più il poco caffè al mattino, poi rimandai il pranzo sempre più tardi e così risparmiavo la cena.
Per otto mesi circa mangiai così una sola volta al giorno e giunsi alla fine del terzo anno di liceo in condizioni di denutrizione molto gravi. Solo alla fine dell'anno scolastico seppi che esisteva la borsa di studio del Collegio Carlo Alberto, ma nel concorso si doveva fare l'esame su tutte le materie dei tre anni di liceo. [... ] Partii per Torino come se fossi in istato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca: avevo speso 45 lire per il viaggio in terza delle 100 avute da casa. C'era l'esposizione e dovevo pagare 3 lire al giorno solo per la stanza: Mi fu rimborsato il viaggio in seconda, un'ottantina di lire, ma non c'era da ballare perché gli esami duravano circa 15 giorni e solo per la stanza dovevo spendere una cinquantina di lire. Non so come ho fatto a dare gli esami, perché sono svenuto due o tre volte. Riuscii ma ricominciarono i guai. Da casa tardarono circa due mesi a inviarmi le carte per l'iscrizione all'università, e siccome l'iscrizione era sospesa, erano sospese anche le settanta lire mensili della borsa. Mi salvò un bidello che mi trovò una pensione dove mi fecero credito; io ero così avvilito che volevo farmi rimpatriare dalla questura [... ]. E passai l'inverno senza soprabito, con un abitino da mezza stagione buono per Cagliari. Verso il marzo 1912 ero ridotto tanto male che non parlai più per qualche mese: nel parlare sbagliavo le parole."
Una situazione particolarmente pesante, che, unita alla profonda insodisfazione per il modo in cui era impostata l'Università, lo porterà ad abbandonare gli studi. "Ho vissuto, per un paio d'anni, fuori dal mondo, un po' nel sogno. Ho lasciato che si troncassero ad uno ad uno tutti i fili che mi univano al mondo e agli uomini. Ho vissuto tutto per il cervello e niente per il cuore. Forse è stato perché ho sofferto molto al cervello, la testa è sempre stata piena di dolore, ed ho finito per non pensare che ad essa. Mi sono fatto orso, di dentro e di fuori. È stato per me come se gli uomini non esistessero, ed io fossi un lupo nel suo covo."
Trova invece nuova energia nei contatti coi gruppi giovanili socialisti e s'impegna convintamente nell'attività giornalistica e politica, con un forte spirito critico: ritiene che il Partito Socialista sia del tutto impreparato rispetto alla situazione emersa dalla guerra mondiale e dalla Rivoluzione bolscevica, e che i sindacati si siano ridotti a svolgere una funzione meramente burocratica.
Gramsci ha trovato la propria strada: la cultura che si nutre della politica, la teoria inseparabile dalla lotta, la classe operaia forza motrice del cambiamento rivoluzionario: "La classe operaia deve addestrarsi, deve educarsi alla gestione sociale, deve acquistare la cultura e la psicologia d'una classe dominante, deve acquistarle con i suoi mezzi e con i suoi sistemi, coi comizi, coi congressi, con le discussioni, con l'educazione reciproca. I Consigli di fabbrica sono stati una prima forma di queste esperienze storiche della classe operaia italiana che tende all'autogoverno nello Stato operaio."
Alla luce degli avvenimenti di quello che verà ricordato come il "biennio rosso", G. organizza i gruppi di "Educazione socialista", l'"Istituto di cultura proletaria" e trasforma L'Ordine Nuovo in quotidiano.
Partecipa convintamente all'organizzazione della frazione comunista all'interno del PSI e alla scissione del 21 gennaio 1921 che porterà alla creazione del Partito Comunista d'Italia, la voce "degli operai più coscienti e più capaci".
La direzione settaria di Amadeo Bordiga non lo convince, ma per il momento preferisce non sottoporre il neonato partito ad uno scontro interno che potrebbe pregiudicare la vita stessa del partito.
Nel maggio del '22 Gramsci lascia l'Italia e si reca in Russia, dove rimane circa due anni in qualità di rappresentante del PCd'I presso l'Internazionale.
Giunto a Mosca viene ricoverato in un sanatorio, dove conosce la sua futura moglie Giulia Schucht. "Quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile quando non si era mai voluto bene a nessuno, neppure ai propri parenti, se era possibile amare una collettività se non si era mai amato profondamente delle singole creature umane. Non avrebbe ciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo matematico la mia qualità di rivoluzionario? Ho pensato molto a tutto ciò e ci ho ripensato in questi giorni, perché ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido."
Intanto in Italia la repressione fascista sta spazzando via le organizzazioni del movimento operaio: la polizia ha arrestato parte del Comitato esecutivo del PCd'I ed è stato spiccato un mandato di cattura anche nei confronti di Gramsci, che all'inizio del '24 fonda l'Unità. Quotidiano degli operai e del contadini e il quindicinale Ordine Nuovo.
Alla drammatica crisi che segue il delitto Matteotti (1924) G. risponde proponendo tra l'altro, ma senza successo, la fondazione di un vero Antiparlamento e il 16 maggio 1925 pronuncia il suo unico intervento alla Camera contro il disegno di legge sulle associazioni presentato da Mussolini. Si compie in questa occasione la profezia di Gobetti, che aveva previsto l'attenzione attenta dei fascisti al suo discorso.
"Le difficoltà si moltiplicano, abbiamo ora una legge sulle, ovvero, contro le organizzazioni, che prelude a tutto un sistematico lavoro poliziesco per disgregare il nostro partito. Su questa legge ho fatto il mio debutto in Parlamento. I fascisti mi hanno fatto un trattamento di favore, quindi, dal punto di vista rivoluzionario, ho incominciato con un insuccesso. Poiché ho la voce bassa, si sono riuniti intorno a me per ascoltarmi e mi hanno lasciato dire quello che volevo, interrompendomi continuamente solo per deviare il filo del discorso, ma senza volontà di sabotaggio. Io mi divertivo nell'ascoltare ciò che essi dicevano, ma non seppi trattenermi dal rispondere e ciò fece il loro gioco, perché mi stancai e non riuscii più a seguire l'impostazione che avevo pensato di dare al mio intervento."
È un periodo intenso e drammatico, e G. impegna tutta la propria forza intellettuale nel tentativo di operare una decisa sterzata nella vita del PCd'I: al congresso di Lione (gennaio 1926), riesce a far approvare le proprie Tesi, che porteranno all'emarginazione di Bordiga e all'affermazione del nuovo gruppo dirigente del partito, guidato appunto da G..
In autunno viene raggiunto a Roma da Giulia e Delio, il primo figlio, ma poco tempo dopo Giulia, che aspetta un altro bambino, torna a Mosca, dove nasce Gíuliano: un distacco definitivo, perché Gramsci verrà arrestato e imprigionato e non vedrà più la moglie e non conoscerà mai il secondo figlio. Anche dal carcere, nonostante le non poche difficoltà di rapporto con Giulia, manifesterà il proprio affetto profondo per i figli e le sue Lettere dal carcere rimangono una testimonianza straordinaria.
Carissimo Delio, mi sento un po' stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così? Ti abbraccio."
"Carissimo Giuliano, tu vuoi che ti scriva di cose serie. Molto bene. Ma cosa sono le "cose serie" che vuoi leggere nelle mie lettere? Tu sei un ragazzo e anche le cose per un ragazzo sono molto serie, perché sono in rapporto con la sua età, con le sue esperienze, con le capacità che le esperienze e la riflessione su di esse gli hanno procurato. Del resto prometti di scrivermi sempre qualcosa ogni cinque giorni; sono molto contento se lo farai, dimostrandomi di avere così molta forza di volontà. lo ti risponderò sempre (se potrò) e molto seriamente. Caro, io ti conosco solo per le tue lettere e per le notizie che mi mandano di te i grandi. So che sei un bravo ragazzo: ma perché non mi hai scritto nulla del tuo viaggio al mare; credi che non sia stata una cosa seria? Tutto ciò che ti riguarda è per me molto serio e mi interessa molto; anche i tuoi giochi. Ti abbraccia tuo papà Antonio."
L'8 novembre 1926 viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, in isolamento, e pochi giorni dopo viene assegnato per cinque anni al confino nell'isola di Ustica, dove organizza una scuola di partito tra i "politici": già in questa occasione un prezioso aiuto gli verrà dagli amici Piero Sraffa, brillante economista, e Raffaele Mattioli, che nel '31 diventerà direttore della Banca Commerciale, che gli procurano libri e riviste.
Alla fine di maggio del '28 inizia a Roma il "Processone" contro Gramsci e il gruppo dirigente del PCd'I (Terracini, Roveda, Scoccimarro, ecc.) e il Pubblico Ministero dichiarò: "Per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare".
G. viene condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione, e viene trasferito alla Casa penale speciale di Turi (Bari), dove rimarà fino al novembre 1933.
In carcere G. cerca in tutti i modi di seguire le vicende politiche e faticosamente riesce a ottenere il permesso di studiare e di scrivere.
Verso la fine del 1930 arrivano a Turi vari altri compagni di partito e Gramsci avvia un ciclo organico di discussioni sui temi politici centrali: gli intellettuali e la classe operaia, il partito, il problema militare, la Costituente.
Nel 1928-9 l'Intemazionale comunista effettua una svolta radicale, abbandonando la strategia del fronte unico, sostenendo che la crisi del capitalismo fosse irreversibile e accusando i partiti socialisti di essere un mero strumento della reazione (teoria del socialfascismo). Anche il PCd'I, ovviamente, assume queste posizioni e addirittura sostiene che in Italia era prossima una radicalizzazione della lotta di classe che avrebbe portato ad una crisi del regime fascista. Gramsci, invece, ha una visione assai meno dogmatica: prevede una fase "democratica" e suggerisce la parola d'ordine della Costituente (il famoso "cazzotto nell'occhio"). E anche sul modo in cui viene gestito il PCUS e risolto lo scontro fra StalIn ed i suoi oppositori, G. esprime forti riserve.
Queste posizioni segnano l'inizio di una profondissima crisi fra G. e il partito (v. Paolo Spriano, Gramsci in carcere e il partito, Ed. Riuniti, 1977): alcuni compagni di carcere lo accusano di "intellettualismo" e di non avere più una visione lucida dello scontro di classe; Gramsci sospende i dibattiti interni, e rimane profondamente colpito da un senso di abbandono: si sente isolato non soltanto dal partito, ma anche dalla famiglia.
"lo sono sottoposto a vari regimi carcerari: c'è il regime carcerario costituito dalle quattro mura, dalla grata, dalla bocca di lupo, ecc. ecc.; era già stato da me preventivato e come probabilità subordinata, perché la probabilità primaria dal 1921 al novembre 1926, non era il carcere, ma il perdere la vita. Quello che da me non era stato preventivato era l'altro carcere, che si è aggiunto al primo ed è costituito dall'essere tagliato fuori non solo dalla vita sociale, ma anche dalla vita famigliare. Potevo preventivare i colpi degli avversari che combattevo, non potevo preventivare che dei colpi mi sarebbero arrivati anche da altre parti, da dove meno potevo sospettarli, colpi metaforici, s'intende, ma anche il codice divide i reati in atti e omissioni, cioè anche le omissioni sono colpe o colpi."
"Carissima Giulla, nella nostra corrispondenza manca appunto una corrispondenza effettiva e concreta: non siamo mai riusciti ad intavolare un dialogo; le nostre lettere sono una serie di monologhi che non sempre riescono ad accordarsi neanche nelle linee generali; se a questo si aggiunge l'elemento tempo, che fa dimenticare ciò che si è scritto precedentemente, l'impressione del puro monologo si rafforza. Non ti pare? Ricordo una novellina popolare scandinava. Tre giganti abitano nella Scandinavia lontani l'uno dall'altro come le grandi montagne. Dopo migliaia d'anni di silenzio, il primo gigante grida agli altri due:"Sento muggire un armento di vacche!" Dopo 300 anni il secondo gigante interviene: "Ho sentito anch'io il mugghio!" E dopo 300 anni il terzo gigante intima "Se continuate a far chiasso così, io me ne vado."
In tutto il periodo di detenzione, anche nei momenti più duri dal punto vista politico e psicologico, oltre che fisico, G. continua a lavorare e a studiare. Il risultato di questo incessante sforzo sarà il capolavoro della cultura politica del '900: i Quaderni del carcere.
Il fisico, già minato dalla malattia, subisce un ulteriore tracollo, con crisi che si susseguono sempre più frequenti e pericolose: "Sono giunto a un punto tale - scrive alla cognata Tatiana il 29 agosto del '31 - che le mie forze di resistenza stanno per crollare completamente, non so con quali conseguenze."
All'inizio del '33 lo stato di salute di G. è drammatico, tanto da indurre i medici a ritenere indispensabile la concessione della grazia: G. si oppone e questa valutazione è tolta dal certificato medico, in cui comunque si legge: "Gramsci non potrà lungamente sopravvivere nelle condizioni attuali; io considero come necessario il suo trasferimento in un ospedale civile o in una clinica, a meno che non sia possibile accordargli la libertà condizionale." L'Humanité (organo del PCF) pubblica la diagnosi ed il Soccorso rosso (l'organizzazione internazionale di aiuto ai prigionieri politici) costituisce un comitato per la liberazione di Gramsci.
Convintosi dell'assoluta gravità della situazione, G. chiede finalmente a Tatiana di avviare la pratica per il trasferimento nell'infermeria di un altro carcere ed il 19 novembre 1933 lascia la casa penale di Turi e viene trasferito, sempre in stato di detenzione, in una clinica.
Nell'ottobre del '34 gli viene concessa la libertà condizionale.
Nel giugno del 1935 è colpito da una nuova crisi e nell'aprile del '37 ottiene la piena libertà: progetta di ritirarsi in Sardegna per ristabilirsi, ma la sera del 25 aprile è colpito da emorragia cerebrale.
Così Tania:
"Ha cenato, come al solito, ha mangiato la minestrina di brodo, un po' di frutta cotta ed un pezzetto di pan di Spagna. È uscito per andare al gabinetto, e fu riportato sopra una sedia portato da più persone. Nella ritirata aveva perduto il lato sinistro, completamente, parlava benissimo, ha raccontato a più riprese che essendosi accasciato ma non battuta la testa, si è trascinato sino alla porta e chiamava aiuto. Capitò un malato che avvertì l'infermiera, essa suggerì a Nino di sforzarsi ad aprire lui stesso la porta ed egli vi è riuscito puntandosi sulla parte destra. Disgraziatamente ha esplicato degli sforzi enormi mentre avrebbe dovuto evitare qualsiasi emozione e sforzo. [... ] L'ho sempre vegliato facendo ciò che sapevo bagnandogli le labbra, cercando di fargli ripristinare artificialmente il respiro allorché questo pareva volersi fermare, ma poi venne un ultimo respiro rumoroso e sopravvenne il silenzio senza rimedio."
Gramsci muore alle 4 e 10 di mattina del 27 aprile 1937.
"Non voglio essere compianto: ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata, e i combattenti non possono e non devono essere compianti, quando essi hanno lottato non perché costretti, ma perché così hanno essi stessi voluto consapevolmente."
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