A. Gramsci

Il movimento dei Consigli di Fabbrica


L'Ordine Nuovo
, 14 marzo 1921

Uno dei membri della delegazione italiana, testé ritornato dalla Russia sovietica, riferì ai lavoratori torinesi che la tribuna destinata all'accoglienza della delegazione di Kronstadt era fregiata con la seguente iscrizione: "Evviva lo sciopero generale torinese dell'aprile 1920". Gli operai appresero questa notizia con molto piacere e grande soddisfazione. La maggior parte dei componenti la delegazione italiana recatasi in Russia erano stati contrari allo sciopero generale d'aprile. Essi sostenevano nei loro articoli contro lo sciopero che gli operai torinesi erano stati vittime di un'illusione e avevano sopravvalutato l'importanza dello sciopero. I lavoratori torinesi appresero perciò con piacere l'atto di simpatia dei compagni di Kronstadt ed essi si dissero: "I nostri compagni comunisti russi hanno meglio compreso e valutato l'importanza dello sciopero di aprile che non gli opportunisti italiani, dando così a questi ultimi una buona lezione".

Lo sciopero di aprile

Il movimento torinese dell'aprile fu infatti un grandioso avvenimento nella storia non soltanto del proletariato italiano, ma di quello europeo, e possiamo dirlo, nella storia del proletariato di tutto il mondo. Per la prima volta nella storia, si verificò infatti il caso di un proletariato che impegna la lotta per il controllo della produzione, senza essere stato spinto all'azione dalla fame o dalla disoccupazione. Di più non fu soltanto una minoranza, un'avanguardia della classe operaia che intraprese la lotta, ma la massa intiera dei lavoratori di Torino scese in campo e portò la lotta, incurante di privazioni e di sacrifizi, fino alla fine. I metallurgici scioperarono per un mese, le altre categorie dieci giorni. Lo sciopero generale degli ultimi dieci anni dilagò in tutto il Piemonte, mobilizzando circa mezzo milione di operai industriali e agricoli, e coinvolse quindi circa quattro milioni di popolazione. I capitalisti italiani tesero tutte le loro forze per soffocare il movimento operaio torinese; tutti i mezzi dello Stato borghese furono posti a loro disposizione, mentre gli operai sostennero da soli la lotta senza alcun aiuto né dalla direzione del Partito socialista, né dalla Confederazione Generale del Lavoro. Anzi, i dirigenti del Partito e della Confederazione schernirono i lavoratori e contadini italiani da qualsiasi azione rivoluzionaria colla quale essi intendevano manifestare la loro solidarietà coi fratelli torinesi, e portare a essi un efficace aiuto. Ma gli operai torinesi non si perdettero d'animo. Essi sopportarono tutto il peso della reazione capitalista, osservarono la disciplina fino all'ultimo momento e rimasero fino dopo la disfatta fedeli alla bandiera del comunismo e della rivoluzione mondiale.

Anarchici e sindacalisti

La propaganda degli anarchici e sindacalisti contro la disciplina di partito e la dittatura del proletariato non ebbe alcuna influenza sulle masse, anche quando, causa del tradimento dei dirigenti, lo sciopero terminò con una sconfitta. I lavoratori torinesi giurarono anzi di intensificare la lotta rivoluzionaria e di condurla su due fronti: da una parte contro la borghesia vittoriosa, dall'altra contro i capi traditori. La coscienza e la disciplina rivoluzionaria, di cui le masse torinesi hanno dato prova, hanno la loro base storica nelle condizioni economiche e politiche in cui si è sviluppata la lotta di classe a Torino. Torino è un centro di carattere prettamente industriale. Quasi tre quarti della popolazione, che conta mezzo milione di abitanti, è composta di operai: gli elementi piccolo-borghesi sono una quantità infima. A Torino vi è inoltre una massa compatta di impiegati e tecnici, che sono organizzati nei sindacati e aderiscono alla Camera del Lavoro. Essi furono durante tutti i grandi scioperi a fianco degli operai, e hanno quindi, se non tutti, almeno la maggior parte, acquistato la psicologia del vero proletariato, in lotta contro il capitale, per la rivoluzione e il comunismo.

 


Due insurrezioni armate

Durante la guerra imperialista del 1914-18, Torino vide due insurrezioni armate: la prima insurrezione, che scoppiò nel maggio 1915, aveva l'obiettivo di impedire l'intervento dell'Italia nella guerra contro la Germania (in questa occasione venne saccheggiata la Casa del popolo); la seconda insurrezione, nell'agosto 1917, assunse il carattere di una lotta rivoluzionaria armata, su grande scala. La notizia della Rivoluzione di marzo in Russia era stata accolta a Torino con gioia indescrivibile. Gli operai piangevano di commozione quando appresero la notizia che il potere dello zar era stato rovesciato dai lavoratori di Pietrogrado. Ma i lavoratori torinesi non si lasciarono infinocchiare dalla fraseologia demagogica di Kerenski e dei menscevichi.
Quando nel luglio del 1917 arrivò a Torino la missione inviata nell'Europa occidentale dal Soviet di Pietrogrado, i delegati Smirnov e Goldemberg, che si presentarono dinanzi a una folla di cinquantamila operai, vennero accolti da grida assordanti di "Evviva Lenin! Evviva i bolscevichi!". Goldemberg non era troppo soddisfatto di questa accoglienza; egli non riusciva a capire in che maniera il compagno Lenin si fosse acquistata tanta popolarità fra gli operai torinesi. E non bisogna dimenticare che questo episodio avvenne dopo la repressione della rivolta bolscevica del luglio, che la stampa borghese italiana infuriava contro Lenin e contro i bolscevichi, denunziandoli come briganti, intriganti, agenti e spie dell'imperialismo tedesco. Dal principio della guerra italiana (24 maggio 1915) il proletariato torinese non aveva fatto nessuna manifestazione di massa.



Barricate, trincee, reticolati

L'imponente comizio che era stato organizzato in onore dei delegati del Soviet pietrogradese segnò l'inizio di un nuovo periodo di movimenti di masse. Non passò un mese, che i lavoratori torinesi insorsero con le armi in pugno contro l'imperialismo e il militarismo italiano. L'insurrezione scoppiò il 23 agosto 1917. Per cinque giorni gli operai combatterono nelle vie della città. Gli insorti, che disponevano di fucili, granate e mitragliatrici, riuscirono persino a occupare alcuni quartieri della città e tentarono tre o quattro volte di impadronirsi del centro ove si trovavano le istituzioni governative e i comandi militari. Ma i due anni di guerra e di reazione avevano indebolito la già forte organizzazione del proletariato, e gli operai inferiori di armamento furono vinti. Invano sperarono in un appoggio da parte dei soldati; questi si lasciarono ingannare dall'insinuazione che la rivolta era stata inscenata dai tedeschi. Il popolo eresse barricate, scavò trincee, circondò qualche rione di reticolati a corrente elettrica e respinse per cinque giorni tutti gli attacchi delle truppe e della polizia. Caddero più di 500 operai, più di 2.000 vennero gravemente feriti, Dopo la sconfitta i migliori elementi furono arrestati e allontanati e il movimento proletario perdette di intensità rivoluzionaria. Ma i sentimenti comunisti del proletariato torinese non erano spenti.

Nel dopoguerra

Dopo la fine della guerra imperialista il movimento proletario fece rapidi progressi. La massa operaia di Torino comprese che il periodo storico aperto dalla guerra era profondamente diverso dall'epoca precedente la guerra. La classe operaia torinese intuì subito che la III Internazionale è un'organizzazione del proletariato mondiale per la direzione della guerra civile, per la conquista del potere politico, per l'istituzione della dittatura proletaria, per la creazione di un nuovo ordine nei rapporti economici e sociali. I problemi della rivoluzione, economici e politici, formavano oggetto di discussione in tutte le assemblee degli operai. Le migliori forze dell'avanguardia operaia si riunirono per diffondere un settimanale di indirizzo comunista, "l'Ordine Nuovo". Nelle colonne di questo settimanale si trattarono i vari problemi della rivoluzione; l'organizzazione rivoluzionaria delle masse che dovevano conquistare i sindacati alla causa del comunismo; il trasferimento della lotta sindacale dal campo grettamente corporativista e riformista, sul terreno della lotta rivoluzionaria, del controllo sulla produzione e della dittatura del proletariato.
Anche la questione dei Consigli di fabbrica fu posta all'ordine del giorno. Nelle aziende torinesi esistevano già prima piccoli comitati operai, riconosciuti dai capitalisti, e alcuni di essi avevano già ingaggiato la lotta contro il funzionarismo, lo spirito riformista e le tendenze costituzionali dei sindacati. Ma la maggior parte di questi comitati non erano creature dei sindacati; le liste dei candidati per questi comitati (commissioni interne) venivano proposte dalle organizzazioni sindacali, le quali sceglievano di preferenza operai di tendenze opportuniste che non avrebbero dato delle noie ai padroni, e avrebbero soffocato in germe ogni azione di massa. I seguaci dell' "Ordine Nuovo" perorarono nella loro propaganda in prima linea la trasformazione delle commissioni interne, e il principio che la formazione delle liste dei candidati dovesse avvenire nel seno della massa operaia e non dalle cime della burocrazia sindacale. I compiti che essi assegnarono ai Consigli di fabbrica furono il controllo sulla produzione, l'armamento e la preparazione militare delle masse, la loro preparazione politica e tecnica. Essi non dovevano più compiere l'antica funzione di cani da guardia che proteggono gli interessi delle classi dominanti, né frenare le masse nelle loro azioni contro il regime capitalistico.


L'entusiasmo per i Consigli

La propaganda per i Consigli di fabbrica venne accolta con entusiasmo dalle masse; nel corso di mezzo anno vennero costituiti Consigli di fabbrica in tutte le fabbriche e officine metallurgiche, i comunisti conquistarono la maggioranza nel sindacato metallurgici; il principio dei Consigli di fabbrica e del controllo sulla produzione venne approvato e accettato dalla maggioranza del Congresso e dalla maggior parte dei sindacati appartenenti alla Camera del Lavoro. L'organizzazione dei Consigli di fabbrica si basa sui seguenti principi: in ogni fabbrica in ogni officina viene costituito un organismo sulla base della rappresentanza (e non sull'antica base del sistema burocratico) il quale realizza la forza del proletariato, la lotta contro l'ordine capitalistico o esercita il controllo sulla produzione, educando tutta la massa operaia per la lotta rivoluzionaria e per la creazione dello Stato operaio.
Il Consiglio di fabbrica deve essere formato secondo il principio dell'organizzazione per industria; esso deve rappresentare per la classe operaia il modello della società comunista, alla quale si arriverà attraverso la dittatura del proletariato; in questa società non esisteranno più divisioni di classe, tutti i rapporti sociali saranno regolati secondo le esigenze tecniche della produzione e della organizzazione corrispondente, e non saranno subordinati a un potere statale organizzato. La classe operaia deve comprendere tutta la bellezza e nobiltà dell'ideale per il quale essa lotta e si sacrifica; essa deve rendersi conto che per raggiungere questo ideale è necessario passare attraverso alcune tappe; essa deve riconoscere la necessità della disciplina rivoluzionaria e della dittatura. Ogni azienda si suddivide in reparti e ogni reparto in squadre di mestiere; ogni squadra compie una determinata parte del lavoro; gli operai di ogni squadra eleggono un operaio con mandato imperativo e condizionato.
L'assemblea dei delegati di tutta l'azienda forma un Consiglio che elegge dal suo seno un comitato esecutivo. L'assemblea dei segretari politici dei comitati esecutivi forma il comitato centrale dei Consigli che elegge dal suo seno un comitato urbano di studio per la organizzazione della propaganda, la elaborazione dei piani di lavoro, per l'approvazione dei progetti e delle proposte delle singole aziende perfino di singoli operai, e infine per la direzione generale di tutto il movimento.

Consigli e commissioni interne durante gli scioperi

Alcuni compiti dei Consigli di fabbrica hanno carattere prettamente tecnico e perfino industriale, come ad esempio, il controllo sul personale tecnico, il licenziamento di dipendenti che si dimostrano nemici della classe operaia, la lotta con la direzione per la conquista dei diritti e libertà, il controllo della produzione dell'azienda e delle operazioni finanziarie. I Consigli di fabbrica presero presto radici. Le masse accolsero volentieri questa forma di organizzazione comunista, si schierarono intorno ai comitati esecutivi e appoggiarono energicamente la lotta contro l'autocrazia capitalista. Quantunque né gli industriali, né la burocrazia sindacale volessero riconoscere i Consigli e i comitati, questi ottennero tuttavia notevoli successi: essi scacciarono gli agenti e le spie dei capitalisti, annodarono rapporti con gli impiegati e coi tecnici per avere delle informazioni d'indole finanziaria e industriale; negli affari dell'azienda essi concentrarono nelle loro mani il potere disciplinare e dimostrarono alle masse disunite e disgregate ciò che significa la gestione diretta degli operai nell'industria. L'attività dei Consigli e delle commissioni interne si manifestò più chiaramente durante gli scioperi; questi scioperi perdettero il loro carattere impulsivo, fortuito e divennero l'espressione dell'attività cosciente delle masse rivoluzionarie.
L'organizzazione tecnica dei Consigli e delle commissioni interne, la loro capacità di azione si perfezionò talmente, che fu possibile ottenere in cinque minuti la sospensione dal lavoro di 15 mila operai dispersi in 42 reparti della Fiat. Il 3 dicembre 1919 i Consigli di fabbrica diedero una prova tangibile della loro capacità di dirigere movimenti di masse in grande stile; dietro ordine della sezione socialista, che concentrava nelle sue mani tutto il meccanismo del movimento di massa, i Consigli di fabbrica mobilizzarono senza alcuna preparazione, nel corso di un'ora, centoventimila operai, inquadrati secondo le aziende. Un'ora dopo si precipitò l'armata proletaria come una valanga fino al centro della città e spazzò dalle strade e dalle piazze tutto il canagliume nazionalista e militarista.

La lotta contro i Consigli

Alla testa del movimento per la costruzione dei Consigli di fabbrica furono i comunisti appartenenti alla sezione socialista e alle organizzazioni sindacali; vi presero pure parte gli anarchici, i quali cercarono di contrapporre la loro fraseologia ampollosa al linguaggio chiaro e preciso dei comunisti marxisti. Il movimento incontrò la resistenza accanita dei funzionari sindacali, della direzione del Partito socialista e dell' "Avanti!". La polemica di questa gente si basava sulla differenza fra il concetto di Consiglio di fabbrica e quello di Soviet. Le loro conclusioni ebbero un carattere puramente teorico, astratto, burocratico. Dietro le loro frasi altisonanti si celava il desiderio di evitare la partecipazione diretta delle masse alla lotta rivoluzionaria, il desiderio di conservare la tutela delle organizzazioni sindacali sulle masse. I componenti la direzione del Partito si rifiutarono sempre di prendere l'iniziativa di una azione rivoluzionaria, prima che non fosse attuato un piano di azione coordinato, ma non facevano mai nulla per preparare ed elaborare questo piano.
Il movimento torinese non riuscì però ad uscire dall'ambito locale, poiché tutto il meccanismo burocratico dei sindacati venne messo in moto per impedire che le masse operaie delle altre parti d'Italia seguissero l'esempio di Torino. Il movimento torinese venne deriso, schernito, calunniato e criticato in tutti i modi. Le aspre critiche degli organismi sindacali e della direzione del Partito socialista incoraggiarono nuovamente i capitalisti i quali non ebbero più freno nella loro lotta contro il proletariato torinese e contro i Consigli di fabbrica.
La conferenza degli industriali, tenutasi nel marzo 1920 a Milano, elaborò un piano d'attacco; ma i "tutori della classe operaia", le organizzazioni economiche e politiche non si curarono di questo fatto. Abbandonato da tutti, il proletariato torinese fu costretto ad affrontare da solo, colle proprie forze, il capitalismo nazionale e il potere dello Stato. Torino venne inondata da un esercito di poliziotti; intorno alla città si piazzarono cannoni e mitragliatrici nei punti strategici. E quando tutto questo apparato militare fu pronto, i capitalisti cominciarono a provocare il proletariato. È vero che di fronte a queste gravissime condizioni di lotta il proletariato esitò ad accettare la sfida; ma quando si vide che lo scontro era inevitabile, la classe operaia uscì coraggiosamente dalle sue posizioni di riserva e volle che la lotta fosse condotta fino alla sua fine vittoriosa.

Il Consiglio nazionale socialista di Milano

I metallurgici scioperarono un mese intero, le altre categorie dieci giorni; l'industria in tutta la provincia era ferma, le comunicazioni paralizzate. Il proletariato torinese fu però isolato dal resto d'Italia; gli organi centrali non fecero niente per aiutarlo; ma non pubblicarono nemmeno un manifesto per spiegare al popolo italiano l'importanza della lotta dei lavoratori torinesi; L' "Avanti!" si rifiutò di pubblicare il manifesto della sezione torinese del partito. I compagni torinesi si buscarono dappertutto epiteti di anarchici e avventurieri. In quell'epoca si doveva avere a Torino il Consiglio nazionale del Partito; tale convegno venne però trasferito a Milano, perché una città "in preda a uno sciopero generale" sembrava poco adatta come teatro di discussioni socialiste. In questa occasione si manifestò tutta l'impotenza degli uomini chiamati a dirigere il Partito; mentre la massa operaia difendeva a Torino coraggiosamente i Consigli di fabbrica, la prima organizzazione basata sulla democrazia operaia, incarnante il potere del proletario, a Milano si chiacchierava intorno a progetti e metodi teorici per la formazione di Consigli come forma di potere politico da conquistare dal proletariato; si discuteva sul modo di sistemare le conquiste non avvenute e si abbandonava il proletariato torinese al suo destino, si lasciava alla borghesia la possibilità di distruggere il potere operaio già conquistato.
Le masse proletarie italiane manifestarono la loro solidarietà coi compagni torinesi in varie forme; i ferrovieri di Pisa, Livorno e Firenze si rifiutarono di trasportare le truppe destinate a Torino, i lavoratori dei porti e i marinari di Livorno e Genova sabotarono il movimento dei porti; il proletariato di molte città scese in sciopero contro gli ordini dei sindacati. Lo sciopero generale di Torino e del Piemonte cozzò contro il sabotaggio e la resistenza delle organizzazioni sindacali e del Partito stesso. Esso fu tuttavia di grande importanza educativa perché dimostrò che l'unione pratica degli operai e contadini è possibile, e riprovò l'urgente necessità di lottare contro tutto il meccanismo burocratico delle organizzazioni sindacali, che sono il più solido appoggio per l'opera opportunistica dei parlamentari e dei riformisti mirante al soffocamento di ogni movimento rivoluzionario delle masse lavoratrici.