L'ultimo Congresso dei DS ha visto sullo sfondo la questione del Pantheon, cioè le figure politiche a cui il Partito Democratico farà riferimento. A parte il coinvolgimento di Craxi (ma da quando un Pantheon ospita pregiudicati e latitanti?) è interessante notare che subito dopo Enrico Berlinguer e Antonio Gramsci (ma che c'azzeccano col PD?) viene nientepopodimenoche Alcide De Gasperi: illustre statista, dirigente al cui confronto Rutelli dovrebbe arrossire (De Gasperi, a differenza di Cicciobello, seppe addirittura dire no al Vaticano), ma - do you remember? - capo della Democrazia Cristiana di Scelba e delle stragi antioperaie; naturalmente di ciò che fu la DC si potrebbe dissertare a lungo, ma basta ricordare alcuni episodi della nostra storia e non dimenticare la contiguità tra mafia e potere. In compenso i DS hanno un programma denso e articolato, a cui affidano le proprie speranze i lavoratori, i disoccupati, i pensionati, i ceti medi riflessivi, l'imprenditoria più sana, i giovani precari o in cerca di lavoro, le donne: Apriti cielo! La Binetti (solo lei?) ha afferrato il cilicio e ha minacciato di farsi restituire da Rutelli quello che gli aveva prestato. Il confronto continua: titolari della PD Card, dateci dentro! Intanto, però, da Francesco B. alcune modeste proposte di abbreviazioni: pdue, pdei... P.S. 2 febbraio 2008: nel predisporre il Manifesto dei valori, il documento fondativo del PD, e lo Statuto, questi imbecilli hanno dimenticato ogni riferimento alla Resistenza e all'antifascismo: poi Veltroni ha cercato di metterci una pezza, ma che dire se non che sono proprio dei miserabili?
Piero Fassino, in ansia per sondaggi nerissimi che danno la somma fra DS e DL ad un misero 23%, dichiara che Bettino Craxi sarà uno dei padri spirituali del nascente Partito Democratico. Tirare in ballo i morti non è mai elegante, soprattutto quando si è passata una buona metà della propria carriera politica a parlarne male quando erano in vita. Tuttavia per farci un’idea, vediamo cosa ne pensava l'ex leader socialista di Ulivo e dintorni: da http://titollo.ilcannocchiale.it:80/
Ma neanche Stefania, che ha scelto in un minuto il documento da incorniciare, sa esattamente tutto quello che c'è in quei 285 faldoni nei quali è sigillata la storia di suo padre, o meglio le tracce cartacee e visuali che ne sono rimaste. Forse, per dire, non sa neanche che nello scatolone della corrispondenza personale, tra le lettere di Yasser Arafat e i biglietti di Mitterrand, c'è una lettera firmata Silvio Berlusconi. Una lettera breve, di una paginetta, ma scritta di suo pugno alla fine di ottobre del 1984. Una testimonianza importante, perché è il tassello mancante di una vicenda decisiva, nella storia della televisione italiana: il decreto Berlusconi. Era successo che il 16 ottobre tre pretori - a Roma, Torino e Pescara - avevano ordinato l'oscuramento di Canale 5, Retequattro, Italia Uno e altri due network perché trasmettevano in diretta su tutto il territorio nazionale, nonostante il divieto allora imposto dalla legge. Berlusconi guidò ovviamente la protesta, parlò di "sconcerto, amarezza e ribellione", ma dovette tenere spente per quattro giorni le sue tv. Finché, la mattina del 20 ottobre, il Consiglio dei ministri - convocato d'urgenza da Craxi - varò un decreto-legge che sanava immediatamente la situazione e concedeva un anno di tempo alle tv. Tutti pensarono, molti dissero e qualcuno scrisse che il capo del governo aveva voluto dare una mano al suo amico Silvio. Nessuno però poté dimostrarlo. Ebbene, la lettera di Berlusconi è la conferma che mancava. "Caro Bettino - scrive il Cavaliere - grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli-tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio." Le lettere di Craxi sono una netta minoranza, nel mare magnum della corrispondenza catalogata, perché il leader socialista scriveva spesso a mano e non conservava una copia delle missive che spediva. Tra le poche di cui è rimasta traccia, ce n'è una scritta a un compagno socialista con il quale lui ebbe rapporti altalenanti: Sandro Pertini. Maggio 1984: Pertini è al Quirinale, Craxi a Palazzo Chigi. Ma è una lettera privata, da compagno a compagno, quella che Bettino scrive. "Caro Sandro, anche il presidente della Repubblica consentirà al segretario dei socialisti italiani di essere franco. Dopo la campagna di aggressione polemica ripresa dai comunisti contro i socialisti da quando ho l'onore di guidare il governo della Repubblica, penso che se tu ti fossi trovato tra i delegati socialisti del congresso di Verona, ti saresti unito alla loro legittima protesta con lo stesso orgoglio e la stessa energia con la quale sempre i socialisti riformisti hanno dovuto difendere il socialismo ogni qualvolta esplodeva il settarismo dei comunisti. Un abbraccio fraterno, tuo Bettino." Cos'era successo? Al congresso socialista di Verona la platea aveva rumorosamente fischiato Enrico Berlinguer, capo della delegazione del Pci. "Io non posso unirmi a questi fischi solo perché non so fischiare" aveva commentato Craxi dal palco. Una frase che non era piaciuta affatto a Pertini (come lo stesso presidente si era premurato di far sapere al leader socialista, con una secca telefonata) e della quale lo stesso Craxi si sarebbe poi amaramente pentito, un mese dopo, al momento della morte di Berlinguer. Uno sprazzo di luce su una vicenda ancora oggi più ricca di ombre che di luci arriva invece da una lettera che Giuliano Amato scrive a Craxi il 9 febbraio 1993. La data è importante. Lo scandalo di Tangentopoli è al culmine della sua deflagrazione: da 24 ore Silvano Larini viene interrogato dal pool di Mani Pulite, e sta raccontando di un conto "Protezione" su cui Licio Gelli ha versato sette milioni di dollari al Psi. Craxi è già stato raggiunto da un avviso di garanzia e tre giorni dopo si dimetterà da segretario. Martelli darà le dimissioni entro poche ore. In questo clima infuocato Amato, presidente del Consiglio, scrive a Craxi una lettera di suo pugno - su carta intestata di Palazzo Chigi, ma non protocollata e dunque non classificata - che sembra avere un solo obiettivo: rassicurarlo sui suoi guai giudiziari. "Caro Segretario, prendo a calci i primi mattoni di un muro di silenzio che non vorrei calasse fra noi. E vorrei chiederti invece di avere fiducia in quel che io sto cercando di fare. Occorre certo che passi qualche giorno, che la situazione delle imprese, e non solo della politica, appaia (come del resto già è) insostenibile. E' inoltre realisticamente utile che la macchia d'olio si allarghi. Neppure a quel punto credo che sarà possibile estinguere reati di codice. Ma credo che l'estensione per essi dei patteggiamenti e delle sospensioni condizionali sia una strada percorribile. Sto conquistando su questo preziosi consensi. E ritengo che si ottengano così procedure non massacranti, che evitano la pubblicità devastante dei dibattimenti e forniscono possibilità di uscita (...). Claudio mi pare ormai in pericolo. Apprendo che, se ci fosse un riscontro a ciò che ha detto Larini, già sarebbe partito un avviso per concorso in bancarotta fraudolenta. Io sono qua. E continuo ad esserti grato ed amico. Giuliano." Il giorno dopo, al Senato, Amato dirà che "la questione morale è diventata, di prepotenza, prioritaria". E tre settimane più tardi, il 5 marzo, il suo governo varerà quello che passerà alla storia come il "decreto salva-ladri": depenalizzazione per il finanziamento illecito dei partiti ed estensione del patteggiamento ai reati di concussione e corruzione. Decreto che sarà precipitosamente ritirato dopo la clamorosa protesta in tv del pool milanese. Alcuni dossier sono riservati a politici e giornalisti. Uno è dedicato a Cesare Merzagora. Un altro è intitolato "Eugenio Scalfari" e contiene cento documenti catalogati, tra i quali gli articoli dattiloscritti (consegnati dunque a Craxi prima della pubblicazione) di un'inchiesta dell'"Europeo", cinque puntate al vetriolo sul fondatore di "Repubblica". Nomi invece ce ne sono tanti. Cossiga scrive più di tutti: lettere, biglietti, telegrammi. Una lettera dal Quirinale sembra scritta alla vigilia delle dimissioni: "Caro Bettino, non ho potuto seguire, in coscienza, il tuo consiglio di "restare". Ma ho gettato piuttosto un ponte con quel galantuomo che è Oscar Luigi Scalfaro..." Roberto Benigni nel 1991 gli manda da Porto Cesareo (Lecce) una cartolina con uno scoglio scritta nel suo stile: "Bettino, e a stare zitti ho già detto tutto. Ti saluto." Nel 1986 Leonardo Sciascia gli scrive: "Ho votato per il Psi e per il giovane Musotto. Già da anni io voto come se ci fosse il sistema uninominale (che bisognerebbe ripristinare). Ma non è questo il punto: è che la campagna elettorale del Psi in Sicilia mi pare sia partita sul piede sbagliato: quando si vuole rinnovare, e si vuole rinnovamento, bisogna che siano nuovi gli uomini che si propongono. Questa è la terra in cui l'esperienza della storia si è coagulata nella sentenza che "'ncapu a lu re c'è lu vicirè", al di sopra del re c'è il vicerè..." Una delle ultime lettere, dell'estate 1999, è per Giovanni Paolo II: "Santo Padre, don Verzè mi porta il Suo messaggio augurale. Grazie. L'unica grande fiducia è in Lei. Offro le mie sofferenze per il mio paese e per le intenzioni di Vostra Santità. B. Craxi." La Repubblica, 6 dicembre 2007 |