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John Kleeves (Stefano Anelli)
Le balle spaziali di Hollywood |
La realtà degli Stati Uniti ha molti lati
negativi, sia nei suoi aspetti attuali che storici. A chi la
conosce, anche poco, ma quel poco con esattezza, immancabilmente
capita prima o poi di notare come la filmografia di tale paese
- per antonomasia Hollywood - sia al riguardo puntualmente mistificatoria.
Non in modo plateale: i film di Hollywood non stravolgono completamente
i fatti né fanno omissioni evidenti per i non iniziati.
Con disinvoltura essi evitano di citare gli eventi più significativi,
o dei particolari rivelatori, e distorcono i fatti quel tanto
che basta per indurre lo spettatore a trarre conclusioni sbagliate
su certe situazioni, o comunque a non trarre quelle giuste. Gli
esempi sono infiniti.
La società americana
Prendiamo la società americana. Com'è,
in breve ma con esattezza, quella società? È una
società dove
gli individui lottano accanitamente per arricchirsi, dove quelli
che non ce la fanno cominciano a lottare accanitamente per sopravvivere
e gli altri non ne hanno mai abbastanza di ingegnarsi a mostrare
il loro successo.
È una società spietata, oltremodo
selettiva secondo il suo criterio, che distrugge innumerevoli
schiere dei suoi componenti. Le statistiche parlano chiaro.
Su
un totale di 240 milioni di abitanti i poveri
sono 30 milioni per il governo e 60
milioni per gli istituti privati. Non
si tratta di "poveri" solo
rispetto ad uno standard elevato: non possono permettersi di
curarsi, ed infatti hanno una vita media di 10 anni più breve
della media; anche il sangue che vendono nei
laboratori privati presenti in ogni cittadina, che può fruttare
sino a 80 dollari al mese, non aiuta.
Nella vasta area interna dei monti
Appalaci, che tocca cinque Stati ed è abitata praticamente
solo dai bianchi anglosassoni, ci sono episodi di denutrizione
fra i bambini. Gli homeless sono circa 4 milioni
(il governo li calcola in 250.000, che sono invece solo gli homeless
anche malati di mente). In maggioranza bianchi anglosassoni,
sono persone che hanno perso il lavoro e non ne hanno trovato
un altro in tempo utile: sia che fossero in affitto o avessero
contratto un mortgage bancario sulla casa, in breve
si trovano sulla strada.
Può anche essersi trattato di un problema
di salute: ogni anno circa un milione di persone negli USA va
in bancarotta per le spese mediche. Intere famiglie sono homeless:
vivono nella loro auto, addosso alla quale cominciano ad erigere
tende e cartoni; allontanati da un sito all'altro finiscono per
ritrovarsi nelle
car cities o nelle tent cities, la più grande
delle quali è presso
Van Nuys, un sobborgo di Los Angeles.
Ogni inverno circa 1.000
homeless muoiono per il freddo. Gli
street kids riflettono il disagio delle
famiglie povere americane: sono minori dagli 8 ai 14 anni, dei
due sessi, che fuggono di casa e che si ritrovano in gruppetti
nelle grandi città dove
per sopravvivere in genere si prostituiscono ad adulti che li
cercano incessantemente (gli street kids fanno survival
sex con
i chicken hawks).
Fra rientri e nuove fughe il loro
numero è costante da
molti anni ed è calcolato in "più di un milione".
Ogni anno circa 5.000 street kids muoiono per percosse,
stenti o malattie, frettolosamente fatti seppellire in tombe
anonime dalle autorità municipali; molti hanno l'AIDS
(il 40% di quelli che vivono a New York City, si calcola).
L'infanzia difficile non si concilia con la scuola: ci sono
così negli USA 27 milioni di analfabeti, persone che
scelgono le scatolette di cibo in base ai disegni, per i quali
comunque sviluppano una memoria sicura.
I migrant workers sono circa 5 milioni: sono lavoratori agricoli
stagionali che passano la vita spostandosi da un campo di pomodori
a uno di meloni su vecchie auto o furgoncini, le loro case.
Tre milioni di nuclei familiari - anche numerosi, di cinque
o sei persone - vivono nei trailers, che sono cassoni in alluminio
e polistirolo da 2,2 x 6-10 metri montati su ruote gommate e
parcheggiati per sempre in campi di periferia, che diventano
trailer parks. Quantità ancora maggiori vivono negli
slums, quartieri degradati e pericolosissimi presenti in ogni
città, in genere in zone periferiche abilmente tagliate
fuori dalla viabilità, perché i turisti non le
vedano o qualcuno non ci si avventuri per sbaglio.
Ogni anno in media il 17% delle famiglie americane trasloca,
seguendo il lavoro là dove lo trova, anche mille miglia
distante. Madri single e desolate sono spesso costrette a vendere
i loro neonati, come la legge americana in verità permette:
al posto del pagamento delle spese del parto, circa 3.000 dollari,
firmano in ospedale un certificato di cedimento in adozione ed
il neonato finisce ad una coppia, la quale spende in totale sui
20.000 dollari.
Questo è per sommi capi il risvolto
umano della curva di distribuzione della ricchezza negli Stati
Uniti, dove meno dell'1% della popolazione detiene più del
50% della medesima e dove il resto non è diviso molto
più equamente.
Gli stenti economici si trasformano in criminalità e
disagi psicologici. Il livello di criminalità americano è giustamente
leggendario e basti il numero di omicidi: dai 25 ai 30.000 all'anno;
nella capitale Washington, che ha circa gli abitanti di Bologna,
avvengono sui 400 omicidi all'anno. Per i problemi psicologici
si può dire che negli Stati Uniti vi sono 27
milioni di alcolizzati, 18 milioni di consumatori di droghe leggere,
da 4 a 8 milioni di cocainomani e 500.000 eroinomani, mentre uno
studio condotto nel 1984 dal National Institute of Mental Health
concludeva che il 19% della popolazione adulta americana era
da considerarsi mentalmente malata dal punto di vista clinico.
Anche i suicidi sono dai 25 ai 30.000 all'anno.
Dietro la maschera
Guardando un film di Hollywood ambientato negli
States contemporanei ha mai lo spettatore la sensazione di una
realtà del genere?
Certamente no. I particolari che sarebbero
solo di per sé rivelatori
sono accuratamente evitati. Così in nessun film americano
si vedono street kids o intere, normali famiglie composte
da padre, madre e figli che vivono in automobili; mai è presentata
la situazione della persona che non può curarsi per mancanza
di soldi e che è respinta da medici e ospedali per quello;
mai si vedono homeless o comunque poveri che vendono sangue e
sperma per 20 dollari; mai si vedono tent
cities o trailer parks;
mai si vedono donne che cedono i loro figli in cambio del pagamento
della retta ospedaliera. Il resto è mostrato tutto, ora
questo ora quello a seconda delle esigenze del copione: slums,
barboni, braccianti nomadi e così via.
Il contesto e il
modo in cui tali situazioni sono presentate, però,
non permettono allo spettatore di rendersi conto del loro reale
significato, della drammatica portata che hanno nella società americana.
Il che viene ottenuto suggerendo allo spettatore altre opzioni,
rivolgendosi al suo subconscio con ammiccamenti vari. I barboni,
ad esempio, se inseriti sullo sfondo per un tocco di "realismo" sono
sempre stesi a terra ubriachi o drogati; se sono in piedi e parlano
sono dei pazzi o dei mentecatti; lo spettatore così conclude
che gli homeless americani sono tutti dei portatori di gravi
difetti che si trovano in difficoltà per una qualche loro
colpa, o dei malati che preferiscono vivere in una scatola di
cartone piuttosto che in un istituto.
Se l'homeless del film
ha una parte nella vicenda e non gli si attribuiscono colpe specifiche,
allora lo è per sua
scelta, per via della sua personalità di irriducibile
ribelle, come un personaggio di Pian della
Tortilla. Questo è anche
il caso dei migrant workers, presentati come dei solitari
che passano da un ranch all'altro perché così a
loro piace; se si portano dietro una famiglia allora sono sempre deichicanos,
immigrati abituati a miserie peggiori. Rarissimo vedere un trailer
in un film americano; comunque quando c'è non è maiinserito
in un trailer park, è sempre seminuovo e abitato
da un single di indole sportiva, o da un criminale.
Altre situazioni presentate da Hollywood sembrerebbero
a prima vista sicure rivelatrici di una realtà sociale
spietata, come ad esempio il caso dell'impiegato che viene licenziato
e che diventa homeless. Ma nella vicenda sono sempre inseriti
elementi di inverosimiglianza, che inducono lo spettatore a concludere
che la situazione non è stata tratta dalla realtà,
ma inventata apposta peconfezionare una storia e farlo divertire.
C'è poi un arma segreta, che risolve ogni situazione:
l'immancabile lieto fine di Hollywood.
Con il
lieto fine si può presentare quasi qualunque dramma:
innanzitutto esso rappresenta di per sé un'inverosimiglianza,
che ha l'effetto appena detto, e alla peggio lascia nello spettatore
l'impressione che la società americana può avere
sì delle durezze, può creare delle difficoltà,
ma che queste sono sempre temporanee e dopo un po' tutto si risolve
per il meglio.
La politica interna americana
Discorso analogo per la politica interna americana.
Gli Stati Uniti, ben lungi dall'essere una democrazia, sono una
evidentissima
oligarchia basata sulla ricchezza. L'establishment
oligarchico comprende circa un quarto della popolazione ed esercita
la sua dittatura attraverso un sistema elettorale che non pone
limiti ai finanziamenti privati e che di fatto esclude dal voto
gli strati più poveridella popolazione: alle elezioni
statali, dalle quali dipende in concreto la vita dei cittadini
(gli USA non sono uno Stato; sono una federazione) non partecipa
mai più del
35-40% degli aventi teoricamente diritto, per una serie di ostacoli
pratici che sono frapposti, e a quelle presidenziali mai più del
50-55%.
Politici e media americani chiamano la loro una One
man one vote democracy; il popolino la chiama One
dollar one vote. Nel
tempo mai meno dell'80% dei componenti del Senato federale è stato
costituito da miliardari in persona; analogamente sono in genere
gli eletti a cariche federali importanti ed i capi di dipartimenti
federali. La politica seguita dall'establishment oligarchico è conforme
ai suoi soli interessi e va a detrimento di quelli di larghi
strati della popolazione. Questi capiscono la situazione - come
no - e vorrebbero protestare, ma non si può perché negli
USA c'è la prevenzione e la repressione del dissenso.
La prima viene eseguita tramite la Retorica
di Stato imposta
nelle scuole e ad ogni livello della vita pubblica, e tramite
lo stretto controllo del mondo mediale; per la repressione parlano
i circa 10.000 detenuti politici che ci sono nelle carceri americane
(dove c'è anche qualche straniero, come Silvia Baraldini
ad esempio).
Tutto avviene all'atto pratico, e tutto all'esatto
contrario di quanto è scritto: la libertà di parola
e di espressione garantita dal Quinto Emendamento vale solo per
il perfezionamento dello status quo, non certo per metterlo in
discussione. Hollywood ha mai prodotto un film che trasmettesse
la sensazione di tale stato di cose? Tutt'altro. Il sistema americano è presentato
come una vera democrazia, dove la partecipazione popolare è addirittura
capillare. Ci sono però evidenti disfunzioni in questa
democrazia e Hollywood non fa l'errore di fingere di ignorarle.
Si ricorre allora a due capri espiatori fissi: le mancanze personali
di qualche personaggio politico, la sua corruzione o ambizione,
e lo strapotere di un mondo mediale cinico e irresponsabile (il
Quarto potere), che rappresentano entrambi l'elemento umano che
ogni tanto guasta un sistema altrimenti perfetto.
Prendiamo la storia americana. Inutile cercare nei film di Hollywood
una qualche verità completa in merito.
La Guerra di Indipendenza del 1776 fu dovuta a contrasti commerciali fra i grandi mercanti
del New England ed i grandi latifondisti negrieri del Sud da
una parte e la Gran Bretagna dall'altra, ed è tuttora
controverso se una maggioranza del popolo coloniale vi fosse
favorevole; in effetti, finita la guerra, per evitare ritorsioni
circa 100.000 americani si rifugiarono parte in Gran Bretagna
e parte in Canada, dove fra l'altro originarono la parte tuttora
anglofona del paese. Per Hollywood invece si trattò di
una insurrezione per ottenere la libertà, spontanea e
costellata di episodi di eroismo popolare (non ve ne fu uno).
Per i neri il periodo dello schiavismo,
durato nel New England dal 1630 al 1780 e nel Sud dal 1619 al
1865, fu tremendo. Per averne un'idea basta considerare che ai
loro schiavi i padroni facevano anche strappare i denti, assai
ricercati per le dentiere (nel 1787, a Richmond, per un incisivo
si pagavano due ghinee; anche George Washington aveva una dentiera
fatta con denti umani). Ma non è questa la situazione
presentata da Via
col vento, che addirittura suggerisce rapporti idilliaci
fra gli schiavi e i loro padroni. Nessun film di Hollywood, inoltre,
ha mai dato un'idea della dimensione della tragedia che fu per
l'Africa lo schiavismo americano: mentre gli schiavi giunti a
una qualche destinazione, che nell'80% dei casi erano appunto
gli Stati Uniti, furono sui 3 milioni, nel periodo dello schiavismo
la popolazione dell'Africa calò di circa 50 milioni di
unità.
Anche le persecuzioni cui furono soggetti i neri
degli Stati Uniti con la segregazione razziale non sono mai state
proposte da Hollywood nel loro vero volto: nel solo anno 1914
furono linciati 1.100 neri negli Stati Uniti, ora qua e ora là,
ma trascorsi del genere certamente non emergono in Indovina
chi viene a cena?.
Lo sterminio degli Indiani...
Solo una fu la volontà degli americani
nei confronti dei "loro indiani": sterminarli. In quella parte
dell'America che sono ora gli Stati Uniti gli Indiani erano almeno
5 milioni nel 1630, e ne furono contati 250.000 al censimento
generale dell'anno 1900. Inizialmente gli indiani statunitensi,
come del resto quelli del continente, furono decimati dalle epidemie
che i bianchi si portavano dietro; ma poi furono volontariamente
sterminati, come invece nel resto del continente non successe.
Ciò si verificò nel lungo arco
di tempo che va dal 1634 al 1890. Innanzitutto gli americani,
appena si accorsero che gli indiani non resistevano alle epidemie,
cominciarono a diffonderle negli accampamenti distribuendo coperte
infettate col vaiolo, che raccoglievano nei loro ospedali nel
corso delle ricorrenti epidemie (il vaiolo era endemico nelle
colonie, ma faceva poche vittime fra i bianchi).
Il sistema,
inaugurato dai Puritani della Massachusetts Bay Colony dopo il
1630, fu usato qualche volta anche dai governatori inglesi e
poi dal Congresso statunitense sin oltre la metà dell'Ottocento.
Quindi ci furono i massacri, che avvennero tutti
secondo lo stesso copione: attacchi di sorpresa ad accampamenti
eseguiti di norma quando i maschi adulti - i "guerrieri" - erano
assenti. Il primo avvenne nel 1634 in Connecticut, quando i Puritani,
guidati da John Winthrop, di notte incendiarono un accampamento
di Pequot e spararono sugli indiani che uscivano dalle tende,
uccidendone circa 700 e vendendo i sopravvissuti come schiavi.
L'ultimo fu a Wounded Knee nel 1890, quando il VII reggimento
di cavalleria sterminò un intero villaggio nel quale si
trovavano 200 persone fra donne, vecchi e bambini, e nessun uomo
adulto; le Giacche Blu persero 29 uomini, caduti da cavallo durante
la carica. Fra i due, innumerevoli episodi del tutto analoghi.
Ma il grosso dello sterminio fu eseguito affamando gli indiani
a morte. Ingannati dai trattati (entro il 1880 ne furono conclusi
più di 400, nessuno dei quali rispettato dal vari Congressi
e Presidenti), gli indiani finivano in riserve inospitali, dove
gli stenti li decimavano.
Dal 1850 al 1875 il Congresso fece sterminare i bisonti, sui
quali soli si sostenevano gli indiani delle praterie centrali:
erano sugli 80 milioni nel 1850 e ne furono contati 541 nel 1889,
ridotti nel 1911 a due nello zoo di Chicago (tutti gli attuali
bisonti di Yellowstone discendono da quei due, un maschio e una
femmina).
C'erano poi i coloni americani; che dove andavano
si liberavano degli Indiani locali avvelenando i pozzi d'acqua
e assoldando "uccisori
d'indiani" per far aumentare di valore le concessioni acquistate
dalle grandi società immobiliari del New England (finito
il lavoro, gli "uccisori" si davano in genere al banditismo).
...visto da Hollywood
Come racconta Hollywood questa storia? Come sappiamo,
mostrando gli indiani cattivi che attaccano pacifici coloni e
dolcissime colone dagli occhi celesti. Era vero, c'erano tali
attacchi ed efferatezze, ma il contesto di provocazioni mortali
cui erano soggetti gli indiani non è mai intuibile; eppure
era il nocciolo della vicenda. Ultimamente Hollywood ha prodotto
dei western che hanno fatto pensare ad un suo ripensamento sul
ruolo degli indiani, da carnefici a vittime come in effetti erano.
Citiamo ad esempio Soldato blu, Un uomo
chiamato cavallo, Piccolo grande uomo, Balla coi lupi, più qualche
altro. In essi non c'è nessun ripensamento, solo un affinamento
della mistificazione, insostenibile ormai nei termini passati.
La logica implicita di tali film è che i problemi degli
indiani nacquero da equivoci, da incomprensioni fra due popoli
così diversi;
qualche volta nacquero da singoli americani cattivi, troppo avidi,
o anche da singoli indiani o da singole tribù ingiustificatamente
bellicose.
I massacri sono presentati come episodi, tragici,
ma sempre tali. Prendiamo Balla coi lupi. Nella parte
centrale dedicata alla vita della pacifica tribù Sioux è obiettivo,
ma all'inizio si vedono dei guerrieri Pawnee che uccidono un
civile bianco; il che lascia pensare che quei Pawnee avessero
riservato la stessa sorte ad altri bianchi, magari delle famiglie
di coloni, giustificando così l'intervento massiccio dei
soldati nel finale, che inevitabilmente se la prendono anche
con i Sioux. In pratica questa mistificazione di Hollywood che
potremmo definire dell'ultima generazione è analoga a
quella da sempre eseguita in Italia nei fumetti di Tex Willer,
dove la colpa è sempre dell'agente della riserva corrotto,
del generale ottuso o del "pezzo grosso" di Washington. Per inciso
sarebbe interessante sapere se gli autori di Tex abbiano compiuto
tale disinformazione intenzionalmente, e se sì spinti
da chi e in cambio di che cosa.
Le guerre sante degli USA
La Guerra Civile del 1861-1865 fu dovuta a dissidi
sulla politica economica federale fra il grande capitalismo del
Nord commerciale e industriale ed il grande latifondismo del
Sud agricolo e negriero. Il problema era effettivamente lo schiavismo,
ma non per ragioni morali: per ragioni economiche.
Hollywood
non ha mai messo in dubbio le ragioni morali del conflitto.
Venendo
alla Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti vi entrarono per
salvare la Balance of Power in Europa, minacciata dagli Imperi
Centrali, Balance che era necessaria agli Stati Uniti per continuare
a condurre con profitto i loro commerci internazionali. Hollywood
- e ricordo qui Il sergente York - presentò certamente
la partecipazione americana come un suo volontario e disinteressato
contributo alla causa della libertà nel mondo.
Analogamente per la Seconda
Guerra Mondiale, cui gli Stati Uniti
parteciparono ancora per salvare la Balance
of Power in Europa
minacciata questa volta da Hitler e Mussolini, e in più per
salvare il Mercato dell'Oriente minacciato dal Giappone. Non
uno degli infiniti film prodotti da Hollywood su questo tema
mette in dubbio che la partecipazione americana non fosse dovuta
ad un volontario e disinteressato contributo alla causa della
libertà nel mondo.
Nella Seconda Guerra Mondiale gli Stati
Uniti introdussero due novità clamorose, due cose mai
viste prima nella Storia: la Guerra alle Popolazioni Civili e
la Guerra per il Dopoguerra. Entrambe le novità vanno
comunemente sotto il nome di Guerra Totale, ma sono due cose
distinte.
La Guerra alle Popolazioni
Civili consiste nel sottoporre il
governo della nazione avversa al seguente ricatto: o ti arrendi
o io stermino la tua popolazione civile, o almeno cerco di farlo.
La Guerra per il Dopoguerra consiste nel portare distruzioni
nelle strutture economiche della nazione avversa allo scopo non
di diminuire la sua capacità di mantenere le sue forze
armate - cosa impossibile da ottenere se queste stesse non sono
già state battute sul campo e quindi la guerra già vinta
-, ma di rendere la nazione stessa economicamente dipendente
nel dopoguerra, e in particolare, se tale era il caso, non più un
concorrente commerciale sui mercati internazionali. Entrambi
gli obiettivi furono perseguiti dagli Stati Uniti tramite i bombardamenti
aerei.
Il primo obiettivo fu perseguito tramite il bombardamento
a tappeto delle più alte concentrazioni di civili (le
città naturalmente,
ad esempio Dresda e Tokyo, dove furono uccisi rispettivamente
300.000 e 100.000 civili); contro il Giappone, appena pronte,
furono anche usate le bombe nucleari gettate su due delle poche
città risparmiate dai bombardamenti convenzionali appunto
nella previsione dell'utilizzo della nuova arma. Il secondo obiettivo
fu perseguito col bombardamento di industrie di nessuno scopo
militare (quelle con uso militare erano difese) e di infrastrutture
civili in generale: ponti, ferrovie, dighe, centrali elettriche,
acquedotti, fornaci ecc.
I massicci bombardamenti convenzionali
americani e l'uso delle bombe atomiche sul Giappone furono topiche
clamorose della Seconda Guerra Mondiale e non potevano essere
ignorati da Hollywood. Ma come li presentò? Non suggerì certo
la loro natura strumentale per la Guerra alle Popolazioni Civili
e per la Guerra per il Dopoguerra. No: i bombardamenti convenzionali
servivano perdistruggere qualche importantissima fabbrica di
materiale militare, e le perdite civili erano degli incresciosi
inconvenienti, mentre le bombe nucleari servivano, quelle sì,
per chiudere una partita tramite incredibili macellazioni di
civili, ma contro un avversario previamente dipinto come disumano.
Le guerre di Corea e del Vietnam furono fatte dagli Stati Uniti
per salvare il salvabile del Mercato dell'Oriente dopo la perdita
della Cina, nonostante tutti gli sforzi diventata comunista nel
1949. Per Hollywood gli Stati Uniti vi parteciparono perché invocati
da popoli locali che volevano difendere la loro libertà minacciata
dai comunisti disumani. Ma, come successo per gli indiani, le
verità che andavano mano a mano rivelandosi su quei conflitti,
in particolare del Vietnam, imposero a Hollywood una maggiore
sofisticazione.
Così dopo i film apologetici dell'intervento
statunitense, il cui apice fu raggiunto con Berretti
Verdi, cominciarono ad
essere realizzati film in qualche modo critici dell'operato statunitense,
come Apocalypse Now, Platoon, Il cacciatore e altri.
Ma sono film solo apparentemente critici, perché nessuno
di loro, mai in nessun caso, mette il dito nella vera piaga:
la natura neocoloniale della guerra del Vietnam. Apocalypse
Now, addirittura,
con l'aria di criticarlo elogia il governo statunitense: i soldati
sul campo, esasperati da un avversario difficile, volevano "la
bomba" ma lui seppe resistere.
I particolari rivelatori continuano naturalmente
ad essere omessi. Ad esempio, nessuna rievocazione filmica del
massacro di My Lai, avvenuto il 16 marzo 1968 nel Vietnam del
Sud, quando la compagnia "Charlie" sterminò i
500 abitanti del villaggio, composti al momento solo da vecchi,
donne e bambini (gli uomini erano fuori alla pesca); nessun accenno
che i defolianti coi quali fu irrorato un settimo del territorio
sud vietnamita, ben lungi dal servire per scoprire i Viet Cong,
che infatti stavano sotto terra, servivano invece per distruggere
le foreste di alberi della gomma che nella previsione di dover
abbandonare il paese - avrebbero fatto concorrenza a quelle possedute
in Indonesia da un paio di multinazionali statunitensi del settore
(altro mirabile esempio di Guerra per il Dopo-guerra).
Consideriamo l'America
Latina ed il suo miserevole stato: ovunque
- ad eccezione di Cuba - governi corrotti o dittatori mentecatti,
e miseria, disperazione e degradazione umana nella grande maggioranza
della popolazione.
Nella storia e anche nell'attualità di
ogni paese latinoamericano ci sono stragi incredibili:
400.000 morti in Colombia, seguiti al Bogotazo del 1948; 300.000
morti in El Salvador dal 1960 ad oggi; fra 100.000 ed 1.000.000
di morti in Brasile negli anni seguenti al colpo di Stato del
1964; 100.000 morti in Guatemala dal 1980 al 1988; 50.000 morti
in Nicaragua nello stesso periodo; 30.000 morti in Cile seguenti
al golpe del 1973; e cose analoghe dalle altre parti, in Argentina,
Uruguay, Bolivia, Perù ecc..
E questo perché i paesi
dell'America Latina sono delle colonie di fatto degli Stati Uniti,
che per avervi dei governi succubi come si vuole ai desideri
delle loro multinazionali creano colpi di Stato e ricorrenti
repressioni. Come racconta la storia Hollywood? La racconta con
il film Il dittatore
dello stato libero di Bananas, che nel fare la parodia delle
dittature latinoamericane suggerisce che siano dovute unicamente
all'indole dei locali, gente buffonesca, ma stupida e violenta.
La politica estera americana
Il che introduce l'argomento dell'uso della CIA fatto dalla politica estera americana. Tutti sanno che la CIA è responsabile
di varie nefandezze nel mondo: ogni tanto un colpo di Stato,
ogni tanto l'omicidio di una personalità politica estera,
e così via. Com'è ovvio, la CIA non prende iniziative
di tale portata da sola: necessità dell'ordine o dell'approvazione
sia del Congresso che del Presidente, i responsabili della politica
estera del paese. Come presentano la cosa i film americani sull'argomento?
Immancabilmente le nefandezze della CIA sono il frutto di sue "deviazioni",
o quantomeno dell'eccesso di zelo dei suoi dirigenti e agenti;
Congresso e Presidente non sono mai chiamati in causa, non sapevano
mai niente.
Tale è dunque la situazione: Hollywood
falsifica la realtà americana
in alcuni suoi aspetti sensibili, sia del passato che del presente.
Non
vi sono dubbi che la prassi sia intenzionale. Ciò si
deduce prima di tutto dalla sistematicità e coerenza della
falsificazione: non un film di Hollywood fa eccezione a quanto
detto sopra. Quindi si può notare che Hollywood non è certamente
all'oscuro della verità sui vari argomenti.
Per quanto riguarda la società americana è sotto
i suoi occhi; ci vive dentro e la conosce perfettamente. Negli
Stati Uniti la corretta interpretazione delle varie topiche della
storia americana è perfettamente nota a scrittori, registi,
sceneggiatori, consulenti vari: gli artefici dei film di Hollywood.
L'interpretazione sopra esposta della Guerra
di Indipendenza e della Guerra Civile non è mia, ma di
Charles Austin Beard (1874-1948), il più grande storico
americano, che la dimostrò in
vari libri a partire dal 1913 (An Economic
Interpretation of the Constitution, The Rise of American Civilization,
The Economic Basis of Politics e altri ancora), tutti libri conosciutissimi
dall'intellighenzia statunitense e la cui veridicità non è messa
in dubbio.
La vera situazione degli schiavi neri è descritta
in molti libri statunitensi, così come la dimensione della
tragedia dello schiavismo per l'Africa (Native
American Htstorical Demography è in ogni biblioteca).
Lo stesso vale per la storia degli indiani: negli Stati Uniti
il primo libro che raccontava la verità, A Century
of Dishonor della Jackson, fu addirittura
pubblicato nel 1881, e seguito da moltissimi altri - Bury
my heart at Wounded Knee di Dee Brown, pubblicato nel 1971, è conosciutissimo
in Europa, e logicamente ancora di più negli States. La
storia del Texas e dei suoi schiavi è nei libri per
le scuole medie così come raccontata sopra, tranne che
per i mercenari e la figura di Davie Crockett, la verità sui
quali è comunque nella biblioteca di qualunque Junior
College.
Meno pubblicizzati negli Stati Uniti sono i motivi
della partecipazione alle due guerre mondiali e la natura coloniale
delle guerre di Corea e del Vietnam: si tratta dell'attualità della
politica estera americana, si tratta di american
foreign policy in the making, ed i suoi scopi sono tenutinascosti
al grande pubblico. Ma anche qui la verità è perfettamente
intuibile per l'establishment statunitense, ed in particolare
per la sua intellighenzia, che tale politica estera concorre,
nella pratica, a formulare.
La vera natura dei bombardamenti aerei strategici della Seconda
Guerra Mondiale è di sicuro un tabù negli USA;
alcuni libri sull'argomento consentono però di farsene
un'idea abbastanza precisa, e potrei citare Wings
of Judgement di Ronald Schaeffer del 1985 e A
History of Strategic Bombing di Lee Kenneth del 1982.
Lo stesso si può dire delle responsabilità statunitensi
in America Latina, dove la letteratura in merito è abbondantissima
negli Stati Uniti, e per citare solo i più illuminanti
vedi Cry of the People. United States Involvement
in the Rise of Fascism, Torture, and Murder and the Persecutiont
of the Catholic Church in Latin America di Penny Lernoux
del 1980, American
Neo-Colonialism di William Pomeroy del 1970,
An American Company. The Tragedy
of United Fruits di Thomas McCann
del 1976, Silent Missions di Vernon Walters del 1978, The
Morass. United States Intervention in Central America di Richard White
del 1984, US Policy Toward Latin America di Harold Molineau del
1986.
Una analoga abbondanza si trova sull'argomento
CIA e operazioni segrete varie, dove la verità della situazione
non è poi
tanto fra le righe. Sull'argomento ha scritto anche un importante
agente della CIA pentito, Philip Agee, che nel 1975 pubblicò negli
Stati Uniti Inside the Company. CIA Diary e poi riparò all'estero.
Anche Victor Marchetti, un (ex?) agente della CIA piuttosto noto
in Italia, ha scritto delle verità sulla Compagnia; ad
esempio, in The CIA and the Cult of Intelligence del
1974 ha scritto a pag. 6 che i Presidenti americani "are
always aware of, generally approve of, and often initiate the
CIA's major undertakings" ("sono sempre stati consapevoli
e generalmente hanno approvato e in più di un caso addirittura
promosso le maggiori imprese della CIA"). I colpi di Stato e
gli omicidi politici sono certamente dei major
undertakings.
Il fascino indiscreto della disinformazione
Non rimane che chiedersi perché Hollywood
faccia tanta disinformazione mirata sul proprio paese: chi glielo
fa fare, e cosa ci guadagna? La risposta non è difficile,
anche se richiede delle premesse, come sempre purtroppo quando
si tratta degli Stati Uniti, questi sconosciuti. Si è già accennato
all'organizzazione interna degli Stati Uniti, al dominio dell'establishment
oligarchico ed alle sue esigenze di prevenzione del dissenso,
prevenzione attuata essenzialmente tramite lo stretto controllo
del mondo mediale.
Hollywood è fuor dl dubbio l'elemento
più importante
di tale mondo assieme alla carta stampata ed al notiziari televisivi
e radiofonici. Ecco che Hollywood deve confezionare prodotti
politically and culturally correct, e cioè di
regime, proprio come fanno la carta stampata ed i notiziari televisivi
e radiofonici americani. Ma la massima importanza di Hollywood è in
politica estera. La politica estera americana è elaborata
dallo stesso establishment mercantile che comanda nel paese e
non fa che proiettare all'estero gli scopi che quello ha all'interno:
arricchire sempre più. Per questo la
politica estera americana ha sempre seguito, sin dalla fondazione
dell'Unione, il seguente unico criterio, o logica di comportamento:
mettere a disposizione le sue risorse - diplomatiche e militari
- per agevolare le imprese economiche all'estero di quelle entità private americane
- società o anche singoli operatori, entrambi membri per
definizione dell'establishment mercantile - che vi si dedicano.
Naturalmente c'è anche l'esigenza della difesa nazionale,
ma questa, vista la geografia, è sempre stata del tutto
secondaria. In pratica con gli Stati Uniti abbiamo una classe
mercantile dalla psicologia speciale che si è completamente
impadronita di un paese e che ne adopera i grandi mezzi umani
e materiali per ricercare opportunità di arricchimento
in tutto il resto del mondo, ovunque le trovi.
Si capiscono meglio gli Stati Uniti, nei loro rapporti con gli
altri paesi, se li si pensa non alla stregua di un paese fra
i tanti, ma come una impresa commerciale privata; privata ma
grandissima, con enormi risorse umane e materiali a disposizione;
privata ma con un potente esercito mercenario agli ordini, e
con nessun tribunale cui dover rendere conto.
Il vero volto degli USA
Questo, e niente altro, sono gli Stati Uniti
d'America. Ciò si
dimostrò sin da subito nelle relazioni estere del paese,
e così rimase sempre. I mercanti del New England scatenarono
la rivolta del 1776 contro la madrepatria inglese quando questa
scoprì il suo gioco di voler lasciare alla East India
Company di Londra il monopolio del commercio con la Cina. Quindi
la neonata federazione combatté la sua prima guerra,
quella del 1812 sempre contro la Gran Bretagna, con l'obiettivo
di scalzarla dai Grandi Laghi canadesi, la zona che forniva quelle
pellicce che erano la merce di scambio più ambita dai
cinesi, e quindi da John Jacob Astor, il proprietario della American
Fur Company.
L'intera Conquista del West fu eseguita giusto
per raggiungere il Pacifico ed suoi porti, dai quali i grandi
mercanti del New England avrebbero potuto commerciare con l'Oriente;
anche le Hawaii e le Filippine furono prese allo stesso scopo,
così come
allo stesso scopo era stata acquistata l'Alaska. Cuba fu presa
nel 1898 per garantire lo sfruttamento delle piantagioni di canna
da zucchero che vi avevano acquistato alcune multinazionali e
alcuni singoli americani. Per analoghi motivi si iniziarono a
sovvertire in quegli anni i paesi dell'America Centrale: le multinazionali
statunitensi della frutta, fra le quali particolarmente attiva
la United Fruits (poi United Brands), volevano procurarsi in
loco e praticamente per niente, grandi piantagioni e chiesero
al loro governo di Washington di sostituire i governi regolari
con altri più condiscendenti.
Detto e fatto. Poi vollero
che la mano d'opera locale fosse ancora più a buon mercato
ed ottennero governi ancora più condiscendenti, formati
da dittatori mentecatti alla Anastasio Somoza che per garantire
a se stessi e a qualche loro accolito un buon conto in banca
a Miami consegnavano la loro popolazione alla macellazione degli
statunitensi: infatti ogni tanto si verificavano scioperi nelle
piantagioni, e la multinazionale proprietaria mandava marines
e green berets a mitragliare i peones con gli elicotteri (proprio
così, più e più volte, è capitato
nelle piantagioni della United Fruits in Guatemala, e da altre
parti; capita ancora, certo, ed i mitragliamenti sono eseguiti
dalla Delta Force e dagli Air Commandos dislocati alla Eglin
Air Force Base in Florida).
Più tardi motivi analoghi
portarono alla sovversione dell'America del Sud: con il colpo
di Stato in Brasile del 1964, nel giro di due anni le multinazionali
statunitensi si appropriarono della metà delle industrie
brasiliane (una volta in pensione il gen. Do Couto y Silva, amico
di Castelo Branco, fu assunto dalla Dow Chemical come direttore
della filiale brasiliana); il colpo di Stato in Cile del 1973
fu voluto da un pool di multinazionali statunitensi operanti
nel paese, specialmente nel settore del rame; e così via.
Stessi scopi e stessi sistemi per la "politica
estera" statunitense in altri luoghi del mondo, in pratica
ovunque poté: in Africa, nel Medioriente, nel Pacific
Market (segnatamente nelle Filippine, in Indonesia, nella Corea
del Sud, a Taiwan e in Indocina, dove però alla fine
andò male).
Il motivo del grande attivismo della politica estera americana,
della sua presenza in ogni luogo del mondo, anche il più remoto,
il suo intromettersi in ogni bega locale, in ogni controversia,
in ogni conflitto anche il più lontano dai propri confini
e quindi anche il più assolutamente ininfluente sulla
propria "sicurezza nazionale", è il fatto che tale politica
segue gli interessi dei propri imprenditori privati, e questi
ultimi vanno dappertutto nel mondo, a rivoltare ogni sasso per
vedere se sotto c'è qualcosa da prendere.
Tale logica vale per tutti, non solo per gli
sprovveduti del Terzo Mondo: gli americani non hanno timori reverenziali
né un
rispetto particolare per nessuno, tantomeno per gli europei.
In Europa gli sconfitti furono mantenuti nel recinto col Piano
Marshall, che era la soluzione più economica per mantenerne
il controllo, e poi furono spremuti per quanto si poteva: ancora
oggi, dopo più di mezzo secolo, Germania e Italia non
possono praticamente costruire aerei, né da guerra né civili,
perché li devono comprare dalle industrie americane, e
lo stesso vale per altri settori "strategici", mentre ancora
non possono esportare certe merci negli States e ne devono di
là importare a forza altre. Ancora questi due paesi non
hanno il coraggio di presentare alle rispettive popolazioni i
veri dati delle loro relazioni economiche con gli Stati Uniti.
Ancora
di più questo vale per il Giappone. Come già accennato,
anche le due guerre mondiali furono fatte dagli Stati Uniti per
agevolare le loro aziende con interessi all'estero: si doveva
impedire la formazione di un Blocco europeo continentale, che
sarebbe stato troppo forte militarmente ed avrebbe dominato i
mercati internazionali escludendo tutti gli altri, in primis
le multinazionali statunitensi; nella Seconda Guerra Mondiale
era pressante l'esigenza delle aziende statunitensi di non essere
escluse dal mercato della Cina, occupata militarmente dal Giappone
nel 1937.
Anche la Guerra Fredda con l'URSS del 1945-1989
era, in ultima analisi, fatta solo per le aziende americane con
interessi all'estero: la scusa del contenimento del comunismo
serviva per controllare e cambiare governi un po' dappertutto
allo scopo di renderli più accondiscendenti con le esigenze
delle medesime. In effetti, con la Guerra Fredda l'impero neocoloniale
americano raggiunse la massima espansione della sua storia: in
quel periodo fu completato l'asservimento dell'America Latina
e vi furono aggiunti quelli di mezza Africa, di mezzo Medioriente,
di quasi tutti i paesi del Pacific Market.
USA cancro del pianeta?
Non rimane che notare come tale politica estera
americana non sia affatto indolore per il mondo. Ci sono sfruttamenti
economici, risorse portate via ai legittimi proprietari, che
rimangono così impoveriti
con tutte le conseguenze del caso. Ad esempio con la vita media
più corta, con tanti anni che avrebbero potuto essere
vissuti e che invece non lo sono stati perché il paese è drenato
dalle aziende statunitensi. Quindi c'è da dire che un
governo filo-americano, e cioè filo-multinazionali statunitensi,
non nasce spontaneamente in un paese, perché per definizione
contrario ai suoi interessi: deve essere creato artificiosamente,
influenzando elezioni, corrompendo elementi chiave, provocando
colpi di Stato; e spesso per certi periodi deve essere mantenuto
a forza con la repressione poliziesca e militare, con gli Squadroni
della Morte.
Ci sono quindi stragi e ammazzamenti dappertutto,
laddove quelli accennati prima per l'America Latina non sono
che una frazione (si pensi al colpo di Stato del 1965 in Indonesia,
che portò alla
sostituzione di Sukarno col più conciliante Suharto e
provocò un numero impressionante di morti: da cinquecentomila
a un milione, a seconda delle fonti; ora le stragi sono ancora
in corso a Timor, dopo i 700.000 morti del 1976).
Questa, e niente altro, è la politica
estera statunitense. In parole povere, con l'operato degli Stati
Uniti si sta assistendo al tentativo di un paese di soggiogare
l'intero mondo ai suoi desideri, che ora sono economici ma che
un domani potrebbero ampliarsi, prospettiva ben poco rassicurante.
Si tratta di una politica che va a detrimento degli interessi
di tutti gli altri e che è anche pericolosa per il mondo,
in verità micidiale.
Non può essere dichiarata, eseguita alla luce del sole:
se la gente la capisse, vi resisterebbe, e portarla avanti sarebbe
troppo costoso per gli Stati Uniti, probabilmente impossibile.
Ecco che gli Stati Uniti hanno l'esigenza di nascondere tale
politica, facendo credere che la loro politica sia realtà un'altra.
Questa politica estera finta, di facciata, è quella ben
nota e ufficiale degli Stati Uniti, che essi dichiarano ad ogni
passo ed in ogni occasione: la difesa della democrazia e della
libertà nel
mondo. Ciò implica di dover eseguire a monte un altro
camuffamento, quello sulla vera natura degli Stati Uniti, come
società e come storia: chi crederebbe ad una politica
estera mirante a difendere democrazia e libertà nel mondo
da parte di paese che la democrazia e la libertà non le
ha mai viste e che ha una storia come quella cui si è accennato
sopra?
Bisogna sostenere, invece, che gli Stati Uniti sono una democrazia
genuina, pure se con qualche pecca forse nel passato (mai nel
presente); che tutti gli americani hanno facile opportunità di
raggiungere l'agiatezza; dove i fallimenti dipendono solo da
rare e inescusabili debolezze personali; che gli americani sono
ingenui e che se fanno qualche errore, magari in politica estera
con qualche strage di troppo, lo fanno per stupidità;
che la storia americana è un sentiero cosparso di candore
e buone intenzioni: una guerra di indipendenza dal tiranno Giorgio
III; una guerra nel 1812 contro lo stesso problema; una Conquista
del West per fare un po' di spazio a quei poveri emigranti provenienti
dall'Europa; una guerra civile con quasi 500.000 morti fatta
solo per ragioni morali, per togliere ad una parte della popolazione
un cattivo vizio datogli dalla Corona inglese; una conquista
delle Hawaii per portare la civiltà, e idem per le Filippine;
una conquista di Cuba per liberarla dal giogo coloniale spagnolo;
una intromissione - un po' pesante, è vero - in America
Latina per aiutare quegli sprovveduti a governarsi; due guerre
mondiali fatte contro i propri interessi, solo per difendere
la democrazia in casa d'altri; qualche centinaio di colpi di
stato che purtroppo si dovettero fare a partire dal 1945 per
evitare che poveri e buoni popoli cadessero vittime del comunismo;
qualche guerra con qualche milione di morti che purtroppo si
dovette fare sempre dopo il 1945 per lo stesso motivo; e così via.
Ecco creata la ben nota Retorica
di Stato americana. Essa è,
appunto, ben nota perché è propagandata con straordinari
mezzi e intensità in tutto il mondo.
Il compito non è affidato
all'improvvisazione di qualche benintenzionato: c'è un'Agenzia
federale apposita, che si occupa statutariamente solo di questo,
l'USIA. L'United States Information Agency è stata
creata nel 1953 con lo scopo di "influenzare
le attitudini e le opinioni del pubblico estero in modo da favorire
le politiche degli Stati Uniti d'America, e di descrivere l'America
e gli obiettivi e le politiche americane ai popoli di altre nazioni
in modo da generare comprensione, rispetto e, per quanto possibile,
identificazione con le proprie legittime aspirazioni". In
parole povere propaganda, solo propaganda, niente altro che propaganda:
l'USIA ha il compito di diffondere all'estero l'immagine che
si vuole degli Stati Uniti, proprio quella della Retorica di
Stato sopra delineata, all'unico e solo scopo di mascherare la
vera politica estera del paese.
La sede centrale dell'USIA, che
dipende dal Segretario di Stato e cioè dal Ministero degli
Esteri, è ora al 301
IV South West Street di Washington ed il suo attuale direttore
si chiama Joseph Duffey. È un'Agenzia federale pubblica nell'esistenza,
ma segreta nell'operatività, esattamente come la CIA.
Attualmente può contare su un budget che si aggira intorno
ai 3 bilioni di dollari ed impiega sui 30.000 (trentamila) dipendenti,
che gestiscono più di 300 centrali operative in più di
cento paesi. L'USIA possiede suoi mezzi di informazione sparsi
per il mondo, alcune centinaia tra riviste, giornali, fumetti,
case discografiche, emittenti televisive locali, stazioni radio
(sua è la VOA, Voice of America) e così via con
i media.
Il principale, strumento di lavoro dell'USIA è però il
controllo del mondo mediale statunitense e dei suoi prodotti,
perché questi poi vanno a finire in tutto il mondo,
influenzando in modo decisivo l'opinione che all'estero ci si
fa degli Stati Uniti.
Propaganda di Stato
Ora possiamo finalmente tornare a Hollywood. I suoi film, esportati
in tutto il mondo, hanno una straordinaria importanza nel determinare
l'immagine che all'estero ci si fa degli Stati Uniti; anzi, nella
grandissima maggioranza dei casi, essi sono l'unico mezzo con
cui la gente nel mondo si forma tale immagine. Hollywood quindi
non poteva essere lasciata libera di creare i suoi prodotti,
seguendo solo una logica di mercato: doveva essere guidata, portata
a conciliare tali esigenze con quelle della propaganda governativa.
L'asservimento di Hollywood alle esigenze della
propaganda di Stato americana è una storia documentata.
Agli inizi Hollywood crebbe in pace e autonomia: non si aveva
ancora idea della sua formidabile importanza politica. Essa iniziò ad
attrarre l'attenzione dell'establishment negli anni Trenta, quando
produsse alcune pellicole di contenuto "sociale", in linea con
la politica apparente del New Deal del presidente Roosevelt ("apparente" perché in
realtà Roosevelt non aveva alcuna intenzione riformistica;
voleva solo salvare il regime oligarchico da una rivoluzione
dovuta all'eccesso di miseria portato dalla Grande Depressione
del 1929, ma, né fu scoperto dagli intellettuali, né fu
capito dal grosso dell' establishment: era troppo astuto per
entrambi).
La tendenza fu acuita dall'arrivo negli Stati
Uniti a partire dal 1936, e in particolare a Hollywood, California,
di molti intellettuali tedeschi "progressisti" che fuggivano
dal nazismo, come Bertolt Brecht, Thomas Mann, Erich Fromm, Theodor
Adorno, Herbert Marcuse, Hans Eisler, Fritz Lang, Billy Wilder
e vari altri. In questo periodo la Frontier Film, per la quale
lavorava anche il regista Elia Kazan, produsse dei documentari
fortemente caratterizzati sul piano sociale, come The
Plow that Broke the Plaints e The
River di Pare Lorentz, che insospettirono
l'establishment, mentre Blockade (Marco il ribelle)
di William Dieterle del 1938,
Grapes of Wrath (Furore) di John Ford del 1939 e Man
Hunt (Duello mortale) di
Fritz Lang del 1941 suscitarono aperte proteste in ambienti politici.
Ma poi ci fu la guerra. Durante la guerra Hollywood
partecipò massicciamente
allo sforzo propagandistico del governo; vi si impegnarono, in
genere con documentari, registi come Capra, Ford, Huston, Wyler,
e furono prodotti film come Pride of the
Marines, Mission to Moscow, Sahara, Action in the North Atlantic,
Song of Russia, Tender Comrade, Hitler's Children, Thirty Seconds
Over Tokio.
Ciò rese benemerenze a Hollywood, anche
se Edgar J. Hoover immediatamente protestò per Mission
to Moscow, ma anche dimostrò in pieno la sua tremenda
potenzialità politica,
la sua capacità unica di influenzare il pubblico mondiale.
In più nell'immediato dopoguerra, accoppiando l'esperienza
fatta nei documentari di guerra con l'esempio del cinema neo-realista
italiano (Roma città aperta, Ladri di biciclette,
Paisà ecc.), Hollywood produsse molti
film sul tipo neo-realista, e di impegno e denuncia sociale,
che ebbero un grande successo
di pubblico sia negli Stati Uniti che all'estero; alcuni esempi
sono The Best Years of our Lives di William Wyler, Crossfire di
Edward Dmytryk, Lost
Weekend di Billy Wilder, Snake Pit di
Anatole Litvak, Kiss of Death di Henry Hathaway, Brute
Force di Jules Dassin, Smash-up di
Stuart Heisler, Gentleman's
Agreement di Elia Kazan, tutti usciti fra
il 1945 e il 1947.
Non erano film politici e tantomeno di propaganda
politica; trattavano temi reali di gente reale: problemi di reinserimento
per reduci, odio razziale, situazioni carcerarie, malattie psichiatriche.
Erano realisti, raccontavano la società - americana -
così com'era.
Ma era proprio questo il problema: Hollywood andava assolutamente
posta sotto controllo, non doveva più produrre film del
genere. Ormai si era anche chiarito come bisognava procedere.
La legislazione americana scritta garantiva -
come ancora certamente garantisce - la libertà di parola
e di espressione. Non si poteva istituire un ufficio centralizzato
governativo di censura cinematografica, un Minculpop. Bisognava
fare capire a Hollywood come si desiderava che si comportasse,
trovare in quest'ottica una scusa emblematica per tormentarla
sino ad ottenere la sua completa e volontaria, democratica, sudditanza.
Dai numerosi e sempre meno timidi tentativi fatti a partire dal
1930 si era capito che tale scusa poteva essere l'esigenza di
scoprire i comunisti che lavoravano in un'industria così sensibile
come Hollywood. In realtà non si dovevano colpire i comunisti
di Hollywood, o almeno non loro in primis. Questi erano pochissimi,
solo qualche sceneggiatore come Dalton Trumbo e Paul Jarrico,
qualche scrittore di testi come John Lawson e Albert Maltz, qualche
regista come Robert Rossen e Herbert Biberman e qualche attore
come Howard Da Silva e Anne Revere, e non avevano quasi influenza
alcuna sui film prodotti.
E poi erano dei comunisti all'acqua
di rose, entravano e uscivano dal partito a seconda se piaceva
o no l'ultima mossa internazionale dell'URSS; tranne che nel
caso di Lawson non erano affatto degli attivisti, ma giusto dei
simpatizzanti a parole e solo in certi periodi.
Si dovevano colpire i molto
più numerosi e determinanti
progressisti, o liberali, elementi che senza essere affatto comunisti
erano però sensibili a istanze o argomenti sociali, o
erano semplicemente intelligenti, e che avevano sia la tendenza
che la capacità di influenzare, di conseguenza, i lavori
cui partecipavano. Soprattutto, e naturalmente, si dovevano convincere
i produttori ad eliminare pellicole di un certo tipo, anche se
economicamente remunerative.
Dissenso a stelle e strisce
Ad occuparsi della cosa non poteva essere altro
che la Commissione parlamentare chiamata House Committee on Un-American
Activities (HUAC). Tale era il nome infine dato
nel 1938 a varie commissioni parlamentari istituite a partire
dal 1930 allo scopo di vigilare sul dissenso politico interno
(definito "attività non
tipicamente americana"), anche se il suo compito ufficiale era
di raccoglieredati per aiutare la formulazione di nuove leggi.
Già nel 1936 (in pieno New Deal rooseveltiano...)
queste commissioni avevano innescato il fenomeno del blacklisting a Hollywood, e cioè l'esclusione pratica dal lavoro di
elementi ritenuti nocivi agli interessi dell'establishment oligarchico.
Quindi nel 1940 l'HUAC aveva già convocato
a Washington, per interrogarli sulle loro idee politiche, ventidue
esponenti di Hollywood fra i quali figuravano Fredric March,
Humphrey Bogart, James Cagney, Jean Muir e Louise Rainer.
La
guerra aveva imposto la sospensione delle indagini, anche se
Hollywood non fu affatto dimenticata: in pieno 1943 il Congresso,
tramite il meccanismo dei fondi, bloccò il settore documentari
di guerra dell'Office of War Information perché vi erano
confluiti elementi della Frontier Film. Nel 1947 dunque l'HUAC,
presieduta da J. Parnell Thomas e fra i cui membri figurava il
giovane parlamentare Richard Nixon, iniziò una serie di
udienze pubbliche e pubblicizzate, ufficialmente allo scopo di
appurare il grado di infiltrazione comunista a Hollywood. In
realtà l'obiettivo era di indurre i soggetti decisionali
di Hollywood - in breve i produttori - a creare solo film adatti
alla politica governativa americana, sia interna che soprattutto
estera (già Nixon si era chiesto che effetto avrebbe avuto
Grape of Wrath sugli yugoslavi).
Nelle intenzioni dell'HUAC,
e secondo le esperienze del 1936, si sarebbe dovuto arrivare
a questo tramite la creazione da parte dei produttori di liste
nere, che sarebbero servite per escludere da Hollywood tutti
i soggetti, di ogni livello, non disposti a seguire
fedelmente nel loro lavoro la Retorica di Stato ufficiale. Come
ulteriore avvertimento trasversale le banche di New York che
finanziavano i produttori di Hollywood strinsero il credito,
mentre la Corte Suprema minava l'indipendenza economica dei medesimi
stabilendo che essi non potevano possedere anche le sale di proiezione,
cioè vendere direttamente al pubblico il loro prodotto
chiudendo il cerchio.
Una parte del personale di Hollywood reagì all'apertura
delle udienze creando il Committee for the First Amendment (il
Primo Emendamento stabilisce la libertà di espressione),
del quale fra gli altri facevano parte i registi John Huston,
William Wyler, John Ford, Billy Wilder, Elia Kazan e George Stevens,
gli attori Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Gregory Peck, Danny
Kaye, Gene Kelly, Kirk Douglas, Henry Fonda, Burt Lancaster,
Edward G. Robinson, Katharine Hepburn, Myrna Loy, Rita Hayworth
e Marsha Hunt, i musicisti Benny Goodman e Leonard Bernstein.
Ma la maggioranza degli operatori di Hollywood, produttori come
Jack Warner, David Selznick, Samuel Goldwyn e Louis Mayer in
testa, aveva capito che avrebbe dovuto accettare la prassi dell'autocensura
politica e culturale.
La scrittrice di testi cinematografici Ayn Rand
per dimostrare quanto bene avesse capito, compilò e pubblicò anche
un manuale di autocensura per Hollywood, intitolato Guida
dello schermo per Americani, che conteneva fra gli altri i seguenti
principi: "Non insultare il Sistema della
Libera Impresa", "Non
deificare l'Uomo Comune", "Non glorificare il Collettivo", "Non
glorificare il Fallimento", "Non insultare il Successo", "Non
insultare gli Industriali". La guida sarà poi incorporata
dall'USIA nei suoi manuali interni.
Il risultato delle audizioni
fu esattamente quello previsto. Dopo pochi interrogatori, dove
chi si rifiutava di rispondere in virtù della protezione
del Primo Emendamento veniva deferito per oltraggio al Congresso,
e chi rispondeva citando il medesimo veniva tacitato o trascinato
fuori dall'aula a forza, mentre ogni tempo e riguardo era concesso
a chi accusava altri.
Con la cosiddetta Dichiarazione
del Waldorf Astoria del 26 novembre 1947 i produttori
accettarono di "ripulire" l'ambiente
loro stessi tramite liste nere, e le sedute dell'HUAC furono
immediatamente interrotte, senza neanche terminare l'audizione
di tutti i convocati.
Dieci degli interrogati - Bessie, Biberman,
Cole, Dmytryk, Lardner, Lawson, Maltz, Ornitz, Scott e Trumbo,
tutti sceneggiatori e registi - furono condannati ad un anno
di carcere per "oltraggio
al Congresso", condanna confermata dalla Corte Suprema e poi
scontata.
Nessun'altra accusa si era potuta trovare nei loro confronti,
come di nessun altro del resto, né di essere dei sovversivi
né di avere neanche mai inserito della propaganda comunista
nei loro lavori. Fra i primi interrogati c'era stato Bertolt
Brecht (L'opera da tre soldi), che per Hollywood aveva
scritto Hangmen Also Die (Anche i boia muoiono di Fritz
Lang, uscito nel 1943). Fuggendo dal nazismo aveva cercato la
libertà negli...
Stati Uniti. Subito dopo l'interrogatorio, nel quale aveva detto
di non essere mai stato iscritto al partito comunista e di mettere
nei suoi lavori giusto le sue opinioni, tornò in Germania.
Le liste nere funzionarono.
L'HUAC non commise
l'errore di compilarle; disse solo che erano necessarie, aumentando
il terrore con l'incertezza. Comparvero così materialmente,
ancora non si sa per opera di chi, delle liste gonfie a dismisura
di nomi di sceneggiatori, registi, scrittori, attori, musicisti,
tecnici ecc., che erano ricavate, sembra, da articoli di giornale,
dai resoconti dell'HUAC, dai titoli di testa
di certi film e da dicerie, e che - continuamente aggiornate
- servivano ai produttori ed ai datori di lavoro in generale
di Hollywood per sapere chi tenere alla larga. Alcuni elementi
continuarono a lavorare in nero, e a paga dimezzata; altri utilizzarono
prestanome o pseudonimi; la maggioranza non poté più lavorare
nell'industria cinematografica per molti anni, anche per sempre.
Il danno maggiore agli elementi sulla lista nera ed alle loro
famiglie, quando le avevano, era fatto dalla gente comune, dai
vicini e dai conoscenti: erano oramai additati come sovversivi,
traditori, nemici di quella società, e tutti giravano
loro le spalle, quando non li infastidivano attivamente o non
se la prendevano coi loro figli a scuola. Ad alimentare in modo
quasi ufficiale queste hate campaigns c'erano una quantità di
associazioni dei più vari generi e qualifiche, tutte però "ultra-americane".
Fra queste ne spiccava una a livello nazionale, l'American
Legion,
forte di quasi tre milioni di iscritti e di un milione di simpatizzanti,
con più di 17.000 sedi sparse nel paese: si occupava di
tenere vivo il risentimento nei confronti dei "devianti" di Hollywood
e picchettava anche gli ingressi dei cinema in cui si proiettava
un film all'indice, o nei cui titoli di coda compariva un personaggio
della lista nera.
La normalizzazione funziona
Per Hollywood fu sufficiente. L'unico film a
contenuto sociale prodotto negli Stati Uniti dopo il 1947, del
tipo mettiamo di
Grape of Wrath, fu The Salt of
the Earth (Il sale della terra,
di Herbert Biberman), girato nel 1951 fuori da Hollywood. Trattava
dello sciopero di una piccola comunità di minatori del
Nuovo Messico. Per produrlo Biberman, Scott e Jarrico avevano
creato una compagnia di produzione indipendente ed il film era
stato realizzato in un clima di terrore (ci furono spari contro
la troupe) e terminato fra mille difficoltà: i laboratori
non volevano sviluppare la pellicola, le ditte non consegnavano
l'attrezzatura per il sonoro, la musica fu registrata con un
sotterfugio, il montaggio fu eseguito di nascosto. Alla fine
le poche sale che accettarono di proiettarlo furono picchettate
dall'American Legion e negli States il film non fu neanche visto.
A partire dal 1947 non solo scomparvero da Hollywood i film
a contenuto sociale: anche in tutti gli altri film fu tolto qualunque
riferimento alla classe operaia ed ai suoi luoghi di lavoro,
le fabbriche. Si può esaminare l'intera produzione di
Hollywood post-1947 sino all'ultimo fotogramma dell'ultimo film,
ma una catena di montaggio o anche solo l'interno di una fabbrica
non si vede. Eppure negli USA ci sono.
Alla fine del 1949 giunse notizia che la Russia
aveva costruito il suo primo ordigno nucleare. L'establishment
americano si infuriò:
in realtà accusava il governo di non aver portato prima
un attacco nucleare alla Russia. L'attacco non era stato portato
perché, nonostante tutti gli sforzi fatti su quel piano,
non sarebbe stato decisivo e nella guerra generale che sarebbe
seguitagli Stati Uniti avrebbero perso. Ma questo erano in pochi
a saperlo: l'establishment pensava che la colpa fosse dei troppi "comunisti" che
si erano "infiltrati" nel governo e nelle Agenzie governative,
nelle scuole, nei media, dappertutto.
Iniziava, a farla breve,
l'Era McCarthy, che sarebbe durata sino al 1960 e che avrebbe
visto il senatore Joseph McCarthy guidare sino al 1956 le inchieste
dell'HUAC in ogni settore alla ricerca dei "comunisti".
Hollywood non fu risparmiata, benché avesse "già dato",
ma ogni tanto rivisitata per tutto il periodo.
Nel 1951 furono
convocati a testimoniare un centinaio di operatori di Hollywood,
ed in base alle dichiarazioni di alcuni di loro, e segnatamente
i "pentiti" Elia Kazan e Edward Dmytryk, fra il
1952 e il 1953 l'HUAC segnalò espressamente
324 nominativi da aggiungere sulla lista nera, fra cui lo scrittore
Dashiell Hammett, il regista Joseph Losey, gli attori Howard
Da Silva, Zero Mostel, Lionel Stander, Anne Revere, John Garfield.
Hammett fu poi incarcerato per un anno per non aver voluto rispondere
alle domande della Commissione (rispose solo quando gli chiesero
se riconosceva la sigla "D.H." in calce a un documento: "I
can answer that", disse Hammett, "Two
letters of the alphabet" - "a
questo so rispondere, sono due lettere dell'alfabeto"). Garfield
morì per lo stress, come del resto accadde agli altri
attori Edward Bromberg, Gordon Kahn, Canada Lee e Mady Christians,
mentre Philip Loeb e Madelyne Drnytryk, moglie di Edward, si
uccisero al pari di vari personaggi diciamo minori.
A partire dal 1953 il compito di forgiare l'immagine
degli Stati Uniti nel mondo venne affidato, come s'è visto,
all'USIA. Questa Agenzia funzionò da consulente all'HUAC,
le cui incursioni ad Hollywood divennero più competenti,
e quindi più mirate, più chirurgiche e anche più rare.
A partire da quella data, quindi, le convocazioni dell'HUAC per
Hollywood riguardarono di tanto in tanto singoli personaggi,
in genere eccellenti, o gruppetti di persone collegate in qualche
modo logico. In questo contesto più "scientifico" incapparono
ad esempio il commediografo Arthur Miller, condannato ad un anno
di carcere per essersi rifiutato di rispondere, e l'attore Charles
Chaplin, che riparò in Europa (già nel 1947 il
Senatore Rankin aveva chiesto l'espulsione di Charlot, che
era inglese, ed il bando di tutti i suoi film - Luci
della ribalta, Tempi moderni, ecc. - dal territorio statunitense).
Chaplin fu seguito in Europa da diversi altri, ad esempio i registi
Orson Welles, John Huston, Joseph Losey e Jules Dassin e gli
sceneggiatori Carl Foreman, Ben Barzman, Paul Jarrico e Michael
Wilson.
Preoccupato che troppi scontenti andassero all'estero,
a raccontare poi delle verità scomode sulla realtà statunitense,
nel 1956 il governo ritirò il passaporto agli indagati
dall'HUAC. In ogni caso le persecuzioni dell'Era
Mc-Carthy non avevano aggiunto molto al lavoro fatto dall'HUAC nel
1947.
Sin da allora Hollywood era stata ridotta
al rango di fabbrica di propaganda di Stato, esattamente come
la filmografia sovietica, e come quella di qualunque altro
paese totalitario. La differenza era che Hollywood non veniva
pagata dallo Stato per quello: doveva fare propaganda, mantenersi
con la medesima, e contribuire con le esportazioni alla bilancia
commerciale della nazione. La grandezza del sistema americano
sta in queste cose. Per non appesantire il discorso non si
sono citati gli interventi repressivi dell'HUAC,
e governativi in generale, negli altri settori importanti per
la propaganda di Stato, come l'istruzione,
la carta stampata, la radio, la televisione, la musica leggera,
il teatro, lo sport:
ovviamente ci furono.
Una realtà inventata
Ora è chiaro perché Hollywood produce film così mistificatori
della realtà americana: perché ci è costretta
dal governo. Ed è superfluo chiedersi cosa ci guadagni:
la sopravvivenza, infatti. Attualmente l'attività di Hollywood è controllata
centralmente dall'USIA, come accade in pratica dal 1953. Tale
controllo consiste nel fare in modo che il contenuto dei suoi
prodotti sia in linea con la Retorica di Stato, che sia appunto
come descritto all'inizio. La fuga sempre più marcata
di Hollywood dal reale, la sua sempre maggiore insistenza verso
film di fantasia dominati dagli effetti speciali e dall'inverosimiglianza
in generale, dipende dal suo disagio nei riguardi della censura
dell'USIA. La tendenza oltretutto fu sin da subito incoraggiata
dall'USIA, perché poteva facilmente prestarsi ad uninsidioso
tipo di propaganda subliminale.
Per esempio furono benvenuti i film di "marziani" degli
anni Cinquanta: i marziani venivano sulla Terra, ma atterravano
sempre, guarda caso, negli Stati Uniti: evidentemente erano il
paese più significativo della Terra, il più all'avanguardia.
Un analogo tipo di propaganda indiretta è presente in
tutti i film americani di fantascienza e "spaziali", ad esempio
come 2001 Odissea nello spazio, Guerre
Stellari e Alien.
L'USIA svolge la sua mansione come qualunque
organismo di censura e propaganda statale. Esamina in anticipo
il copione di tutti i film dei quali è stata decisa la
produzione e può decidere
variazioni. Si occupa anche, tramite agevolazioni fiscali ed
usando le sue entrature all'estero, di promuovere l'esportazione
di quei film ritenuti particolarmente utili ai fini della propaganda.
Nei paesi in cui i film americani sono presentati in lingua locale
l'USIA, in virtù di clausole contrattuali, riesce in genere
a controllare il doppiaggio, che in effetti in molti squarci
di dialogo è diverso dall'originale, e sempre in senso
favorevole alla realtà americana (ad esempio in un film
americano un personaggio diceva di essere "in
cassa integrazione da un anno": non c'è cassa integrazione negli Stati Uniti).
Naturalmente
ci sono anche differenze di immagini nei film americani tra la
versione originale, proiettata negli USA, e quella esportata;
ci sono tagli e aggiunte.
Una variazione abbastanza frequente riguarda
le immagini di nudi femminili, completamente assenti nelle versioni
diffuse negli USA - dove sono proibite - e invece qualche volta
presenti nelle versioni estere, in quei paesi naturalmente dove
tali immagini non sono vietate. In effetti l'USIA non ama propagandare
troppo il carattere bigotto della morale pubblica statunitense,
specie in Europa. Altra interessante realtà americana
che l'USIA ritiene meglio non propagandare è il fatto
che gli uomini americani sono quasi tutti circoncisi (il 95%):
il pubblico internazionale potrebbe cominciare a chiedersi perché,
e potrebbe venirgli in mente di operare collegamenti con il concetto
di popolo eletto del Vecchio Testamento, la religione americana.
Gli eventuali riferimenti alla circoncisione, che ogni tanto
compaiono nei film americani specie sotto forma di gags, sono
tolti dalle versioni per l'estero.
Una grande differenza rispetto
a quanto accade nei soliti regimi autoritari c'è invece
nell'uso dei sistemi coercitivi impiegati per ottenere la conformità ideologica,
e che sono pochi.
C'è una specie di patto fra Hollywood
e il governo: Hollywood riconosce di essere importante per la
politica del governo, sia interna che estera, e si autoregolamenta
di conseguenza, ben sapendo che in caso di inadempienza subirebbe
durissime punizioni, esattamente come in passato anche se probabilmente
non con gli stessi pretesti. Un'inadempienza sarebbe la realizzazione
di un film come Grape of Wrath o Man
Hunt, per esempio, o come uno
qualunque sulla linea neo-realista americana tipica dell'immediato
dopoguerra (per inciso quei film sono scomparsi dal circuito
statunitense sin dal 1950, al pari di molti degli anni Trenta;
ora negli USA Charlie Chaplin è un emerito sconosciuto).
In poche parole, vale ancora il Patto del Waldorf del 1947.
Retorica di Stato
Nonostante ciò l'USIA necessita di tanto
in tanto di mezzi coattivi, di pressione. Per questo si avvale
della collaborazione di altre Agenzie federali, ora questa ora
quella a seconda dei casi. Abbastanza stretti e continuativi
sono i collegamenti con l'FBI, la DEA e l'IRS.
Il Federal Bureau of Investigations, la polizia federale statunitense, è il
massimo ente di repressione politica interna e può servire
anche per Hollywood. La presenza della Drug
Enforcement Agency si spiega col fatto che parecchi elementi di Hollywood sono consumatori
più o meno abituali di droga e quindi vulnerabili a quell'accusa,
che la DEA può portare a discrezione.
Considerazioni analoghe per l'Internal
Revenue Service, il fisco
americano. È da notare che negli Stati Uniti è prassi
comune, per le Agenzie federali, costruire false accuse a fini
di repressione politica; anzi questo è il sistema canonico.
Così anche se si è nella perfetta legalità per
ogni cosa basta la volontà di tali Agenzie operative come
l'FBI, la DEA o l'IRS per demolire completamente una persona,
ridurla sul lastrico, privarla della possibilità di lavorare,
anche incarcerarla; ma è molto meglio, naturalmente, se
c'è qualche appiglio reale.
Molto importante per l'USIA è anche il Pentagono.
Tutto il materiale bellico importante che si vede nei film americani,
come navi, aerei, elicotteri, carri armati, ecc., è fornito
dal Pentagono, e in cambio l'USIA esercita una supervisione su
tutta la realizzazione del film. Anche il Pentagono naturalmente
può intervenire con sue esigenze particolari. Gli esempi
sono moltissimi. Per Tora! Tora! Tora! il Pentagono
prestò sei
navi da guerra in servizio attivo, fra cui la portaerei Yorktown,
e due cacciatorpediniere della riserva rimesse in funzione appositamente
per il film. Per Top Gun (con Tom Cruise) mise a disposizione
una squadriglia di cacciabombardieri da marina F14 Tomcat (questo
film fu addirittura commissionato dal Pentagono, in cerca di
pubblicità per l'arruolamento di piloti). Per Operazione
Sottoveste (con Cary Grant) prestò un sommergibile
diesel e per Caccia a Ottobre Rosso (con Sean Connery)
addirittura un sommergibile nucleare in servizio attivo (un vero
boomer). Stessi discorsi per tutti i film ambientati in Vietnam,
compreso l'apparentemente antiamericano (appunto) Platoon,
per la serie dei Rambo di Sylvester
Stallone e così via.
Le virtù "nascoste" dei divi
Ma il pubblico, sia interno che internazionale,
più che
Hollywood conosce i divi di Hollywood, i grandi attori e attrici.
Sono loro ad attirare l'attenzione, sono loro i più importanti.
L'USIA lo sa.
Tramite la sua potentissima influenza essa cerca
di impedire che giunga al vertice un elemento del quale non sia
appurato l'orientamento politico; al contrario, aiuta ad ottenere
copioni chi con i suoi film precedenti e con le sue dichiarazioni
ha reso pubblico omaggio alla Retorica di Stato, compatibilmente
con le esigenze di cassetta dei produttori, che pure sono forti.
Il che porta, non troppo raramente, a vere e proprie complicità,
compromissioni tra gli attori e qualche Agenzia federale, in
particolare l'FBI, che necessita di delatori nell'ambiente top.
Un classico è il caso di John Wayne, che
era un delatore abituale dell'FBI, così come del resto
Elvis Presley, che aveva addirittura un nome in codice ("Colonel
Burrows").
Quindi, una volta che il divo c'è, che sia stato aiutato
o meno, egli è seguito direi passo passo; va da sé nei
suoi film, ma anche fuori dal set egli non deve uscire dai binari
impostigli da Hollywood, e cioè dal governo, perché può fare
molti danni in virtù della sua popolarità e della
istintiva tendenza del pubblico a credergli, perché diventatogli
familiare. Vedasi ad esempio il caso di Marlon Brando e del vespaio
che suscitò quando mise il dito nella piaga del trattamento
subito dagli indiani, o di Jane Fonda quando nel 1972 si fece
fotografare accanto ad una postazione antiaerea nordvietnamita.
Entrambi furono poi naturalmente puniti, imponendo a Hollywood
di escluderli dal lavoro per molti anni (furono cioè messi
sulla black list, che ancora esiste, certo; la permanenza è di
10 anni).
Robert Redford, dopo un viaggio a Cuba pure preventivamente
autorizzato dal Dipartimento di Stato come impone la legge sull'embargo,
subì un accertamento dell'IRS. Jack Nicholson, che nel
1997 aveva manifestato l'intenzione di chiedere analogo nulla
osta per partecipare ad un raduno di amanti del sigaro Avana,
fu convinto a rinunciare. Ma al divo di Hollywood, per diventare
tale e per restarlo, si chiede di regola più che la mancanza
di manifestazioni ostili o Un-American: si chiede la partecipazione
attiva alla propaganda di Stato, con i suoi film e anche a livello
personale. Shirley Temple, forte del suo passato di graziosissima
bambina attrice (era "riccioli d'oro"), ha compiuto molte missioni
all'estero per conto dell'USIA allo scopo di migliorare l'immagine
degli Stati Uniti, scaduta magari per qualche piccola strage
appena fatta (per le benemerenze e l'esperienza acquisita la
Temple ritenne addirittura di poter chiedere al presidente Reagan
il posto di direttore dell'USIA, che però le fu negato).
Analoghe missioni compirono al tempo delle guerre di Corea e
del Vietnam Bob Hope, Marilyn Monroe e diversi altri. Di John
Wayne non occorre parlare. Gli esempi si sono addirittura moltiplicati
negli ultimi anni. Con un film Clint Eastwood ha cercato di nobilitare
l'invasione della minuscola isola di Grenada del 1983, ed ha
partecipato ad altre pellicole apologetiche. Tom Cruise ha girato Top Gun,
un film del Pentagono, e Born
the Forth of July, dove
le vicende della guerra del Vietnam e dei suoi reduci sono travisate.
Sylvester
Stallone con la serie Rambo non ha fatto che attaccare
i nemici del Dipartimento di Stato, i vietnamiti e gli arabi
di Gheddafi e Saddam Hussein, e lo stesso, parodiando Rambo,
hanno fatto Charlie Sheen e Leslie Nielsen. Anche Arnold Schwarzenegger
e Chuck Norris hanno impersonato il Super-Americano che combatte
contro il Super-Male, l'oggetto additato di volta in volta dal
Dipartimento. Brad Pitt ha girato Sette
anni in Tibet, un film
di propaganda anti-cinese, molto richiesta dal Dipartimento a
partire dal 1989 per motivi che sarebbe lungo spiegare, e analoga
propaganda - lui anche a livello personale - ha fatto e fa Richard
Gere.
Woody Allen non solo ha interpretato, ma anche scritto e
diretto Il dittatore dello stato libero
di Bananas, forse il
film più abbietto
mai prodotto, perché il più ingiusto nei riguardi
di tante persone sofferenti. Madonna ha interpretato Evita,
dove non c'è alcuna eco delle responsabilità statunitensi
nelle difficoltà di Juan Domingo Peron. Mel Gibson in Air America ha
cercato di far dimenticare che quei voli-CIA servivano per portare
droga nel mercato statunitense. Danny De Vito, Demi Moore e Goldie
Hawn si sono impegnati a convogliare simpatia o comprensione
verso i marines, che sono mercenari disposti a uccidere qualunque
cosa per un buon mensile ed un pensionamento a 40 anni. E così via,
si potrebbe continuare per molte pagine.
In poche parole, i divi di Hollywood non sono dei bravi
attori che col loro onesto lavoro hanno raggiunto una meritata
fama, o non sono solo quello. Sono da considerare dei funzionari,
dei funzionari semi-governativi, perché intrecciano in
modo indissolubile il loro lavoro "civile" con precisi compiti
di propaganda governativa. Essi sono dei Divi di Stato.
Anche questa è Hollywood
Questa è Hollywood. Ora, ben definita
la situazione, ci si può divertire a fare delle considerazioni.
Si è già accennato
alla "grandezza" del sistema americano. Hollywood ne è effettivamente
un buon esempio. Occorreva eliminare una filmografia indipendente
e sostituirla con una di Stato, a scopo di prevenzione del dissenso
politico interno e di camuffamento e propaganda all'estero; contemporaneamente
occorreva salvare l'immagine di paese "democratico" curata
dall'establishment oligarchico e dai suoi esponenti politici
sin dalla fondazione del paese (vedi la Dichiarazione di Indipendenza,
i 14 Punti del presidente Wilson, le Quattro Libertà di
Roosevelt ecc.), e anche spendere il meno possibile in questa
attività di propaganda interna ed estera, anzi possibilmente
occorreva guadagnarci. Il tutto fu ottenuto nel 1947 convincendo
i produttori di Hollywood a confezionare pellicole che oltre
ad essere attraenti per il pubblico fossero anche conformi alla
Retorica di Stato.
L'opera di convinzione fu eseguita tramite
un'azione antidemocratica, anzi chiaramente repressiva, nello
stile di un regime puramente totalitario, ma l'USIA ben presto
si occupò di farla dimenticare
al mondo: si era trattato solo di caccia ai comunisti, di un
eccesso di zelo in difesa della democrazia interna da parte di
un paese che si accingeva a difendere la medesima in tutto il
mondo; inoltre tale eccesso di zelo era stato momentaneo, una
follia passeggera: le inchieste dell'HUAC erano
infatti finite (si omise naturalmente di osservare che gli effetti
delle stesse erano permanenti).
Formidabile poi il lato economico dell'operazione.
La propaganda filmica interna è pagata dai soggetti cui è principalmente
diretta, cioè dai più danneggiati dalla medesima,
quegli strati meno abbienti della popolazione che costituiscono
la maggioranza degli spettatori, da qualche anno tramite la televisione;
quella all'estero è pagata dai paesi che importano i
film di Hollywood, che li considerano alla stregua di una merce
qualunque. E non si tratta solo di coprire i costi: come si sa,
nel business in oggetto ci sono grandi profitti, che vanno all'establishment
proprietario delle case cinematografiche - e anche al governo
tramite la tassazione. Vale forse la pena di ricordare che dopo
le materie prime e gli armamenti, la voce più importante
dell'export statunitense è costituita dai "prodotti culturali",
fra i quali Hollywood fa la parte del leone (anche gli altri "prodotti
culturali" americani, come dischi, romanzi, ecc., seguono poi
la stessa logica di Hollywood, è evidente: l'USIA controlla
anche loro). Si tratta insomma, alla fine, di una grande triangolazione,
una delle tante che gli Stati Uniti fanno in questo ingenuo mondo.
Non è l'unica, infatti.
Anche la Guerra Fredda non era che una triangolazione: con la
scusa del contenimento dell'URSS e del comunismo si portava intanto
la sovversione neo-coloniale nei tre quarti del mondo. Anche
la presenza militare americana all'estero è una triangolazione:
per la medesima è sempre qualcun altro che paga - chiedetelo
un po' ai giapponesi. Il traffico internazionale di droga, controllato
all'ultimo proprio dal governo statunitense, non è altro
che un'unica, enorme, mastodontica triangolazione. Ma non è questo
l'oggetto del presente scritto.
Andiamo invece all'"ingenuo mondo" che guarda
i film, i documentari, i cartoni animati ed i serial televisivi
americani. Veniamo all'Italia, per esempio, che ne importa quantità enormi.
Ci sono molte domande da porsi. Sui critici cinematografici italiani
innanzitutto: hanno sempre trattato i film di Hollywood come
normali prodotti del settore, dissertando elegantemente sui valori
filmici ed i meriti o demeriti artistici; mai però,
che io sappia, qualcuno di loro ha accennato alla loro valenza
propagandistica. Delle due l'una: o non l'hanno capita o l'hanno
capita. Nel primocaso, che critici sono? Dobbiamo allora solo
sorridere dei loro articoli di giornale, delle loro presentazioni
televisive, delle manifestazioni dove fanno da organizzatori
e da giuria. Se invece l'hanno capita, perché non ne hanno
mai parlato? Perché non hanno mai messo in guardia il
pubblico? Forse sono dei critici di Stato? E se sì, di
quale Stato?
Il caso dell'Italia
Molte domande sono da porre al governo italiano.
Premettiamo il fatto che gli Stati Uniti vietano l'importazione
di film stranieri. Certo non in modo ufficiale; non sarebbe ammissibile
per una democrazia che per di più si dice paladina del
libero commercio internazionale. All'atto pratico vengono importati
pochissimi film stranieri, e quei pochi non sono doppiati, ma
solo sottotitolati, e quindi inseriti - come fossero delle curiosità esotiche
tipo il teatro No giapponese - nel minuscolo circuito dei cinema
d'essai dove nessuno li vede. Che io sappia, l'unico film italiano
ad essere stato doppiato negli Stati Uniti, e ad essere entrato
nella normale distribuzione sino a comparire sulle reti televisive, è Per
un pugno di dollari di Sergio Leone e con Clint Eastwood,
presentato col titolo A Fistful of Dollars; gli americani
lo credono il film di Hollywood di un regista immigrato da poco. È logico.
Non si erano fatte le purghe del 1947 per lasciare
poi il pubblico americano in balia della filmografia estera,
magari di quella neo-realista italiana. In effetti anche questo
prevedeva l'Accordo del Waldorf: l'autolimitazione delle case
distributrici di Hollywood nell'importare film stranieri e l'esecuzione
del doppiaggo solo in casi eccezionali, e per film che fossero
sembrati usciti dalla catena para-statale di Hollywood. Allora
perché il governo
italiano non ha mai invocato il principio della reciprocità in
questo settore commerciale?
Eppure l'importazione di film e telefilm
americani incide negativamente per migliaia di miliardi sulla
bilancia commerciale italiana. Si tratta di una imposizione americana:
i prodotti di Hollywood sono appunto una di quelle merci che
gli Stati Uniti impongono all'Italia (e alla Germania, al Giappone
e a tanti altri) di comprare da loro, come più indietro
si è accennato.
Ed è anche ovvio perché: perché sono propaganda,
che ha gli scopi spiegati in precedenza, particolarmente importanti
in paesi assoggettati in seguito a una guerra.
Vada per l'imposizione:
vae victis. Ma perché poi non
dirlo al popolo, almeno perché non farglielo capire, magari
tramite qualche critico di Stato?
Almeno sarebbe stata possibile
una qualche autodifesa. Al contrario l'effetto propagandistico
di Hollywood è sempre stato
esaltato dal governo con la diffusione di film e telefilm tramite
la televisione pubblica. E a che ritmo!
Ogni tanto, poi, alla
RAI succedono dei fatti inquietanti. Per esempio il 18 febbraio
1998 RAI 2 ha trasmesso in prima serata il film Un
giorno con il presidente, di tale W. Hussein e con tali
J. Ritter e T. Harper, dove compariva addirittura il presidente
americano Clinton in persona. Così il film era presentato
alla pagina 772 di Televideo: "Missy,
una sedicenne, subisce l'amputazione di una gamba per un tumore.
Ma, nonostantetutto, la sua sorte è segnata. In seguito,
il padre di Missy viene licenziato e l'assicurazione gli raddoppia
il premio per te speseospedaliere. Ma grazie all'intervento del
governo Clinton, nell'ambito di un progetto di difesa dei diritti
della famiglia, il padre riprenderà a lavorare".
Si
tratta di un film fatto realizzare dal governo Clinton per appoggiare
le sue politiche sociali, diretto al pubblico interno. Per inciso
tali politiche sociali non sono state approvate, né mai
lo saranno; anzi nel 1996 il Congresso ha anche eliminato l'unico
programma sociale valido che c'era, l'AFLD, per le madri sole
con figli. Per contro, senza volere il film offre una buona idea
di come si diventa homeless negli USA. In ogni caso tale film
non poteva avere meno interesse per il pubblico italiano; nonostante
questo è stato trasmesso. Perché? Forse perché si
era nel pieno della crisi irachena e si pensava di dover convogliare
la simpatia degli italiani verso Bill Clinton e quindi verso
gli Stati Uniti? Se è così, chi fa questi ragionamenti
alla RAI?
D'accordo, la RAI è la televisione di
Stato. Ma di quale Stato?
La RAI è nulla a confronto delle televisioni
di Berlusconi: Canale Cinque, Italia Uno e Rete Quattro. Sembra
che i programmatori conoscano solo film e telefilm americani,
laddove c'è un
intero mondo là fuori pieno di gente che fa film, come
i francesi, i tedeschi, gli spagnoli, i russi, e così via;
anche gli italiani fanno film. Se si tratta di esigenze di audience,
hanno mai dato al pubblico la possibilità di scegliere?
Se si tratta di problemi di costo dei film, hanno mai considerato
la possibilità che il prezzo dei film di Hollywood è anche
politico? Oppure si tratta di scelte culturali e politiche, di
scelte di campo come direbbe il cav. Berlusconi? In tal caso
mi chiedo quale sia il confine tra una televisione commerciale
ed una postazione di propaganda politica, se mai può esistere.
Ci sono poi i divi cinematografici americani, e l'attenzione
di cui li ricoprono i media italiani. Vada per le riviste di
costume, o per i periodici femminili, benché facciano
male a focalizzare l'attenzione su personaggi così al
di fuori dalla norma. Ma è solo uno scandalo, un segno
di irresponsabilità grave, che dei telegiornali del prime
time, che durano trenta minuti in tutto e che si devono occupare
delle notizie dal paese e dal mondo, sacrifichino interi minuti
per informare dell'ultimo film di Sylvester Stallone, dell'ultima
preghiera buddista di Richard Gere, dell'ultimo brutto gesto
di Madonna. Pensano di divertire il pubblico con un pò di
varietà e non sanno di fare propaganda gratis ai massimi
agenti di propaganda del mondo, i Divi di Stato americani.
Si, ci fanno divertire.
da: http://byebyeunclesam.files.wordpress.com/2010/09/divi_stato.pdf
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