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Olivier Boiral
Gli
opachi poteri della Commissione Trilateral - Trent’anni
di un’istituzione segreta |
Dirigenti delle multinazionali, governanti dei paesi ricchi e
sostenitori del liberismo economico hanno rapidamente compreso
che dovevano agire di concerto se volevano imporre la propria
visione del mondo.
Nel luglio 1973, in un mondo allora bipolare,
David Rockefeller lancia la Commissione Trilaterale,
che segnerà il punto di partenza della guerra ideologica
moderna. Meno mediatizzata del forum di Davos, la Trilaterale è molto
attiva, attraverso una rete di influenze dalle molteplici ramificazioni.
Trent’anni fa, nel luglio 1973, su iniziativa di David
Rockefeller, figura di spicco del capitalismo americano, nasceva
la Commissione Trilaterale. Cenacolo dell’élite
politica ed economica internazionale, questo circolo chiusissimo
e sempre attivo formato da alti dirigenti ha suscitato, soprattutto
ai suoi inizi, molte controversie (1). All’epoca, la
Commissione si prefiggeva di diventare un organo privato di
concertazione e orientamento della politica internazionale
dei paesi della triade (Stati Uniti, Europa, Giappone). L’atto
costitutivo spiega: «Basata
sull’analisi delle più rilevanti questioni con
cui si confrontano l’America e il Giappone, la Commissionesi
sforza di sviluppare proposte pratiche per un’azione
congiunta. I membri della Commissione comprendono più di
200 insigni cittadini impegnati in settori diversi e provenienti
dalle tre regioni». (2)
La creazione di questa organizzazione opaca in cui a porte
chiuse e al riparo da qualsiasi intromissione mediatica si
ritrovano fianco a fianco dirigenti di multinazionali, banchieri,
uomini politici, esperti di politica internazionale e universitari,
coincideva all’epoca con un periodo di incertezza e turbolenza
della politica mondiale. La direzione dell’economia internazionale
sembrava sfuggire alle élite dei paesi ricchi, le forze
di sinistra apparivano potenti, soprattutto in Europa, e la crescente
interdipendenza delle questioni economiche chiamava le grandi
potenze a una cooperazione più stretta. Rapidamente,
la Commissione trilaterale
si impone come uno dei principali strumenti di questa concertazione,
attenta al tempo stesso a proteggere gli interessi delle multinazionali
e a «chiarire» attraverso le proprie analisi
le decisioni dei dirigenti politici. (3)
Come
i re filosofi della città platonica, che contemplavano
il mondo delle idee per infondere la loro trascendente saggezza
nella gestione degli affari terrestri, l’élite che
si riunisce all’interno di questa istituzione molto poco
democratica si adopera nel definire i criteri di un «buon
governo» internazionale.
Veicola un ideale platonico di ordine e controllo, assicurato
da una classe privilegiata di tecnocrati che mette la propria
competenza e la propria esperienza al di sopra delle profane
rivendicazioni dei semplici cittadini: «La
cittadella trilaterale è un
luogo protetto dove la techné è legge - commenta
Gilbert Larochelle. E dove sentinelle dalle
torri di guardia vegliano e sorvegliano. Ricorrere alla competenza
non è affatto
un lusso, ma offre la possibilità di mettere la società di
fronte a se stessa. Il maggio benessere deriva solo dai migliori
che, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri
per poi inviarli verso il basso». (4)
All’interno di questa oligarchia della politica internazionale,
le cui riunioni annuale si svolgono in varie città della
triade, i temi vengono dibattuti in una discrezione che nessun
media sembra più voler disturbare. Essi sono oggetto di
rapporti annuali (The Trialogue) e di lavori tematici (Triangle
Papers) realizzati da équipes di esperti americani, europei
e giapponesi scelti molto accuratamente. Questi documenti pubblici,
regolarmente pubblicati da circa trent’anni, mostrano l’attenzione
che la trilaterale rivolge ai problemi globali che trascendono
le sovranità nazionali, come la globalizzazione dei mercati,
l’ambiente, la finanza internazionale, la liberalizzazione
delle economie, la regionalizzazione degli scambi, i rapporti
Est- Ovest (all’inizio), il debito dei paesi poveri.
Contro «gli eccessi della democrazia»
Gli interventi ruotano intorno ad alcune idee fondanti, ampiamente
riprese dalla politica. La prima è la necessità di
un «nuovo ordine internazionale». Il quadro sarebbe
troppo angusto per trattare grandi questioni mondiali la cui «complessità» e «interdipendenza» vengono
continuamente riaffermate. Un’analisi del genere giustifica
e legittima le attività della Commissione che è sia
un osservatorio privilegiato sia il capomastro di questa nuova
architettura internazionale.
In tal senso gli attentati dell’11 settembre hanno fornito
una nuova occasione di ricordare, durante l’incontro di
Washington nell’aprile del 2002, la necessità di
un «ordine internazionale» e di una «risposta
globale» a cui sono esortati a partecipare i più importanti
dirigenti del pianeta sotto l’egidia statunitense. Alla
già citata riunione annuale della trilaterale erano
presenti Colin Powell (segretario americano) Donald Rumsfeld
(segretario alla difesa) Richard Cheney (vicepresidente) e
Alan Greenspan (presidente della Federal Reserve). (5)
La seconda idea fondante, che trae origine dalla prima, è il
ruolo tutelare della triade, in particolare degli Stati uniti,
nella riforma del sistema internazionale. I paesi ricchi sono
invitati ad esprimersi con una sola voce e a unire i propri sforzi
in una missione destinata a promuovere la «stabilità» del
pianeta grazie alla diffusione del modello economico dominante.
Le democrazie liberali sono il «centro vitale» dell’economia,
della finanza e della tecnologia. Un centro che gli altri paesi
dovranno integrare accettando l’ordine che esso si è dato.
L’unilateralismo americano sembra tuttavia aver messo a
dura prova la coesione dei paesi della triade, i cui dissidenti
si esprimono nei dibattiti della Commissione.
Nel suo discorso del 6 aprile 2002, durante la già citata
riunione, Colin Powell ha quindi difeso la posizione americana
sui principali punti di disaccordo con il resto del mondo, ovvero
rifiuto di firmare gli accordi di Kyoto, opposizione alla creazione
di una Corte penale internazionale, analisi dell’«asse
del male», intervento americano in Iraq, appoggio alla
politica israeliana, e via dicendo.
L’egemonia delle democrazie liberali rafforza la fede nelle
virtù della globalizzazione e della liberalizzazione delle
economie espressa dal pensiero della trilaterale. La globalizzazione
finanziaria e lo sviluppo degli scambi internazionali sarebbero
al servizio del progresso e del miglioramento delle condizioni
di vita di un gran numero di persone. Ma esse presuppongono la
rimessa in causa delle sovranità nazionali e la soppressione
delle misure protezioniste.
Questo credo neoliberista è dunque spesso centro dei
dibattiti.
Durante l’incontro annuale dell’aprile 2003 a Seul è stata
trattata in particolare la questione dell’integrazione
economica dei paesi del Sud-Est asiatico e della partecipazione
della Cina alle dinamiche della globalizzazione. Le riunioni
dei due anni precedenti avevano dato occasione al direttore generale
dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto) Mike
Moore di professare devotamente le virtù del libero
scambio. Moore, dopo aver ricoperto di improperi il movimento
anti-globalizzazione, aveva dichiarato che era «imperativo
tenere a mente ancora e sempre quelle prove schiaccianti che
dimostrano che il commercio internazionale rafforza la crescita
economica». (6)
La tirata del direttore del Wto contro i gruppi che reclamano
una globalizzazione diversa - chiamati «e-hippies» -
sottolinea la terza caratteristica fondante della trilaterale:
l’avversione per i movimenti popolari, che si era espressa
nel celebre rapporto della Commissione sul governo
delle democrazie redatto da Michel Crozier, Samuel Huntington
e Joji Watanuki (7). Questo rapporto, del 1975, denunciava gli «eccessi
della democrazia», espressi secondo gli autori dalle manifestazioni
di contestazione dell’epoca. Manifestazioni che, un po’ come
oggi, mettevano in causa la politica estera degli Stati Uniti
(ruolo della Cia nel golpe cileno, guerra del Vietnam) ed esigevano
il riconoscimento di nuovi diritti sociali. Il rapporto provocò all’epoca
molti commenti indignati che si scatenarono contro l’amministrazione
democratica del presidente James Carter, essendo stato egli stesso
un membro della trilaterale (come più tardi il presidente
Clinton). (8)
Dall’inizio degli anni ’80, l’attenzione della
stampa per questo tipo di istituzioni sembra essersi rivolta
più che altro su incontri meno chiusi e soprattutto più divulgabili
tramiti i media, come il Forum di Davos. L’importanza delle
questioni dibattute nell’ambito della trilaterale e il
livello di coloro che in questi ultimi anni hanno partecipato
alle sue riunioni sottolineano però la sua persistente
influenza. (9)
Note:
(1) Le Monde diplomatique ha dedicato molti articoli
all’argomento
nel corso degli anni ’70.
(2) Il numero dei «distinti cittadini» ammessi alla
Commissioneè stato
in seguito allargato e oggi comprende più di 300 membri.
(3) Sulle reti di «coloro che decidono» si legga «Tous
pouvoirs confundus», Epo, 2003
(4) Gilbert Larochelle, «L’imaginaire technocratique» Montreal,
1990, p.279
(5) I discorsi di questi interventi sono accessibili al sito ufficiale
della Commissione.
(6) Mike Moore, «The Multilateral Trading Regime Is a Force
for Good: Defend It, Improbe It». Riunione della Commissionetrilaterale
del’11 marzo 2001
(7) Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki, «The
Crisis of Democracy: Report on the Governability of Democracies
to the Trilateral Commission», New York
University Press, 1975
(8) Zbigniew Brezinski era stato uno dei grandi architetti di
questa organizzazione prima di diventare il principale consigliere
del presidente Carter sulle questioni di sicurezza nazionale
(9) David Rockefeller, Georges Berthoin e Takeshi Watanabe
(1978) Prefazione a «Task Force Reports»: 9-14,
New York University Press, p IX
Le Monde Diplomatique - nov. 2003
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