Origini e cause della crisi in Medio Oriente - Ottant'anni di violenze e accordi disattesi

La storia infinita


Una terra contesa, due popoli in cerca di una nazione, i tentativi di portare avanti un colloquio e il continuo ricorso alla violenza. Dal crollo dell'Impero ottomano alle vittime di oggi. Date, luoghi e protagonisti di una storia tutt'altro che chiusa.

1917-1949: La fine dell'Impero ottomano, il mandato britannico e la creazione dello Stato di Israele

In una dichiarazione del 2 novembre 1917, il ministro degli Esteri britannico Arthur James Balfour esprimeva il consenso del proprio governo alle "aspirazioni sioniste ebraiche" e alla creazione di un "focolare nazionale ebraico" in Palestina.

L'11 dicembre, l'entrata in Gerusalemme del generale Allenby poneva fine a quattro secoli di dominio ottomano in Terrasanta e dava inizio ad un mandato britannico sulla Palestina che sarebbe durato trent'anni. Durante tale periodo l'immigrazione degli ebrei in Palestina si intensificò enormemente, alimentata soprattutto dalle centinaia di migliaia di ebrei che fuggivano precipitosamente dall'Europa orientale a seguito della rivoluzione d'Ottobre e della guerra civile russa. Se fino a quel momento la comunità ebraica in Palestina era cresciuta assai lentamente (gli ebrei a Gerusalemme erano 17 mila nel 1880, 25 mila nel 1890, 35 mila nel 1900, 45 mila nel 1910), ora gli insediamenti sionisti iniziavano ora ad aumentare enormemente. Ebrei e arabi, che fino ad allora avevano convissuto pacificamente, iniziavano a diventare più sospettosi e ostili. Disordini si verificarono nel 1920, 1921, 1929 e dal 1936 al 1939, anno in cui l'Inghilterra assicurò agli arabi la sospensione dell'immigrazione ebraica e l'indipendenza della Palestina entro dieci anni.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale e il succedersi degli eventi ad essa connessi fecero sorgere all'interno della comunità ebraica due opposte correnti: una sostenitrice degli Alleati e una di resistenza armata contro la decisione del governo mandatario di chiudere le frontiere palestinesi ai profughi superstiti della persecuzione nazista (i milioni di vittime della Shoah creeranno tra l'altro di lì a poco un elemento di "pressione" morale sull'ONU).

Al termine della guerra, l'intensificarsi del terrorismo ebraico contro il governo britannico e l'incapacità della Gran Bretagna di assicurare la pace nei territori palestinesi, condussero alla decisione dell'assemblea dell'ONU (29 novembre 1947) di spartire la Palestina in uno stato ebraico e in uno stato arabo e di internazionalizzare per dieci anni Gerusalemme, ponendola sotto il controllo delle Nazioni Unite. La risoluzione fu accettata dagli ebrei, ma respinta dai palestinesi sotto la forte pressione dei Paesi arabi (il 17 dicembre successivo la Lega araba dichiarò che si sarebbe opposta con la forza alla spartizione). Seguirono mesi di guerriglia tra forze irregolari arabe ed ebraiche. Il governo britannico decise di ritirare le proprie truppe; il mandato britannico sulla Palestina terminò ufficialmente il 15 maggio1948.

Il giorno precedente un governo provvisorio ebraico capeggiato da Ben Gurion aveva proclamato lo Stato d'Israele.



Seguì la guerra d'indipendenza che terminò nel 1949 con i trattati d'armistizio di Rodi (febbraio-luglio 1949).
Il governo d'Israele fu tenuto da una serie di coalizioni di centro-sinistra dirette da Ben Gurion, leader del partito laburista.


Anni '50: tra accordi e conflitti si intensifica il rapporto Occidente-Medio Oriente

Negli anni '50 si assistette ad un graduale avvicinamento di Israele agli Stati Uniti, causato principalmente dalla politica antisionista ed antisemita adottata da Stalin negli ultimi mesi del proprio regime; ciò portò alla rottura delle relazioni diplomatiche fra Unione Sovietica e Israele e al miglioramento dei rapporti tra URSS e i paesi arabi.

Il 23 gennaio 1950, in contrasto con le risoluzioni delle Nazioni Unite, Israele trasferì la propria capitale da Tel Aviv alla parte est di Gerusalemme.

Nel 1956, la nazionalizzazione del canale di Suez da parte del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser e, più in generale, la politica panaraba intrapresa (una politica, cioè, che perseguiva l'unità del mondo arabo e che mirava alla rinascita della grandezza araba contro la supremazia occidentale) diedero luogo ad una crisi che sfociò nella guerra del Sinai, che vide contrapposte Francia, Inghilterra e Israele da una parte ed Egitto dall'altra. Il conflitto terminò con la vittoria militare israeliana, ma in realtà favorì il trionfo politico di Nasser e non apportò risultati duraturi per Israele.


Anni '60: la guerra dei sei giorni e l'occupazione dei territori

Le lotte politiche al suo interno, infatti, si susseguirono e raggiunsero una tale durezza da indurre, nel 1963, Ben Gurion alle dimissioni. Il nuovo primo ministro, Levi Eshkol, continuò come aveva fatto il suo predecessore, a sviluppare con successo rapporti con Stati Uniti, Europa occidentale e Terzo Mondo, ma dovette anche affrontare gravi problemi sia di politica interna che di sicurezza militare per l'intensificarsi delle incursioni e delle azioni di guerriglia delle forze arabe.

Nel 1967, la politica panaraba di Nasser giunse ad un nuovo apice: chiese il ritiro delle forze di sicurezza dell'ONU poste a presidiare il confine del Sinai, proclamò la chiusura del Golfo di Aqaba alle navi israeliane (di fondamentale importanza per gli approvvigionamenti di Israele) e siglò un patto militare con la Giordania. La reazione non tardò. Israele sferrò, nel giugno del medesimo anno, un attacco aereo simultaneo contro le forze arabe e diede inizio ad un conflitto che durò poche ore (guerra dei sei giorni) e che si concluse con una sbalorditiva vittoria militare. Le forze israeliane occuparono Gerusalemme est, la Cisgiordania, la striscia di Gaza e le alture del Golan. Circa trecentoventimila profughi palestinesi fuggirono dai territori occupati riversandosi in Egitto, in Giordania e in Siria.

Anni '70: verso l'accordo di Camp David

Nei primi anni '70 la rivendicazione dei profughi palestinesi residenti nei Paesi arabi (circa due milioni e mezzo in totale) di aver riconosciuto uno Stato nazionale otteneva consensi anche nei Paesi occidentali. Israele si trovava così sempre più isolato sul piano diplomatico internazionale.
La guerra dello Yom Kippur (ottobre 1973) inoltre evidenziò la debolezza politica ed economica dei tre milioni di israeliani di fronte alla coalizione araba, resa ancor più forte dall'appoggio sovietico e dalle ricchezze petrolifere utilizzate come arma di ricatto con i sostenitori occidentali di Israele. La crisi toccò particolarmente il Partito Laburista che dovette sempre più appoggiarsi alle fazioni conservatrici. Il nuovo governo Rabin, tuttavia, riuscì a raggiungere importanti obiettivi sia in politica estera (accordo con l'Egitto) che in politica interna (potenziamento capacità militare e riforme finanziarie). Ciononostante, a causa dei dissensi interni alla coalizione, nel dicembre 1976 Rabin si dimise e convocò nuove elezioni.

Nel maggio 1977 il Partito Laburista perse la maggioranza che deteneva da quasi trent'anni; salì al potere una coalizione di centro-destra guidata dal Partito Likud il cui leader Menahem Begin divenne primo ministro. Fautore di una politica intransigente verso il mondo arabo, appoggiò e favorì l'insediamento di coloni israeliani nella Cisgiordania occupata. Nel novembre 1977 il presidente egiziano Anwar Sadat compì un gesto sensazionale recandosi in visita a Gerusalemme dove ebbe un colloquio con Begin e tenne un discorso alla Knesset. Il mese successivo lo stesso primo ministro israeliano ricambiò la visita recandosi in Egitto.

Ma il sostanziale fallimento di queste visite creò la base per un accordo che portò gli Stati Uniti al centro del processo di pace. Dopo otto mesi di intensa diplomazia Begin, Sadat e il presidente americano Jimmy Carter si incontrarono, nel settembre 1978, a Camp David siglando un accordo diviso in due parti: nella prima si stabilivano le basi per un trattato di pace fra Israele e ciascuno dei suoi vicini; nella seconda parte, solamente fra Egitto e Israele. Ma solo questo secondo punto fu sottoscritto, a Washington, nel marzo 1979. Mediante tale accordo l'Egitto ottenne la restituzione del Sinai, mentre l'anno seguente vennero ristabilite le relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Il mondo arabo, tuttavia, fu in tal modo spaccato e la questione palestinese rimase irrisolta e divenne ancor più complessa.

Anni '80: l'invasione del Libano e la nascita dell'Intifada

Nei primi anni Ottanta entrò in scena un piccolo stato fino ad allora rimasto ai margini del conflitto arabo-israeliano, il Libano. Scosso all'interno dagli attriti delle diverse fazioni religiose, era anche sede, dopo che furono espulsi nel "settembre nero" (1970) dalla Giordania, della leadership dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e di molti suoi militanti. Dal Libano l'Olp compì, con una intensificazione sempre maggiore a partire dal 1981, bombardamenti e raid che minacciavano gli insediamenti israeliani del Nord. Israele rispose nel giugno 1982 con l'invasione del Libano, avanzando fin verso la stessa Beirut per cacciare le basi dell'Olp: questa massiccia presenza israeliana permise alle milizie della destra libanese di massacrare 700 palestinesi nei campi profughi di Sabra e Chatila.
Venne inviata una forza multinazionale di pace da parte di Stati Uniti, Francia, Italia e Gran Bretagna che ha consentito l'evacuazione (verso la Tunisia) dei combattenti dell'Olp, ma che non ha consentito di riportare la calma nel paese. La forza venne ritirata nel 1984.

A partire dalla fine del 1987 i palestinesi dei territori occupati diedero vita ad una lunga e diffusa rivolta (Intifada) contro Israele, che reagì con una dura repressione. L'Olp, che sosteneva tale rivolta nata comunque spontaneamente, abbandonò il suo ruolo di aperta lotta armata contro Israele e nel dicembre 1988 il suo presidente, Yasser Arafat, annunciò uno storico cambiamento nella politica dell'Organizzazione che abbandonava la strategia del terrorismo.



Anni '90: Arafat e Rabin si stringono la mano

Il 18 gennaio 1991, ventiquattr'ore dopo l'inizio della Guerra del Golfo, missili Scud lanciati da una postazione al confine iracheno-giordano colpivano i sobborghi di Tel Aviv. Fu un attacco a sorpresa contro una popolazione inerme ed estranea alle ragioni del conflitto. I calcoli di Saddam Hussein di porsi come il difensore della causa araba - e palestinese in particolare - e di mettere in difficoltà la coalizione antiirachena, non portarono i risultati sperati. George Bush, infatti, si era premunito facendo accettare al primo ministro israeliano Shamir l'impegno a non scatenare rappresaglie.

Il 20 agosto 1993 rappresentanti di Israele e dell'Olp si incontrano ad Oslo per un accordo di pace. Rispettivamente il 9 ed il 10 settembre successivi Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin si scambiano lettere di mutuo riconoscimento. Nella sua lettera a Rabin, Arafat riconosce "il diritto dello Stato di Israele ad esistere in pace e sicurezza" e rinuncia all'"uso del terrorismo e della violenza." Nella sua lettera, Rabin riconosce l'Olp come "rappresentante del popolo palestinese." Il 13 settembre a Washington ha luogo la famosa stretta di mano tra Arafat e Rabin i quali firmano una Dichiarazione dei principi alla presenza del presidente statunitense Bill Clinton (qui il video).

Il 4 maggio 1994 Israele e l'Olp siglano un accordo riguardante la striscia di Gaza e l'area di Gerico. Il 1° luglio Arafat torna in Palestina; arriva a Gaza il 12 dello stesso mese e qui stabilisce il proprio quartier generale, accolto e acclamato da decine di migliaia di palestinesi. Il 26 ottobre un Trattato di Pace viene siglato anche da Israele e Giordania.

Il 4 novembre 1995, Yitzhak Rabin - al quale l'anno precedente era stato consegnato il premio Nobel per la pace insieme a Yasser Arafat e al ministro degli Affari esteri di Israele Shimon Peres - viene assassinato a Tel Aviv da un estremista di destra israeliano.

Il 30 maggio 1996 viene eletto primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu e viene formato un governo di destra. Per decisione di tale governo il 24 settembre si inizia ad aprire un tunnel sotto la Città Vecchia in Gerusalemme Est. Seguono scontri nella città e nei territori occupati tra polizia e civili palestinesi da una parte e esercito israeliano dall'altra. Il 28 settembre il Consiglio di Sicurezza dell'ONU adotta una risoluzione per la cessazione dell'apertura del tunnel.

Il 23 ottobre 1998, alla presenza di Bill Clinton e del re Hussein, Arafat e Netanyahu siglano l'accordo di Wye River attraverso il quale si impegnano ad adempiere agli accordi precedenti. Sulla stessa linea si pone l'accordo di Sharm el-Sheikh del 5 settembre 1999.

Nei primi mesi del 1999, il primo ministro Netanyahu viene indagato per illeciti finanziari. L'inchiesta, dalla quale comunque uscirà assolto, provoca la crisi del governo e lo costringe a presentare le proprie dimissioni. Vengono indette le elezioni anticipate che, tenute il 17 maggio dello stesso anno, vengono vinte dal laburista Ehud Barak che, con il 56% dei consensi, viene eletto primo ministro di Israele.

2000: l'Intifada di al-Aqsa

L'11 luglio 2000 ha luogo una conferenza a Camp David che però non sembra portare a risultati soddisfacenti per il processo di pace. La situazione si aggrava enormemente a partire dalla fine del settembre successivo: il 28 il presidente del Likud Ariel Sharon (che verrà poi eletto primo ministro d'Israele nel febbraio 2001 e che nel 1982 era il comandante delle truppe israeliane nella zona di Sabra e Chatila) si reca in visita alla Spianata delle Moschee, un'azione irresponsabile e provocatoria tendente a ribadire la sovranità israeliana sulla zona. Ne segue la cosiddetta "Intifada di al-Aqsa" che alla metà del maggio 2001 fa registrare, quali vittime degli scontri fra palestinesi e milizie israeliane, più di 500 morti, per massima parte arabi.

2005: Hamas al governo

Nelle elezioni politiche tenutesi nei territori palestinesi il partito palestinese più estremista, Hamas, supera Fatah, la formazione di Arafat (morto nel 2004) e del nuovo Presidente Abu Mazen: presumibilmente questo è accaduto anche per il forte scontento fra la popolazione palestinese per la corruzione nei gruppi dirigenti e nell'amministrazione pubblica.
Il successo di Hamas, ovviamente, non favorisce il già difficilissimo processo di pace, e Israele (che aveva nel frattempo ritirato le proprie truppe dalla striscia di Gaza) rifiuta qualsiasi rapporto col nuovo governo, di cui, anzi, arresta vari esponenti come rappresaglia per i rinnovati lanci di razzi.

2006: la tragedia del Libano

Hezbollah ("il partito di Dio"), un gruppo estremista islamico armato e finanziato dall'Iran, rapisce alcuni soldati israeliani di pattuglia al confine tra Libano e Israele, e la reazione di Tel Aviv è durissima: un massiccio attacco militare a tutti i luoghi in cui potrebbero nascondersi i militanti Hezbollah, e cioè qualsiasi località del Libano.
I morti arabi sono centinaia (circa un terzo i bambini), Beirut è una città devastata, e il risultato è un rinnovato diffuso odio verso Israele in tutto il mondo arabo, anche fra chi aveva avuto posizioni moderate.
L'Iran sostiene che la soluzione del conflitto può realizzarsi solo con la distruzione di Israele.
L'ONU sembra incapace di svolgere un vero ruolo di pacificazione.





grazie a: Simone Collini http://www.grandinotizie.it/