Indocina è il nome, entrato nell'uso, con cui i colonialisti francesi designavano collettivamente i loro protettorati e possedimenti nella penisola asiatica bagnata dall'Oceano Indiano e dal Mar della Cina (di qui il nome): oggi il Vietnam, il Laos e la Cambogia. Accomunati, oltre che dalla loro collocazione geografica, da stretti vincoli storici, poi, a partire dalla seconda meta del secolo scorso, dalla soggezione ad uno stesso padrone, i popoli di questi paesi hanno conquistato il diritto ali indipendenza negli anni della seconda guerra mondiale con la loro resistenza all'occupazione giapponese e alle autorità di Vichy, ma lo hanno visto immediatamente rimesso in discussione, e sono stati costretti a difenderlo con le armi nel dopoguerra.
La Repubblica democratica vietnamita, proclamata da Ho Ci Minh su tutto il territorio nazionale il 2 settembre 1945, sull'onda dell'insurrezione popolare, fu la punta avanzata della resistenza contro ripetuti interventi colonialisti, guidata in tutto il paese dai comunisti e dagli altri partiti nazionali coalizzati nel « Viet Minh ».
Il conflitto, che si estese ben presto anche al Laos e alla Cambogia, si protrasse con fasi alterne per quasi nove anni e la Francia vi si dissanguò, alla ricerca di un'impossibile vittoria militare. Ne la superiorità numerica, ne le armi moderne, ne i consigli delle missioni militari statunitensi, ne la concessione di una fittizia indipendenza, nell’ambito dell'Unione francese, al regime fantoccio creato a Saigon e ai regimi laotiano e cambogiano, riuscirono a fiaccare la lotta di liberazione.
Nel 1954, la Francia è infine costretta ad accettare una trattativa di pace, che si apre a Ginevra in aprile. Sono presenti anche l'URSS, la Cina, la Gran Bretagna e, nonostante la loro riluttanza, gli Stati Uniti. Il 7 maggio, la piazzaforte francese di Dien Bien Phu, perno della strategia del corpo di spedizione colonialista, è costretta alla resa. Il 21 luglio, la conferenza si chiude con la firma di accordi armistiziali e di una dichiarazione che contiene i principi fondamentali di un assetto pacifico: indipendenza, unità e integrità territoriale del Vietnam, del Laos e della Cambogia, fine di ogni interferenza straniera nei loro affari interni, impegno dei tre paesi a non accogliere basi e a non stringere alleanze militari con potenze straniere. Il meccanismo degli accordi relativi alla pacificazione prevedeva nel Vietnam il raggruppamento delle forze francesi e vietnamite, rispettivamente, a sud e a nord di una linea di demarcazione provvisoria, fino al ritiro delle prime; il divieto di ogni rappresaglia o discriminazione contro cittadini delle due zone, in relazione con attività da loro svolte durante il conflitto, e il rispetto delle libertà democratiche; la preparazione, attraverso consultazioni tra le autorità del nord e quelle del sud, di elezioni generali democratiche per la riunificazione del paese, da tenere nel luglio del 1956. Disposizioni analoghe erano adottate per il Laos e per la Cambogia, con la differenza che, data la diversa dislocazione delle forze al momento dell'armistizio, il raggruppamento di queste ultime non era previsto lungo un'unica linea di demarcazione, tale da tagliare in due il territorio nazionale.
La conferenza di Ginevra si chiudeva, dunque, con una grande e chiara vittoria dei popoli d'Indocina e con un successo non meno grande e non meno chiaro della causa della pace. Il diritto di quei popoli all'indipendenza e all'autodecisione pacifica, senza interferenze esterne, era finalmente e solennemente riconosciuto. Ed era questo il frutto di una conferenza che aveva visto per la prima volta riunite attorno allo stesso tavolo le cinque grandi potenze, compresa, nonostante l'ostracismo statunitense, la nuova Cina.
Per gli stessi motivi, le conclusioni raggiunte furono accolte come un rovescio di prima grandezza dagli Stati Uniti. La tesi sostenuta da questi ultimi, secondo la quale la lotta di liberazione del popolo vietnamita era frutto di una macchinazione del «comunismo internazionale», e, in particolare della Cina, veniva implicitamente ripudiata. Ne Washington poteva avere dubbi - lo stesso presidente Eisenhower lo ammise con candore - sul fatto che le elezioni per l'unificazione del Vietnam avrebbero realizzato quest'ultima nell'ambito della Repubblica democratica, attraverso una votazione plebiscitaria « per Ho Ci Minh ».
Gli Stati Uniti si astennero pertanto dal sottoscrivere gli accordi. Prima ancora che la conferenza si chiudesse, il segretario di Stato, John. Foster Dulles, aveva già lasciato Ginevra per Saigon, dove aveva immediatamente intrapreso i passi necessari a creare, come egli si espresse, le « occasioni future »: ricerca e insediamento, con l'appoggio americano, di una équipe di collaborazionisti, fermamente decisa a respingere la riunificazione, a trasformare la linea di demarcazione provvisoria in frontiera « statale » definitiva, ad aprire le porte del sud alla penetrazione dell'imperialismo americano. Ngo Din Diem, il sinistro tiranno « inventato » dai servizi segreti americani, fu il primo e più zelante esecutore di questo programma, al quale diede il via con una repressione senza precedenti per ampiezza e ferocia. Una lunga teoria di fantocci ne proseguirà l'opera.
Si riaccende così nel Vietnam del sud la lotta contro l'imperialismo e i suoi manutengoli. La dirige, questa volta, un Fronte nazionale di liberazione, fondato nell'ottobre del 1960 da rappresentami di tutti i gruppi politici, patriottici e di tutti gli strati della popolazione sud-vietnamita con la solidarietà della RDV, ma su basi autonome. Ben presto il regime fantoccio comincia ad incassare duri colpi e i suoi protettori ad essere coinvolti sempre più direttamente.
È il presidente Kennedy a trasformare i « consiglieri » americani in reparti combattenti. Dopo di lui, Johnson, sfruttando a fondo l'assegno in bianco rilasciatogli dal Congresso in relazione con le provocazioni del Golfo di Tonkino (agosto 1964) si avvia sulla strada dell'escalation: attacco aereo alla RDV, nel tentativo di isolare il FNL, intervento massiccio nel sud, con un corpo di spedizione i cui effettivi raggiungono e superano, di anno in anno, il mezzo milione di uomini. Ma i suoi calcoli si rivelano vani. La vittoria sfugge ai generali del Pentagono, come era già sfuggita a quelli francesi. Gli orrori della « sporca guerra » provocano nel mondo e negli stessi Stati Uniti una rivolta di coscienze, che costringe Johnson ad arretrare, a rinunciare ai bombardamenti sulla RDV, ad accettare una trattativa con la partecipazione del FNL.
La conferenza si apre, nel marzo del '68, a Parigi, e prende corpo sul finire dello stesso anno. I delegati della RDV e del FNL pongono chiaramente e con fermezza le questioni chiave di una soluzione politica: impegno degli Stati Uniti per il ritiro del loro corpo di spedizione, liquidazione del regime collaborazionista di Saigon, via libera per un governo di coalizione, capace di assicurare al Vietnam del sud un clima democratico in vista dell'autodecisione, senza interferenze esterne. Esigenze che Washington ha tentato e tenta di eludere.
II presidente Nixon persegue, come il suo predecessore, una « soluzione » che lasci il sud sotto il controllo americano, e condiziona una riduzione dell'impegno diretto degli Stati Uniti all'assunzione di un impegno pieno da parte di Saigon (la cosiddetta « vietnamizzazione ».
Egli ha esteso il conflitto al Laos, dove gli intrighi della CIA avevano da tempo mandato a vuoto la pacificazione e costretto le forze popolari a riprendere le armi, e alla Cambogia, dove gli agenti americani hanno estromesso, nel marzo del '70, il capo dello Stato, Norodom Sihanuk, per insediare al suo posto un fantoccio.
I popoli d'Indocina hanno reagito rinsaldando i loro vincoli di lotta: la RDV, i combattenti sud-vietnamiti - che nel giugno del '69 hanno dato vita ad un Governo rivoluzionario provvisorio - quelli cambogiani e quelli laotiani sono oggi uniti, per la prima volta nella loro storia, su un unico fronte, per conquistare un avvenire comune.
da: Almanacco PCI 71
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