La rivolta antifrancese in Vietnam Negli stessi anni in cui si combatteva la guerra di Corea (1950-3), un'altra regione dell'estremo oriente asiatico, il Vietnam, era attraversata da un conflitto di dimensioni sempre più ampie, che contrapponeva le forze nazionalcomuniste del Vietminh (Lega per l'indipendenza del Vietnam) a quelle della potenza coloniale francese. L'origine delle tensioni risaliva al 1945. Il Vietnam è una lunga striscia di terra affacciata sul Mar Cinese Meridionale, tradizionalmente divisa nei regni di Cocincina a sud , dell'Amman al centro e del Tonchino a nord: le due aree pianeggianti del delta del fiume Rosso, a nord, e del delta del Mekong, a sud, sono le sedi dei maggiori centri abitati. Nel corso del XIX secolo la Francia aveva conquistato la regione e l'aveva ridotta ad una colonia, unita al Laos e alla Cambogia nella Federazione dell'Indocina francese. Già nei primi decenni del '900 in Vietnam erano sorti diversi gruppi nazionalisti che si battevano per la liberazione del Paese dal dominio coloniale, ma l'impulso decisivo alla lotta doveva venire dagli avvenimenti della seconda guerra mondiale. Le sconfitte subite dalla Francia in Europa aveva avuto come contraccolpo l'isolamento delle colonie e i Giapponesi si erano potuti insediare facilmente in Indocina pur mantenendo l'amministrazione dei funzionari francesi. A questo periodo risale l'unione di diversi gruppi nazionalisti locali nel Vietminh, movimento che riuscì a colmare il vuoto di potere creatosi nel 1945 in seguito alla sconfitta giapponese. Il movimento guidato da Ho Chi Minh aveva proclamato il 2 settembre di quell'anno la Repubblica Democratica del Vietnam, controllando il nord del Paese e chiamando contemporaneamente il sud del Paese all'insurrezione anticoloniale. Questa iniziativa si era scontrata con le grandi potenze internazionali, decise a ridisegnare i confini del mondo senza tenere conto dei movimenti di liberazione nazionale. Per il Vietnam alla conferenza di Potsdam (tenutasi nel luglio 1945 fra le potenze vincitrici principalmente per definire l'assetto politico della Germania): era stato approvato un piano che stabiliva l'occupazione cinese nel nord del Paese e il progressivo sostituirsi dei francesi alle truppe britanniche nel sud. Il quadro si era fatto così estremamente complesso: il governo di Ho Chi Minh che al nord doveva convivere con l'occupazione cinese, e che al sud fomentava una guerriglia anti-francese, stretto fra due opposte minacce e trovatosi di fronte al rifiuto di aiuti sia da parte americana che russa, non poté fare a meno di optare per una trattativa con i francesi, che garantisse il riconoscimento del suo governo nelle regioni settentrionali (pur con i vincoli di un protettorato) e portasse contestualmente al ritiro delle truppe cinesi. La scelta non mancava di realismo politico: l'occupazione cinese avrebbe significato presto o tardi l'annessione diretta a Pechino, chiudendo ogni possibile strada all'indipendenza; la presenza francese avrebbe invece costituito un male transitorio, destinato a concludersi con il prossimo e ineluttabile crollo degli imperi coloniali europei. Le aperture di Ho Chi Minh avevano trovato consenso sia nell'ambiente politico francese, consapevole delle difficoltà militari insite in una guerra combattuta nella giungla vietnamita, sia in ambito cinese; la Cina nazionalista di Ciang Kai-Shek aveva ben altre difficoltà per la guerra civile contro Mao Zedong e avrebbe rinunciato all'occupazione del Vietnam in cambio di alcune concessioni dei francesi sul controllo di alcuni porti cinesi. Si giunse così ad un accordo siglato a Parigi nel 1946 in base al quale, in seguito al ritiro cinese, i francesi riconoscevano il governo di Ho Chi Minh, ottenendo in cambio varie prerogative economiche e l'invio di venticinquemila soldati nel Tonchino per i cinque anni successivi. La fragilità dell'accordo era implicita nella stessa formulazione, che prendeva un'ambigua commistione di indipendenza nazionale, di divisione artificiosa del Paese e di presenza straniera, ma, ancor più, era condizionata dai problemi interni della Quarta Repubblica Francese. La precaria situazione politica della Francia aveva portato ad una continua oscillazione fra la fermezza e il negoziato nei rapporti politici internazionali, specie con i territori dell'impero coloniale in disgregazione; con l'insediamento di un governo di centrodestra erano stati riproposti i temi della grandeur e della mission civilisatrice, rispetto ai quali la sinistra francese non era ovviamente d'accordo. In questa atmosfera, la notizia di uno scontro fra soldati del Vietnam e una guarnigione francese avvenuto il 18 novembre scatenava la reazione militare: il 23 successivo il porto di Haiphong, a pochi chilometri da Hanoi veniva bombardato causando oltre 6000 vittime tra i civili. Le truppe corazzate e le unità di fanteria puntarono quindi sulla capitale, ingaggiando una battaglia casa per casa che durò per tutto il mese di dicembre. All'inizio del 1947 il Vietminh era costretto a ritirarsi sulle montagne del nord-est e nelle paludi a sud del fiume Rosso, dove continuarono l'esperienza della Repubblica democratica. Per assicurare un assetto del territorio che garantisse insieme il potere della madrepatria e il consenso dei nazionalisti più moderati la Francia creò due regimi satelliti: la Repubblica di Cocincina con a capo Nguyen Van Xuan (un vietnamita filofrancese) e il Vietnam vero e proprio guidato dall'imperatore Bao Dai, discendente debole e corrotto di un'antica dinastia locale. Parigi riconosceva formalmente ai due stati l'indipendenza e prometteva una prossima unificazione, ma continuava a tenere il controllo dell'esercito, delle finanze, della politica estera. Il vero interlocutore dei francesi, il Vietminh, aveva così buon gioco a marchiare Xuan e Bao Dai come "burattini" e a delegittimare i loro governi collaborazionisti (la cui inefficienza e corruzione, d'altra parte, alienava di per sé il favore popolare). Il futuro del Vietnam non poteva essere legato alle astuzie diplomatiche di una potenza coloniale in declino, ma passava attraverso una lunga guerra di liberazione nazionale, per la quale Ho Chi Minh e Giap capo dell'esercito ribelle preparava le proprie basi nel Tonchino settentrionale. La guerriglia del Vietminh Di fronte alla crisi indocinese gli USA avevano sempre mantenuto un atteggiamento neutrale, mutato solo in seguito alla Guerra in Corea. In seguito al loro intervento in Oriente gli americani avevano rivisto la loro politica nell'area, anche il seguito al supporto che URSS e Cina avevano fornito ai guerriglieri del Vietminh, incominciando a fornire aiuti logistici e militari alle truppe francesi. Queste erano vittime di sporadici attacchi della guerriglia nazionalista, che, forte dell'appoggio materiale e morale della popolazione e della conoscenza del territorio, stava fondando ùampio respiro. Nel settembre 1950 il comandante delle forze vietnamite, il leggendario generale Giap, attacca e conquista le postazioni francesi al confine cinese, assicurandosi una migliore via per i rifornimenti e spinge l'offensiva verso i maggiori centri abitati (1951), strenuamente difesi dalle truppe di Jean de Lattre de Tassigny, fautore di una resistente linea di difesa sul delta del fiume Rosso intorno ad Hanoi. Più successo ha l'offensiva dei ribelli nel Laos dove le truppe francesi, colte impreparate, vengono sconfitte (1952-1953).
L' Indocina nel primo dopoguerra Il generale Henri Navarre, dal maggio 1953 nuovo comandante delle forze francesi in Indocina, decise allora un'azione a vasto raggio, che avrebbe dovuto rivelarsi risolutiva. L'iniziativa militare era sollecitata da molta parte dell'opinione pubblica francese in seguito ai 90.000 caduti e a nuovi tensioni in Algeria, dove di lì a poco sarebbe esplosa la guerra d'indipendenza (1954-1962). La strategia del generale Navarre era ambiziosa: sfruttare il dominio incontrastato del cielo per organizzare un grande centro di resistenza che avrebbe dovuto bloccare le iniziative del Vietminh sul confine del Laos e permettere incursioni nelle retrovie nemiche; la zona prescelta era la località di Dien Bien Phu, nella vallata del fiume Nam Hou (Tonchino nord-occidentale), a quasi 300 chilometri da Hanoi. Quando la località fosse stata opportunamente attrezzata, Navarre avrebbe fatto partire un attacco simultaneo da Dien Bien Phu, a nord, e dal delta del fiume Rosso, a sud, per imbottigliare le forze della guerriglia e sgominarle. Dien Bien Phu Il 20 novembre 1953 i primi paracadutisti venivano lanciati a Dien Bien Phu, subito seguiti da altre unità mobili del corpo di spedizione: dopo aver rastrellato la zona e potenziato due campi di atterraggio esistenti perché potessero ricevere i C-47 da trasporto, i francesi trasformarono la posizione in un campo fortificato con reticolati, zone minate, ricoveri di ogni tipo. Nel gennaio successivo la valle era coperta da una serie di capisaldi ugualmente fortificati: in tutto, Dien Bien Phu ospitava circa 12.000 soldati, dotati di numerosi pezzi di artiglieria, carri armati leggeri e alcuni cacciabombardieri. Sulla carta, si trattava di una forza formidabile, in realtà l'ottimismo dei francesi cozzava con la distanza delle basi di rifornimento (totalmente dipendenti dal trasporto aereo) e con l'impossibilità di controllare adeguatamente le colline sovrastanti la pianura. Ma, soprattutto, il generale Navarre non aveva tenuto in debito conto il carattere di "guerra di popolo" del conflitto indocinese. Giap, che dallo studio dell'esperienza cinese aveva ricavato l'indicazione strategica di concentrare le proprie forze contro un solo settore del dispositivo militare avversario, lasciò pressoché sguarnita la zona del delta per ammassare a Dien Bien Phu oltre 50.000 uomini. Il dispiegamento di queste forze nelle colline che sovrastavano le fortificazioni francesi avveniva attraverso un complesso sistema di gallerie e di trincee scavate con pale e picconi dai guerriglieri e dalla popolazione civile: si trattava di un lavoro capillare e metodico, diventato l'emblema stesso della guerra di popolo vietnamita, che permetteva all'esercito guerrigliero di spostare uomini armati e artiglierie senza che il nemico percepisse le dimensioni esatte di quanto stava accadendo. L'assedio di Dien Bien Phu Il 13 marzo 1954, dopo tre mesi impiegati a completare lo spiegamento, i guerriglieri del Vietminh passavano dall'assedio all'assalto: mentre gli obici nascosti nella boscaglia colpivano le piste dei due aeroporti, impedendo l'arrivo di rinforzi e isolando la guarnigione, gli uomini di Giap stringevano all'interno del campo i francesi, avvicinandosi attraverso le gallerie e portando sempre più aventi i loro pezzi di artiglieria. Mentre il crollo militare a Dien Bien Phu si faceva imminente, altri focolai di guerriglia si sviluppavano nell'Indocina francese, guidati da movimenti di ispirazione comunista e appoggiati dal Vietminh: nel Laos il Patet Lao e in Cambogia i liberi Khmer. Di fronte alla prospettiva di una completa resa politica e militare, Parigi cercava di ottenere l'intervento americano e chiedeva a Washington incursioni aeree notturne contro il perimetro Vietminh, condotti con i bombardieri dislocati nelle basi delle Filippine. Gli USA, che pochi mesi prima avevano concluso la guerra di Corea con una soluzione diplomatica, erano però perplessi di fronte ad un nuovo intervento militare, tanto più che la Cina avrebbe potuto intervenire a sostegno del Vietminh, come aveva fatto la Corea del Nord, riproponendo il rischio di una generalizzazione del conflitto. Ancor più freddi si dimostravano gli inglesi, per i quali il problema indocinese doveva essere risolto in una conferenza di pace. Senza il sostegno dell'aviazione americana, il destino dei francesi era segnato: mentre la diplomazia internazionale convocava a Ginevra un'apposita conferenza sull'Indocina, a fine aprile Giap ordinava l'attacco finale e nel pomeriggio del 7 maggio la bandiera del Vietminh veniva issata sul bunker di Dien Bien Phu, nel quale si trovava il comando francese. In tre mesi di battaglia, i francesi avevano perso oltre 7.000 uomini e il Vietminh 20.000. La conferenza di pace a Ginevra Lo stesso giorno in cui Giap, con una sapiente regia, conquistava Dien Bien Phu, si incontravano a Ginevra le delegazioni di nove Paesi: erano presenti le cinque maggiori potenze (Francia, Gran Bretagna, Cina, Stati Uniti, Unione Sovietica), il Laos, la Cambogia, e i rappresentanti del Vietminh e del regime di Bao Dai. Come per la Corea, le trattative procedevano con lentezza e infruttuosamente, mentre la guerra continuava e i guerriglieri conquistavano nuove posizioni avanzando verso il sud del Vietnam. La svolta si ebbe a metà luglio, dopo che a Parigi era diventato primo ministro il socialista Pierre Mendés-France, uno dei più convinti assertori di una soluzione diplomatica della crisi. Il premier francese trovò un'intesa con il capo delegazione e ministro degli Esteri cinese, Chou En Lai, che aveva tre obiettivi precisi: in primo luogo trovare un accordo che togliesse ogni pretesto di intervenire in Cina; frammentare il Sud-est asiatico in modo da influenzare la vita dei singoli Sati, secondo una tradizione consolidata della politica estera di Pechino; infine, dimostrare moderazione nel sostegno al Vietminh, legittimando il governo comunista cinese agli occhi dell'India, dell'Indonesia e degli altri Paesi non allineati dell'Asia. Per Mendés-France, invece, si trattava di giungere a una conclusione nei tempi più stretti possibili: qualsiasi concessione egli avesse ottenuto, sarebbe stato comunque un passo avanti rispetto agli insuccessi dei militari. Gli USA da parte loro, erano reduci dell'esperienza della Corea e, pur temendo la prospettiva di un'Indocina prossima preda del comunismo, erano favorevoli ad una situazione transitoria che limitasse i danni. Gli incontri per la pace In questo quadro, maturava la decisione di dividere il Vietnam in due stati, fissando la linea di confine sul 17° parallelo: il Vietminh avrebbe governato la parte settentrionale, mentre nella parte meridionale sarebbe rimasto al potere il regime di Bao Dai e del suo nuovo primo ministro, Ngo Dinh Diem. Entro due anni una consultazione elettorale avrebbe deciso il destino dei due Paesi. L'accordo deludeva sia il Vietminh, che nel negoziato guadagnava meno di quanto avesse conquistato in combattimento, sia il regime di Bao Dai, che guardava con preoccupazione al disimpegno francese, ma la logica delle grandi potenze aveva la forza dei condizionamenti politici e militari. Il 12 luglio 1954, dopo nove anni di guerra e la morte di 400.000 tra militari e civili, si arrivava alla firma del cessate il fuoco e al nuovo assetto dell'intera regione: Vietnam del nord (con capitale Hanoi), Vietnam del sud (con capitale Saigon), Laos e Cambogia erano riconosciuti Stati indipendenti e sovrani e il dominio coloniale francese in Indocina aveva ufficialmente termine. Gli insegnamenti del conflitto erano chiari: l'epoca del colonialismo era tramontata e le potenze europee non potevano conservare i propri domini d'oltremare; in secondo luogo i regimi collaborazionisti, affidati ad una classe dirigente corrotta ed inefficiente, erano inadeguati al controllo del Paese e risultavano delegittimati di fronte a movimenti di liberazione filocomunisti, impegnati sul terreno fondamentale della riforma agraria. E poi una "guerra rivoluzionaria di popolo", combattuta nel particolare ambiente della giungla, non poteva essere contrastata efficacemente dagli eserciti tradizionali, costretti a disperdersi in centinaia di teatri locali e a scontare le difficoltà di rifornimento e trasporto. Il nuovo assetto del Vietnam vedeva dunque l'abolizione della monarchia nel Sud e la proclamazione di una repubblica presidenziale con a capo Ngo Dinh Diem, di fatto una dittatura appoggiata dagli USA. Nel Nord Ho Chi Minh ristabilì la repubblica democratica di ispirazione comunista, con capitale Hanoi.
Prevedendo un rapido crollo del regime del sud, nel 1960 il presidente americano J.F. Kennedy aumenta l'impegno militare nel V., con l'invio di materiali e di consiglieri. Kennedy, in realtà, non intendeva intervenire in forze, ma subito dopo il suo assassinio (1963) Lyndon Johnson diede il via all'escalation, cioè all'invio sempre più massiccio di truppe; la CIA organizzò il colpo di stato che portò alla cacciata di Ngo Dinh e all'instaurazione di una dittatura militare presieduta dal generale Van Thieu e controllata direttamente dagli USA. Il corpo di spedizione USA divenne estremamente consistente e tra il '66 e il '67 iniziarono i bombardamenti aerei sul V. del Nord. Nel 1968, in occasione del capodanno vietnamita, il Tet, vi fu una formidabile offensiva dei vietcong, che indusse la Casa Bianca a sospendere i bombardamenti aerei sul V. del Nord e ad accettare l'avvio a Parigi dei negoziati di pace, mentre negli USA e poi in tutto il mondo dilagava la protesta contro la guerra. Gli USA cercano dunque di far subentrare alle proprie forze l'esercito sudvietnamita, ma il regime fantoccio, corrotto e sanguinario, non aveva palesemente la forza, militare e politica, per sostenere da solo lo scontro con l'FLN e così l'attività delle forze americane assume nuovamente un ruolo centrale. Ai colloqui di Parigi partecipa il Governo Rivoluzionario Provvisorio (GRP) sorto nel Sud in opposizione a quello di Saigon e nel 1973 viene siglato un protocollo di pace, che tuttavia non pose fine alla guerra: vi fu anzi un'intensificazione dei bombardamenti aerei, con l'intenzione di condizionare fortemente il futuro assetto politico. L'FLN risponde con una massiccia offensiva su tutti i fronti che mette in serie difficoltà gli USA e provoca il crollo dell'esercito sudvietnamita: ormai la sorte della guerra è segnata, e lo sforzo finale dei vietcong porta alla loro occupazione di Saigon e alla definitiva liberazione del Paese (1975). Per la prima volta gli USA escono sconfitti da una guerra: il piccolo popolo vietnamita ha battuto il gigante americano. L'anno successivo viene proclamata la Repubblica Socialista del Vietnam con capitale Hanoi, e Saigon viene ribattezzata Città Ho Chi Minh.
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