Dalla rivolta dei boxer alla fine dell'impero


221 a.C.: i vari stati della regione cinese vengono unificati in un unico regno: Qin è il primo imperatore della Cina, ed a lui si devono sia l'inizio dei lavori di una colossale opera difensiva che
avrebbe dovuto proteggere da invasioni nemiche, la Grande Muraglia, sia l'allestimento di quella meraviglia conosciuta come l'esercito di terracotta.
Si susseguirono varie dinastie, fino a che nella seconda metà del 1200 Gengis Khan conquistò la Cina: il dominio mongolo durò circa un secolo, ma la vastità dell'impero indusse i conquistatori ad abbandonare il paese; la dinastia Ming, derivata dai mongoli, governò fino al 1644, quando i Manciù invasero la Cina, dando inizio all'ultima dinastia imperiale, i Qing.



Per secoli la Cina non sentì alcun bisogno di stringere contatti con altri popoli: i cinesi definivano il proprio paese Zhongguo, "il centro", ovvero il cuore della civiltà, in contrapposizione a terre dominate da ignoranza e disordine; non si tratta di una peculiarità cinese, perché in molte zone del pianeta vari popoli addirittura non avevano una parola per indicare "gli altri" e definivano se stessi semplicemente "gli uomini".

Nel periodo delle grandi esplorazioni degli europei nei remoti territori d'Oriente, sia mercanti che missionari gesuiti ebbero numerosi contatti coi cinesi, ma si può dire che lo scambio culturale non fu effettivamente tale, perchè gli occidentali acquisirono alcune importanti invenzioni cinesi (bussola, polvere da sparo, stampa) ma non convinsero assolutamente i cinesi a dare uno sbocco pratico - militare e tecnologico - a questi successi dell'ingegno: prerogativa europea, dunque, furono l'uso combinato di vele oceaniche e cannoni, e la lavorazione dell'acciaio, gli elementi fondamentali che portarono l'Europa a dominare il mondo.
Il tentativo della Cina di preservare il proprio splendido isolamento non potè resistere alla penetrazione occidentale, irresistibile sia per la superiorità tecnologica sia per lo spirito che animava gli europei: nel '700, e soprattuto nei due secoli successivi, gli eserciti che si scontravano regolarmente svilupparono nuove regole di comportamento: i prigionieri non venivano (quasi) più uccisi, il saccheggio delle città conquistate ed il massacro delle popolazioni vennero gradatamente considerati inaccettabili. Ma tutto ciò valeva per i territori "civili" (cioè cristiani), e non poteva certo applicarsi nei confronti di popoli "selvaggi". Quindi il comportamento delle truppe inglesi, e di altre nazioni, fu sempre brutale, spietato, ed ogni impresa o conquista veniva salutata dai giornali europei e americani come un passo avanti della "civiltà" rispetto all'arretratezza dei "barbari".

Sotto questo aspetto in Cina non vi furono eccezioni e due momenti particolarmente drammatici consolidarono questo razzismo eurocentrico: le guerre dell'oppio e la rivolta dei boxer.

Le vastissime aree in cui crescevano i papaveri fornirono ai mercanti europei un'opportunità straordinaria per la coltivazione ed il commercio dell'oppio, e naturalmente la Cina si presentava come un mercato immenso. Quando le autorità cinesi decisero di porre fine a questa piaga gli europei reagirono come se venisse messa in discussione una fondamentale libertà di commercio, e la Compagnia britannica delle Indie orientali ricevette il poderoso aiuto delle armi: le due guerre di metà '800 furono disastrose per i cinesi, e va sottolineato come la stampa occidentale desse un'interpretazione dei fatti completamente rovesciata, quasi che i civili europei fossero impegnati in una crociata contro l'abominevole uso dell'oppio fatto dagli orientali senza Dio.
Analogamente, sia nell'ultimo, caotico, periodo dell'impero, sia nei successivi anni di guerre continue (rivoluzione repubblicana, scontri fra i vari signori della guerra, conflitto tra nazionalisti e comunisti), l'atteggiamento europeo non mutò: tutto era permesso per preservare la civiltà, ovvero gli interessi occidentali, e questa visione non ebbe fine nemmeno con la rivoluzione socialista, anzi fu rafforzata con lo scopo di offrire del comunismo un'immagine spaventosa: un (bel) film del 1966, Quelli della San Pablo, riprende tutti i clichè tipici soprattutto del cinema americano.


La Cina fu non solo sconfitta, ma umiliata dalla facilità con cui gli europei ebbero la meglio; e negli anni seguenti i cinesi si mostrarono totalmente impotenti a contrastare la penetrazione occidentale sorretta da una formidabile superiorità tecnologica e militare: le cannoniere erano sempre pronte ad aprire il fuoco ad ogni minima resistenza cinese. Gli europei non occuparono la Cina come avevano fatto con quasi tutto il resto del mondo ma la controllavano a tutti gli effetti e si erano spartiti fra loro le zone di influenza.
Molti intellettuali cinesi si chiesero a cosa avrebbe portato tutto ciò e si crearono due scuole di pensiero: bisognava tornare a Confucio ma con un rilettura che, molto prudentemente, in qualche modo tenesse conto degli elementi di novità portati dagli stranieri; altri, invece, premevano per una decisa integrazione con l'Occidente, sul modello applicato in Giappone.

E fu proprio in seguito alla sconfitta del 1894 contro i Giapponesi che i riformatori sembrarono avere la meglio nella direzione di avviare la Cina sulla via della modernità: furono emanati un gran numero di decreti "modernisti", ma il processo fu eccessivamente rapido, troppi interessi vennero messi in discussione, e tutto si bloccò. Si chiudeva la possibilità di una riforma dall'alto, così com'era accaduto in Giappone, e la Cina rimase estranea al XX secolo.

Il tentativo di riforma era stato sconfitto e la Cina era tornata all'ordine tradizionale, ma i problemi pendenti, ed in particolare i problemi posti dalla penetrazione straniera, non erano stati risolti ed anzi esigevano un'iniziativa, quale che essa fossse, per troncare la spartizione di fatto del paese, accelerata dallo stesso fallimento del movimento di riforma.
La scintilla che provocò il nuovo episodio di lotta tra cinesi e stranieri fu di origine polare-contadina: la penetrazione tedesca nella provincia dello Shantung era stata concomitante al dilagare dell'influenza missionaria , sempre tedesca, in questa zona.
A questi due fenomeni si era aggiunta, per circostanza climatiche occasionali, una grave carestia. La regione era tradizionalmente contraddistinta da relazioni rurali tese ed era stata profondamente penetrata da società segrete assai attive (ed in armi) fino a poco tempo prima. Lo scontro tra questo ambiente di ribellismo rurale e di lotte contadine irrazionali ed i missionari tedeschi (che ebbero la mano molto pesante, soprattutto nelle transazioni economiche e nell’acquisto di beni per le missioni fu molto violento. In un primo momento la componente anticristiana ed antioccidentale del movimento coincise con la componente rivoluzionaria rurale: gradualmente prese piede nelle campagne un’agitazione contadina armata, nata dalle società segrete. In essa erano presenti vive esigenze di trasformare il regime di proprietà e rigidi atteggiamenti di chiusura nei confronti della penetrazione occidentale e del cristianesimo in particolare.
Quasi mezzo secolo di dominio straniero aveva rovesciato, rispetto al tempo dei T'aip’ing, l’atteggiamento dei movimenti popolarianti padronali verso il cristianesimo ed aveva generato quella violenta pregiudiziale, anticristiana in generale ed antimissionaria in specie, che avrebbe accompagnato poi tutti i movimenti di massa nel corso della rivoluzione cinese.
Benché fin dall’inizio l’organizzazione di questa nuova rivolta armata apparisse di gran più gracile di quella dei T’ai-p’ing, la Corte si rese conto del pericolo rappresentato dal fattore sociale del nuovo movimento che - con un’impropria traduzione del termine cinese Yi Ho Tuan - fu conosciuto in Occidente come movimento dei «pugilatori», o dei Boxers.
Gli elementi conservatori, antimodernisti (e quindi antioccidentali) della Corte videro la possibiltà di servirsi della componente anticristiana ed antioccidentale del movimento, soffocandone l’esigenza eversiva sociale. Ci furono certamente contatti e trattative di fatto tra funzionari ufficiali e vari dirigenti delle società segrete che erano all’origine del movimento dei Boxers, diffusosi in breve tempo dallo Shantung alle vicine province della Cina settentrionale: bande di alcune centinaia di aderenti alle società segrete, armati più o meno sommariamente, in queste regioni compivano colpi e assalti contro le sedi dei missionari, sterminando in particolare i cinesi convertiti al cristianesimo. Gradualmente, all’inizio del 1900 vennero prevalendo a Corte gli elementi favorevoli ad allearsi al movimento Yi Ho Tuan sia per sfruttarlo in senso antioccidentale, sia per controllarlo. Questo allineamento - caldeggiato personalmente dall’imperatrice Tz’u-hsi - finì di compiersi nella primavera del 1900.
Il motto Yi Ho Tuan che era stato «Contro la dinastia, scacciate gli stranieri» divenne allora «Viia la dinastia, scacciate gli stranieri».


Le potenze, e cioè la Gran Bretagna, la Francia, gli Stati Uniti, il Giappone, la Russia, la Germania e anche l’Italia - nonostante il recente clamoroso smacco del tentativo italiano di ottenere una concessione, rifiutata dalla dinastia cinese - cominciarono ad inviare forze navali a Taku e a spingere piccoli distaccamenti verso il quartieri delle Legazioni di Pechino, quando le truppe Y Ho Tuan erano arrivate alla capitale, massacrando numerosi cinesi convertiti.
L’invio di queste forze straniere fece precipitare la tensione tra la Corte e il complesso dei governi stranieri. Il 20 giugno il ministro tedesco a Pechino von Ketteler fu ucciso in strada mentre si recava a portare un ultimatum al ministero degli esteri: l’indomani il governo cinese dichiarò guerra al complesso delle potenze e cinse d’assedio il quartiere delle Legazioni, dove si era rifugiata una parte degli stranieri residenti a Pechino.
Questo assedio, durato circa sei settimane, con una totale interruzione delle comunicazioni col mondo esterno (gli assediati furono ritenuti tutti massacrati dai cinesi, dato che molti stranieri erano stati uccisi effettivamente in altre province della Cina settentrionale, per un totale di circa 250, che si aggiungeva alle parecchie migliaia di cinesi convertiti), emozionò profondamente l’opinione pubblica dei paesi imperialisti, che ravvisò nella lotta degli assediati una prova del valore morale e della capacità di resistenza delll’uomo bianco di fronte alle barbarie: in effetti se il quartiere delle Legazioni resistette ciò non si dovette alle poche signore inglesi o americane che si fecero fotografare mentre stavano di sentinella sui muri di cinta, ma soprattutto ai numerosi militari giapponesi che erano accreditati presso l’ambasciata del loro paese.


All'inizio del '900, dunque, il prestigio imperiale era compromesso: una donna, cosa inaudita, governava da una posizione di potere che aveva raggiunto con oscure manovre: come meravigliarsi che non fosse in grado di opporsi agli stranieri? A Corte vi erano pareri diversi sui boxer, anche perché essi rappresentavano una doppia incognita: potevano innescare una rivolta contro la Corte e in particolare contro Cixi, ma, d'altra parte, potevano anche essere l'unico mezzo per indurre gli europei a più miti pretese intimorendoli con lo spettro di una rivolta generale e incontrollabile. La reggente Cixi pensò di poter affrontare questa complessa emergenza come aveva gestito tante crisi di palazzo, ma non valutò adeguatamente la reazione europea e la situazione sfuggì completamente al suo controllo

Nella crisi dei boxer le potenze coinvolte erano quelle che avevano ottenute delle "concessioni" cioè dei punti di appoggio per i loro interessi e commerci: Inghilterra, Francia, Russia, Germania, Austria-Ungheria, Italia, Stati Uniti e Giappone, ciascuna delle quali aveva un suo atteggiamento particolare. La Francia si era impadronita dell'Indocina (che era stata un protettorato cinese) e inoltre aveva garantito la libertà di culto dei cristiani, imponendo un trattato alla Cina dopo che nel 1860 le sue truppe avevano occupato Pechino. Gli inglesi con la guerra dell'oppio erano per primi entrati in Cina e avevano i maggiori interessi in essa. La Russia confinava per migliaia di chilometri con la Cina, alla quale aveva strappato ampi territori. La Germania non aveva alcuna tradizione coloniale ma da alcuni anni aveva cominciato a crearsi proprie colonie in Africa. L'Austria-Ungheria era in una situazione analoga alla Germania. L'Italia aveva anch'essa avviato una politica coloniale ed aveva addirittura aspirazioni imperiali, ma disponeva di scarsi mezzi. In una posizione ancora diversa si trovavano gli USA: si definivano contrari al colonialismo, tuttavia, in seguito alla guerra con la Spagna (1898), avevano assunto il controllo delle Filippine e comunque il loro sviluppo economico li portava inevitabilmente a porsi come protagonisti sulla scena mondiale al pari delle vecchie potenze europee; contemporaneamente avevano anche una tradizione isolazionista e non si trovavano in sintonia con tutte le altre nazioni con appetiti imperiali. Il Giappone, che aveva sconfitto la Cina qualche anno prima, sviluppava una politica coloniale molto aggressiva e in ciò si affiancava alle potenze europee.
Si andava, dunque, delineando quella nuova situazione in cui il colonialismo classico avrebbe lasciato il posto a nuove forme di penetrazione economica e di dominio: l'epoca dell'imperialismo, lucidamente analizzata nel 1916 da Lenin.



Le truppe che avevano occupato Pechino non si posero il problema di capire cos'era successo realmente: tutti i cinesi erano considerati responsabili e dovevano essere puniti severamente. Il kaiser Guglielmo dichiarò: "Non fate prigionieri... il nome della Germania dovrà diventare famoso come quello di Attila; che nessun cinese osi più guardare negli occhi un tedesco."
I soldati si abbandonarono a massacri indiscriminati e in ciò si distinsero i cosacchi e i Cepoys dell'esercito inglese. Templi e palazzi furono incendiati, i saccheggi coinvolsero banche e case private, e nelle province dove si erano avuto persecuzioni anti-cristiane si attuarono rappresaglie sommarie anche in zone del tutto estranee alle vicende. Il terrore dilagava in tutta la Cina, e il risentimento verso i "diavoli stranieri" divenne odio totale.
Gli occidentali imposero una pace umiliante, vincolata al pagamento di un'indennità colossale, e per garantirsi che venisse effettivamente pagata assunsero il controllo delle dogane e delle attività più redditizie, come le miniere e le piantagioni.
Cixi riprese formalmente il potere, che gestì assistendo passivamente alla rovina del paese fino alla sua morte, avvenuta nel 1908. Poco prima aveva nominato come erede un altro bambino, Pu Yi, l'ultimo imperatore.

Dopo appena tre anni, nel 1911, il malcontento nei confronti del potere imperiale si trasformò in una vera e propria rivoluzione e il generale Yüan Shih-k'ai, incaricato dalla Corte di attuare la repressione dei, consigliò invece l'abdicazione (febbraio 1912): con la fine della dinastia Manciù il millenario impero cinese scomparve per sempre.



Come si è già detto, Europa e Stati Uniti avevano fortemente influenzato l'opinione pubblica, diffondendo la convinzione che l'intervento militare fosse indispensabile per difendere i cristiani perseguitati e le ambasciate prese d'assedio: il piccolo corpo di spedizione aveva con gran valore piegato l'immensa Cina. I saccheggi, i massacri e le ruberie operate dagli europei passarono sotto silenzio, e comunque tutto era permesso pur di difendere la civiltà.
In Cina, ovviamente, la cosa apparve sotto luce ben diversa: i "diavoli stranieri" avevano approfittato della debolezza e della complicità di una Corte indegna, guidata da un'usurpatrice corrotta, si erano massacrati innocenti, incendiato templi e capolavori architettonici, saccheggiato e rubato dovunque. I cinesi cristiani erano traditori, alleati con i nemici e la loro persecuzione un fatto marginale, e i boxer erano eroici patrioti.

Enorme fu la responsabilità del potere imperiale, che non colse minimamente la situazione: Cixi pensò di poter gestire la crisi come fosse un intrigo di palazzo, senza capire che il destino della Cina non si giocava più nell'ambito della Corte. Ma la vera e profonda causa di questa e delle tante altre crisi che la precedettero e la seguirono fu un'altra: l'incapacità della classe dirigente cinese di avviare il paese sulla via della modernizzazione (inevitabile, comunque la si giudichi), com'era avvenuto negli stessi anni in Giappone. Quel paese, infatti, si aprì al moderno e da potenziale colonia divenne un paese colonialista, entrò nel club dei grandi, e sconfisse anche uno stato europeo, la Russia, nel 1905.
La Cina rifiutò la modernizzazione e fu messa in ginocchio.