Per secoli la Cina non sentì alcun bisogno di stringere contatti con altri popoli: i cinesi definivano il proprio paese Zhongguo, "il centro", ovvero il cuore della civiltà, in contrapposizione a terre dominate da ignoranza e disordine; non si tratta di una peculiarità cinese, perché in molte zone del pianeta vari popoli addirittura non avevano una parola per indicare "gli altri" e definivano se stessi semplicemente "gli uomini". Nel periodo delle grandi esplorazioni degli europei nei remoti territori d'Oriente, sia mercanti che missionari gesuiti ebbero numerosi contatti coi cinesi, ma si può dire che lo scambio culturale non fu effettivamente tale, perchè gli occidentali acquisirono alcune importanti invenzioni cinesi (bussola, polvere da sparo, stampa) ma non convinsero assolutamente i cinesi a dare uno sbocco pratico - militare e tecnologico - a questi successi dell'ingegno: prerogativa europea, dunque, furono l'uso combinato di vele oceaniche e cannoni, e la lavorazione dell'acciaio, gli elementi fondamentali che portarono l'Europa a dominare il mondo. Le vastissime aree in cui crescevano i papaveri fornirono ai mercanti europei un'opportunità straordinaria per la coltivazione ed il commercio dell'oppio, e naturalmente la Cina si presentava come un mercato immenso. Quando le autorità cinesi decisero di porre fine a questa piaga gli europei reagirono come se venisse messa in discussione una fondamentale libertà di commercio, e la Compagnia britannica delle Indie orientali ricevette il poderoso aiuto delle armi: le due guerre di metà '800 furono disastrose per i cinesi, e va sottolineato come la stampa occidentale desse un'interpretazione dei fatti completamente rovesciata, quasi che i civili europei fossero impegnati in una crociata contro l'abominevole uso dell'oppio fatto dagli orientali senza Dio.
Molti intellettuali cinesi si chiesero a cosa avrebbe portato tutto ciò e si crearono due scuole di pensiero: bisognava tornare a Confucio ma con un rilettura che, molto prudentemente, in qualche modo tenesse conto degli elementi di novità portati dagli stranieri; altri, invece, premevano per una decisa integrazione con l'Occidente, sul modello applicato in Giappone. E fu proprio in seguito alla sconfitta del 1894 contro i Giapponesi che i riformatori sembrarono avere la meglio nella direzione di avviare la Cina sulla via della modernità: furono emanati un gran numero di decreti "modernisti", ma il processo fu eccessivamente rapido, troppi interessi vennero messi in discussione, e tutto si bloccò. Si chiudeva la possibilità di una riforma dall'alto, così com'era accaduto in Giappone, e la Cina rimase estranea al XX secolo. Il tentativo di riforma era stato sconfitto e la Cina era tornata all'ordine tradizionale, ma i problemi pendenti, ed in particolare i problemi posti dalla penetrazione straniera, non erano stati risolti ed anzi esigevano un'iniziativa, quale che essa fossse, per troncare la spartizione di fatto del paese, accelerata dallo stesso fallimento del movimento di riforma. La scintilla che provocò il nuovo episodio di lotta tra cinesi e stranieri fu di origine polare-contadina: la penetrazione tedesca nella provincia dello Shantung era stata concomitante al dilagare dell'influenza missionaria , sempre tedesca, in questa zona. A questi due fenomeni si era aggiunta, per circostanza climatiche occasionali, una grave carestia. La regione era tradizionalmente contraddistinta da relazioni rurali tese ed era stata profondamente penetrata da società segrete assai attive (ed in armi) fino a poco tempo prima. Lo scontro tra questo ambiente di ribellismo rurale e di lotte contadine irrazionali ed i missionari tedeschi (che ebbero la mano molto pesante, soprattutto nelle transazioni economiche e nell’acquisto di beni per le missioni fu molto violento. In un primo momento la componente anticristiana ed antioccidentale del movimento coincise con la componente rivoluzionaria rurale: gradualmente prese piede nelle campagne un’agitazione contadina armata, nata dalle società segrete. In essa erano presenti vive esigenze di trasformare il regime di proprietà e rigidi atteggiamenti di chiusura nei confronti della penetrazione occidentale e del cristianesimo in particolare. Quasi mezzo secolo di dominio straniero aveva rovesciato, rispetto al tempo dei T'aip’ing, l’atteggiamento dei movimenti popolarianti padronali verso il cristianesimo ed aveva generato quella violenta pregiudiziale, anticristiana in generale ed antimissionaria in specie, che avrebbe accompagnato poi tutti i movimenti di massa nel corso della rivoluzione cinese. Benché fin dall’inizio l’organizzazione di questa nuova rivolta armata apparisse di gran più gracile di quella dei T’ai-p’ing, la Corte si rese conto del pericolo rappresentato dal fattore sociale del nuovo movimento che - con un’impropria traduzione del termine cinese Yi Ho Tuan - fu conosciuto in Occidente come movimento dei «pugilatori», o dei Boxers. Gli elementi conservatori, antimodernisti (e quindi antioccidentali) della Corte videro la possibiltà di servirsi della componente anticristiana ed antioccidentale del movimento, soffocandone l’esigenza eversiva sociale. Ci furono certamente contatti e trattative di fatto tra funzionari ufficiali e vari dirigenti delle società segrete che erano all’origine del movimento dei Boxers, diffusosi in breve tempo dallo Shantung alle vicine province della Cina settentrionale: bande di alcune centinaia di aderenti alle società segrete, armati più o meno sommariamente, in queste regioni compivano colpi e assalti contro le sedi dei missionari, sterminando in particolare i cinesi convertiti al cristianesimo. Gradualmente, all’inizio del 1900 vennero prevalendo a Corte gli elementi favorevoli ad allearsi al movimento Yi Ho Tuan sia per sfruttarlo in senso antioccidentale, sia per controllarlo. Questo allineamento - caldeggiato personalmente dall’imperatrice Tz’u-hsi - finì di compiersi nella primavera del 1900. Il motto Yi Ho Tuan che era stato «Contro la dinastia, scacciate gli stranieri» divenne allora «Viia la dinastia, scacciate gli stranieri». Le potenze, e cioè la Gran Bretagna, la Francia, gli Stati Uniti, il Giappone, la Russia, la Germania e anche l’Italia - nonostante il recente clamoroso smacco del tentativo italiano di ottenere una concessione, rifiutata dalla dinastia cinese - cominciarono ad inviare forze navali a Taku e a spingere piccoli distaccamenti verso il quartieri delle Legazioni di Pechino, quando le truppe Y Ho Tuan erano arrivate alla capitale, massacrando numerosi cinesi convertiti. L’invio di queste forze straniere fece precipitare la tensione tra la Corte e il complesso dei governi stranieri. Il 20 giugno il ministro tedesco a Pechino von Ketteler fu ucciso in strada mentre si recava a portare un ultimatum al ministero degli esteri: l’indomani il governo cinese dichiarò guerra al complesso delle potenze e cinse d’assedio il quartiere delle Legazioni, dove si era rifugiata una parte degli stranieri residenti a Pechino. Questo assedio, durato circa sei settimane, con una totale interruzione delle comunicazioni col mondo esterno (gli assediati furono ritenuti tutti massacrati dai cinesi, dato che molti stranieri erano stati uccisi effettivamente in altre province della Cina settentrionale, per un totale di circa 250, che si aggiungeva alle parecchie migliaia di cinesi convertiti), emozionò profondamente l’opinione pubblica dei paesi imperialisti, che ravvisò nella lotta degli assediati una prova del valore morale e della capacità di resistenza delll’uomo bianco di fronte alle barbarie: in effetti se il quartiere delle Legazioni resistette ciò non si dovette alle poche signore inglesi o americane che si fecero fotografare mentre stavano di sentinella sui muri di cinta, ma soprattutto ai numerosi militari giapponesi che erano accreditati presso l’ambasciata del loro paese.
Nella
crisi dei boxer le potenze coinvolte erano quelle che avevano
ottenute delle "concessioni" cioè
dei punti di appoggio per i loro interessi e commerci: Inghilterra,
Francia, Russia, Germania, Austria-Ungheria, Italia, Stati Uniti
e Giappone, ciascuna delle quali aveva un suo atteggiamento particolare.
La Francia si era impadronita dell'Indocina (che era stata un
protettorato cinese) e inoltre aveva garantito la libertà
di culto dei cristiani, imponendo un trattato alla Cina dopo che
nel 1860 le sue truppe avevano occupato Pechino. Gli inglesi con
la guerra dell'oppio erano per primi entrati in Cina e avevano
i maggiori interessi in essa. La Russia confinava per migliaia
di chilometri con la Cina, alla quale aveva strappato ampi territori.
La Germania non aveva alcuna tradizione coloniale ma da alcuni
anni aveva cominciato a crearsi proprie colonie in Africa. L'Austria-Ungheria
era in una situazione analoga alla Germania. L'Italia aveva anch'essa
avviato una politica coloniale ed aveva addirittura aspirazioni
imperiali, ma disponeva di scarsi mezzi. In una posizione ancora diversa si trovavano gli USA: si definivano
contrari al colonialismo, tuttavia, in seguito alla guerra con
la Spagna (1898), avevano assunto il controllo delle Filippine
e comunque il loro sviluppo economico li portava inevitabilmente
a porsi come protagonisti sulla scena mondiale al pari delle vecchie
potenze europee; contemporaneamente avevano anche una tradizione
isolazionista e non si trovavano in sintonia con tutte le altre
nazioni con appetiti imperiali. Il Giappone, che aveva sconfitto la
Cina qualche anno prima, sviluppava una politica coloniale molto
aggressiva e in ciò si affiancava alle potenze europee.
Le
truppe che avevano occupato Pechino non si posero il problema
di capire cos'era successo realmente: tutti i cinesi erano considerati
responsabili e dovevano essere puniti severamente. Il kaiser Guglielmo
dichiarò: "Non fate prigionieri... il nome della
Germania dovrà diventare famoso come quello di Attila;
che nessun cinese osi più guardare negli occhi un tedesco."
Enorme
fu la responsabilità del potere imperiale, che non colse
minimamente la situazione: Cixi pensò di poter gestire
la crisi come fosse un intrigo di palazzo, senza capire che il
destino della Cina non si giocava più nell'ambito della
Corte. Ma la vera e profonda causa di questa e delle tante altre
crisi che la precedettero e la seguirono fu un'altra: l'incapacità
della classe dirigente cinese di avviare il paese sulla via della
modernizzazione (inevitabile, comunque la si giudichi), com'era
avvenuto negli stessi anni in Giappone. Quel paese, infatti, si
aprì al moderno e da potenziale colonia divenne un paese
colonialista, entrò nel club dei grandi, e sconfisse anche
uno stato europeo, la Russia, nel 1905.
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