All'inizio del XIX secolo la dinastia e l'amministrazione cinesi erano entrati in uno dei ciclici periodi di crisi, aggravato questa volta dalle crescenti tensioni che erano occultate sotto il permanere delle istituzioni tradizionali. Vi erano difficoltà economiche, la condizione dei contadini si aggravava, cresceva il numero dei notabili che avevano acquistato titoli e cariche con denaro e non con esami, aumentavano l'inefficienza e la corruzione dell'amministrazione. E quindi il contrabbando diveniva facile, sostenuto da vere e proprie organizzazioni di tipo mafioso.
Ciò aveva conseguenze negative sulla situazione economica del paese; fin verso il 1837 il traffico con i mercanti occidentali era stato attivo ed aveva portato un arricchimento in argento alla Cina. Dopo il 1830 il pagamento dell’oppio cominciò a determinare un continuo drenaggio d’argento dal paese: un fenomeno che l’economia cinese nel suo complesso sembrava poter sopportare, ma che era guardato con preoccupazione dai funzionari, anche perché aggravava la tensione rurale già crescente. I contadini infatti ricevevano il pagamento per le poche merci da loro vendute sul mercato in moneta divisionale, di rame, ma dovevano pagare l’affitto e le tasse in moneta d’argento: il drenaggio dell’argento dal paese ne aumentava il prezzo in moneta di rame e quindi aumentava gli affitti e le tasse dei contadini, cioè in definitiva accelerava il ritmo dello spossessamento dei contadini e dell’accumulazione della terra, sempre considerati sintomo di perturbazione sociale. Si comprende quindi come i pochi funzionari che ancora erano legati ai concetti tradizionali della stabilità e dotati di una certa probità personale ritenessero necessario intervenire contro il commercio britannico dell’oppio e la rete di contrabbando che da esso muoveva. Ma stroncare il commercio dell’oppio significava urtarsi frontalmente, oltre che con le mafie locali, con gli interessi dei mercanti britannici che erano decisi non soltanto a commerciare con la Cina in qualsiasi forma legale od illegale, ma anche a far saltare il sistema di controlli e impacci istituito attorno al monopolio del Co Hong a Canton. Per mettere in atto la lotta contro il contrabbando dell’oppio, giunse a Canton, nella primavera del 1839, in qualità di "commissario imperiale", Lin Tse-hsu, uno dei funzionari centrali noti per maggiore probità, energia e più lunga ed intelligente pratica amministrativa. La storiografia cinese dopo il 1949 non è stata aliena dal vedere in Lin Tse-hsu il primo "patriota" cinese che combatté contro l’imperialismo. L’attribuirgli una comprensione del fenomeno imperialista è certamente eccessivo ed antistorico. Lin fu un funzionario di saldi principi morali tradizionali e devoto al bene dello Stato, incorruttibile e deciso ad impegnarsi a fondo, fino a rovinare la propria carriera, nella lotta contro quello che gli appariva un flagello economico e soprattutto morale: fu disposto a fare appello al popolo contro gli stranieri e a prospettare l’impiego di soluzioni militari modellate su quelle occidentali. Ma non era in grado di condurre a fondo una lotta che era una lotta tra due sistemi sociali, uno dei quali strutturalmente inferiore all’altro: e proprio in questo sistema strutturalmente inferiore Lin si trovava ad essere inserito interamente per mentalità, cultura, esperienza, senza neppure rendersene conto. Giunto a Canton, Lin cercò di farsi consegnare dai mercanti inglesi la droga destinata al contrabbando; non avendola ottenuta di buon grado, la fece confiscare assediando i mercanti nelle sedi loro assegnate dal Co Hong, fino a che ottenne che gliene fossero consegnate 1.300 tonnellate, che furono poi bruciate per venti giorni senza tregua alla foce del fiume di Canton tra manifestazioni popolari di soddisfazione. Gli inglesi tuttavia si erano adoperati perché la vicenda costituisse, per il diritto internazionale occidentale, un casus belli: tra i mercanti imprigionati vi era il capitano Elliot, che agiva in qualità di rappresentante della regina Vittoria, e l’oppio fu consegnato non dai mercanti privati, ma da Elliot stesso, allo scopo preciso di rendere i cinesi "debitori della Corona britannica". Gli inglesi ormai cercavano la guerra: nell’estate un marinaio inglese ubriaco uccise, per non pagare pochi centesimi, un mercante ambulante cinese e si rifugiò nella sede dei mercanti britannici: il capitano Elliot si rifiutò di consegnarlo iniziando con ciò la pratica di non riconoscere la giurisdizione della Cina per i delitti commessi da occidentali su territorio cinese. I mercanti britannici si ritirarono allora sull’isola di Hong Kong, comprendendone immediatamente il valore di base navale e strategica. In autunno cominciarono, sporadiche, le ostilità; soltanto nell’estate del 1840 la marina britannica attaccò in forza le coste cinesi. Non riuscì a prendere Canton, per la quale Lin aveva organizzato le difese, ma occupò l’isola Chusan alla foce dello Yangtse e prese posizione minacciosamente nelle acque di fronte a Tientsin, cioè sulla costa prossima alla capitale. In questa situazione la Corte decise precipitosamente di giungere ad un accordo con gli inglesi e licenziò Lin, inviandolo a morire in un lontano esilio. A questo punto però gli inglesi non volevano solamente l’indennizzo dell’oppio confiscato (come era stato offerto loro dai negoziatori inviati a sostituire Lin), bensì volevano imporre alla Cina una disfatta militare e quindi una totale apertura alla penetrazione economica britannica. Ciò fu ottenuto, nei due anni seguenti, con l’occupazione di Shanghai (che allora era soltanto un piccolo borgo, ma che aveva una posizione ideale per divenire il centro del commercio tra la valle dello Yangtse e le potenze marittime), di Ningpo e di vari centri. In genere la resistenza cinese fu caratterizzata dall’adozione delle anacronistiche e farraginose pratiche militari tradizionali: soltanto in alcuni casi, dove la frizione con gli stranieri era particolarmente intensa ed il risentimento antibritannico cominciava ad avere radici popolari, si ebbe una resistenza di tipo spontaneo, che diede ai cinesi i pochi, occasionali successi della guerra, conosciuta come " guerra dell’oppio ": in particolare nel Kwangtung, a Sanyuanli, furono organizzati dei corpi di milizie contadine ed urbane che inflissero qualche sconfitta locale agli inglesi.
da: Storia delle rivoluzioni del XX secolo, 4° vol., Ed. Riuniti, 1966 |