Paul L. Robeson

Nel corso del Novecento, il mondo afroamericano ha espresso numerosi personaggi che l'America razzista e segregazionista ha odiato… con tutto il cuore. Nessuno, però, ha raggiunto i picchi di Paul Robeson. Motivo? Il fatto di essere stato una sorta di re Mida: questi, qualsiasi cosa toccasse diventava oro, Robeson, in qualsiasi campo si impegnasse sbaravagliava la concorrenza, costringeva tutti a parlarne in termini superlativi.
Per molti anni, fino alla metà dei Trenta, Paul Robeson ha avuto facile gioco: in pratica, era inattaccabile. I suoi detrattori (pochi e camuffati, chè non c'era modo di sminuirne il valore) erano totalmente privi di argomenti. Quando entrava in campo, saliva su un palcoscenico, si affacciava dallo schermo cinematografico, non restava che togliersi il cappello.
L'alibi per attaccarlo con indicibile veemenza, tuttavia, alla fine è arrivato: nel 1934, a seguito del viaggio di Paul Robeson in Unione Sovietica, paese ove si recherà più volte nel corso della sua vita, prima e dopo la II guerra mondiale. Ovviamente, non furono i viaggi in URSS in sè, con tanto di concerti, a dar vita alle incessanti campagne di odio nei suoi confronti, ma il fatto che egli giudicasse più che benevolmente l'idea di socialismo, di comunismo, il regime sovietico (e nel dopoguerra le altre „democrazie popolari“).
Insomma, siccome era „comunista“ - di idee, probabilmente, certo mai iscritto a nessun partito politico e privo della benchè minima responsabilità per le atrocità commesse nel mondo in nome del comunismo - allora attacchi, denigrazioni e tutto ciò che gli venne fatto passare, e che vedremo più avanti, oltre che giustificato era dovuto, un dovere morale di ogni buon patriota americano!
Ma, concludendo questo breve preambolo, Paul Robeson ha avuto delle „colpe“, esse si riducono ad una: all'ingenuità con cui ha creduto nella bontà della messa in pratica dell'idea socialista da parte dei regimi (pseudo)comunisti, Stalin in testa. D'altronde, per chi come lui (e il suo popolo) ha quotidianamente vissuto sulla propria pelle l'odio e il disprezzo della società americana, qualsiasi nazione, ideologia, regime in cui „Nero“ non fosse sinonimo di „subumano“ - e negli USA gli afroamericani sono sempre stati trattati alla stregua di bestie (e ancora non è finita!) - era automaticamente bene accetta.

Paul Robeson studente, sportivo e laureato in Legge

Paul Le Roy Bustll Robeson è nato a Princeton il 9 aprile 1898. Figlio di William Drew Robeson, un ex schiavo fuggito bambino da una piantagione e divenuto pastore presbiteriano, e di Maria Louisa Bustin, appartenente ad una famiglia i cui bisnonni alla fine del Settecento avevano dato inizio alle lotte per la liberazione del proprio popolo, fin da giovane Paul si distingue in virtù di una incredibile serie di talenti: sportivi, umanistici, artistici. E ciò, nonostante abbia un'infanzia e una giovinezza più che tribolata: orfano di madre a sei anni (e di padre a venti), ben presto si deve dare da fare per contribuire alle finanze di casa, dove ci sono numerose bocche da sfamare (due fratelli e una sorella).

Ottimo studente della Rutgers University (un ateneo che nella sua gloriosa storia diplomerà un bel numero di futuri Premi Nobel), Paul si distingue nel basket, nel baseball e nell'atletica leggera, ma è come rugbista che ottiene i migliori risultati: per tre anni gioca nell'American Professional Football League e, primo giocatore di colore, diviene membro dell'All American Football Team, su chiamata del mitico trainer della Yale, Walter Cramp.

L'impegno sportivo, tuttavia, dura poco. I neri sono tutt'altro che ben accetti in formazioni bianche e solo un ingresso a pieno titolo nel mondo professionistico gli potrebbe garantire di pagarsi gli studi e avere una vita meno stentata. (che quei pochi anni di rugbismo fossero ad altissimi livelli lo testimonierà l'immissione, molti anni dopo, del suo nome nella College football Hall of Fame). E poi il pallino di Paul è di diventare avvocato.
In tempo record consegue la laurea in Legge alla Columbia Law School ed entra nella professione. Ma altrettanto immediatamente, deluso e abbattuto, se ne esce. Quando, nel corso di una causa la dattilografa del tribunale si rifiuta di scrivere „sotto dettatura di un nigger“, capisce che anche questo mondo gli è precluso.

... ma preferisce (?) la carriera artistica

Ma sin dagli anni della Rutgers, essendo dotato di una, naturalmente, stupenda voce e di una imponente presenza scenica - e di un talento straordinario per il canto e la recitazione - si esibisce sia come cantante che come attore con compagnie e complessi amatoriali.
Amatorialità che abbandona nel giro di poco tempo. Infatti cominciano a pervenirgli le prime offerte di lavoro in questi due campi.

Sono gli anni Venti. Paul è già sposato. Con Eslanda „Essie“ Cardoso Goode, ricercatrice, biologa e chimico del Presbyterian Hospital di New York.

Nel 1924, dopo avere già preso parte con successo ad alcuni spettacoli teatrali, viene avvicinato dal commediografo Eugene O'Neill (papà della futura, ultima, moglie di Charlie Chaplin), già famoso per avere vinto due Premi Pullitzer, nel 1920 e nel 1922 (un altro lo vincerà nel '28, e nel 1936 gli verrà assegnato il Premio Nobel per la Letteratura). O'Neill offre a Robeson non una ma due enormi opportunità: di recitare in due sue commedie al Greenwich Village: la prima è All God's Chillun Got Wings, la seconda L'Imperatore Jones. La resa artistica si rivela come il migliore trampolino possibile per una carriera che a livello artistico non troverà mai neppure un ostacolo.

Nel 1925 debutta nel cinema con Body and Soul, prodotto e diretto dal primo cineasta di colore, Oscar Micheaux. Nello stesso anno - ecco come Paul Robeson si fa conoscere per quella che sarà fino alla morte la sua azione umana, artistica e politica - rifiuta il ruolo di protagonista nel film Lulu Belle: il personaggio, a suo dire, ricalca tutti i luoghi comuni del „bovero negro“: gli afroamericani non sono nè boveri nè negri.

Da questo momento Robeson è un „nome“ nello showbusiness. Lo è sia sulla piazza americana sia su quella inglese. Come attore e come cantante. E visto che le offerte gli provengono pure dal Regno Unito, Paul ed Essie decidono di stabilirsi a Londra, o quanto meno di fare la spola tra l'Inghilterra e gli Stati Uniti.

Da Show Boat e Ol' Man River ad Othello

Nel 1927 (anno in cui diventa padre di Paul Jr.) Paul e Essie sono dunque in Inghilterra, che cominciano a girare in lungo e in largo con concerti sempre affollatissimi. Con loro, il fido Lawrence Brown, pianista e arrangiatore.
Lo chiamano a Broadwey per fare Show Boat, ma per motivi poco chiari non sarà della partita (e dire che gli autori del musical, Kern e Hammerstein II, hanno scritto appositamente per la sua voce da basso la canzone simbolo della piece: Ol' Man River.
In compenso, eccolo nel cast dell'edizione londinese dell'anno appresso, a fianco di Alberta Hunter e Mabel Mercer.

Nel 1930, sempre a Londra, l'attore e produttore Maurice Browne e sua moglie, la regista Ellen Van Volkemburg, ingaggiano Paul per il ruolo di Othello nell'omonima tragedia di William Shakespeare. Desdemona, è la bellissima e famosissima Peggy Ashcroft (ancora oggi si mormora del loro „scandaloso bacio interrazziale“ in scena), mentre il Browne si riserva quello di Jago. Si tratta della prima volta, dopo oltre cento anni, che un nero interpreta il Moro di Venezia, ma è la prima in assoluto cui un attore di colore interpreta Othello in una compagnia di bianchi. Il successo è enorme. Ne parla anche la stampa americana.

Vorremmo far notare come, non solo Paul passi dal musical alla tragedia con estrema facilità, ma come impresari, produttori e registi diano per scontato che egli saprà dare ottimi risultati in entrambi i campi!
La notorietà di Paul Robeson è già tale che la sua biografia, scritta dalla moglie Essie e uscita in questo 1930, trova immediato riscontro sul mercato librario britannico e americano. Titolo del libro – e in sè già programma politico - Paul Robeson, Negro. Nello stesso anno, con Essie quale partner, Paul gira Borderline.

La coppia prosegue a dividersi tra USA e GB: concerti, film, spettacoli.
Nel '32 Robeson torna a interpetare il ruolo di Joe in Show Boat. Questa volta si tratta di una produzione newyorkese.

Un uomo curioso del mondo

Ma Paul non ho solo i grandi talenti dell'artista, egli nutre una grande curiosità verso tutto lo scibile. Innanzi tutto verso le radici del proprio popolo, verso l'Africa, la sua storia, quella dello schiavismo. Per meglio comprendere la materia si mette a studiare alcune lingue del continente nero. Ne imparerà parecchie. Da lì a qualche anno, in totale conoscerà una ventina di lingue tra europee, africane, asiatiche. Dodici le parlerà in maniera fluente!

Nel 1934 il grande regista Sergej Einzestejn invita Paul a visitare l'URSS. Sebbene già in Gran Bretagna aveva potuto assaporare un diverso modo di comportarsi nei suoi confronti da parte della società inglese - si intende, rispetto agli USA dove nigger è e nigger resterà fino alla fine dei suoi giorni - nella Russia sovietica, così dice e scrive, scoprirà che agli occhi della gente il colore della sua pelle non fa nessuna differenza. (ad una simile conclusione perverrà, nella sua prima tournée europea Billie Holiday, come riporta nell'autobiografico Lady Sing the Blues).

Nel 1935, dopo avere girato Sanders of the River, rientra in America.
Ancora una volta è alle prese con Show Boat, ma questa volta si tratta di una versione cinematografica, mentre il disco con Ol' Man River si esaurisce in poche settimane.
Ma il cantante Paul Robeson non è solo un eccezionale interprete di canzoni da musical; egli è altresì un grande interprete di spirituals e musiche folcloristiche di tutto il mondo. Non basta. è anche uno straordinario esecutore di musica colta e classica: Bach, Beethoven, Mussorgskij, Schubert, Dvořák. Insomma, non è per caso se oggi troviamo il nome di Paul Robeson nel Grammy Liftime Achievement Award…

Un rapporto conflittuale col blues

Paul canta anche blues, ma pare che a bluesmen e jazzisti non piaccia il suo modo di interpretarli: proprio Count Basie dirà: „Paul non sa cantare il blues“. Se restiamo all'interno della tradizione, è vero. Come, per esempio, è vero che non c'è cantante operistico che sappia rendere al meglio le canzoni napoletane o un qualsiasi standard, si chiami egli Domingo, Del Monaco o Pavarotti; è come pretendere di utilizzare il sax alto in un'aria verdiana o il fagotto in un pezzo di Charlie Parker.

Ma che Robeson non sappia interpretare i blues nella maniera dei bluesmen è un mero sintomo: della distanza tra lui e il mondo del jazz. Una distanza certamente musicale e interpretativa, ma anche di rapporto con il mondo. Paul Robeson è aperto, combattivo, non si accontenta di avere uno spazio per sè in cui „operare“; egli vuole che lo „spazio“ sia accessibile a tutti. I jazzisti, viceversa - almeno fino all'avvento del be-bop, che sarà una rivoluzione - tendono alla claustrofobia, sono egocentrici, le conquiste le vogliono per sè. „L'America è razzista? Stronzi, basta che mi lascino suonare e cantare“. Paul vuole la liberazione globale, loro uno spazio personale. E quando qualcuno si muove sulla scia di Paul Robeson, prendono paura. è famosissimo il caso di Billy Eckstine (tra l'altro, l'unico cantante a dichiararsi debitore nei confronti di Paul Robeson), temuto dai suoi orchestrali (1944-47) perchè li costringeva, nei tour negli Stati del sud, a entrare nelle concert hall dall'entrata principale, che gli era preclusa; e spesso da bianchi energumeni. Con cui Mr. B Faceva a cazzotti, mentre loro tremavano (lo testimonia Miles Davis nella sua autobiografia).
Dunque, niente feeling tra Robeson e il pianeta jazz. Non ora. In questi anni Trenta, quando Paul va alla sua scoperta.

Attività musicale e impegno politico negli anni '30

Prosegue l'attività concertistica, con tour in tutta Europa e film, più in Inghilterra che non in USA. Ma si accentua anche il suo impegno politico su tantissimi fronti. Tre su tutti. Il primo, sempre all'ordine del giorno, la lotta per i diritti dei neri d'America; il secondo, una incessante campagna antifascista e antinazista, a fianco del popolo ebraico, con accuse nei riguardi dei governi di Londra, Parigi e Washington che nulla fanno di fronte all'espansionismo militaristico di Germania e Italia e (terzo) in difesa della Repubblica spagnola massacrata da Franco e soprattutto dai suoi alleati romani e berlinesi. In Spagna, anzi, Paul interviene in prima persona, recandovisi e incontrando la Brigata Abraham Lincoln formata da volontari americani bianchi e neri. È in questa occasione che Paul Robeson fa un'affermazione, propria dell'etica sartriana e brechtiana: „Oggi gli artisti devono schierarsi. O sono con voi o sono contro di voi. O sono per la libertà o sono per lo schiavismo“.

Nel 1939 il poeta John La Touche e il musicista Earl Robinson (compagno di studi di Aaron Copland e Hanns Eisler, nonchè futuro „blacklist“ nella commissione McCarthy, in quanto membro del Partito comunista statunitense) scrivono la cantata Ballad for Americans, un inno che esalta il meglio dell'America: le pluralità umane, religiose. Originariamente era stato composto per il congresso dei comunisti statunitensi, ma siccome piace, se lo accaparrano pure i Repubblicani [che sarebbe come se Berlusconi facesse sua Bella Ciao (capacissimo!)].
Ma se ne impossessa Paul e il 5 novembre, in diretta radiofonica dalla CBS, la cantata viene eseguita con accompagnamento di coro e orchestra sinfonica. Dicono i cronisti dell'epoca che solo lo „scherzo“ di Orson Welles (la drammatica cronaca della pseudo invasione dei marziani) ebbe tanti ascoltatori quanti Robeson quella sera. Bisogna dire che la composizione, musicalmente è un tantino pretenziosa, mentre le parole sono un tantinello naive e kitch, ma di grande effetto. Tant'è che alla versione di Robeson si affianca quella del crooner numero uno d'America: Bing Crosby. (Nel 1960 la inciderà pure Odetta). Interessante la „storia“ di quest'opera musicale. Nel 1943 alla Royal Hall di Londra la cantò un coro di 200 soldati neri americani. Siccome però la si ricordava soprattutto come pezzo del repertorio del „comunista“ Paul Robeson, fu proibita. Non si sa bene come, nè perchè Ballad for Americans spuntò nel 1976 in occasione delle celebrazioni del Bicentenario statunitense…

Gli anni '40: inizia l'ostracismo per Robeson

Nel 1940, per la terza volta, Paul è nel cast di un'edizione di Show Boat. Stavolta a Los Angeles.
Nel 1942 gira Native Land a New York e Tales of Manhattan a Hollywood. E sono le ultime sue pellicole.

Nel 1943, ennesimo revival. Si tratta di una delle produzioni teatrali di maggior successo nella storia di Broadway. Anzi, la maggiore per quel che concerne un'opera scespiriana. Paul torna in scnea con Othello. Lo dirige Josè Ferrer (che sarà Jago), Desdemona sarà sua moglie, Uta Hagen, attrice tedesca, naturalizzata americana e futura grandissima insegnante di dizione e recitazione (tra i suoi allievi: Judy Garland, Al Pacino, De Niro, Sigurney Weaver, Whoopy Goldberg…). A proposito della prova di Paul Robeson, il critico di Variety scriverà: „Nessun attore bianco sarebbe in grado di vestire i panni di Othello meglio di Paul“… Lo spettacolo viene replicato per 296 serate consecutive, quindi affronta una tournèe lunga due stagioni complete! (Su Youtube c'è uno splendido documento filmato in cui Robeson parla di Otello).

Ma la fama di Paul Robeson, le sue influenti amicizie in tutto il mondo, il rispetto di cui gode non fanno da velo all'America più oscura, ignorante, retriva, rozza, violenta - in una parola, fascista. Sin dal 1934 l'establishment da chiari segnali di inimicizia nei suoi riguardi. Ma è dal 1941 che le cose si aggravano: in presenza della forzata alleanza militare USA-URSS. Paradossalmente, è sospettato di „intelligence“ col nemico: l'alleato sovietico! Da questo momento fino alla sua scomparsa, l'FBI produrrà un dossier di alcune migliaia di pagine, in pratica tutta la sua vita passo dopo passo, giorno dopo giorno fino al 23 gennaio del 1976. A dire il vero mancheranno le pagine relative agli ultimi mesi di vita, quando depressione e malattia avevano definitivamente minato il corpo di Paul Robeson, ma anche la psiche, se sempre più spesso si sentiva vittima di presunti (presunti?) complotti polizieschi. Mancheranno, ma perchè qualcuno le ha fatto sparire.

Paul Robeson e i suoi amici

Dicevamo delle amicizie di Paul Robeson, che assommate alle frequentazioni della gioventù, vanno a formare un bel pezzo dell'intellighentia internazionale. Ma se ci pensiamo bene, non solo si tratta di persone che non hanno alcun potere, ma anzi proprio di persone invise a qualsiasi potere! Certo, tra costoro ci sono molti accademici, „monumenti nazionali“ nei rispettivi paesi, Premi Nobel, Premi per la Pace, il famoso Premio Stalin, poi diventato Premio Lenin quando il Georgiano ha finito di nuocere. Stiamo però certi che se fossero vissuti in Unione Sovietica, come il compositore Shostakovic, si sarebbero limitati, a meno di non voler fare una vacanza senza ritorno in Siberia, a firmare petizioni antioccidentali e a tacere sulle brutture e i crimini interni. Dunque, grandi scrittori, compositori, artisti ma, per tutti i poteri di questo mondo - feccia, al massimo „utili idioti“.

Ma vediamo da vicino di chi si tratta: Eugene O'Neill, Sergej Ejzenštejn a Emma Goldman, Gertrude Stein, Alexander Berkman, Max Eastman, Lily Hellman, Claude Mc Kay, Clifford Odets, James Joyce, Albert Einstein, Bertrand Russell, Charlie Chaplin, Bertolt Brecht, Pablo Picasso, Dimitry Shostakovich, Yehudi Menjuhin, Leonard Bernstein, Aaron Copland, Ernest Hemingway, Paul Strand, Pablo Neruda (che gli dedicherà un'ode nell'immaginifico poema Canto Generale), i giovani africani e asiatici che hanno studiato in Europa e mai avevano nascosto di voler rovesciare - cosa che poi gli è riuscita - il colonialismo: Nehru, Nierere, N'Krumanh, Kaunda, Keniatta, Tambo…
Insomma, si può dare torto ai membri del Comitato per gli Affari Antiamericani e ai vari Richard Nixon e John McCharty, se ritengono tutta 'sta gente pericolosissima in riferimento ai „valori“ del buon „patriota americano“? A proposito di Nixon, va ricordata la sua risposta a chi gli chiese chi, secondo lui, erano i comunisti: „Tutti coloro che frequentavano i concerti di Paul Robeson“.

Gli anni della Guerra fredda

Tuttavia, fintanto che dura la guerra, Paul se la deve vedere con gli attacchi giornalistici e i piccoli ostruzionismi (ma niente di nuovo) e il „normalissimo“ razzismo della strada, fatto di ingiurie, offese, sputi. I guai iniziano con la fine della guerra „calda“ e l'inizio di quella „fredda“, nel 1946. Naturalmente, Robeson ci mette del suo. Sconfitto il fronte nazifascista, bisogna impegnarsi fino all'inverosimile in quello di sempre: la difesa dei diritti dei neri. Ed ecco che fonda l'American Crusade Against Linching e con una delegazione si reca dal presidente Harry Truman per chiedere il suo aperto appoggio nella lotta contro il linciaggio e la segregazione razziale.

Pedinamenti, pressioni di vario tipo, cancellazione di concerti e ogni manifestazione a cui dovrebbe partecipare, azzeramento mediatico, interrogatori da parte dell'FBI sono all'ordine del giorno. Tanto per avere chiara la dimensione di quest'opera ostruzionistica e censoria: nel 1947 Paul denuncia introiti per 105.000 dollari (cifra da favola per l'epoca); nel 1950, appena 2.500. Nel solo 1949 gli vengono annullati oltre cento concerti. Da ricordare anche gli incidenti a Peekskill (N.Y.) nel 1949, dove attivisti di destra cercarono senza successo, ma ricorrendo anche alla violenza, di impedire un suo concerto di protesta organizzato dalle Work Unions.

Nel 1950 il governo si decide per il passo più grave: il sequestro del passaporto. A nulla valgono le proteste e le petizioni di milioni di persone e migliaia di eminenti personalità di tutto il mondo. La causa scatenante - o meglio, la „scusa“ - è l'attacco di Robeson alla politica americana in Asia (Corea). Ma è, appunto, una scusa. Se da decenni Robeson non fosse al centro dell'interesse mediatico internazionale, qualcuno del sottobosco governativo statunitense non avrebbe aspettato „segnali“ per mettere a tacere questa straordinaria e bellissima libera voce.
Di certo Robeson non viene aiutato da Mosca, da dove nel 1952 gli viene conferito il Premio Stalin per la Pace (riconoscimento già dato o che in seguito verrà assegnato a gran parte degli amici innanzi ricordati). Nè lui si aiuta: ci riferiamo all'elogio di Iosif Vissarionovič, alla sua morte.

Nel 1952 gli si vorrebbe impedire di cantare al Parco della Pace ai confini tra gli USA e il Canada, ma oltre quarantamila spettatori si oppongono…

Nel 1955 compare di fronte alla famigerata commissione „mangiacomunisti“. Tutti sanno che Paul non è mai stato membro del Partito, però - ecco la colpa grave, accanto a quella di essere nero e famoso, forse l'americano più famoso nel mondo - ha simpatie socialiste e tanto basta. Uno dei commissari, nell'interrogarlo, gli chiede perchè, visto che parla tanto bene dell'Unione Sovietica, non ci va a vivere. „perchè - è la risposta - questo è il mio paese, qui mio padre è stato schiavo e la mia gente è morta per costruirlo. Ho gli stessi diritti - conclude rivolgendosi al giudice - che ha lei e non c'è fascista che me li toglierà; chiaro?“. Interessante come tutto l'interrogatorio ricordi quello subito anni prima da Bertolt Brecht, con la differenza che mentre Robeson, da americano dunque da pari a pari con i suoi „giudici“ tenta un minimo di dialogo; Brecht, tedesco, commediografo, comunista ed ex anarchico, si fa gioco del comitato senza che questo se ne renda conto. Nell'uno e nell'altro caso, comunque, il „fiore del patriottismo“ americano fa una figura di niente come pochi!

Nel 1957, non potendo accogliere l'invito dei minatori gallesi a partecipare al loro congresso, dedica loro un concerto che eseguirà al telefono!

Nel 1958, quando alla Carnagie Hall ricevono il „via libera“ per un recital di Paul Robeson, questi annuncia di essere tornato in possesso del passaporto. Evidentemente alla fin fine proteste e manifestazioni e petizioni e lettere aperte e la pressione diplomatica, sebbene dopo otto anni, ma un risultato l'hanno dato. Per l'occasione a Nuova Delhi, la figlia del premier Nehru, Indira Ghandi aveva proclamato il „Paul Robeson Day“.

Gli anni della distensione. I Robeson ricominciano ad esplorare il mondo

Riavuto il passaporto, Paul e Essie torneranno a girare il mondo. Ma prima da' alle stampe la propria autobiografia, scritta insieme a Lloyd Brown: There I Stand.

Prima tappa, l'amata Inghilterra. Che ricambia in maniera straordinaria: A Londra, ora allo Stratford-upon-Avon, a 61 anni torna a vestire i panni di Othello. è la terza volta. Lo dirige il grande Tony Richardson, uno dei „monumenti“ della storia teatrale britannica. Nel ruolo di Jago c'è Sam Wanamaker, attore scespiriano per eccellenza. Desdemona è la splendida e poco fortunata Mary Ure (all'epoca moglie di John Osborne e protagonista femminile di Ricorda con rabbia, sia a teatro che in cinema, accanto a Richard Burton, morta giovane per overdose e barbiturici); del cast fanno ancora parte Albert Finney e una ventiduenne Vanessa Redgrawe

Seguono concerti, feste, ricevimenti. E ovunque avviene la stessa scena: teatri stracolmi e fuori il doppio, il triplo di spettatori mancati in attesa almeno di vederlo uscire: a Parigi e a Liverpool, a Berlino e Vienna, nei paesi scandinavi e nell'Est europeo, nonchè a Mosca. Idem dicasi per i concerti in Nuova Zelanda, Cina, Australia…

(No, in Italia no. Il Belpaese detiene tre record oramai assolutamente imbattibili: non ha mai ospitato nè Paul Robeson nè Billy Eckstine. E Billie Holiday vi è stata fischiata e spernacchiata!!!)

Nel 1963 rientra in USA. Concerti, tour. Incontri con „nuovi amici“: i jazzisti che hanno rivoluzionato oltre che la loro musica, anche il loro mondo e l'abito mentale, e che hanno scoperto le proprie radici africane. E così nel 1965 Bill Taylor, Coltrane, Gillespie, Miles Davis festeggiano il 67 compleanno di Paul. Ci sono pure la star cinematografica Ruby Dee, lo scrittore James Baldwin, il folksinger Pete Seeger, il chimico Premio Nobel Linus Pauling, il compositore Earl Robinson.

Ma la ritrovata libertà di movimento dura poco. La morte, nel 1966, per cancro, della diletta Essie, dalla quale non si è mai separato nel corso di tutta la vita, è un colpo troppo grande. Se c'è un terreno nel quale questo gigante (in tutti i sensi) è sempre stato fragile, è quello dei sentimenti, degli affetti personali: orfano di padre a sei anni e di madre a venti, Eslanda per lui era molto di più di una moglie: amica, compagna, complice; ispirazione, sostegno, pungolo. La sua scomparsa gli procura una fortissima depressione, come pure un graduale indebolimento psicofisico. è evidente che le traversie vissute lungo quattro decenni di carriera luminosa ma socialmente contrastata, sono state superate proprio grazie a questa inossidabile unione umana e spirituale. Incapace e impossibilitato di vivere da solo, Paul viene accolto dalla sorella, pure lei vedova.
Sarà, tuttavia più il tempo che trascorrerà per ospedali (a New York, Londra, Berlino) che non in casa. Frattanto, intorno a lui è una continua gara di dimostrazioni d'affetto e di solidarietà. Parenti, amici, conoscenti, colleghi, leader politici, artisti, scrittori, Premi Nobel, gente comune, lavoratori di tutto il mondo: tutti si stringono intorno a lui, quando non possono farlo fisicamente, gli scrivono lettere, inviano fiori, ringraziamenti.

Arriva il tempo delle celebrazioni

Nel 1968, in occasione del suo settantesimo compleanno la scena inglese, storicamente assai snob & cool, da Londra gli dedica una festa cui prende parte il gotha del teatro britannico. Ci sono Peter O'Toole, Michael Redgrawe, Tony Richardson, le „sue“ Desdemone londinesi: la Ashcroft e la Ute. E chi non può venire, come per esempio, John Gielgud, manda una lettera che è un lenzuolo di affettuosità e apprezzamenti.

Nel 1977, in occasione del settantacinquesimo compleanno, Harry Belafonte gli organizza una serata d'onore alla Carnagie Hall. Ci sono Miles Davis e Billy Eckstine, Dizzy Gillespie e Sidney Poatier, Coretta Scott King, vedova di Martin Luther, e Arthur Ashe (il tennista), Odetta e Angela Davis. E non mancano neppure Pete Seeger, Leonard Bernstein, nonchè Indira Ghandi e il leader tanzaniano e amico da una vita Julius Nierere…
L'anno successivo, dopo due attacchi cardiaci, Paul Robeson muore. Ai funerali accorreranno più di cinque mila persone, mentre la messa sarà officiata dal fratello, il reverendo Benjamin C. Robeson.

Un tentativo di tirare le somme

Con Paul Robeson se ne va colui che già agli esordi artistici, alcuni intelligenti e lungimiranti critici avevano definito „La Promessa della propria razza“, „Il Re di Harlem“, „L'Idolo del proprio popolo“ e anche "Un moderno uomo del Rinascimento", per i suoi talenti in numerosi campi. E il ricordo di questo immenso cantante e attore, oratore e combattente per i diritti dei più deboli, è talmente vivo che in continuazione città, enti, istituzioni, università, circoli culturali e associazioni organizzano appuntamenti in suo onore, promuovono la vendita dei libri che lo riguardano, i suoi dischi e ora i DVD dei suoi film. Il tutto accompagnato dalla nascita di scuole, teatri, circoli, fondazioni, biblioteche con il suo nome. Quanto agli anniversari, essi si trasformano in una parata di big dello spettacolo e della cultura; nera e bianca, ma puntualmente solo ed esclusivamente democratica e progressista. Sicchè nel 1988, a dieci anni dalla morte, la celebrazione principale vede affiancati Sidney Poitier, Bill Cosby, Morgan Freeman, Ossie Davis, Christopher Reeve, Christopher Plummer, la scrittrice, premio Nobel, Toni Morrison, Lena Horne, Max Roach… E dieci anni dopo, per il Centenario della nascita, oltre ai suddetti (meno coloro che nel frattempo sono dipartiti), sempre alla Carnagie Hall, troviamo Muhammed Aly, Belafonte, Murray Abrahams, Whopy Goldberg, Eli Wallach, Roy Scheider, Paul Newman e la cara nipote, la cineasta Susan Robeson, già famosa per avere girato film documentari su Mr. B ed Ella Fitzgerald, nonchè autrice di The whole in his hands, libro di memoria sul nonno corredato da un centinaio di fotografie, uscito nel 1981 e ristampato nel 1997.

Il Centenario è stato naturalmente celebrato in tutte le metropoli americane e in decine di altre città meno grandi. Ma anche all'estero: Toronto (con il 9 aprile proclamato „Paul Robeson Day“), Vancouver, Montreal, Città del Messico, Melbourne, Londra, Liverpool, Cardiff, Tampere, Parigi, Berlino, Berna, Zurigo, Lisbona, Gerusalemme. In Cina e in India! Avete letto bene: l'Italia non c'è. Neanche questa volta…

grazie a: http://musicaememoria.altervista.org