Jota di cavocia e fasoi sul clâr,
encje di pestadicia a cui ch'aj pâr,
scot, sopa brusada e pendalóns,
ch'as mouf dutas lu cuarp, fin tai talóns.
Mesta cuinciada e po roseons biei,
cûasai, cjarsons da fâ dreciâ i cjavei,
polenta dura e ciuc' di chel salât,
frico ch' al fâs ai muarz tirâ lu flât.
Rûba buina, si sa, ch'a na fat mâl,
cun batuda, calostra o cun bon seir,
ch'a fâs cori tal còment o al bocâl,
e fuî par davur ogni pensir.
Vôtu peta cul ont o fasoi fîs,
o ‘na cupita di bon sfregolîs,
cu tant plaseva a Piêri da Snè,
miôr pietàncias, lafè! Tal mont n'and'è!
Votu cerciâ mo, chesta rûba buina?
A cî a fâs volanteir encja la Ustina;
mignestras raras cu uîa pûac si ûsa,
ma ch'a ci ten in môtu, po, ogni bûsa.
da: Tiera mota” BEPO RUPIL,
S.F.F. 1972 |
Zuppa con la zucca e fagioli in padella
con prezzemolo e cipolla (a chi pare),
farina e latte, tegoline,
che fa andare di corpo, fino ai talloni.
Polenta condita con bucce di fagioli,
cjarsons da far raddrizzare i capelli,
polenta dura e formaggio salato,
frico che fa respirare anche i morti.
Roba buona, si sa, che non fa male,
con batuda, calostra o buon siero ,
che fa andare di corpo
e scaccia per dietro ogni pensiero.
Vuoi pane con il burro o fagioli insalata,
minestrone che tanto piaceva a Pietro.
Le pietanze migliori ! Al mondo non ce n’è!
Vuoi assaggiare questa cosa buona?
Te la fa volentieri anche Giustina;
la minestra con poco dentro, che oggi si usa poco, ma che ti tiene in movimento ogni buco. |
Tema
“La mucca”
(Riportato da Scuola modello del 1947 e firmato da Baci Francesco, alunno della classe terza unica)
Scrive così:
La mucca è la moglie del mucco. Essa vive nella stalla perché in casa sporcherebbe.
Essa non domanda mai permesso per fare la pipì.
La mucca ha due gambe davanti e due di dietro. Ma di dietro è ancora una gambetta più fine che la ciamano “coda” e che non arriva per terra.
La coda serve per parare via le mosche e i tavani.
La mucca si chiama anche vacca e ha la testa come il cavallo ma tutta differente perché ha due corni che si fanno i codari per mettere le coti quando si siega il fieno.
La mucca la si tiene perché da latte: la quale si fanno il formaggio, la ricotta e la spongia che poi diventa onto.
Il latte la mucca lo tiene in sacco che è sotto la pancia.
Io non sono capace di sapere come si chiama per taliano questo sacco, ma in friulano lo dicono “uvri”.
Il latte viene fuori per quelle spine che sono sotto il sacco e che bisogna tirarle e struccarle. Questo si chiama molgere la vacca. Quando la molgiano, la vacca fa “moo, moo”.
Poi la mucca dà la bogaccia che si chiama letame.
Io ho una mucca che si chiama “Sisila”. L'anno passato ne avevo due, ma una è morta con un ferro di guggia. Mio nonno ha chiamato il veterinario che ha detto che era malata e fraida patocca e che bisognava sepelirla.
Ma il veterinario non capisce gnente e mio nonno più furbo di lui l'ha copata e ha fatto pindule che abbiamo mangiato per tre mesi. Io amo la mia mucca”. |
Tema
“La polenta”
(Riportato da Scuola modello del 1947 e firmato da Polentarutti Luigi, alunno della classe terza unica)
Scrive così:
A me mi garba molto la polenta. Io la polenta la mangio di bonora, di mezzogiorno e di cena, e anche alle quattro. La polenta se la fa con la farina di panoghie e con l’acqua e si mette anche il sale se no dicono che fa venire la pelagra.
Per fare la polenta si mette l’acqua nella calderia, poi si fa bollire sopra il fuoco e quando si vede le bolle si mette dentro una presa di farina e dopo tutto s’ciatulino.
Poi si prende il mescolo e si la rompe e si lascia s’cialdare. poi si mescula… si mescola cencia stufarsi fin quando la spussa di cotto.
Poi la si giava e la si buta sul taiere che la fuma.
Ai signori, a loro piace la polenta tenera perché la mangiano con i luierini, ma a casa mia, la quale siamo poveri, la mangiamo dura senò lo stomaco si delibera subito.
La polenta più dura è quella dei boscadori, che la taiano con la mannaria.
Anche i pastori mangiano molta molta polenta nelle casere e prima di buttarla in bocca la stricciano e la folpeano fra la mani perché diventi più mulisitta.
Io amo la polenta e mangio anche le croste.
La polenta, se cade a terra, fa sbrisciare. Mia nonna l’altro anno ha pesciato un poco di polenta e è colata e ha s’ciarnato un piede che abiamo squegnuto portarla a Socchieve da quella donna che comeda gliossi. Evviva la polenta!
Anch’io mi chiamo Polentarutti”. |
Bibliografia
Pietro Adami, La cucina carnica, Muzzio, 1985
Melie Artico dai “Lops”, Cucina della Carnia cence pretésis… , Graphik studio, 1985
Gianni Cosetti, Vecchia e nuova cucina di Carnia, Lithostampa Pasian di Prato, 1995; Transalpina, 2008
Adriano Del Fabro, Mangjâ Cjargnel, Edizioni Del Baldo
Giovanna Squecco, La Carnia in cucina, Pillinini
|