|
Sylvie Kauffmann
Homo sovieticus? Niet |
La
società russa non ha mai cessato di resistere aII'imbrigliamento
del regime. In un
universo forzatamente urbanizzato, essa
ha ricreato il proprio mondo, rimanendo forte
mente ancorata alle proprie tradizioni familiari e
religiose. A sua volta, il sistema ha generato forme
di devianza: favoritismi e hooliganismo.
Tutti gli sforzi, tutti i discorsi, tutti i piani
quinquennali, tutti i decreti e tutti i morti non ci
sono riusciti: l'homo sovieticus non ha mai preso
forma. Questa nuova società che il regime stalinista
ha voluto costruire sulle rovine della vecchia
Russia non ha mai completamente accettato l'uniformazione,
i vincoli, i divieti che le venivano
imposti; e con mille forme di resistenza più o
meno deliberate, più o meno clandestine, ha saputo
preservare a se stessa, malgrado la repressione,
preziosi spazi di autonomia.
"Il
controllo totale è rimasto un pio desiderio del
regime"
sottolinea lo storico Nicolas Wecth, autore, tra l'altro,
di Etre
Communiste en URSS sous Staline (GaIIimard, 1981)
e coautore del Livre noir du communisme (Laffont,
1997). L'innesto non è riuscito.
"Fortemente violentata dalla politica,
la società sovietica
ha subìto in primo
luogo un attacco frontale contro il ceto contadino, un'autentica
de-contadinizzazione", che costituirà poi
la trasformazione più profonda della
società sotto Stalin, quella di una società rurale
(più dell'80% del paese alla fine degli anni '20),
in una società urbana.
Gli storici constatano oggi che le rivolte
contadine sono
state sottovalutate: 13mila sommosse solo nel
1930. Il kolkoz spezza il piccolo contadino che
scompare per sempre. Ma in questo nuovo universo urbano creato
con la forza, all'interno del quale il livello d'istruzione
generalizzata andrà poco
alla volta aumentando, i sovietici ricreeranno una
sorta di mondo loro, indipendentemente dalle
norme che i loro dirigenti hanno concepito per
loro.
A fronte di uno Stato centrale e onnipresente,
produttore e distributore, datore di lavoro e burocrate,
vi sono gli effetti perversi della disorganizzazione o dell'eccesso
di organizzazione, della miseria, del semplice istinto di
sopravvivenza.
Il blat (raccomandazione)
viene eretto a sistema parallelo, quello di una rete di relazioni
personali che consente di contravvenire all'incubo quotidiano:
ottenere una merce o un'autorizzazione significa
spesso sopravvivere.
Vi sono i rivenditori dei mercati dei kolkoz,
contro i quali il regime ingaggia una lotta senza
fine, un'economia parallela che poco a poco si
organizza, con piccole cooperative ed artigiani
che si riteneva fossero scomparsi, vi sono gli speculatori,
i ladri, gli ubriaconi, il mercato nero...
In Le Stalinisme au quotidien (Flammarion,
2002), la storica americana Sheila Fitzpatrick descrive anche
I'ascesa, nella prima metà degli anni
'30, di un fenomeno che preoccupa il potere,
nella misura in cui segnala la presenza di "elementi
antisociali"
nella gioventù: gli hooligans.
Da una decina di anni gli storici cercano di
studiare l'Unione Sovietica attraverso i suoi attori
sociali, e non solo attraverso il suo modello ideologico.
I
loro studi mettono in evidenza, ad esempio, una pratica della religione più estesa di quanto
non volesse far credere il regime, lanciato, fin
dalla guerra civile, in una vasta campagna di chiusura dei
luoghi di culto. "Alla fine degli
anni '30 -
nota Nicolas Werth - più del
90% delle chiese erano chiuse. Eppure
quando nel corso del censimento del gennaio-febbraio 1937 -
che fu poi annullato in quanto inferiore, a causa della carestia,
di 6-7 milioni di persone rispetto alla cifra annunciata da
Stalin ,
viene chiesto ai cittadini sovietici 'Lei è credente?',
il 57% risponde di sì. I rapporti della polizia
politica e del Consiglio per gli affari religiosi creato
successivamente indicano che, malgrado la paura, i sovietici
non esitavano a spedire petizioni per
chiedere che venissero riaperte le chiese. Durante
la seconda guerra mondiale, la repressione della
religione si fa meno dura, grazie ad un rinnovato
fervore patriottico. L'effetto si fa subito sentire:
il numero dei matrimoni religiosi e dei battesimi
decuplica. Anche se non possiamo parlare di pratica
massiccia della religione, non possiamo neppure dire
che vi sia stata alcuna discontinuità
nella pratica della religione sotto Stalin."
Negli anni' 40 e '50, i presidenti dei koIkoz invitano
addirittura dei pope affinché benedicano i raccolti...
Gli archivi della polizia politica e la stampa
dell'epoca rivelano anche "
un'assai
grande autonomia dell'opinione pubblica. Il malcontento
della popolazione e la sua
disperazione traspaiono nelle lettere, nelle denunce e nel
rifiuto a cooperare. Negli archivi della giustizia si scopre
come i giudici applicassero o non applicassero la legge
dell'agosto 1932 che
puniva con la morte chi si rendeva colpevole di
violazione della proprietà sociale. Ed è stato
così
anche per la legge sull'
assenteismo, che i direttori
delle fabbriche evitavano di applicare sistematicamente per
sanzionare gli operai assenti.
I campi di lavoro e la deportazione, che coinvolgerà
un
quinto della popolazione, creano una
subcultura specifica. È la "
gulaghizzazione",
la
cultura del tatuaggio, del gergo del campo, della
brutalità dei rapporti individuali. Il regime sovietico
ricrea così una società di status, con diversi
gradi di privilegio, una molteplicità di status sociali
che ha al vertice la
nomenklatura, le città in
cui
alcuni hanno il diritto di abitare ed altri no.
I russi
trovano un'arma prodigiosa nell'
umorismo e
nelle famose
tchastucki che mettono in ridicolo
i valori ufficiali, sulle note di canzoni famose. Gli slogan
forniscono una fonte inesauribile di canzonature ("
raggiungere
e superare l'Occidente" è una
di
esse: "
Quando avremo raggiunto I'America informami,
in modo che possa scendere!") così
come
gli
stakanovisti, i dirigenti dei
kolkoz,
Stalin e i
suoi sbirri. Tutto diventa materia di derisione: gli
innumerevoli acronimi, ad esempio, forniscono
un materiale fertile per I'immaginazione dei russi,
frustrati di tutto. Interpretata diversamente, la sigla
CCCP-SSSR,
ad esempio, diventa
"
La morte di Stalin salverà la Russia"
(Smert Stalina Spasset Rossiu).
Ma il rifugio più sicuro rimane quello della
famiglia,
pur maltrattata dagli sconvolgimenti sociali, dalla collettivizzazione,
dalla separazione provocata dagli internamenti, dalla coabitazione
in quattro o cinque in una stanza di un appartamento comunitario.
Ci si sposa moltissimo sotto
Stalin e ogni Repubblica, da quelle baltiche a quelle dell'Asia
centrale, conserva le proprie tradizioni familiari. I lavori
del demografo Alain Blum dimostrano, da questo punto di vista,
che I'omogeneizzazione culturale auspicata dal regime si
risolve in un fallimento, che si tratti dell'età in
cui ci si sposa o del numero di componenti della famiglia;
i segnali di una resistenza demografica sono numerosi.
Nella
società russa, il ruolo della
babushka è più cruciale
che mai (letteralmente
babushka significa nonna,
vecchietta, befana: il termine è stato poi usato per
indicare la tipica anziana donna russa che faceva da "guardiana" su
ogni piano di albergo o nei condomini, col compito di informare
la polizia).
Durante le grandi ondate
di denunce, poche sono quelle che coinvolgono
dei familiari: la famiglia e gli uomini di religione non
si toccano.
La propaganda glorifica la
donna, pilastro
della società,
ma nel 1936 le vieta l'
aborto, nel quadro
di una politica a favore della natalità, e le
rende più difficoltosa la procedura di divorzio.
Questi provvedinlenti verranno male accettati dalle donne,
soprattutto quelle urbanizzate. Piccola
eccezione nell'uniformità della stampa agli ordini
del potere, alcuni giornali segnalano addirittura
l'ostilità che il progetto di legge suscita tra un
certo numero di operaie, per altri versi del tutto
meritevoli. Applicata severamente, la lotta contro l'aborto
non lo farà tuttavia scomparire, così come
la repressione della religione non ha avuto la
meglio sulla fede.
l'Unità,
5.3.2003