Paolo Preto

Le parole dello spionaggio

Per gentile concessione dell'Autore, Professore ordinario di Storia moderna all'Università di Padova, pubblichiamo ampi stralci dell'articolo comparso su Per Aspera ad Veritatem Rivista di intelligence e di cultura professionale n. 6 settembre-dicembre 1996. Per le note si rimanda allo scritto originale: qui.

Le parole hanno una storia e la storia delle parole aiuta ad interpretare i documenti del passato e i grandi problemi storici; sono passati ormai oltre sessant'anni da quando Lucien Fébvre ha ricordato agli storici che "vale sempre la pena di fare la storia di una parola: breve o lungo, monotono o vario, il viaggio è sempre istruttivo" (2). Gli storici italiani non hanno mostrato un grande interesse per la storia della lingua italiana; su linguistica e storia, storia della lingua e ricerca storica, teorizzazioni e discussioni di metodo non sono mancate negli anni più recenti (3), ma ben poche sono state le storie di parole, di idee, di gruppi di idee, insomma di quei termini, per citare ancora Fébvre, "il cui significato più o meno grossolanamente definito dai vocabolari continua ad evolversi sotto la spinta di esperienze umane" e che dunque "ci pervengono pregni, per così dire, di tutta la storia che hanno attraversata" (4).
Eppure quando la ricerca convergente di storici e linguisti ha scavato nel grande deposito alluvionale dei documenti del passato per rintracciare permanenze, riemersioni e metamorfosi di termini essenziali della civiltà europea, i risultati sono stati di suggestivo interesse: penso agli studi di Folena sul rinnovamento linguistico del Settecento (5), e ai numerosi saggi sulla lingua italiana dell'età dei "lumi" che li hanno accompagnati e seguiti (6), alle originali ricerche sui linguaggi politici delle rivoluzioni nell'Europa moderna (7), agli studi sulla lingua del fascismo (8), ma soprattutto al libro di Leso sul vocabolario politico italiano dell'età giacobina, al quale gli storici italiani sono debitori di una ricognizione sistematica della nascita della lingua della politica di cui oggi tutti ci serviamo (9).
Discutevo qualche anno fa con Gianfranco Folena dello scarso apporto degli storici italiani alla storia della lingua italiana; eppure, mi ricordava il mio ex docente di filologia romanza, voi storici scorrete ogni giorno, per anni, migliaia di documenti, inediti e quasi sempre tali destinati a restare, nei quali si colgono preziose tracce dell'evoluzione delle parole, del loro significato, del loro uso da parte degli uomini. Di lì a qualche anno gli ricordai, quasi per caso, che stavo conducendo un'ampia ricerca sulla storia dei servizi segreti nell'Europa moderna e che la prima parte riguardava la Repubblica di Venezia; mi esortò subito a non dimenticare la storia della lingua italiana e a cogliere l'occasione di questa mia scorribanda tra le carte dell'archivio veneziano (ma non solo) per annotare notizie sulle "parole dello spionaggio". La mia ricerca archivistico-bibliografica si è conclusa e tradotta in un libro (10), ma purtroppo a Gianfranco Folena (nel frattempo scomparso) non posso più offrire i miei appunti sulle "parole dello spionaggio": pubblicarli ora è un devoto ricordo di questo maestro della storia della lingua italiana. Per ognuna delle "parole dello spionaggio" darò una breve ricostruzione storico-linguistica, come risulta dagli studi sinora pubblicati; seguirà una verifica-confronto con l'uso linguistico veneziano, desunto dalla letteratura storica e dai documenti inediti dell'archivio di stato.



SPIONAGGIO


- Dal francese espionnage, compare in Italia nel triennio giacobino (11), sempre in un contesto peggiorativo (12); Leso osserva infatti che l'accostamento dei termini dispotismo e tirannia, assai comune nella polemica politica del triennio rivoluzionario, è "accertabile anche attraverso l'osservazione del tratto comune 'spionaggio'" (13). Per Melchiorre Gioia coloro che non possono "dimenticare la tirannia, sotto cui vissero, riducono l'esercizio del potere ad un infame spionaggio" (14), per un deputato della repubblica cisalpina "in tutti i tempi un sistema acquisito d'inquisizione, di spionaggio, di diffidenza e di persecuzione, ha reso famoso e del pari esecrato il dispotismo" (15), un altro depreca una misura che non ad "altro varrà che ad attizzare i partiti e a fomentare lo spionaggio" (16).
A Venezia, caduta la Repubblica, i giacobini iniziano una furibonda campagna pubblicistica contro la tirannia e il dispotismo della defunta aristocrazia; il punto di partenza è una sorta di rovesciamento prospettico della storia veneziana: aspra e senza appello è la damnatio memoriae della Serrata del 1297 e del suo promotore, il doge Pietro Gradenigo, appassionata la riabilitazione di Baiamonte Tiepolo, lo sfortunato protagonista della congiura del 1310, ora esaltato come "eroe e martire della libertà" (17). Bersagli preferiti sono il misterioso e arbitrario potere degli Inquisitori di stato e il loro onnipotente e ramificato apparato spionistico; una pioggia di opuscoli bolla con parole di fuoco le infamie di spie, spioni, esploratori, delatori, confidenti, il cui numero, si assicura, era infinito (18). In questo profluvio di invettive anti-oligarchiche e anti-dispotiche la parola espionnage/spionaggio compare quasi contemporaneamente in contesti francesi e italiani: un anonimo partecipante, con un saggio in francese, al celebre concorso indetto nel 1796 dall'amministrazione generale della Lombardia su "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità dell'Italia", assicura che a Venezia "n'avoit que l'espionnage, les proscriptions, les "camerotti" et les "piombi" pour code et pour justice" (19); il municipalista Andrea Sordina, in un intervento a favore dell'erezione di un busto a Baiamonte Tiepolo (9 luglio 1797), assicura che alla morte di questo "martire della libertà" seguirono "il terrore, lo spionaggio, il mistero, ed una fatale indifferenza" (20).
L'accezione negativa di spionaggio è confermata nel 1848 da Filippo Ugolini, che lo definisce "vocabolo di nuova stampa, creato dai moderni costumi, e ignoto ai buoni antichi, che chiamavano spie quelli soltanto che si mandavano ad osservare gli andamenti de' nemici in tempo di guerra, come definisce la Crusca [...] ma infelici quei tempi che sono costretti inventar voci di questa natura, quando sia vero, come afferma il Grassi, che la storia delle parole strettamente si lega a quella de' popoli" (21).

SPIA

- Di origine germanica, gotica o franca [got. *spaiha, *spaihon, franco *spehon, dalla radice indoeuropea spek, da cui speculum, specchio], deverbale di spiare = osservare, esplorare, investigare (22); le prime attestazioni in Italia sono del 1264, negli statuti del comune di Vicenza ("nec ero guida vel spia ad detrimentum communis Vincentiae vel communacie") (23), e del 1269, in un testo di San Gimignano ("per pagare nelle spie che si mandano per lo comune", "denari pagati per lui a le spie", "andar per ispia") (24); non ha avuto fortuna la forma spiatore, -trice, attestata in alcuni autori rinascimentali (25) e poi ripresa da Pietro Colletta (1775-1831) ("spiatori e delatori delle opere e dei pensieri altrui") (26).

Spia indica due diverse funzioni: a) chi va ad esplorare le intenzioni e le azioni politiche, economiche e militari dei nemici, nel loro territorio, per riferirne ai propri connazionali; b) chi, per professione, per denaro, o altro motivo (talvolta abietto), investiga in segreto i comportamenti ostili o devianti dei concittadini, per riferirne agli organi di polizia o di giustizia, o direttamente al potere politico.

Ugo Grozio ritiene conforme al diritto delle genti mandare esploratori [qui sinonimo esatto di spia nel significato a] in terra nemica (27); Andrea Spinola, un patrizio genovese vissuto tra il 1562 e il 1631, assicura che "l'andar con ordine pubblico a spiar ciò che si fa ne' paesi, de' quali si vive con sospetto, è cosa da persona honorata" (28); molti trattatisti dell'arte diplomatica considerano lecito, anzi onorevole, lo spionaggio praticato dall'ambasciatore, spia onorata per eccellenza, ma non tutti sono d'accordo: per Cristóbal Benavente y Benavides le spie, "aunque necesarios, utilizados y autorizados, siempre tienen algo indigno" (29) e molti scrittori di morale e di politica, esempi illustri Voltaire e Montesquieu, bollano di infamia il mestiere di spia, in qualsivoglia modo e luogo esercitato (30).
Quanto alla spia interna (sign. b), Spinola distingue tra le monarchie assolute, dove "per ogni luogo vi sono spie" e "gli huomini son spiati in casa e fuor di casa", e le "repubbliche libere ben governate", dove " per l'ordinario non si suol dar orecchio alle spie, se non nelle cose toccanti allo stato", e dunque "chi, sentendo alcuna cosa, machinata contro la patria, la rivela, non solo non può esser chiamato spia, in cattivo senso, ma co'l far atto honoratissimo ne merita lode immortale"; viceversa "lo far la spia, all'hora è cosa infamissima, quando si fa con fine di premio, e di nuocere ad alcuno, cupidine sanguinis et hiatu praemiorum." (31) Sono ben pochi a concordare col patrizio genovese sulla liceità e onorevolezza del mestiere di spia (interna) sia pure sotto l'ombrello rassicurante della ragion di stato; prevale nettamente, in Italia come in Europa, un giudizio nettamente negativo, di disonore ed infamia; anche a Venezia, dove lo spionaggio esterno ed interno è praticato sistematicamente, agli occhi dell'opinione pubblica il nome spia evoca normalmente l'infame delatore piuttosto che l'emissario onorato al servizio dello stato (32).

Utile, necessario, anzi indispensabile, il fine dello spionaggio, quasi sempre infame la spia che lo persegue; l'oscillazione nel giudizio morale si riflette nell'uso delle "parole dello spionaggio". Ecco qualche testimonianza di spia in autori italiani, dal '500 all'800:

1. Tommaso Garzoni: "Il nome poi di spia particolarmente significa quella sorte di persone, che van secretamente per gli esserciti, dentro alle città, esplorando i fatti de nemici, per riferirgli ai suoi, et benché l'ufficio sia infame, et perciò tali persone ritrovate s'impendino per la gola; con tutto ciò son necessarie, come dall'Histoire et dalla prattica si conosce. Ma questo nome singolarmente significa alcuni accusatori, ovvero referendarij d'ogni specie non meno infami, che i primi, per la malignità loro, i quali in latino si dimandano Delatores […] questa vil canaglia […] (33);
2. Scipione Ammirato: "chi vuole ricuoprire la spia, il chiama accusatore, e chi vuol detrarre all'accusatore, cerca di vituperarlo cognominandolo spia […]"; "cosa disonoratissima […] tale è la spia"; "utile l'accusa, e dannosa la spia , ovvero calunnia"; "Certa cosa è essendo in processo di tempo venuto a noia [a Seiano, "nutritor delle spie"] questo fatto delle spie a ciascuno essere stato tolto via il proceder per via de delatori, che con questo vocabolo sono chiamate le spie quasi voglia dire riferitori, e rapportatori"; "conosciuta la bruttezza della spia, fuggirla come la peste, e con diligenza guardarsi; che poco o molto di sì vituperosa macchia non vada fregiato chiunque ha nome di gentilhuomo o per tal brama essere riputato" (34);
3. Carlo Goldoni: "Signora spia […]"; "Ha fatto la spia"; "È uno spione"; "Signore spione"; "Riverisco il signor confidente. / Io fo riverenza al signor referendario. / Sono stordito, sono avvilito, non so in qual mondo mi sia. / Spione a me? A me spione?" (35);
4. Melchiorre Gioia: "popoli infelici" gemono "sotto la veneta oligarchia, sotto quel dispotismo che inquieto e sospettoso cammina nelle ombre della notte tra gl'inquisitori di stato ed i carnefici; che favorendo le delazioni fa tremare l'innocenza la quale sdegna l'affetto degli iniqui e ricusa di comprarne il silenzio; che spargendo delle spie perfino tra le domestiche mura getta nell'animo de' cittadini i più crudeli sospetti, soffoca le espansioni dell'amicizia e del sangue, e lascia incerto se abbracciando un amico non siasi abbracciato un delatore" (36);
5. Tommaseo-Bellini: "Oggi dicesi spia a colui che prezzolato rapporta alla giustizia gli altrui misfatti" (37);
6. Giulio Rezasco: "SPIA. Sust. I. Colui che in guerra è mandato ad osservare segretamente gli andamenti e le condizioni del nemico per riferirle […] II. Colui che spesso per mestiere rapporta segretamente al Magistrato gli altrui fatti: Spione; più vile di Delatore e di Rapportatore" (38).

Spia, nel duplice significato di persona mandata ad esplorare le mosse dei nemici, (a), e di informatore interno tra i concittadini, (b), è normalmente usata a Venezia, per tutta l'età medievale e moderna, sia nelle carte ufficiali della Repubblica, sia negli scritti politici a stampa; particolarmente frequenti e linguisticamente puntuali le citazioni del diarista Marin Sanudo (1466-1536) (39). Anche l'espressione spia doppia, per indicare una spia che agisce a favore di due parti, per lo più tradendone una, è testimoniata in alcuni scrittori italiani dell'età moderna (40); a Venezia compare nel 1621 e 1679 (41).

SPION(e)

- La forma spion(e) è usata spesso come mera variante sinonimica di spia e corrisponde all'alternanza nelle lingue germaniche antiche tra *spahia ( = spia) e *spaihon ( = spione); i filologi ritengono che nelle lingue romanze le due forme germaniche antiche siano state equiparate a forme latine declinate come latro-latronem, da cui ladro e ladrone (42). A partire dal latino spiones (1290) Tommaseo-Bellini e Cortelazzo-Zolli forniscono numerosi esempi di spion(e) nell'italiano dell'età medievale e moderna (43); posso aggiungere due altre citazioni, una tratta dalla lingua furbesca romana di fine cinquecento ("Et fanno poi 'ogn'arte', cioè spione et boia per li Castelli") (44), l'altra dal volgarizzamento del De re militari di Antonio Cornazzano ("A dunque posto in via di parte in parte / per mille insidie e danni habbi spioni / e quel paese anchor dipinto in charte") (45).
A Venezia talvolta spion(e) è usato come mera variante sinonimica di spia, in riferimento ad agenti veneziani in azione all'estero ("uno spione nostro da Lodi") (46), ma più spesso prende valore peggiorativo di "spion de' inimici" (47); per Marin Sanudo gli spioni sono quasi sempre al servizio dei Turchi, dei Francesi, degli Spagnoli o comunque dei nemici di Venezia (48); è ovvia la connotazione peggiorativa di "quel spion che portava le lettere degli avvisi" dei due segretari che nel 1542 svelano segreti di stato ai Francesi e ai Turchi (49); nel 1573 il Consiglio dei dieci condanna uno "spione convento et confesso" (50); nel 1617, in un clima di acceso antispagnolismo e di terrore dello spionaggio dell'ambasciatore Bedmar, gli Inquisitori di stato individuano uno "spione spagnolo"(51); nel luglio 1649 Giambattista Brunacchi, confidente degli Inquisitori, registra con soddisfazione la condanna al carcere a vita di Giambattista Piazza, "spione della patria" (52); nell'agosto 1669 è un genovese a definire il bailo a Costantinopoli "venetiano spione"(53); nel 1785 Giovanni Cattaneo, spia onorata al servizio degli Inquisitori, seguendo un diffuso pregiudizio antisemita, definisce gli Ebrei "la miglior razza di spioni che siasi veduta al mondo" (54); nel marzo 1797, con Bonaparte ormai alle porte, viene smascherato uno "spion dei Francesi" (55).
L'accezione peggiorativa di spion(e) è ancora più evidente quando si tratta di persona al servizio degli Inquisitori per indagini sul comportamento morale o politico dei veneziani; in questo caso il servizio del bene pubblico non cancella agli occhi dei concittadini l'infamia insita nell'azione di spionaggio e delazione. Ecco alcuni esempi:

1. nel 1612 un nobile accusa un altro di essere "spion degli Inquisitori" (56);
2. il 29 novembre 1621 un cartello anonimo prende ironicamente di mira il "generale di spioni", capo di una "compagnia di spioni" (57);
3. il 25 agosto 1705 un nobile affronta un confidente inquisitoriale gridandogli "furboso, spione, ancora tanto ardisci" e gli allunga uno schiaffo (58);
4. il 21 luglio 1742 una nota definisce una persona "spion del Tribunale Supremo", con evidente sfumatura negativa (59);
5. il 28 febbraio 1777 Antonio Andrioli, confidente degli Inquisitori, viene accusato in pubblico da un ballerino di essere "spione palese a tutta Venezia" (60);
6. nella sua Narrazione apologetica del 1779 Pietro Antonio Gratarol, un ex segretario esiliato e col dente avvelenato con la sua ex-patria, descrive le botteghe di caffè di Venezia come ritrovi abituali di "servitori, parrucchieri, genti di teatro, spioni, ruffiani, genia più turpe se v'è (61);
7. il 9 ottobre 1794 una prostituta si lascia scappare in un caffè l'auspicio di un imminente arrivo a Venezia dei Francesi, "così finirebbero da regnare questi spioni e sbirri fottuti" (62).

ESPLORATORE

- Presso i Romani gli exploratores [greco: explwr'atores, skopoi¢, kata¢skopoi] sono soldati che vanno, per lo più in gruppo, ad esplorare il territorio, le forze e le mosse dei nemici (63); fuori del campo strettamente militare explorator indica, secondo varie testimonianze di autori classici citate dal teubneriano Thesaurus linguae latinae, "is qui explorat, inquirit simil. fere i.q. investigator, indagator, inquisitor […] fere i.q. insidiator" (64), tutte accezioni che, insieme a quella originale di esplorazione militare, confluiscono a farne, in età medievale e moderna, un sinonimo di spia, nei due sensi, esterna (a) e interna (b).
Per l'esplorazione, militare e non, i Romani usano anche speculatores: per lo più singolarmente, in segreto e con l'astuzia, essi curano l'inoltro di messaggi e, almeno dai tempi di Augusto, si dedicano anche allo spionaggio interno; in questa specifica funzione di polizia politica sono sostituiti in età imperiale dai frumentarii (65). Speculator ha poca fortuna in volgare; il Tommaseo-Bellini ricorda Domenico Cavalca ("il prelato rimesso e negligente è come nocchiere e rettor di nave sonnolento al tempo della tempestade, e come speculator cieco e banditor muto") (66) e soprattutto Machiavelli, che nell'Arte della guerra ricalca direttamente il termine latino: "Un esercito romano per l'ordinario sempre mandava innanzi alcune torme di cavalli, come speculatori del cammino […]; cavalli leggieri come speculatori del paese" (67).
Esploratore in italiano riproduce la stessa dicotomia di significato di spia di cui, in quasi tutti gli autori, è sentito come mero sinonimo; un esempio illustre, tra i tanti: nel volgarizzamento del De componendis cyfris di Leon Battista Alberti il senese Cosimo Bartoli traduce exploratores con spie (68). Per esploratore con il significato a, di inviato ad esplorare le intenzioni e le mosse dei nemici, nel loro territorio, ecco alcune delle testimonianze più significative, sino al '700:
1. Livio volgarizzato (sec. XIV): "Queste cose preparate e convocato il consiglio, comandato agli esploratori che dicessero quello che trovato avessero [...]" (69);
2. Jacopo Nardi: "due consoli, con due esserciti consolari, che entrando nel paese con gli esploratori e le scolte […], domandati poi gli esploratori se ogni cosa avessero investigato e veduto a lor bell'agio, li rimandò indietro, accompagnati, ad Annibale" (70);
3. Lodovico Domenichi: "Gli esploratori di Nerone riferirono, da Siene novecento sessantadue miglia in questi modi" (71);
4. Tommaso Garzoni: "Intese da gli esploratori che tre parti delle squadre Elvezie avevano passato il fiume" (72);
5. Carlo Goldoni: "Al campo non mancano esploratori, ed io ne sono assai provveduto" (73);
6. Vittorio Alfieri: "Quattro giornate avean già progredito i Romani, ed ormai a Cirta vicini, allorché gli esploratori loro prestamente addietro tornando, manifestarono appressarsi il nemico" (74).
In questo significato esploratore continua la sua vita per tutto l'Ottocento e il Novecento; vari esempi, in Niccolini, Gioberti, Pisacane, Calvino, sono riportati nel Tommaseo-Bellini e Battaglia (75).

Non meno frequente l'uso di esploratore nel significato b, informatore sui comportamenti ostili o devianti dei concittadini; da rilevare la connotazione quasi sempre peggiorativa di questo termine, che configura una professione di per sé abietta, odiosa, infame, disonorevole; viene spontaneo ricordare la recisa ripulsa di Kant per qualsiasi tipo di informatori, anche durante le campagne militari (uti exploratoribus), perché "questi artifici infernali […] non rimarrebbero a lungo circoscritti all'ambito della guerra […] ma si verificherebbero anche in tempo di pace e ne annullerebbero completamente lo scopo" (76).
Ecco alcune testimonianze di esploratore nel significato b:
1. Gerolamo Savonarola: "come il diavolo, re dei superbi, che mai non pensa ad altro che male […] [il tiranno] ha li esploratori e le spie in ogni luogo, che gli riferiscono ciò che si fa o che si dice, così maschi come femmine, così preti e religiosi, come secolari" (77);
2. Niccolò Machiavelli: "Teneva quella republica in tutti i luoghi diligenti esploratori di quelli che portavano lettere, per scoprire se alcuno contro allo stato loro alcuna cosa ordinasse" (78);
3. Baldesar Castiglione: "[i prìncipi tirannici] né comportano che nelle città siano amicitie, compagnie, né intelligentie fra i cittadini: ma nutriscono gli exploratori, accusatori, homicidiali: acciò che spaventino et facciano divenir gli homini pusillanimi et spargono discordie, per tenergli disgiunti et debili" (79);
4. Paolo Sarpi: "Quel vescovo fu così destro, che quantunque fosse dal cardinale tenuto essergli mandato per esploratore e osservatore, nondimeno seppe così ben maneggiarsi che acquistò la confidenza del cardinale e delli ambasciatori" (80);
5. Michelangelo Buonarroti il Giovane: "Sì ch'io mi fei talvolta / sospetto altrui (e me ne accorsi poi) / d'un qualche esploratore" (81);
6. Giovanni Delfino: "Che ci sono gl'iniqui esploratori, / che chiamar suole il re con falso nome/delle leggi custodi" (82);
7. Sant'Alfonso Maria de' Liguori "[nei seminari] oltre dei prefetti però è bene per ogni camerata (e questa è una cosa utilissima) tenere due o tre esploratori, cioè due figliuoli dell'istessa camerata, i più spirituali e fedeli, ma che i compagni non sappiano già quali siano: e da questi il rettore o il vescovo andrà esigendo in ogni settimana, e sempreché bisogna, la notizia dei difetti altrui" (83);
8. Carlo Goldoni: "O che caro signor don Marzio! Quei dieci zecchini, che ha prestati a mio marito, saranno stati una paga di esploratore" (84);
9. Giuseppe Parini: "O Nume invitto,/ non sospettar di me; ch'io già non vegno/ invido esplorator, ma fido amico/ de la coppia beata; a cui tu vegli" (85);
10. Vittorio Alfieri: "Ma tu, andasti esplorator d'Augusto,/ d'ogni picciol suo moto a me dà conto" (86);
11. Marco Marcello Vandoni: "Una quantità d'esploratori o spie sono indispensabili al ramo di polizia […] Chi più d'un vecchio sbirro conosce i malviventi, i borsajoli, biscaccie, bordelli ecc.? Qual migliore esploratore di costui! Ma mi si opporrà che la spia, accioché sia attiva, esser deve mascherata, giacché dalla conosciuta poco si può esplorare" (87);
12. Alessandro Manzoni: "Prestava egli adunque ad essi quel servizio tutte le volte che potesse farlo senza correre rischio dalla parte di gabellieri, di soldati, o di esploratori, altre classi ch'egli doveva rispettare per un altro punto della sua politica" (88);
13. Ettore Socci: "Una testa comparisce al nostro finestrino; era la testa di un birro, che da abile esploratore, si era arrampicato al di fuori del bastimento, ed aveva scoperto il nostro nascondiglio" (89).
14. Bruno Cicognani: "Alle mansioni normali di cameriera, di cuoca e di sguattera, aggiunse quella, straordinaria, d'esploratrice"(90);
Gli stessi significati di esploratore, a e b, si trovano naturalmente nel verbo esplorare: numerose testimonianze nel Battaglia (91). Altri termini della stessa famiglia sono esplorante, raro, sinonimo di esploratore-spia, ed esplorazione, anche qui nel duplice significato, a, osservazione militare, e, b, spionaggio interno poliziesco (92).

A Venezia sino a tutto il '400 i documenti, redatti ancora in latino, a spia preferiscono il classico explorator, nell'originario significato di uomo mandato in avanscoperta ad indagare le mosse dei nemici, soprattutto durante le campagne militari (93); quando poi, tra la fine del '400 e gli inizi del '500, si afferma definitivamente il volgare, viene ovviamente usata la forma esploratore (spesso alternata ad explorator, ora però sentito come volgare): numerose le testimonianze nei diaristi Domenico Malpiero (94) e Girolamo Priuli (95). Marin Sanudo usa explorator, esploratore come sinonimo di spia e ne precisa la specifica funzione di osservazione del territorio nemico: "per veder", "per sopraveder", "per saper li andamenti de inimici", "per saper de inimici", "oculatim haver visto li andamenti et successi de li inimici", "manda per esplorar per saper", "manda ad intender per esploratori" (96).
Non meno precise le scritture ufficiali della Repubblica:
1. esploratori sorvegliano nel 1629 le mosse degli imperiali nei Grigioni (97);
2. i Ragusei "servono [...] al re de' Turchi d'esploratori e messaggeri continui delle cose della Cristianità" e sono "suspettosi e pontuali esploratori de maneggi del Governo" (98);
3. dopo lo scoppio della Rivoluzione, nel 1792 compaiono a Venezia esploratori francesi, nel 1793 "francesi esploratori e predicanti", nel 1796 ancora esploratori, ma ora sia francesi che austriaci (99).
Esploratore nel significato b, informatore-spia interna, sinonimo dell'ormai comune confidente, compare il 20 febbraio 1701 in un proclama dei rettori di Verona (premio "alli accusatori, esploratori e denontianti secreti" in materia di "prattiche, maneggi, preghiere, brogli e conventicole") (100) e diventa poi abbastanza frequente nella seconda metà del Settecento(101); in alcuni casi è usato come aggettivo: "ministri esploratori" "fedeli e destre esploratrici persone", "persone straniere sospette o esploratrici", "prete esploratore"(102).

CONFIDENTE

- "Voce dotta, dal latino confidens-entis (part. pres. di confidere 'confidare')": il Battaglia non registra sino alla metà dell'Ottocento alcuna testimonianza nel senso di spia, informatore della polizia; normalmente il termine indica "chi riceve abitualmente le confidenze di una persona (e spesso la consiglia, la soccorre, la guida, collabora ai suo disegni segreti)" (103).
Nel significato di spia compare negli scrittori italiani della metà dell'Ottocento:
1. Filippo Ugolini "Confidente: indovina qual uso ora da alcuni si fa di questa disgraziata parola? A significare le spie" (104);
2. Francesco Domenico Guerrazzi: "Esce di casa e si fa a trovare il capo dei "confidenti" a cui con lunghe e minuziose istruzioni conferisce lo incarico di codiare sua moglie" (105);
3. Carlo Collodi: " [al caffè] le spie o "confidenti", come si chiamano oggi con un vocabolo preso in prestito alla Tragedia, non ci capitavano mai" (106);
4. Alfredo Panzini: "Una delle prime cose che deve fare un buon gendarme, quando arriva in un paese come quello, è trovare dei confidenti" (107);
5. Carlo Cassola: "Fin dal tempo in cui faceva l'ultrarivoluzionario, era un confidente della questura" (108).
Dizionario etimologico italiano di Battisti e Alessio menziona confidente nel significato di "spia politica" nella Venezia del XVIII secolo (109): posso ora documentarne l'uso, proprio a Venezia, almeno un secolo prima. Il settecentesco Dizionario del diritto comune e veneto di Marco Ferro e l'ottocentesco Lessico Veneto di Fabio Mutinelli registrano confidente solo come sinonimo di arbitro designato dal magistrato nelle vertenze tra marito e moglie (110); Giuseppe Boerio, nel suo Dizionario del dialetto veneziano (1856) accanto al significato primario di "intrinseco amico" indica quello di spia, delatore, denunziatore (111) e Bartolomeo Cecchetti definisce i confidenti "agenti della polizia degl'Inquisitori, spesso comuni e stipendiati regolarmente; taluni referendari e negoziatori non ignobili, e scelti per qualche affare speciale; salariati anche tra gli stessi famigliari di ambasciatori esteri" (112); a sua volta Giulio Rezasco (1881) così descrive il confidente veneziano: "chi teneva il tristo ufficio, dentro o fuori dello Stato, di rapportare a voce o per lettera segreta al Consiglio de' X, e qualche volta agli Ambasciatori veneziani presso le Potenze estere, i fatti importanti alla Repubblica; ed anche di uccidere per mandato di quel Consiglio o degl'Inquisitori di Stato le persone che esso od essi gli additavano" (113).
Le carte ufficiali della Repubblica offrono testimonianze puntuali dell'uso di confidente già nel Seicento; in due casi del 1607 e 1616, usato come aggettivo, indica ancora persona che è in confidenza con qualcuno, ma è già molto vicino al valore di spia-esploratore:
1. "con quella creatura confidente del bei della Valona", "persona mia molto confidente", "da un confidente amico mio" [il dispaccio, in cifra, ha per oggetto notizie segrete ricavate appunto da un confidente] (114);
2. "ho tenuto poi anco qualche corrispondenza di lettere con Gusuf Agà di Nadin, turco confidente dei signori rettori di Zara e provveditor generale della cavalleria, stipendiato di dieci talleri al mese da Vostra Serenità" (115).
Da rilevare che la forma persona confidente, per indicare la spia degli Inquisitori, continua ad essere usata, sia pure di rado, anche negli ultimi anni del Seicento e nel Settecento, quando ormai confidente, sostantivo, si è imposto senza resistenze. Tre esempi:
1. "io persona confidente riferisco" (116);
2. "si destineranno persone confidenti in esplorazione de disordini" (117);
3. "non ho mancato come il dover mio richiede la passata sera di stare in attenzione, e di far stare le solite persone mie confidenti per le botteghe da caffè", "riferisco umilmente a Vostra Signoria Illustrissima di non aver ommesso portarmi alle botteghe da caffè, da Mori, da Stefano ed alle Rive, e fatto stare le solite persone mie confidenti" (118).
"confidente secreto", come sostantivo, il 16 maggio 1620 (119); il 4 settembre 1626 sono menzionati "il confidente ordinario alli confini" e vari confidenti dei rettori in Dalmazia (120) e il 15 settembre 1691 vari confidenti del rettore di Bergamo per le guerre in corso (121). Nel Settecento confidente è di uso comune a Venezia e le testimonianze nelle carte di stato sono innumerevoli; la funzione sinonimica rispetto a spia-esploratore è spesso evidenziata dall'alternanza dei due termini all'interno della stessa pagina (122): il 1 settembre 1795 Giovanni Cattaneo definisce Tommaso Milleville, nobile emigrato, "confidente sive spia" degli Inquisitori (123).
Che poi il termine abbia ormai assunto agli occhi dell'opinione pubblica una connotazione peggiorativa è indicata da questo episodio: Gerolamo Marco Lioni, confidente ordinario, cioè in servizio permanente, si lamenta che un tal Giovan Battista Ferrazzi lo abbia chiamato pubblicamente confidente, indicandolo pure a dito, una intollerabile calunnia, scrive risentito agli Inquisitori, che molto può pregiudicare l'avvenire dei suoi due figli maschi e delle cinque figlie nubili (124).

DELATORE

- In latino delator, da delatus, p.p. di deferre, indica presso i Romani sia colui che denuncia reati, o segnala schiavi vaganti, fedecommessi nascosti ed eredità vacanti, sia il privato accusatore per desiderio di guadagno (125); secondo Gaudemet nella sua accezione originaria, riferita all'azione di colui che segnala all'autorità azioni illegali dei cittadini, non ha il senso peggiorativo assunto più tardi in età imperiale, quando spesso la delazione diventa strumento di invidia, vendetta, illecito arricchimento (126).
In ogni caso l'accezione negativa, già evidente negli scrittori latino-cristiani Tertulliano e Lattanzio ["diabolus id est delator", "serpens ille qui de factis diabolus, id est criminator sive delator, nomen accepit"] (127), transita nel volgare delatore dove, precisa Battaglia, indica "chi, per lucro, per spirito di vendetta, per servilismo, per paura, fornisce, per lo più segretamente, all'autorità giudiziaria o politica informazioni compromettenti a carico di altri o denuncia il nome di chi ha commesso o intende commettere azioni punite dalla legge; chi rivela a un superiore le colpe altrui o il nome del colpevole; spia, denunciatore, accusatore" (128).
Il tacitismo dominante nella seconda metà del Cinquecento e nel Seicento contribuisce alla fortuna del termine nel linguaggio storico-politico: se Bernardo Davanzati, il più celebre dei volgarizzatori di Tacito, traduce delatores, ma anche accusatores, con spie (129), Scipione Ammirato, riferendosi a Seiano, "nutritor di spie", precisa che col vocabolo delatori "sono chiamate le spie, quasi voglia dire riferitori e rapportatori" (130); in questo significato di denunziatore, per invidia, vendetta, calunnia, e per lo più in riferimento a situazioni del mondo classico, compare in Machiavelli ("Antonino Pio disse a uno delatore che invano si affaticavano li imperatori, perché nessuno ammazzò mai il suo successore") (131), Jacopo Nardi, volgarizzatore di Tito Livio ("i delatori mostrava in apparenza di avere in odio, e gli adulatori sciocchi parimente") (132), Agnolo Firenzuola ("e con queste parole fece fine il filosofo al suo ragionamento; avendoli per quel dimostrato, quanto i signori si debbano guardare dagl'inganni degl' invidi delatori") (133). Tommaso Garzoni, come abbiamo visto, assimila le spie agli "accusatori, ovvero referendarij d'ogni specie, non meno infami, che i primi, per la malignità loro, i quali in latino si dimandano Delatores" (134).
Delatore e delazione, anch'essa in senso peggiorativo, sono comunemente usati da molti scrittori italiani: alcune delle testimonianze più significative, di Rosa, Alessandro Verri, Alfieri, Foscolo, Monti, Colletta, Guerrazzi, Gioberti, Imbriani, De Sanctis, D'Annunzio, Deledda, Bacchelli, Emanuelli, Moravia, sono raccolte dal Battaglia (135).
Il delatore, di per sé vile ed abietto, compie un'azione particolarmente infame quando agisce al servizio di governi stranieri ed oppressori o di regimi tirannici, e denuncia compagni di fede impegnati in nobili azioni patriottiche, civili e sociali; qualche esempio, oltre al già citato passo di Melchiorre Gioia sulle spie e delatori che funestavano la vita dei "popoli infelici" gementi "sotto la veneta oligarchia" (136):
1. Ugo Foscolo: "La calunnia è più pericolosa quando è instillata negli orecchi di persone che vengono con armi straniere, e che sono obbligate ad adombrarsi di tutto; le loro buone intenzioni sono spesso distrutte dalle vili delazioni; e per quanto si guardino dal credere, non può essere che la persona accusata non riesca, non foss'altro sospetta" (137);
2. Pietro Colletta: "Sursero in gran numero spiatori e delatori delle opere e dei pensieri altrui, e lo infame mestiero coprendosi dell'amore e zelo di patria seduceva per fin gli onesti" (138);
3. Antonio Fogazzaro: "Si stigmatizzino con santo coraggio la delazione, lo spionaggio che adesso fioriscono come durante ogni epoca di despotismo politico. Io mi domando, io non agnostico né immanentista, io devoto a Rosmini, io poeta che sente Iddio nell'Universo, mi domando se lo spionaggio, la delazione, la mania di scoprire ovunque eretici ed eresie non corrompano la vita religiosa molto più largamente di sistemi filosofici che pochi capiscono, che sono errati, lo credo, ma poi non impediscono di credere con tutta l'anima in Dio, il quale non domanderà, no, per quali prove abbiamo creduto in Lui, ma solo se abbiamo creduto, magari senza neanche sapere cosa siano le prove classiche" (139);
4. Luigi Bartolini: "Si trattava d'una donna pazza per ereditarietà e degenere in ogni senso. D'una che aveva fatto anche la delatrice, alla polizia fascista, contro di me, contribuendo a farmi condannare al confino per antifascismo" (140).
Frequente nella lingua colta, delatore è invece abbastanza raro nel linguaggio spionistico della Repubblica di Venezia dove, sinora, lo trovo attestato solo a partire dalla metà del Settecento:
1. Alcuni decreti dei Provveditori alla sanità e dei Provveditori all'Adige, del 12 settembre 1749, 17 aprile 1782, 8 giugno 1783, 23 marzo 1785, 22 settembre 1789 e 11 dicembre 1795, prevedono premi ai delatori (o dilatori) che presentano denunce segrete (141);
2. Bartolomeo Benincasa, intelligente e colto nobile modenese, per qualche tempo confidente degli Inquisitori di stato, caduto in sospetto tra i suoi amici aristocratici, prima, nel giugno 1792, supplica che "si distingua l'osservator ragionato, zelante ed umano e nobile dall'atroce e vil delatore", poi invoca come copertura una "commissione puramente letteraria" e infine, al momento di congedarsi, pieno di "un'interna amarezza, un doloroso sentimento, un'afflizione umiliante", afferma con fierezza "o di non aver mai meritato l'infame nome di delatore, o di averlo comune coi personaggi più onorati, come ambasciatori e ministri nei paesi esteri, ove esercitano l'istesso stile d'indagazione" (142);
3. Nel 1796, coi Francesi ormai in Italia e la diffusa paura dei giacobini, una donna osserva con angoscia le mosse di un certo Giovanni Tipaldo, "temendo sia un delatore" (143);
4. Un proclama del 1797 inveisce contro l'ormai defunta Repubblica che "seminava fra i cittadini la più crudele diffidenza [...] rendea gli uni spie, delatori, nemici accaniti degli altri" (144).

REFERENDARIO

- Come spiega il Battaglia è "voce dotta, lat. tardo referendarius, propr. "addetto alle cose che devono essere riferite", der. da referenda "cose da riferire", gerundio neutro plur. di referre" e, oltre al primario significato di funzionario esperto di diritto nell'impero romano, in alcuni stati medievali e nello stato della Chiesa (ora anche nome di magistrato del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti) assume quello di "chi riferisce qualcosa con malignità: informatore, spia" (145). L'accezione peggiorativa, e quindi la funzione sinonimica di delatore, è segnalata con forza da molti scrittori dell'età moderna:
1. Stefano Guazzo (1530-1593): "Sotto questo capo io comprendo i rapportatori, che fanno volentieri la spia, e 'l referendario e anco gli scommettitori o seminatori di discordie e tutti quelli che rivelano i segreti altrui, i quali quanto errore commettano, lo lascio dire a voi" (146);
2. Benedetto Varchi: "Il verbo generale è spiare, verbo non meno infame che origliare, se bene si piglia alcuna volta in buona parte, dove far la spia si piglia sempre in cattiva, il che si dice volgarmente essere referendario" (147) ;
3. Tommaso Garzoni: "accusatori, ovvero referendarij d'ogni specie non meno infami, che i primi [le spie], per la malignità loro, i quali in latino si dimandano Delatores" (148);
4. Giovanni Maria Cecchi: "Oh! Io non sono Referendario, sai, del criminale" (149) e "Fu 'l caso/tra persone d'onore, e non vi fu/ genterelle da far referendario" (150);
5. Pietro Andrea Canoniero: "Soli quivi vanno prosperando gli adulatori, i mormoratori, le spie, i referendari" (151);
6. Giovanni Battista Fagiuoli: "Quindici o venti diavol mandiamo, /cento, dugento e quanti è necessario./ [...] / Diam lor patente di referendario:/ entrin questi invisibili lassù, / e ci avvisin via via ogni ordinario" (152).
Il termine cade in disuso nell'800, ma il Battaglia ne ricorda un'attestazione nelle memorie I Mille di Giuseppe Bandi: "I maligni sobillatori [...] crescevano peso e forza a quanto già ne aveva di per sé, facendo con infame voluttà la parte del referendario, riferendo a tradimento" (153).
Anche a Venezia referendario è termine colto, usato quasi esclusivamente da persone colte:
1. Camillo Badoer, spia onorata di fine Seicento, laureato, poeta, autore di un'opera storico-geografica, nel novembre 1677 stila un elenco di referendarij (e precisa che si tratta di spie) della Francia, nel dicembre enumera 4-5 suoi "refferendarij" che perlustreranno le chiese della città per sorprendervi scandali, tra l'agosto 1684 e il febbraio 1685 segue le mosse di un "segreto refferendario" dell'ambasciatore francese ed offre agli Inquisitori di Stato varie informazioni su altri "rapportisti e referendarij" (154);
2. nell'aprile 1745 due biscazzieri si vantano di avere come refferendari il capitano ed un confidente degli Esecutori contro la bestemmia (155);
3. nel giugno 1768 il provveditore generale in Dalmazia-Albania Antonio Renier comunica che la comunità di Pastrovichi ha ottenuto da "certi referendarij" notizie su Stefano il Piccolo, autoproclamatosi il defunto zar Pietro III (156);
4. nel giugno 1770 Felice Favretti, un confidente che bazzica tra patrizi e altre persone dell'alta società, segnala un "referendario"austriaco (157);
5. il 3 gennaio 1797 Domenico Casotto, confidente con precedenti di lavoro come machinista-marangon nei teatri e più tardi autore di un opuscolo per l'erezione dell'albero della libertà, individua un veneziano già "referendario" nell'armata francese (158);
6. nella Bottega del caffè di Goldoni referendario è sinonimo di spia, spione, confidente (159);
7. [anonimo-1797]: "delazioni maligne dei referendarij, degli spioni, degl'impostori" (160);
8. Bartolomeo Cecchetti (1888) usa referendario come sinonimo di confidente inquisitoriale (161).

EMISSARIO

- Anche emissario, precisa Battaglia, è "voce dotta, lat. emissarius 'emissario, mandatario, spia, corriere, agente, messo': da emissus, part. pass. di emittxere 'emettere, mettere fuori, mandare fuori' " e indica "persona incaricata da altri (e, in particolare, da governi, alti personaggi, eserciti ecc.) di missioni segrete di ricognizione o di scoperta: agente segreto, mandatario"; in questa accezione di agente segreto è attestato in vari autori del Seicento, Settecento ed Ottocento, tra i quali Filippo Corsini, Lorenzo Magalotti, Pietro Verri, Ugo Foscolo, Francesco De Sanctis, Carlo Dossi (162). Sulla correttezza del suo uso come sinonimo di spia-esploratore corrono nell'Ottocento pareri contrastanti: Filippo Ugolini rileva che "emissario si usa frequentemente per mandatario, spia, esploratore; ma non è voce approvata" (163), ma Fanfani e Arlìa obiettano che "alcuni hanno chiamato falsa anche la voce emissario, per esploratore, spia ecc.; ma la sua origine è latina, ed è fatta buona dall'uso comune, specialmente nel linguaggio politico" (164); il Battaglia ne registra l'uso negli scrittori Giovanni Comisso ed Elio Vittorini (165).
A Venezia emissario compare forse la prima volta il 15 aprile 1786, quando ai confini dell'Albania ottomana viene arrestato un "occulto emissario ed esploratore" del pascià di Scutari (166); nel giugno 1788 Pietro Gavardo, avvocato-confidente di Capodistria, ad alcuni maligni censori della sua professione ricorda polemicamente "che in certe occasioni si possono dare degli emissari onorati a servizio del loro Principe naturale ed a pro dello Stato" (167); dopo il 1789 a Venezia si comincia a temere la propaganda della Rivoluzione: emissari sono ora chiamati gli agenti segreti francesi venuti a diffondere le perniciose massime di liberté, égalité, fraternité, ma talvolta, per evidente attrazione, anche i confidenti del controspionaggio anti-rivoluzionario (168).

CORRISPONDENTE

- Il Battaglia lo annovera tra il linguaggio "spionistico" nel significato di persona che "ha l'incarico di fornire notizie relative a persone o a fatti; informatore, confidente" e registra come unica testimonianza un passo di Raimondo Montecuccoli (1609-1680): "i prigionieri, le spie, i corrispondenti, e i trasfuggitori" (169). Lo trovo a Venezia una sola volta: il 13 aprile 1730 gli Inquisitori di Stato autorizzano i rettori di Capodistria a pagare 50 ducati ad alcuni "corrispondenti" che informano sul porto di Trieste (170).

MESSO

- "Dal lat. tardo missus 'inviato, messaggero', part. sostant. di mittere, 'mandare' ", messo è termine di amplissimo uso nella lingua italiana; il Battaglia raccoglie numerose testimonianze del suo significato di "messaggero, latore di corrispondenza, corriere, emissario", oppure "ambasciatore, legato", ma nessuna di esse rinvia ad una funzione di spionaggio (171). E invece proprio nella specifica accezione di spia-esploratore è spesso usato a Venezia tra la fine del '400 e i primi decenni del Cinquecento:
1. il rettore di Cattaro nel 1538 manda in missione spionistica a Costantinopoli prima vari exploratori poi un messo (172);
2. Marin Sanudo indica con messo un esploratore inviato in territorio nemico: "è ritornato un loro messo mandato in paese de Sguizari [Svizzeri]", "messi a le parte di sopra per intender la verità", "messo mandato a posta in la Alemagna per intender li andamenti di alemanni", "quattro messi over spie", "messo mandato [...] ad esplorar", "exploratori overo messi" (173).
Il termine non ha però fortuna: solo il 10 dicembre 1796 trovo un dispaccio di un rettore di Rovigo che comunica di aver speso molto denaro personale per "messi, esploratori, e confidenti" (174).

NUNZIO

- Anche per nunzio (noncio, nonzio, nuncio), "voce dotta, lat. nuntius, 'messo, messaggero; messaggio, annunzio' e nuntium 'notizia', da collegare alla stessa radice di *nuere 'far cenno col capo' ", il Battaglia registra varie testimonianze nel significato di "messo, messaggero, ambasciatore, legato", ma mai con riferimento ad attività spionistiche (175). Il Du Cange definisce la spia "explorator, delator, interdum generaliter quivis nuntius" (176); con questo significato di spia-esploratore il termine nunzio compare a Venezia, sia pure solo per pochi anni, tra la fine del '400 e gli inizi del '500:
1. il 14 maggio 1496 il Consiglio dei Dieci spende 300 ducati "pro exploratoribus et nuntiis secretis" e il 17 giugno 1512 compensa Valerio Lamberti che ha tenuto a sue spese "nuncii incogniti" dalla Germania (177);
2. Marin Sanudo ricorda "do nontii a Salonicco per intender nove turchesche", un "reporto del suo nuntio, stato in terra de Grisoni [Grigioni]", un "nontio per saper novele di Turchi", "un mio nuntio esplorator a Trieste" (178).

RAPPORTATORE - RAPPORTISTA

- "Nome d'agente da rapportare", rapportatore significa, secondo il Battaglia, "maldicente, calunniatore. In part.: spia, delatore" (179); le testimonianze di poeti e prosatori, dal Trecento all'Ottocento, sottolineano la connotazione peggiorativa del termine: il rapportatore è "falso" e "malvagissimo leccone" [Alberto della Piagentina (180)], provoca solo "danno e grave errore" [Graziolo Bambagiuoli (181)], è "peccatore" [La Bibbia volgare (182)], agisce "per venire in grazia del signore" [Franco Sacchetti (183)], è "mendace" [Gregorio Roverbella (184)], è simile agli "adulatori" [Fausto da Longiano (185)], è uno dei "canali adoperati dal diavolo per portar a tutte le case i mali esempi" [Ambrogio Cattaneo (186)], è "pettegolo" [...], alteratore, e mette dissensioni nella mia compagnia" [Carlo Gozzi (187)]. Particolarmente incisivo il suo uso, come sinonimo di delatore e spia-esploratore, in alcuni scrittori politici:
1. Scipione Ammirato: "delatori, che con questo vocabolo sono chiamate le spie, quasi voglia dir riferitori, e rapportatori" (188) ;
2. Stefano Guazzo: " i rapportatori, che fanno volentieri la spia, e 'l referendario" (189);
3. Girolamo Frachetta: "Per ordinario li spioni o rapportatori segreti sono de' più nobili" (190);
4. Carlo Botta: "la Francia aveva in Torino e nella sua corte stessa esploratori e rapportatori secreti" (191);
5. Guglielmo Massaia: "per tener viva quella malaugurata discordia, non si contentava del triste mestiere di falsi rapportatori solamente in mezzo ad essi, ma anche fra le persone della corte e presso lo stesso Menelik" (192).
ètermine raro: il 19 luglio 1633 una scrittura anonima nella casella delle denunce segrete (più tardi denominata popolarmente bocca di leone) accusa alcuni cittadini di Toscolano (Salò) di prepotenze e perturbazione della quiete pubblica, "con revolgimento forsi de suditi e con deditione ad altri Prencipi a quali servono di secretarij forse et reportatori" (193).
Sinonimo di novellista il rapportista, o riportista (da rapporto), o scrittore da rapporti, o di riporti, cioè nove, novelle, avvisi delle cose del mondo, si collega alla prima embrionale forma di giornalismo moderno che si sviluppa a Venezia nella seconda metà del '600 [cfr. il paragrafo successivo, alla voce novellista].
Tra il febbraio e il luglio 1584 varie persone sono condannate "per l'imputation di scriver reporti, overo avvisi delle cose del mondo" (194); nel novembre 1609 va sotto inchiesta un "gazzettante" e autore di riporti (195); nel febbraio 1670 gli Inquisitori indagano su un altro "scrittore da rapporti", nel maggio 1674 una denuncia segreta accusa il prete napoletano Agostino Alfidi, "scrittor da rapporti", di diffondere versioni dei fatti ostili alla Repubblica e nel dicembre 1676 il confidente Camillo Badoer segnala la pericolosa attività di alcuni "scrittori di riporti", che con le loro notizie contraddittorie sui fatti del mondo suscitano "conventicole e bozzoli [=capannelli]" (196).
Tra il 1679 e il 1690 la parola rapportista-riportista conosce la sua breve stagione di fortuna: il solito confidente Camillo Badoer segnala il rapportista Benedetto Giuliani, un altro rapportista di nome Paolo Giuliani, forse ammazzato per la sua equivoca professione (197); un riportista di S. Mosè, troppo audace nelle sue nove sul papa, nel marzo-aprile 1690 finisce in prigione per qualche giorno (198). Alcuni rapportisti alternano o affiancano la raccolta, più o meno legale, di rapporti delle cose del mondo allo spionaggio a favore di potenze straniere: sempre Camillo Badoer nel 1681 si informa sui "secreti novelisti" del rapportista Giuliani, nel 1683 conosce Giacomo Torre, "rapportista confidente" dell'ambasciatore austriaco, e nel febbraio 1685 raccoglie notizie su vari "rapportisti e referendarij" (199). In questa accezione, a metà strada tra il giornalismo e lo spionaggio, la parola ha poca fortuna; nel 1697 il geografo Pietro Vincenzo Coronelli precisa che "non è costume di stampare gli avvisi in questa città [=Venezia], né si scrivono che col dovuto rispetto verso ogni nazione [...]. I rapportisti, che sono in gran numero, ricevono il foglietto dalli due principali, don Pietro Donati e Antonio Minunni" (200); comunque anche in questo significato giornalistico rapportista è rapidamente soppiantato da novellista.

NOVELLISTA, NOVELLARIO, NOVELLIERE


- Da novella, notizia, nuova, annuncio, novità, cosa, fatto nuovo, informazione, nasce novellista (si trova anche novellante), "chi raccoglie, più o meno sistematicamente o professionalmente, notizie per riferirle o venderle a chi ne sia interessato, a giornalisti [...] Per estensione. Gazzettiere, menante, giornalista" (201); nel Settecento attorno ai novellisti, che diffondono le novelle, o nove, delle corti e delle guerre, spuntano i geniali, cittadini interessati alle vicende politiche e sociali, che discutono animatamente nei caffè e in altri luoghi di pubblica riunione: il primo embrione della moderna opinione pubblica (202). Per la sua stessa natura la professione del novellista si colloca in una zona di confine tra la raccolta lecita e libera di notizie di pubblico dominio e la captazione illegale di informazioni, riservate o coperte dal segreto di stato: tutti i governi del Cinquecento, Seicento, Settecento diffidano (anche se talvolta se ne servono e li aiutano) dei novellisti, ne reprimono gli abusi, ne sorvegliano le fonti di informazione.
L'incerto profilo del novellista, informatore-giornalista, ma potenzialmente, e talvolta effettivamente, spia, magari doppia, si coglie perfettamente a Venezia, centro di arrivo e smistamento, tra il Quattrocento e il Seicento, delle nove di tutto il mondo, e punto di partenza di innumerevoli foglietti segreti, reporti o avvisi delle cose del mondo (203); novellista si chiama anche, ed è molto significativo, l'uomo che sta di vedetta sul campanile di S. Marco per avvistare le navi. Il 12 marzo 1618 il controspionaggio veneziano smaschera Vincenzo Tucci, un "solecitador di palazzo" filospagnolo, amico di uomini che "attendono a novelle", scrittore di riporti, "novelista", anzi "publico novelista", troppo curioso indagatore dei movimenti delle navi nel porto (204); il 28 luglio 1620 una lettera anonima al Consiglio dei dieci accusa Nicolò Villarave, priore di San Benedetto (Padova), di essere "molto novelista", copiosissimo di ogni posta di lettere, malissimo affetto al corno [=corno ducale, cioè la Repubblica], e molto appassionato della Corona [=Spagna] (205); nell'ottobre 1624 il residente a Milano individua tale Giovan Francesco Malagamba, "che fa del novellista, ma pretende interessi con molti grandi" (206); nel gennaio 1654 il console a Genova segnala il "novelista" Alessandro Botticelli (207) ; nel novembre 1677 il solito Camillo Badoer svela agli Inquisitori l'attività del cavalier Giulio Cesare Beatiano, "segreto refferendario" dell'ambasciata di Francia e novelista che entra in tutte le case patrizie (208); nel settembre 1681 lo stesso informa su vari "secreti novelisti" (209).
Novellario, che in Piemonte e Liguria indica gazzetta manoscritta o a stampa (210), a Venezia compare nel 1652 come sinonimo di novellista (211). Col preciso significato di informatore-spia si trova, anche se molto raramente, novelliere:
1. Vittorio Siri (1608-1685): "sospettato dalla Porta per una spia o per novelliere de' Maltesi" (212);
2. il 18 agosto 1795 il rappresentante francese a Venezia confida a Giovanni Cattaneo di non voler, almeno per il momento, far occupare il posto di "novelliere o di spia", di solito al servizio dell'ambasciata (213).

MANDATARIO

- "Voce dotta, dal lat. tardo mandatarius (Codice di Giustiniano), da mandare, 'affidare' (214); nel significato di "persona incaricata dal potere politico di svolgere attività segrete e per lo più anche illecite o comunque non onorevoli; emissario" il Battaglia registra tre testimonianze:
1. Paolo Serenio Bartolucci (sec. XVI): "quando io era giovane, caminava più d'un mandataio" (215);
2. Lazzaro Papi (1763-1843): "facendo dai loro mandatarj segretamente instigare il popolo a qualche sommossa [...] I mandatarj suoi [del governo francese] non avrebbero potuto segretamente passare sulla diritta riva del Reno già tutta occupata dai soldati austriaci" (216);
3. Carlo Botta: "Uomini a posta scorrevano la Germania [...], e pretendendo magnifiche parole a' rei disegni, insidiavano a' Governi ed incitavano i Popoli a cose nuove [...] Si aveva anche in Italia avuto odore di tali mandatarj" (217).
Dizionario del linguaggio italiano storico e amministrativo (1881) Giulio Rezasco, citando Papi e Botta, ne dà questa definizione: "Uomo mandato segretamente da un Governo o da una fazione a spiare le opinioni d'un Popolo e gli atti d'altro Governo, a spargere novelle, ad instigare la moltitudine a qualche fatto politico, ad infiammare, a corrompere, a ingarbugliare: oggi comunemente Emissario" (219).
Non lo trovo attestato nei documenti veneziani.

INDAGATORE

- "Voce dotta, lat. indagator-oris, 'che segue la pista' (220); il Battaglia registra un paio di casi in cui si avvicina al linguaggio spionistico:
1. Passeroni: "Delle opre altrui non sono indagatore (221);
2. Santi Casini: "Quel birro temerario/ [...] tanto male esercita / di bargello la carica,/ che, mentre ei dovrebb'essere / l'indagatore e l'indice / egli è de' vizi il fomite" (222) .
èusato almeno una volta anche a Venezia: il 10 marzo 1751 gli Inquisitori di stato mandano Giovanni Battista d'Alessandro, col falso nome di Giovanni Lazzaro Armeno, come "indagatore" del commercio di Trieste (223).

SICOFANTE(-a)

- Voce dotta, dal greco sukon (= fico) e jainein (= manifestare), in latino sycophanta (224); secondo l'etimologia più probabile il sicofante ad Atene denuncia gli esportatori di contrabbando di fichi dall'Attica; in genere nelle città greche a regime libero denuncia alle autorità le violazioni della legge. Il termine assume presto un'accezione spregiativa, sinonimo di delatore e calunniatore professionale, cioè di colui che sporge, o minaccia di sporgere, denunce per estorcere denaro (225); in questo senso peggiorativo la parola transita nell'italiano. Il Tommaseo-Bellini riporta queste attestazioni:
1. Marcello Adriani, volgarizzamento degli Opuscoli morali di Plutarco (av. 1604): "Essendo proibito per legge il trasportar fuori del territorio de' fichi, colui che scoprì e additò gli straenti, fu cognominato Sicofante";
2. A. Del Rosso (1729): Prose fiorentine [...] (1661): "Onde le spie, calunniatori, e uomini di tal razza, furono chiamati da loro [gli Ateniesi] con un nomaccio scomunicato Sicofante, cioè delatori e scopritori di fichi" (226);
3. Benedetto Fioretti (1695-7): "Quivi nota come un Sicofanta si sdimentica d'un nome a punto sul buono" (227);
4. Anton Maria Salvini (1695): "Un antico grazioso comico, che si meraviglia perché il nome di Sicofanta, che vale un calunniatore, sia posto a significare malvagia cosa e scellerata" (228). Nel Dizionario moderno Alfredo Panzini precisa che sicofante "oggi si dice in istile enfatico e con intenzione di dileggio oltre che di offesa, per spia, delatore mendace" (229) .


RIFERITORE

Secondo Scipione Ammirato (1642) è sinonimo di spia, delatore, rapportatore: il Tommaseo-Bellini e il Battaglia non citano altre testimonianze (230); a Venezia il termine non compare.

RELATORE

- "Voce dotta, lat. relator-oris, nome d'agente da referre": il Battaglia non attesta alcuno uso nel linguaggio spionistico (231). A Venezia Marin Sanudo, il 18 giugno 1526, scrive: "refferisce il nostro relator da Trezo" (232): il contesto esplicita il significato di esploratore-spia.

SEGRETARIO

- Il Tommaseo-Bellini non registra alcuna testimonianza di segretario nell'ambito del linguaggio spionistico (233). A Venezia invece compare almeno una volta, il 19 luglio 1663: alcuni prepotenti e disturbatori della quiete pubblica operano anche, insinua un denunciatore segreto, "con revolgimento forsi de suditi e con deditione ad altri Prencipi a quali servono di secretarij forse et reportatori" (234) ; del resto un certo Giuseppe Coin, aspirante confidente, chiede agli Inquisitori di stato di essere ammesso tra i segreti ministri, sottolineando così la funzione di segretezza che deve caratterizzare la spia (235).

RACCORDANTE

- Questa parola non è registrata dal Tommaseo-Bellini e dal Battaglia; a Venezia ha invece una curiosa storia. Raccordo, o anche aricordo o ricordo, è un memoriale, sottoscritto personalmente o da terza persona per conto dell'interessato (che compare, eventualmente, solo in un secondo momento), presentato al governo (Senato o Consiglio dei dieci) per ottenere un privilegio industriale, esibire uno specifico contro la peste, nuovi sistemi idraulici, armi, tesori nascosti, originali misure per risparmiare denaro o aumentare le entrate dello stato, denunciare intacchi alle casse dello stato, contrabbandi, casi di spionaggio o trattati, cioè colpi di mano, contro città, fortezze, palazzi o personalità politiche della Repubblica (236); questa originale forma di collaborazione del cittadino col governo è praticata anche in altre città italiane, come Firenze, Siena, Genova (237) e, con particolare intensità, nella Spagna del Cinque-Seicento (238).
Le carte ufficiali di Venezia chiamano spesso raccordante l'autore o il presentatore del raccordo; raccordante è dunque anche chi, con un'azione di spionaggio individuale e spontanea, segnala al Consiglio dei dieci un tradimento o l'attività spionistica anti-veneziana di uno straniero o di un concittadino. Tuttavia mai nei documenti ufficiali raccordante è sinonimo di spia-esploratore-confidente, i tre termini più comunemente usati per indicare le persone specificatamente addette ai servizi segreti: resta sempre strettamente collegato al raccordo, scrittura e azione del tutto volontarie ed autonome.
Nel 1819 il francese Pierre-Antoine-Noel Daru, nel secondo volume della sua Histoire de la République de Venise, che per i suoi giudizi sommariamente denigratori della Repubblica suscita veementi polemiche storiografiche, pubblica il Capitolare (o Statuti) degli Inquisitori di stato: qui compare più volte il termine raccordante/i, come sinonimo di esploratore-spia-confidente, tradotto in francese con "explorateurs", "observateurs", "surveillants", "émissaires", "agents" (239). Il fatto è che questo Capitolare è sicuramente falso, come dimostrarono, con inoppugnabili prove di anacronismi storici, sin dagli anni 1828-34 Gian Domenico Ermolao II Tiepolo e Aurelio Bianchi Giovini (240): è stato composto, con tutta probabilità, intorno al 1680; dunque il termine raccordante, come sinonimo di esploratore-spia-confidente, è un'abile costruzione linguistica, resa facile dalla presenza della parola nella lingua burocratica veneziana e dai numerosi raccordi che denunciano casi di spionaggio.

AGENTE SEGRETO

- La fortuna di agente segreto nella lingua dei nostri giorni è certamente legata ai romanzi ed ai film di spionaggio (241). Le testimonianze sono, almeno sin'ora, molto recenti; il Cortelazzo-Zolli cita la definizione agente di spionaggio del Vocabolario della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (1875) (242) e il Battaglia definisce agente segreto "chi appartiene a un'organizzazione spionistica: informatore segreto" e cita Giovanni Comisso, autore, nel 1941, di una fortunata antologia delle riferte dei confidenti veneziani del Settecento intitolata Agenti segreti veneziani nel '700 (1705-97) (243).
Nel 1506 Marin Sanudo ricorda "uno agente-explorator" dei rettori e nel 1515 un altro "agente et explorator", mandato da Vicenza a Trento a indagare sulla dieta dell'impero (244); il 16 gennaio 1533 "vene in collegio domino Ruberto Magno nontio over agente secreto Pontificio et mostrò una lettera al Serenissimo li scrive domino Jacomo Salviati di 11, da Bologna" (245): il contesto indica chiaramente che in questo caso si tratta di un inviato diplomatico con incarichi riservati, non di una spia.
Espulso da Venezia per i suoi arditi e scandalosi raggiri, Giacomo Casanova nel 1772 è a Trieste e, per ottenere il rientro in patria, si esibisce come confidente agli Inquisitori di stato. La sua prima e fortunata azione di spionaggio, condotta a termine con diabolica astuzia, riguarda un gruppo di monaci armeni di S. Lazzaro emigrati; per agire con sicurezza ed efficacia, precisa ai suoi padroni il 1 luglio 1774, "una delle mie maggiori premure debbe essere quella che non si arrivi mai in questa città a penetrare che io sono un suo secreto agente" (246). Il termine, così felicemente coniato dal famoso avventuriero-spia, ricompare a Venezia pochi anni dopo: scrivendo nel 1798 (1799) una memoria sugli ultimi mesi di vita della Repubblica Francesco Calbo, un ex-patrizio violentemente ostile ai suoi colleghi che hanno partecipato alla Municipalità democratica, definisce Francesco Agdol [lo], un nobile di idee aspramente reazionarie, "un estero titolato [suo padre era residente dell'elettore di Sassonia], congiunto di parentela ad un Veneto Senatore di gran casa e fortune, [...] e secreto agente delli Inquisitori di stato per la buona causa" (247).

Tanti modi di dire spia

Conclusivamente è opportuno spendere qualche parola per rilevare la grande ricchezza di elementi lessicali utilizzati per indicare la spia e la sua attività, il fare la spia. In Italia, nel corso dei secoli sono stati coniati per tali referenti semantici, una gran quantità di termini sinonimi o quasi sinonimi, spesso gergali, a volte anche molto coloriti ed espressivi. È assai probabile che tale abbondanza lessicale dipenda sia dal carattere segreto sia dalle connotazioni frequentemente non positive di tale attività: circostanze ambedue atte a sollecitare le creazioni di varianti criptiche o eufemistiche. Senza pretesa di completezza e con l'ausilio dei dizionari del Premoli, del Ferrero e, per il Veneto, del Boerio, ne propongo qui sotto un elenco.

1. per "spia": alga, amico, angrassôn, argo, arnese di polizia, arnese di questura, ascoltatore, baccàlia, balordo, bocca, boia, bracco, canarino, cane, cantatore, cascettone, compà zoffreghìn, compromessi (pl.), cucuzzàro, fango, ferro di bottega, ferro di polizia, fighetta, filippeddu, fiutafatti d'altri, fliscorno, folfôtú, formica, funtilénu, geyser, grancitore, gregori, grillo canterino, infame, mancia-cocuzza, mannerino, marpione, mar(r)oc(c)a, mercante di fiato, mignolo, mouton, muffo, nufiàire, orecchiante, panza 'i canìgghia, pareglia, pianòla, porta-pachét, rifilatore, rùssola, salòp, sbrevàna, scamuso, sciarò, scultore, segugio della polizia, silletta, soffia, soffietto, soffione, solfa, spillone, spina, suladore, supion, tabar(r)o, telegrafo di polizia, tira, trombetta, violino, zufolo.
2. per "fare la spia": appostare l'allodola o la starna, assicurarsi il pane, avere buoni bracchi alla coda d'alcuno, avere nella lingua il suo in contanti, campare sugli orecchi, dare i buffi o i soffi, esercitarsi con l'orecchio, essere rapportatore, essere spinacciaio, fare l'alchimista, fare la lionessa, fare la marocca, fare la marachella, fare la pera, far la susina, fare il solito mestiere, fare il sordo, giuocare a soffini o a soffione, lavorare di soffietto, mangiare spinac(c)i, odorare, pisciare nel cortile, raccogliere i bioccoli, rifilare la parlantina, scrivere il gazzettino, soffiare, soffiare nella vetriola, soffiare nel panbollito o nella pappa, supiar (248).

Dalle carte degli Inquisitori di stato veneziani ancora due testimonianze di gergo spionistico: il 30 dicembre 1682 il confidente Camillo Badoer segnala un frate carmelitano formica, cioè bene informato dei fatti politici e militari, e il 20 febbraio 1683 scova in casa del duca di Mantova il Gobbo Picinino, "un formica molto considerabile, abilissimo nei veleni, con relazione con molti principi" e avviluppato in "regiri grandi" (249).