San Francisco. Da qualunque parte la prendiate, questa storia del «Furto con scasso negli uffici del FBI», è comunque una storia affascinante. È moderna - anzi modernissima - perché Edward J. Snowden e Julian Assange, praticamente hanno fatto la stessa cosa. Ma nello stesso tempo scalda i cuori degli ultrasessantenni, perché ricorda i tempi d'oro della disobbedienza civile e dei giornali e dei giornalisti, quando tutti e due, erano davvero una cosa importante, non quel tramestio di uffici stampa e organizzatori di eventi che sono diventati adesso. È una storia circolare, la si può cominciare in qualsiasi momento e di lì, come nei grandi racconti, andare avanti o riavvolgere il nastro. Potendo scegliere, cominciamo così. Circa tre anni fa, Betty Medsger, famosa giornalista americana ormai in pensione, una carriera al Washington Post, stava cenando con alcuni vecchi amici accademici nella natia Filadelfia, quando il padrone di casa, quasi senza farci caso, la indicò alla figlia: «Cara, questa è la signora cui, quando eravamo giovani, avevo dato quei documenti dei quali ti ho parlato». A Betty Medsger cadde la mandibola, rimase con la bocca aperta e il cucchiaio piombò nella zuppa. Erano quarant'anni che cercava di scoprire chi era stato. Passo indietro. Siamo nel 1971, negli Stati Uniti. Il contenuto è, a dir poco, esplosivo: i documenti provano che il Federal Bureau ha in corso un vastissimo programma di spionaggio, controllo, infiltrazione nei confronti dei movimenti pacifisti e di quelli per i diritti civili degli afroamericani, che ha agenti in ogni università, in ogni libreria, in ogni assemblea, in ogni chiesa. L'obiettivo non è solo quello di monitorare il movimento, ma di screditarlo, provocarlo, impedirne la libertà di espressione. Ecco come andò. I tempi erano quelli della guerra in Vietnam vista da Nixon e Kissinger come il baluardo dell'Occidente contro il dilagare del comunismo. I comunisti erano il principale nemico interno dell'America su cui l'FBI, quasi fosse la sua missione, indagava fin dagli anni Trenta. La pazza idea nacque in un gruppo di militanti pacifisti di Filadelfia, cresciuti nella locale chiesa cattolica. A prendere l'iniziativa fu William Davidon, studente di fisica, un militante del movimento contro la guerra. Davidon si convinse che le prove del misfatto contro la democrazia americana fossero proprio nel luogo di maggiore sospetto: negli schedari degli uffici del FBI. Raccolse la chioma in un cappello di lana, indossò falsi occhiali da vista e si presentò come una studentessa in cerca di lavoro. Sapeva che non avrebbe dovuto lasciare impronte digitali, e infatti non si tolse mai i guanti (quarant'anni dopo ha ricordato: «Il mitico FBI non trovò strano che una ragazza in cerca di lavoro si presentasse con i guanti e non se li togliesse mai»). Bonnie fotografò mentalmente l'appartamento, i mobiletti con gli schedari, il sistema di allarme, le serrature. Il furto con scasso avvenne la sera dell'8 marzo 1971, giorno dell'incontro di boxe Muhammad Ali - Joe Frazier al Madison Square Garden di New York (tutti erano davanti alla tv, anche gli agenti), e fu abbastanza semplice: piede di porco, cesoie e cacciavite. Parteciparono in otto, guidati da William Davidon, riempirono due valigie di documenti dagli schedari, li portarono in una casa di campagna e li esaminarono. Poi vennero mandati ai giornali. Betty Medsger, a differenza di altri, non si spaventò e ottenne dal suo editore di pubblicarli. E così avvenne che otto miti persone, spinte da una moralità prima ancora che da una politica, distrussero l'FBI di J. Edgar Hoover. Nel corso degli anni, i documenti da loro resi pubblici, con sigle allora misteriose come COINTELPRO (trovata nei documenti trafugati, ma all'inizio enigmatica), divennero chiare. J. Edgar Hoover aveva formato un sistema di controspionaggio autonomo all'interno dello stesso FBI, allo scopo di distruggere, ricattare, annientare le voci del dissenso. Contava su una rete di spionaggio enorme e negli anni Sessanta i suoi bersagli erano tutti nella nuova sinistra. Un odio particolare per gli afroamericani e per Martin Luther King, contro il quale Hoover scatenò ogni possibile nequizia; diffamandolo, minacciandolo e istigandolo al suicidio. Nessuna inchiesta, invece, nei confronti del crimine organizzato che allora dispiegava la sua massima potenza. Naturalmente l'FBI fece di tutto per scoprire gli autori del furto. Ma non ci riuscì mai. Davidon, Raines e gli altri, nemmeno Bonnie (quella che non si era tolta i guanti), vennero mai nemmeno sospettati. Loro, peraltro, dal giorno successivo ripresero il solito tran tran, né mai si vantarono in alcun modo di quello che avevano fatto. Solo alla fine della loro vita - e con il reato andato in prescrizione - acconsentirono di far conoscere a Betty Medsger quella loro avventura giovanile. La dettagliata storia di quell'avvenimento è ora diventato, autrice Betty Medsger, il libro The Burglary che si avvia a diventare bestseller e che propone molte domande. Non solo per la nostalgia dei bei tempi andati, quanto per il fatto che la stessa storia si ripropone ora con il caso dello spionaggio elettronico della NSA e la sua messa alla berlina da parte di Snowden. Oggi, e non solo perché i reati commessi sono andati in prescrizione, tendiamo a vederli invece come degli eroi. Non trassero profitto o carriere dalla loro azione, che fu innanzitutto dettata da una spinta morale; non ne fecero neppure un modello di comportamento per altri. Lo fecero, e basta. Perché cittadini, e basta. Qual è invece la motivazione di Snowden, e prima di lui, di Julian Assange? I due sono oggi le più controverse star della democrazia. In forme diverse da quelle di allora (allora c'erano la copia carbone, le primissime Xerox, le schede scritte a mano, i folder appesi con i ganci a quei pesantissimi scaffali, eredità del mondo dell'acciaio), Assange e Snowden hanno compiuto un furto di materiale segreto in possesso di istituzioni che difendono la sicurezza dei cittadini; e lo hanno girato a giornali, che lo hanno pubblicato. Assange e Snowden rischiano condanne a morte per spionaggio, o gli ergastoli. Sono traditori che mettono a rischio la sicurezza dell'Occidente di fronte al terrorismo islamico? O sono patrioti che difendono i valori essenziali della democrazia? Che cosa li motiva? La passione democratica, o la ricerca della fama e del successo? L'attuale scoperta della discreta, pudica, impresa dei loro antenati sembra dar loro quella dignità che la spettacolarizzazione ha tolto a Snowden ed Assange. E potrebbe insegnare molte cose ai cittadini di oggi, e non solo a quelli che frequentano le scuole di giornalismo. da: Venerdì di Repubblica, 07.02.2014 |