Charles Baudelaire Edgar Poe. La vita, le opere |
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Recentemente venne condotto davanti ai nostri tribunali un disgraziato che aveva la fronte marcata con un insolito e singolare tatuaggio: Senza fortuna! Aveva così sopra gli
occhi l'etichetta della propria esistenza, come un libro il
proprio titolo, e il processo dimostrò che la bizzarra scritta
era spietatamente vera. Nella storia della letteratura si trovano analoghi destini, vere e proprie dannazioni, - uomini
che portano la parola scarogna scritta in caratteri misteriosi
tra le rughe sinuose della fronte. L'angelo cieco dell'espiazione si è impossessato di loro e li fustiga con tutte le sue
forze ad edificazione degli altri Inutilmente la loro esistenza manifesta talento, virtù, amabilità; la Società riserba
loro un particolare anatema, e li accusa delle infermità che
la sua stessa persecuzione ha loro attribuito. - Che cosa
non ha tentato. Hofmann per placare il destino, e Balzac
per implorare la fortuna? - Esiste allora una diabolica
Provvidenza che prepara l'infelicità dalla culla, che getta
premeditatamente esseri angelici, ricchi d'intelligenza, in
ambienti ostili, come martiri nel circo? Vi sono dunque
delie anime sacre, votate ali'altare, condannate a camminare
verso la gloria e la morte, calpestando le proprie macerie?
Il loro destino è scritto in tutta la loro persona, brilla in un lampo sinistro dello sguardo, in un gesto, circola nelle loro arterie con ogni globulo di sangue. Un celebre scrittore della nostra epoca [Allusione a Stello di Vign., N.d.T] ha scritto un libro per dimostrare che il poeta non può inserirsi nè in una società democratica nè in una aristocratica, nemmeno in una repubblica nè in una monarchia assoluta o moderata. Chi ha saputo dargli una risposta che non ammettesse repliche? Oggi io aggiungo un'altra postilla in favore della sua tesi, un altro santo al martirologio: devo scrivere la storia di uno di questi illustri infelici, troppo ricco di poesia e di passionalità, che come molti altri è scesa in questo basso mondo a compiere il duro tirocinio della genialità tra gli esseri inferiori. Triste tragedia la vita di Edgar Poe. La sua morte un
orribile finale, reso più orrìbile dalla volgarità. Alcuni sono andati oltre e, associando il più rozzo giudizio sul suo genio alla ferocia dell'ipocrisia borghese, hanno fatto a gara nell'insultarlo; e dopo la sua improvvisa scomparsa hanno duramente attaccato il cadavere; specialmente Rufus Griswold che, per citare l'espressione vendicativa di George Graham, commise un'immortale infamia. Poe, forse provando il sinistro presentimento di una fine improvvisa, aveva incaricato Griswold e Willis di riordinare la sua opera, di scrivere la sua biografia e di riabilitare la sua memoria. E il pedagogo-vampiro ha meticolosamente diffamato l'amico in un lungo saggio, scialbo e astioso, proprio nell'edizione postuma delle sue opere. Non esiste dunque in America una legge che impedisce ai cani di entrare nei cìmiteri? Willis invece ha dimostrato che la bontà e la dignità camminano sempre di pari passo con l'intelligenza, e che la carità verso i nostri fratelli, che è un dovere morale, era anche una regola di buon gusto. Provate a parlare di Poe con un americano, ne ammetterà forse la genialità e si mostrerà persino fiero di lui; ma con un tono sardonico dì superiorità, che denuncia l'uomo d'affari, vi parlerà della vita disordinata del poeta, del suo fiato da alcoolizzato che avrebbe preso fuoco con una fiammella di candela, delle abitudini di vagabondo; vi dirà che era un eteroclito alla deriva, un pianeta fuori dall'orbita, sempre in ballo tra Baltimora e New York, tra New York e Filadelfia, tra Filadelfia e Boston, tra Boston e Baltimora, fra Baltimora e Richmond. E se per caso, commossi dal preludio di una storia penosa, fate capire che forse l'individuo non è il solo responsabile e che deve essere difficile pensare e scrìvere tranquillamente in un paese dove vi sono migliaia di sovrani, in un paese senza una vera e propria capitale e senza un'aristocrazia, allora vedrete i suoi occhi dilatarsi e scagliare lampi, mentre la bava del patriottismo ferito gli sale alle labbra, e per bocca sua l'America tutta insultare la vecchia madre Europa e la filosofia del passato. Lo ripeto, mi sono convinto che Edgar Poe e il suo
paese non erano su un piano d'identità. Gli Stati Uniti sono
un paese gigantesco e infantile, istintivamente geloso del
vecchio continente. Fiero del suo sviluppo economico,
anormale e quasi mostruoso, l'ultimo arrivato nella storia
ha una fede ingenua nell'onnipotenza dell'industria; è convinto, come certi disgraziati da noi, che l'industria finirà col
mangiarsi il Diavolo. Laggiù tempo e denaro hanno tale
valore! L'attività materiale, esasperata in proporzioni da follia nazionale, lascia poco posto nella mente per le cose
che non sono della terra. La famiglia di Poe era una delle più rispettabili di Baltimora. Il nonno materno era stato quatermaster-general durante la guerra d'indipendenza, ed aveva goduto della stima e dell'amicizia di La Fayette. Costui, durante il suo ultimo viaggio negli Stati Uniti, aveva voluto far visita alla vedova del generale per testimoniarle la propria gratitudine per i servizi resi dal marito. Il bisavolo aveva sposato una figlia dell'ammiraglio inglese Mac Bride, imparentato alle più nobili famiglie inglesi. David Poe, padre di Edgar e figlio del generale, s'innamorò perdutamente d'una attrice inglese, Elizabeth Arnold, famosa per la sua bellezza; scappò con lei e la sposò. Per legare più strettamente il proprio destino a quello di lei, diventò attore e si esibì con la moglie su diverse scene nelle principali città delI'Unìone. I due morirono a Richmond, quasi contemporaneamente, lasciando nella più completa indigenza tre bambini in tenera età, tra cui Edgar. Edgar Poe era nato a Baltimora nel 1813. È basandomi su quanto detto da lui che scrivo questa data, perché ebbe a criticare Griswold che colloca la sua nascita nel
1811. [Le date sono inesatte, come pure il luogo di nascita. Poe nacque
a Baltimora il 19 gennaio 1809. N.d.T.] Se mai spirito d'avventura, per usare un'espressione del nostro, ha presieduto a una nascita - spirito sinistro e tempestoso! - ha certo presieduto alla sua. Tornato in America nel 1829, manifestò il desiderio di
entrare all'accademia militare di West-Point; vi fu ammesso,
e anche là diede segni di un'intelligenza straordinariamente
dotata ma priva di disciplina, e dopo qualche mese fu
cacciato. Quel periodo avrà tristi conseguenze su tutta
la sua esistenza. La signora Allan, per la quale nutriva un
affetto realmente filiale, morì e il signor Allan sposò una
donna giovanissima. Ne nacque un litigio di famiglia, una
strana e tenebrosa storia che non posso raccontare, perché nessun biografo l'ha chiaramente spiegata. Non c'è motivo
di stupirsi della definitiva rottura con Allan, e del fatto
che costui, che aveva figli dal secondo matrimonio, l'abbia
diseredato. La povertà lo costrinse per qualche tempo a fare il soldato; è presumibile che i lunghi ozii della vita di guarnigione gli servirono per raccogliere il materiale delle sue future composizioni, strane composizioni che sembrano create
per dimostrare che la stranezza è una delle partì integranti
della bellezza. Malgrado i servizi resi al giornale, White litigò con
Poe dopo appena due anni. La ragione della rottura va
evidentemente cercata negli attacchi d'ipocondria e nelle
sbornie del poeta; caratteristici incidenti che turbavano il
ciclo della sua mente, come lugubri nuvoloni che improvvisamente danno anche al più romantico dei paesaggi un'aria
melanconica apparentemente irreparabile. Da quel giorno
vediamo lo sventurato trasportare qua e là la sua tenda,
come un uomo nel deserto, e i suoi leggeri penati
nelle principali città dell'Unione. Ovunque dirigeva riviste o vi
collaborava in modo sorprendente. Con incredible rapidità divulgò articoli di critica letteraria, di filosofia,
e alcuni racconti pieni di fascino, riuniti poi sotto il titolo Tales of
the Grotesque and the Arabesque; titolo notevoie, intenzionaimente voluto, perché gli ornamenti grotteschi
e dell'arabesco esulano dalla figura umana: vedremo infatti che da molti punti di vista l'opera di Poe è extra o sovrumana. Certamente guadagnava, i suoi lavori letterari gli davano
abbastanza per vivere. Ma ho le prove che egli doveva sempre far fronte a scoraggianti difficoltà. Come tanti altri
scrittori, sognò una rivista sua; desiderava essere a casa
propria, la verità è che aveva sofferto abbastanza e desiderava ardentemente questo rifugio definitivo per il suo pensiero. Per riuscire in questo, per raccogliere una somma
sufficiente, sarebbe ricorso alle letture. Sappiamo cosa sono
queste letture: una specie di speculazione, il Collegio di
Francia messo a disposizione di tutti i letterati, mentre l'autore non pubblica la sua lettura se non dopo averne ricavato il più possibile. Poe aveva già fatto a New York una
lettura di Eureka, la sua poesia cosmogonica, sollevando
parecchie discussioni. Questa volta pensò di fare delle letture nel suo stato, in Virginia. Contava, come scrisse a
Willis, di fare una tournée nell'ovest e al sud, e sperava
nell'appoggio degli amici letterati e dei vecchi conoscenti del
collegio e di West-Point. Visitò quindi le principali città della Virginia, e Richmond rivide colui che aveva conosciuto così giovane, così povero e così scalcinato. Quanti non avevano mai visto Poe dai giorni del suo anonimato,
accorsero in massa per ammirare il loro illustre compatriota. Si presentò elegante, bello, stilisticamente impeccabile come il prototipo della genialità; penso che da qualche
tempo avesse spinto la sua condiscendenza fino a divenire
membro di una lega anti-alcoolica. Scelse un argomento vasto quanto elevato: il Principio della Poesia, e lo trattò
con quella lucidità che è uno dei suoi privilegi. Credeva, da vero poeta qual era, che il fine della poesia è della stessa natura del suo principio, e che essa non deve aver di mira
altro che se stessa. Questa morte è quasi un suicidio, un suicidio preparato da lungo tempo. O per lo meno ne creerà lo scandalo. Lo scalpore fu enorme e la virtù sciolse liberamente e voluttuosamente il suo canto enfatico. I discorsi funebri, anche i più indulgenti, non poterono non cedere il passo all'inevitabile moralismo borghese che non si lasciò sfuggire una così splendida occasione. Griswold ebbe parole diffamanti; Willis, sinceramente addolorato, fu più che ben educato. Colui che aveva toccato i vertici più alti dell'estetica, ed era sceso negli abissi più inesplorati dell'intelletto umano; colui che durante una vita slmile a una tempesta senza un istante dì bonaccia, aveva trovato processi nuovi e sconosciuti per stupire l'immaginazione, per sedurre gli animi assetati di bellezza, era morto in poche ore in un letto d'ospedale, che destino! E tanta grandezza, tanta sofferenza per sollevare un vortice di fraseologia borghese, per cadere in pasto ai virtuosismi dei giornalisti! Ut declamatio fias! Questi spettacoli non sono nuovi; è raro che una tomba illustre appena tumulata non divenga il luogo d'appuntamento degli sciacalli. D'altra parte la società non ama questi infelici arrabbiati, e sia che le turbino le sue feste, sia che ingenuamente li consideri come dei rimorsi, ha senza dubbio ragione. Chi non si ricorda i discorsi a Parigi subito dopo la morte di Baizac, che pure era morto secondo le regole? E più recentemente - oggi 26 gennaio fa un anno - quando uno scrittore di ammirevole onestà, [Gerard de Nerval, trovato impiccato il 25 gennaio 1855, in rue de la Vieille-Lanterne. N.d.T.] d'intelligenza acuta e che era sempre stato lucido, se ne andò con discrezione senza scomodare nessuno - ma con una tale discrezione che sembrava disprezzo - quante disgustose omelie, che assassinio raffinato! Un celebre giornalista, al quale Gesù Cristo non insegnerà mai la generosità, trovò divertente l'accaduto e lo celebrò con un gioco di parole di bassa lega. Tra i numerosi diritti dell'uomo che la saggezza del XIX secolo enumera così spesso e con tanta compiacenza, due molto importanti sono stati dimenticati: il diritto di contraddirsi e quello di andarsene. Ma la società giudica un insolente quello che se ne va; punirebbe volentieri certe spoglie funerarie, come quel povero soldato, colpito da vampirismo, che diventava matto alla vista di un cadavere. Eppure si può dire che sotto la pressione di determinate circostanze, dopo un esame approfondito di certe incompatibilità, e con una fede viva in certi dogmi e metempsicosi, si può dire senza retorica o giochi di parole, che il suicidio è talvolta l'azione più ragionevole della vita. Così si va formando una schiera di fantasmi, già numerosi, che ci viene a far visita: ciascuno di loro si vanta con noi del suo riposo attuale e ci parla delle proprie convinzioni. Dobbiamo però ammettere che la triste fine dell'autore di Eureka ha suscitato alcune consolanti difese, senza le quali dovremmo disperare e non potremmo più rimanere
al nostro posto. Willis, come ho già detto, parlò con onestà e non senza emozione, dei buoni rapporti che egli ebbe
sempre con Poe. John Neal e George Graham richiamarono
Griswold alla decenza. Longfellow - ed egli ne ha
maggior merito dato che Poe l'aveva duramente maltratttato - con accenti degni di un artista seppe lodarne il
vigore di poeta e di prosatore. Uno sconosciuto scrisse che
l'America letteraria aveva perso il suo migliore cervello. La vita di Poe, i suoi costumi, le sue maniere, il suo aspetto fisico, tutto ciò che costituisce l'insieme del suo personaggio, ci appaiono come qualcosa di tenebroso e insieme luminoso. La sua persona fisica era del tutto particolare, piena di fascino e, come la sua opera, segnata di un'indefinibile impronta di melanconia. Del resto era realmente ben dotato; fin da giovane aveva dimostrato una rara attitudine per gli esercizi fisici, e anche se era basso di statura, con piedi e mani da donna, e tutto il suo aspetto denunciava una delicatezza femminile, era assai robusto e capace dei più incredibili sforzi. In gioventù aveva vinto una scommessa di nuoto che supera le normali prestazioni. Sembra che la natura dia un temperamento energico a coloro dai quali pretende grandi cose, come concede una forte vitalità agli alberi incaricati di simbolizzare il lutto e il dolore. Tali uomini, d'apparenza talvolta debole, sono forgiati atleti, fatti per l'orgia e per il lavoro, pronti ad ogni eccesso e capaci di straordinaria sobrietà. Ci sono alcuni lati di Edgar Poe sui quali l'accordo è
unanime; per esempio la sua grande distinzione, la sua eloquenza e la sua bellezza, delle quali, a quanto si dice, andava un po' fiero. I suoi modi, strano miscuglio di alterigia
e di straordinaria dolcezza, erano sicuri. Fisionomia, incedere, gesti, espressione, tutto indicava in lui, specie nei
giorni migliori, una creatura eletta. Tutto il suo essere emanava una penetrante aria di solennità. Era realmente
segnato dalla natura, come quelle figure di passanti che attirano l'occhio dell'osservatore e ne occupano la mente.
Persino il pedante ed acido Griswold confessa che
quando andò a trovare Poe e lo trovò ancora pallido e ammalato per
la morte e la malattia della moglie, rimase straordinariamente colpito non solo dalla perfezione dei suoi modi, ma
anche dall'aspetto aristocratico, dall'atmosfera raffinata del
suo appartamento, in verità arredato molto modestamente.
Griswold ignora che il poeta, più di ogni altro uomo, ha
quel dono meraviglioso proprio della parigina e della donna
spagnola, quello di vestirsi con un nulla, e Poe, innamorato della bellezza in tutti i suoi aspetti, aveva
l'arte di trasformare una capanna in un palazzo di nuovo
tipo. Non ha forse fatto progetti originalissimi e curiosi di mobili, di case di campagna, di giardini e di modifiche di paesaggio?
Nei racconti di Poe non c'era mai amore. Per lo meno, Ligeia, Eleonora non sono, a dire il vero, delle storie di
amore, L'idea principale attorno alla quale ruota l'opera è tutt'altra. Forse pensava che la prosa non è un mezzo all'altezza di questo bizzarro e quasi intraducibile sentimento, perché, al contrario, le sue poesie ne sono sature. La divina
passione vi appare meravigliosa, stellare, e sempre velata
di una insanabile melanconia. Nei suoi articoli parla talvolta
dell'amore, anzi come di una cosa il cui nome fa fremere la
penna. In The Domain of Arnheim, affermerà che le quattro
condizioni base della felicità sono: la vita all'aria aperta, l'amore di una donna, il distacco da ogni ambizione e la
creazione di una bellezza nuova. Ciò che rafforza l'idea di
Frances Osgood sul rispetto cavalieresco di Poe per le donne, è che nonostante il suo prodigioso talento per il grottesco
e l'orrido, in tutta la sua opera non vi è un solo passaggio
che s'ispiri alla lubricità o ai piaceri sensuali. I suoi ritratti
di donna sono, per così dire, aureolati; brillano in un'atmosfera soprannaturale e sono dipinti con lo stile enfatico
dell'adoratore. Quanto poi alle piccole avventure romantiche, c'è da stupirsi che un essere tanto nervoso, la cui principale caratteristica è forse la sete di bellezza, abbia talvolta
coltivato con ardore la galanteria, questo fiore vulcanico e
vellutato che predilige i cervelli turbolenti dei poeti? La sua conversazione era notevolissima e ricca. Non era quello che si dice un parlatore, - cosa orrenda - e d'altra parte la sua parola come la sua penna detestava le convenzioni; ma una vasta cultura, un linguaggio penetrante, gli studi approfonditi, le esperienze raccolte in diversi paesi facevano della sua parola un insegnamento. La sua eloquenza, essenzialmente poetica, ricca di metodo, ma che spaziava talvolta al di là del metodo comune, un arsenale d'immagini prese da un mondo poco frequentato dalla moltitudine degli animi, un'abilità prodigiosa nel dedurre da una proposizione evidente e assolutamente accettabile punti di vista nuovi e nascosti, nello schiudere prospettive stupefacenti, in una parola l'arte di entusiasmare, di far pensare, di far sognare, di strappare gli animi dal fango della routine, tali erano le splendide qualità di cui molti hanno conservato il ricordo. Ma talvolta accadeva - almeno, così dicono - che il poeta, compiacendosi di un capriccio disgregatore, richiamava bruscamente gli amici alla realtà con pungente cinismo, distruggendo bruscamente il suo edificio di spiritualità. Una cosa è da notare, che non era affatto difficile nella scelta dei suoi ascoltatori, caratteristica comune nella storia di altre intelligenze superiori ed originali, per le quali ogni compagnia era buona. Gli animi che rimangono solitari tra la gente e che si nutrono di soliloqui, non devono far altro che essere gentili con gli altri. Si tratta insomma di una fratellanza basata sul disprezzo. Dell'alcoolismo, celebrato e criticato con tanta insistenza,
tanto che si potrebbe credere che tutti gli scrittori negli
Stati Uniti siano modelli di sobrietà, bisogna pur parlarne. Leggo in un lungo artìcolo del "Southern Literary Messenger" - la rivista che aveva avviato la sua fortuna -
che mai la purezza, la perfezione dello stile, la chiarezza
del suo pensiero, nè l'entusiasmo nel lavoro furono alterati
dal vizio tremendo: la creazione della maggior parte dei
suoi pezzi migliori ha sempre preceduto o seguito le sue
crisi; dopo la pubblicazione di Eureka si abbandonò alla sua
deplorevole inclinazione, e a New York la mattina stessa
dell'uscita del Corvo, mentre il nome del poeta era su tutte
le labbra, egli attraversò Broadway barcollando vergognosamente. Notate che i termini preceduto e seguito indicano
che l'ubriachezza poteva essergli d'incentivo e anche di
riposo. Delle opere di questo genio singolare, ho poco da dire; il pubblico manifesterà il proprio pensiero. Sarebbe per me
difficile, forse, ma non impossibile, spiegare il suo metodo,
il suo modo di procedere, specialmente in quelle pagine che
basano il loro effetto su un'analisi minuziosamente condotta. Potrei iniziare il lettore ai misteri della loro creazione, dilungarmi su quella particolare inclinazione del genio americano che lo fa godere di una difficoltà superata,
di un enigma risolto, di un tour de force riuscito; che lo
spinge a divertitrsi con gioia infantile e quasi perversa nel
mondo della probabilità, delle congetture, e a inventar frottole dando loro un'apparenza verosimile con la sua arte raffinata. Nessuno potrà negare che Poe è un meraviglioso
ciarlatano, ma so che il suo cuore era con un'altra parte delle
sue opere. Quando introduce un argomento, ci attira a poco a poco, come in un gorgo. La sua solennità è sorprendente e tiene viva la nostra attenzione. Dapprima sentiamo che si tratta di qualcosa d'importante; poi lentamente vediamo dipanarsi un intreccio il cui interesse si basa tutto su un'impercettibile deviazione dell'intelletto, su un'ipotesi audace, su un imprudente dosaggio da parte della natura nell'amalgama delle facoltà. Il lettore, preso dalla vertigine, è costretto a seguire l'autore nelle sue trascinanti deduzioni. Nessuno, lo ripeto, ha descritto con maggior fascino le eccezioni della vita umana e della natura; i fini stagione carichi di sfibranti splendori; le calure, umide e brumose,
quando il vento del sud distende i nervi come fossero corde
di uno strumento musicale; o gli occhi che si riempiono di
lacrime che non vengono dal cuore; l'allucinazione che lascia
un margine al dubbio e che poi si rafforza e si razionalizza
come un libro stampato; l'assurdo che penetra nell'intelligenza e lo governa con logica spaventosa; l'isteria che sostituisce la volontà, la lotta tra nervi e mente, e l'armonia dell'uomo distrutta a tal punto che egli esprime il dolore col
riso. Analizza ciò che vi è di più fuggevole, soppesa l'imponderabile e descrive, traendo effetti terrificanti da quel suo
modo minuzioso e scientifico, il mondo immaginario che
aleggia attorno all'uomo malato di nervi e lo porta alla
rovina. In questa letteratura di atmosfera rarefatta, la mente può sentire quella vaga angoscia, quella paura pronta alle lacrime e quella stretta al cuore che si prova in un luogo insolito e sconfinato. Ma è più forte I'ammirazione, e d'altronde l'arte è così grande! Gli elementi di fondo e quelli accessori sono in armonia coi sentimenti dei personaggi. Solitudine della natura o confusione delle città, tutto è descritto con stile nervoso e fantastico. Come il nostro Eugène Delacroìx, che ha elevato la sua arte al livello di grande poesia, Edgar Poe preferisce muovere i suoi personaggi su uno sfondo violaceo e verdastro, nel quale si rivela la fosforescenza della putredine e il presagio della tempesta. La cosidetta natura inanimata partecipa della natura degli esseri viventi, e con loro vibra di un fremito soprannaturale e galvanizzante. Lo spazio è reso più profondo dall'oppio; l'oppio dà un senso di magia ad ogni colore, e fa vibrare i rumori di una sonorità più significativa. Talvolta magnifici squarci, carichi di luce e di colore, si aprono improvvisamente nei suoi paesaggi, e vediamo apparire sul loro orizzonte città orìentali e costruzioni, sfumate dalla lontananza, sulle quali il sole lascia cadere una pioggia d'oro. I personaggi di Poe, o meglio il personaggio di Poe, l'uomo dalla sensibilità acuta, l'uomo dai nervi a pezzi, l'uomo che con volontà caparbia e paziente sfida le difficoltà,
l'uomo che fissa con uno sguardo gelido come una spada gii
oggetti che s'ingigantiscono man mano che egli li osserva: è Poe stesso. (da: E. A. Poe, Tutti i racconti, Sugar, 1967, trad. di Stefano Jacini) |