inizio rosso e giallo


Cody McFadyen


Nato in Texas nel 1968, all'età di nove anni ha deciso di diventare uno scrittore.
Per oltre un ventennio, tuttavia, ha fatto tutt'altro, dal volontariato alla progettazione di videogame. Poi, verso i trent’anni, ha deciso che, se voleva davvero scrivere prima di diventare vecchio, bisognava darsi una mossa. E ha cominciato a scrivere (molto bene):


  • L'ombra (The Shadow Man, 2005), Piemme, 2006
  • Gli occhi del buio (The Face of Death, 2007), Piemme, 2007
  • Io confesso (Darker Side, 2008), Piemme, 200
  • Il predatore (Abandoned, 2009), Piemme, 2012

Thriller in apparenza abbastanza tradizionali (un'affiatata squadra dell'FBI specializzata - guarda un po' - in serial killer), ma con notevolissimi guizzi di spietata originalità nel disegnare i personaggi, a partire da Smoky Barrett, la protagonista, la cui vita drammatica è presentata con lucidità affettuosa e implacabile. Le trame sono decisamente avvolgenti e scorrono con fluida crudeltà, spesso con una tensione rara e ipnotica: e fin dal primo romanzo, L'ombra, McFadyen si è rivelato uno dei pochi autori che - come si dice nella pubblicità sovente menzognera - inchiodano il lettore.
Nel suo sito McFadyen rivela che vive in California con i suoi due Labrador neri, beve caffè (troppo), suona la chitarra (male) e legge (molto). E dichiara di detestare gli avverbi, tranne quando vengono usati nelle biografie.  

Il ritorno dei serial killer e il metodo Cody McFadyen

Che fine hanno fatto i serial killer? Fino a pochi anni orsono imperversavano per le librerie in tutte le salse. Serial killer collezionisti, eleganti, intelligenti, affascinanti, brutali, misticheggianti, viscidi e naturalmente tutti psicopatici…
Il filone d’oro degli anni ‘90 è quasi esclusivamente di provenienza USA, i nomi sono quelli di Jeffery Deaver, Thomas Harris, Michael Connelly , Poppy Z Brite, a suo modo Bret Easton Ellis, ecc. Molti altri autori si sono cimentati nel mettere in scena il “mostro della porta accanto” trasformandolo in una figura archetipica degna del vampiro ma scadendo poi inevitabilmente nei cliché imposti dagli autori di cui sopra. Anche in Italia diversi scrittori si sono dati al genere eppure i risultati non sono mai stati così epici come quelli degli americani. Non è solo una differenza di ambientazione - la periferia di Los Angeles, i vicoli di New York, le paludi della Florida, i boschi del Wyoming non sono la periferia di Palermo, i vicoli di Genova, il Polesine o i boschi del Abruzzo - ma anche e soprattutto di Weltanschauung.

Panorama.it ha incontrato il texano Cody MacFadyen, lo scrittore che assieme a Jeff Lindsay, sembra aver donato nuova linfa al filone. MacFadyen è tornato di recente in libreria con Gli occhi del buio (Piemme, 415 pp., € 19,90).

Negli anni ‘90 il giallo ha riscoperto il modo di esplorare il lato oscuro della natura umana: il serial killer…


Il male e i suoi estremi hanno sempre attratto l’attenzione della gente. Penso ad esempio a a Jack lo squartatore e da quanto tempo si racconta la sua storia…. La gente è affascinata dalla depravazione, forse perché ne è spaventata e forse perché ognuno porta in sé un po’ di quella depravazione, anche se messa a tacere. I serial killer ci terrorizzano perché non c’è nulla di sovrannaturale. Sono reali. I mostri sono orribili, come in ogni storia dell’orrore, ma questi mostri sono veri. E camminano in mezzo a noi, indossano abiti e cravatte e sorridono. Possono essere sposati, avere figli e contribuire, da bravi cittadini, al benessere della comunità. L’idea che il tuo vicino di casa possa torturare delle donne in cantina e poi accompagnare i figli a scuola la mattina dopo… Bè, è davvero sconvolgente…

La tematica del serial killer, che sia legata alla concezione protestante della vita, alla predestinazione alla salvezza o alla dannazione, è tipicamente anglosassone?

Ha fatto centro. Noi tendiamo a essere molto preoccupati da ciò che è buono o cattivo nella nostra coscienza e cerchiamo sempre di vedere le cose in bianco e nero in modo da essere rassicurati, i serial killer ci danno un’immagine esatta del male, che nonostante sia disturbante, può essere un sollievo. Non ci sono sfumature di grigio, non c’è conflitto, nessuna questione morale da risolvere: sono malvagi e noi non siamo loro, in qualche modo significa che siamo buoni… Se solo la vita fosse davvero così chiara e netta…

Quali sono le sue influenze letterarie?

Sono molte e varie, sono cresciuto divorando Stephen King, James Calvell, James Michener, tonnellate di fantascienza e fantasy e naturalmente i classici.

Come lavora, che tipo di ricerche svolge?


Comincio il romanzo, in genere con una frase o un’immagine forte e una vaga idea di trama. Inizio a scrivere e vedo come si sviluppa. Alle volte sono finito nei guai. È terribile scoprire, dopo aver scritto un centinaio di pagine, che non stai andando da nessuna parte. Quando scrivo, provo a farlo ogni giorno. Se non scrivo, mi sento in colpa. Mi sento come se perdessi il contatto con la storia e i personaggi. Mi dedico molto anche alla lettura, al cinema e alla musica in cerca di ispirazione, come volessi fare il pieno di creatività. So che non è una procedura da manuale, ma spero di perfezionare la tecnica nel corso della mia carriera. Ad ogni modo, faccio un sacco di ricerche. Compro libri, navigo in rete e provo a contattare gli esperti quando è possibile. Sono sempre sorpreso (e grato) dalla volontà delle persone di condividere il sapere. Uno dei miei lettori per esempio è un anestesista e ha risposto a una miriade di domande che avevo sull’argomento senza mai lamentarsi.

da: Panorama, 22 gennaio 2008