Léo Malet
"Un'irruzione fragorosa, che crea uno stile nuovo in questo genere letterario." Da eccentrico qual era, Malet non esitò a mescolare ribaldamente argot e citazioni coltissime, ritratti indecenti e raffinatezze psicologiche, notazioni realistiche sulla Parigi del dopoguerra e fughe oniriche, ma troppo spesso si ha l'impressione di una qualche forzatura, quasi che Malet in realtà non sia mai riuscito a trovare una propria cifra espressiva, insistendo artificiosamente sulla "spontaneità" del linguaggio corrente e abusando dell'espediente tutto parigino di risolvere la situazione con una scrollata di spalle e un'imprecazione.
Nestor Burma Johnny Métal
Nestor Burma a fumetti (adattamenti)
Le faccio una serie di domande alle quali potrà rispondere o non rispondere. Non è che non voglio… proverò a rispondere, fino ad oggi non ho mai risposto a nulla che riguardi i romanzi polizieschi. E non ho grandi cose da dire sulla poesia. Rispondere nella misura del possibile. Proverò almeno a farla parlare di Nestor Burma. Chi leggerà le sue poesie bisogna pure che abbia un’idea globale, questi ragazzi che leggeranno le sue poesie… Si può parlare di Nestor Burma nella misura in cui Nestor Burma ha ereditato il mio testamento, se così si può dire… Ho riflettuto un po’ su quello che avrei potuto dire, ed è veramente una tortura, non so veramente cosa dire sulle poesie, d’altronde oggi come oggi la mia “vena poetica” si è inaridita o forse è scivolata su un piano poetico formale… i versi… le righe tipografiche che non vanno mai fino alla fine della riga. Questa vena poetica è forse passata attraverso Nestor Burma, che si comporta forse poeticamente muovendosi in paesaggi poetici. La poesia sotto un’altra forma, così la concepisco. In che modo è entrato in contatto con il movimento surrealista? In modo curioso, ero operaio in un’impresa di tubature… è così, no? Ne ho già parlato in un’altra intervista? Ho partecipato a un’installazione di un riscaldamento centralizzato in Rue de Hanovre nel lussuoso bordello che faceva concorrenza a Chabanais… Un giorno ero andato a consegnare un bidet in Rue de Clichy… Ci tengo a sottolinearlo, era proprio un bidet… e sono passato davanti alla libreria di José Corti, che all’epoca era in Rue de Clichy, e ho dato un’occhiata alla vetrina, là ho visto “La Révolution surréaliste”, libri dalle copertine curiose, e a partire da allora ho provato a informarmi, mi sono procurato il Manifesto del Surrealismo che era appena stato ripubblicato ed anche il secondo Manifesto. Ho dovuto anche procurarmi Maldoror… e inoltre compravo “Les Nouvelles Littéraires” e questo ha fatto molto ridere André Breton più tardi quando ha saputo che ero un lettore di questo giornalaccio che lui disprezzava. Devo aver letto di Maldoror nella “Nouvelles Littéraires”. Inoltre io e mia moglie avevamo visto allo Studio 28 Le Chien andalou, il film di Buñuel e Dalì… e tutto questo è accaduto in un lasso di tempo molto breve… Vorrei aggiungere qualche cosa… subito… Breton… il riso di André Breton… tutti parlano del papa… lo chiama il papa… quel tizio di marmo… Io l’ho visto ridere a crepapalle in Rue Fontaine, ascoltando dei dischi di Offenbach… André Breton non si prendeva sempre per André Breton e aveva dei difetti, anzi non aveva che difetti. Bene, allora io leggo i Manifesti, e la scrittura automatica era una tentazione… scrivevo delle poesie, prima, certo… Poesie ispirate a cosa? Paul-Jean Toulet, Carco, Salmon… Con la rima, sa. Sempre un po’ nella linea, da un punto di vista metrico, ottosillabico, nella linea delle ballate di Villon, ne avevo scritte una gran quantità di cose di questo genere, ma tutto questo non portava lontano, allora quando ho conosciuto il Surrealismo era una tentazione talmente grande quella di vedere che si poteva diventare un genio lasciando semplicemente scorrere la penna sul foglio, allora ho sperimentato la scrittura automatica. Era cosa buona o cattiva? Davvero non saprei. Poi ho letto il secondo Manifesto e lì c’erano aspetti politici che mi interessavano e allora tutti questi elementi mi hanno spinto a scrivere personaggi poco disponibili, piuttosto distanti, ma molto ricchi… poi ho conosciuto Breton che era invece era molto povero in alcuni periodi, insomma ho tentato il colpaccio, gli scrissi, la mia lettera gli piacque e così tutto quello che gli avevo inviato e mi chiese di incontrarlo al caffè Cyrano, il famoso Cyrano di Breton. Era il dodici maggio del 1931. Fu proprio a partire da quel momento che ho continuato a scrivere poesie e neanche tantissime come può vedere, perché questa raccolta di poesie si può definire la mia opera poetica completa, non è molto imponente come bagaglio poetico. In questo senso dico che si è prodotta come una specie di slittamento… questa poesia dalla quale ero posseduto è probabilmente passata nei miei romanzi. Secondo alcuni, non sono io a dirlo, le ripeto che sono alcuni critici a sostenerlo, hanno trovato una vena poetica nei miei libri. Sì, sì, è innegabile. Bene, allora non mi permetto di negarlo… Sono assolutamente d’accordo [ride] Bene, torniamo un attimo indietro, all’incontro con André Breton. Lei era arrivato a Parigi da Montpellier e aveva, credo, 16 anni. Sì. Lei ha debuttato alla La Vache Enragée… .di Montmartre. Sì, come cantante, ero salito a Parigi per fare lo chansonnier di Montmartre. Ero sbarcato da André Coloner, che avevo conosciuto a Montpellier, durante una serie di conferenze anarchiche, ero un “vecchio” lettore di “Libertaire” e Colo ne era il redattore capo. La questione Philippe Daudet ha portato Colo a separarsi da questo giornale e a fondare l’”Insurgé”. Io avevo seguito Coloner in questa sua scissione e appunto ero sbarcato da lui da Madeleine Coloner. Era il 1 dicembre 1925. Dopo qualche giorno Colo mi disse: “Vai a incontrare Vincent Hyspa, ti introdurrà a Montmartre. Scrissi un biglietto per lui che era cantante ai Noctambules. Non ricordo se era di Tolosa o di Carcassonne. Io ero di Montpellier. Hypsa era senz’altro uno dei più spassosi chansonnier del tempo… sosteneva di essere belga, per via del suo accento! Allora vado a incontrarlo e scrivo un biglietto per Maurice Hallé, anche lui poeta beauceron [la Beauce è una regione della Francia centrale], sindaco della Libera Comune di Montmartre e direttore del cabaret… piazza Costa. La Vache Enragée, tutti ci hanno debuttato, Souplex, basta nominare lui, anche io ho debuttato alla Vache. il 2 dicembre 1925… tre canzonette delle mie parti… non erano famose. Infine, per molti mesi, sono stato chansonnier, e poi, dopo, ho lasciato perdere, ho fatto ogni genere di cose, subito, le cose sono molto confuse… Era il 1926… Nel 1928, ho fondato con Lucien Lagarde, uno chansonnier che si conosce poco, ma che ha scritto molte canzoni popolari… ho fondato un cabaret al Quartiere latino… E come si chiamava? “Il Poeta appeso”. E ho trovato uno slogan: “Tira la lingua agli imbecilli”. Allora, forse per questo i clienti scappavano e in ogni modo questo li scoraggiava. Cosa è questa storia di un tipo che tira la lingua agli imbecilli. Non andremo a fare i coglioni in quel posto lì? E così è durata per qualche mese. E tutto questo era prima della poesia. Ha avuto un’attività poetica intermittente? Sì… perché… mi sono sempre interessato alla poesia, quello che facevo come chansonnier non era granché, era mediocre, come tutto il resto. Tuttavia avevo questo desiderio, ero un artista insomma… ho sempre avuto questo coté artistico… al quale d’altra parte non ero affatto destinato. Nella mia famiglia infatti non erano assolutamente degli intellettuali. Ah… davvero… C’è tuttavia una sorta di filiazione… Sì, talvolta, non sempre… In ogni caso, non a casa mia. Mio nonno era un bottaio, mia nonna non sapeva né leggere né scrivere, mia madre era sarta, mio padre impiegato. Mio zio era bottaio. Però bisogna dirlo, sì… se penso alla parte di mio padre c’era un personaggio che chiamavamo Zio Diamant, non l’ho conosciuto perché è morto molto prima che io nascessi, era un tipo che la sera… sì, era un personaggio piuttosto originale, si divertiva ad aggirarsi intorno al cimitero di Saint-Bauzille-de-Putois con un lenzuolo sulle spalle… e allora… forse è di lì che viene la mia vocazione poetica… Be’ sì, questo episodio è quasi surrealista ante litteram… E poi l’amore per il fantastico… forse è da lì che viene. Altrimenti non c’era proprio niente che mi destinasse… A cosa in particolare… Non so. Devo dire che in questi ultimi tempi… be’, adesso non ho quasi più parenti… ma gli ultimi resti della mia famiglia… sono sempre stato convinto che devono essere rimasti molto sorpresi di vedermi scrivere dei libri, mi hanno sempre considerato… forse è sciocco quello che sto per dire ma non più di tanto… insomma mi hanno sempre considerato con una specie di terrore… davvero!… come è possibile scrivere dei libri!… mio nonno materno… quello che mi ha cresciuto… infatti sono rimasto orfano a quattro anni, di padre e di madre…. Be’ lui lo avrebbe senz’altro apprezzato, ma quando è uscito per la prima volta il mio nome sulla copertina di un libro, era già morto da tempo… (2 novembre 1996) grazie a: http://www.markelo.net/
Léo Malet, anarchico per vocazione, scrittore e poeta (anche se Malet amava dir di sé che era più che altro un poeta, avendo militato per ben dieci anni fra le fila del movimento surrealista di André Breton), affabulatore come pochi al mondo, non meno geniale di Georges Simenon, in Italia è purtroppo un autore ancora poco conosciuto. Nato a Montpellier nel 1909 da una famiglia di umili origini, Léo Malet rimase ben presto orfano; allevato dal nonno, vecchio anarchico individualista, la prima formazione culturale che ammalia e irretisce il futuro scrittore (poeta) è di mera contestazione, sia sotto il profilo sociale che sotto quello culturale. Nel ’53 Léo Malet ha un lampo di genio, ambientare ogni inchiesta del suo personaggio Burma in un diverso arrondissement di Parigi: “L’idea mi venne sul ponte di Bir-Hakeim. Davanti a quel paesaggio di Parigi, mi sono detto che era davvero straordinario che nessuno avesse mai pensato di fare un film su Parigi, a parte Louis Feuillade. Ho avuto l’idea confusa di romanzi polizieschi che si svolgessero ognuno in un diverso quartiere”.
Federica Marchetti dà alle stampe, per le edizioni Il Foglio letterario, La Parigi di Léo Malet (A vent’anni dalla sua scomparsa), un lavoro agile e di facile lettura per scoprire e riscoprire uno dei più grandi scrittori francesi degli ultimi cinquanta anni. Malet ha dato il la a un genere che prima non esisteva, il néopolar. Prima di Malet imperversavano soprattutto altri generi: giallo, hardboiled, mistery, noir. Nella sua introduzione Federica Marchetti scrive: “Léo Malet è il primo grande autore al quale ogni lettore appassionato di poliziesco e di noir dovrebbe rendere omaggio. […] Malet crea un prototipo, unico nel suo genere”. E nel capitolo 3, “Malet o non Malet?”: “L’opera di Léo Malet è, innanzitutto e soprattutto, caratterizzata dalla presenza assoluta, ma mai ingombrante, dell’autore: un ‘io’, quello di Malet, che rappresenta la perfetta fusione tra l’autore e il suo personaggio. La presenza si manifesta attraverso due artifici letterari: la narrazione in prima persona e la sovrapposizione tra l’autore e l’eroe. Come ogni poeta surrealista, egli non avrebbe mai accettato di fare della letteratura di immaginazione: gli occorreva impregnare le pagine scritte della sua vita”. grazie a: ilgattonero.it |