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Oreste del Buono
John le Carré |
John le Carré (ovvero David John Moore Cornwell, 1931, Poole, Dorsetshire, com'è stato e com'è all'anagrafe) sorprende sempre con i nuovi libri quanto con i vecchi, quando li si prova a rileggere, e li si rilegge puntualmente con gusto e addirittura avidità. È lui che è interessante, e che sia interessante lo può confermare oltre ai grandi romanzi un articolo scritto sulle questioni che lo appassionano, lo spionaggio e il terrorismo, o un copione televisivo, con lo spionaggio e il terrorismo per argomento. Certo, lo spionaggio e il terrorismo sono da un certo numero d'anni temi di bruciante e triste attualità, ma si farebbe un errore supponendo che sia tutto qui quel che va scrivendo John le Carré. Ci sono tanti scrittori anglosassoni, bravi, o forse più bravi di lui, nel creare trame aggancianti, misteri e colpi di scena sensazionali. In realtà, a considerare con attenzione il suo caso a un certo punto si comincia a sospettare che lo stesso spionaggio e lo stesso terrorismo potrebbero essere per John le Carré solo degli utili ingredienti, dei pretesti plausibili, degli strumenti d'eccezione per trattare con il maggiore abbandono il suo interesse principale, fondamentale, irrinunciabile, che è semplicemente, quasi banalmente direi, l'amore.
Pensate a quanto l'amore domini il ciclo di Smiiey. George Smiley, nel primo romanzo di John le Carré che lo ospita, Chiamata per il morto, 1961, è subito messo in relazione con l'amore, sia pure sfortunato: "Quando Lady Ann Sercomb, verso la fine della guerra, sposò George Smiley, lo descrisse ai suoi amici aristocratici, molto stupiti, come un tipo di una mediocrità da togliere il fiato. Quando, due anni dopo, lo abbandonò per un corridore d'automobili cubano, annunciò enigmaticamente che, se non lo avesse lasciato allora, non sarebbe mai più stata capace di farlo. Il visconte di Sawley si recò appositamente al suo club per annunciare che la gatta aveva fatto i gattini. Questa battuta, che per qualche tempo fu la barzelletta della buona società, può essere compresa soltanto da coloro che hanno conosciuto Smiley. Basso di statura, grasso e di temperamento tranquillo, si diceva che spendesse molti quattrini per comprarsi vestiti molto brutti che pendevano addosso alla sua figura tozza come la pelle addosso a un rospo rinsecchito. Alle nozze Sawley dichiarò infatti che 'la Sercomb si era maritata con un rospo con l'impermeabile'. Ignaro di questa definizione, Smiley aveva percorso malcerto la navata della chiesa, incontro al bacio che lo avrebbe trasformato in principe. Era ricco o povero? Un contadino o un prete? E lei dove diavolo lo aveva pescato? L'assurdità del matrimonio era sottolineata dall'indiscutibile bellezza di Lady Ann e il mistero era aggravato dalla sproporzione esistente tra l'uomo e la sposa."
Questa pagina, ormai diventata classica, racchiude già tutta la disperazione che il povero Smiley, marito innamorato ma sempre tradito, si porta dietro nella sua intera carriera di controspione o spione per reprimere o prevenire, in pratica ordire le stesse trame che si chiama a rompere: personaggio imbarazzante che, per fare presumibilmente il bene, pratica febbrilmente il male, mai placato, mai contento, mai in disarmo. E questo non per amor della patria, in cui non mostra di credere molto né poco, ma per quell'odio furibondo, contro tutti "o quasi, che è il rovescio più ingenuo dell'incurabile amore sfortunato per la moglie. Un odio così eccessivo che, prima o poi, Lady Ann comincia a esser giustificata. Quanto di terribile accade non è, in realtà, colpa sua. Se lei ha una colpa è verso se stessa, per non avere imparato abbastanza presto a capire chi veramente si nascondesse sotto le apparenze goffe e bonarie del rospo con l'impermeabile.
C'è un'altra pagina [attenzione: si svela il clou del libro!] ormai classica in La talpa, 1974, quella in cui Smiley s'intrattiene per le ultime spiegazioni con la talpa, Bill Haydon, lo spione dei russi insediato nel cuore stesso dal controspionaggio inglese. Finalmente scoperto, Haydon, che è stato anche l'amante di Lady Ann, pare prossimo a partire per l'URSS in uno dei soliti scambi compromissori. Comunque fa amabilmente conversazione da vero uomo di mondo, dice cinicamente a Smiley di sperare che lui lo ricordi con affetto e, già che c'è, gli confida che, se è andato a letto con Lady Ann, lo ha fatto solo per ottemperare alle istruzioni russe. I russi ammiravano molto la bravura di Smiley, ma gli riconoscevano un punto debole: la moglie. L'ultima illusione di un uomo senza illusioni; su questo punto occorreva battere: se in casa o fuori si fosse saputo che Haydon era l'amante di sua moglie, forse Smiley non ci avrebbe visto più tanto chiaro e l'inghippo sarebbe riuscito più facilmente. Haydon non doveva strafare né forzare la mano, ma, se possibile, mettersi in fila con gli altri. Poi Haydon sarà ucciso da un compagno di sbandamenti, e a Smiley toccherà informare la sua infedele Ann, ritiratasi nel frattempo in campagna.
"Non c'erano taxi in vista e così, dopo aver chiesto informazioni alla biglietteria, attraversò il porticato deserto della stazione e andò a piantarsi accanto a un cartello verde che diceva: 'Fila per l'autobus'.
Aveva sperato che lei andasse a prenderlo, ma forse non aveva ricevuto il suo telegramma. Figurarsi, le poste sotto Natale: chi può prendersela con loro? Si chiese come avrebbe accolto Ann la notizia di Bill e poi, ricordando il viso atterrito di lei su quella scogliera in Cornovaglia, si rese conto che ormai Bill era morto per lei. Aveva avvertito il gelo del suo contatto e doveva aver capito in qualche modo cosa vi si nascondesse dietro. Illusione? ripetè senza illusioni. Faceva un freddo spieiato: sperò vivamente che quello squallido amante le avesse almeno trovato un posto riscaldato. Si pentì di non averle portato gli stivali imbottiti di pelliccia che erano nello stipo sotto le scale [...]. Poi la vide: la macchina malridotta ormai stava puntando verso di lui nella corsia segnata 'Solo autobus', e Ann al volante stava guardando nella direzione sbagliata. La vide smontare, lasciando la freccia accesa, ed entrare nella stazione a informarsi: alta e l'aria sventata, straordinariamente bella, decisamente la donna di un altro uomo."
Un'impossibilità d'amore può essere il massimo dell'amore. L'amore può essere il grande assassino. Tutto il ciclo di George Smiley è un monumento ai delitti dell'amore. Ma anche nei grandi romanzi in cui Smiley si muove solo in margine come La spia che venne dal freddo, 1963, o vien solo citato, se non sbaglio, una o due volte come Lo specchio delle spie, 1965, o non c'è proprio neppure in una citazione distratta come La tamburina, 1983, il campo è sempre dominato da una rovinosa e a suo modo esaltante storia d'amore. Ci sono tante specie d'amore bastardo. E ogni amore è bastardo. È il caso della television play, Fine della corsa, in cui John le Carré, che soprattutto nelle ultime opere ha abbondato, se non ecceduto, in numero di pagine, ci fornisce una prova di grazia insinuante e feroce raccontandoci, attraverso un dialogo sinuoso e spietato tra un giovane e un vecchio, una sconvolgente storia d'amore.
Il giovane è Bagley, che si presenta come prete, ma poi ostenta sin troppo di appartenere al mitico servizio segreto inglese Ml5. Il vecchio è Frayne, un senior civil servant, esperto in computer e statistiche, che ha evidentemente qualcosa da nascondere. Bagley è un asso negli interrogatori oppure è una frana. John le Carré non si pronuncia chiaramente, il suo forte è il forte dei suoi classici tortuosi e diffidenti della natura umana che in ogni battuta, in ogni sospiro, in ogni fremito corporale intuiscono il mistero, una serie di misteri, e nel silenzio e nella immobilità ne accertano anche di più, molti di più. C'è stato un tradimento a favore del KGB, ma c'è stata soprattutto questa storia d'amore. D'amore del tipo che si dice proibito. Si dice? E perché? Un amore non può dirsi proibito solo quando l'innamorato ha bisogno di una proibizione, di un rischio di rovina totale, anche morale, per gustar di più la passione? Asso o frana, Bagley raggiunge il suo scopo, e Fine della corsa, in questo senso, va persino oltre i contatti pericolosi dei grandi romanzi. Il dialogo, senza l'appesantimento delle descrizioni (che fanno, sì, l'eccellenza di John le Carré ma che forse proprio perché lui è un virtuoso del genere seppelliscono un poco la tensione nei grandi romanzi), qui s'impone come una legge naturale, una legge di sopravvivenza o di condanna. In nessuno dei grandi romanzi di John le Carré una passione è stata sviscerata con una simile rapidità e perspicuità, con una simile grazia nel dire l'atrocità e nel non nascondere la dolcezza di essere uomini e innamorati. Anzi, per maggiore esattezza, uomini, spioni e innamorati.
[Introduzione a Fine della corsa, Mondadori, 1986]
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