inizio rosso e giallo

 

Renée Reggiani

Il grande autore della Hard Boiled School

Dashiell Hammett oltre che il padre riconosciuto della «Hard- boiied school», la «Scuola dei duri», ossia del poliziesco all'americana d'azione, è molto, moltissimo di più. Non soltanto perché è un grosso scrittore, definizione a cui, secondo me, non va aggiunto «del poliziesco». È un grosso scrittore «tout court».
Non basta: Dashiell Hammett è una «questione». Una questione di fondo che si sta avvicinando a gradi all'esplicita soluzione; per lo meno, di questa soluzione, si intravvedono già alcuni importanti segnali.
Poiché, in questa sede, di poliziesco in particolare si deve trattare, non potrò penetrare completamente la «questione», che avrebbe bisogno di un discorso meno vincolato e vincolante. Ma sarà, mi auguro, per un'altra, e prossima volta.

Dashiell Hammett è una «questione» in quanto rappresenta l'affermazione più completa e compiuta di una situazione fondamentale: il poliziesco può essere, in molti casi è, un fatto letterario.
Un fatto letterario che talvolta è sullo stesso piano della letteratura non di genere, talvolta lo supera. Inferiore, lo è soltanto come qualsiasi altra singola opera, cosiddetta non di genere, può esserlo se inferiore è, per sua nascita infelice e infelice natura.
Così, in ogni evento artistico, letteratura, musica, pittura. L'opera creata dal genio o dal mediocre, può essere un capolavoro, una semplice buona cosa o un lavoro modesto, peggio, inutile, ma non ci sono - e non ci devono essere - ghetti di genere. C'è un'unica possibile misura, la qualità.

Dire Hammett e cancellare la parola genere, è quasi automatico per chi ne legga con attenzione, sempre pari al godimento, i libri principali, che in realtà non sono molti. E, possibilmente, nella lingua originale. Perché per Hammett, soprattutto, di linguaggio e di ritmo, si tratta. Di ritmo di linguaggio e narrativo. Strettamente connaturato: il «mystery» che, a questo livello di stile, pienamente si adegua a quel «mystery», non certo poliziesco, a cui si riferisce Edgar A. Poe nell'articolo «Charles Dickens», in cui prende in esame e a pretesto le prime puntate di Barnaby Rudge del grande Dickens appunto, apparse nel 1841: «Non ci possono essere dubbi che, con questi sistemi, molti argomenti che sarebbero relativamente insipidi raccontati in maniera abituale, e che sarebbero relativamente insipidi persino presentati in dettaglio con una sequenza normale, assumono una ben diversa vitalità se rivestiti dall'interesse del mistero». Non si riferisce al poliziesco modernamente inteso, Poe, ma alla letteratura in generale, per il semplice fatto che il poliziesco egli stesso, in quel momento, non l'ha ancora inventato.» 1

Non vorrei che sembrasse un'affermazione paradossale, ma l'applicazione del «mystery» da parte di Hammett alla propria letteratura è, per me, più che altro un'iperbole del consiglio tecnico- artistico di Poe. E non il contrario.
D'altra parte, un poliziesco molto bello come sviluppo narrativo è sempre una sfida, ed è estremamente difficile da costruire. Per Austin Freeman, per esempio, il poliziesco è un romanzo di analisi che, forse unico, riunisce anche le qualità della mente e dei sentimenti e quindi può essere considerato come la forma più evoluta di letteratura.
È più che certo che gli accademici togati negatori di questa verità, non hanno mai seriamente approfondito la grande qualità di tecnica narrativa dei migliori scrittori - e soltanto dei migliori intendo parlare - di poliziesco, né si sono mai cimentati in una prova del genere, forse inconsciamente - e - paventando di non esserne in grado.

«Per quanto ne so io, Hemingway può aver imparato qualcosa da Hammett, come Dreiser, Ring Lardner, Cari Sandburg e Sherwood Anderson» ha detto Raymond Chandler, il migliore dei seguaci e continuatori di Hammett, suo criticamente sagace, e importante, sostenitore.

Questo è, precisamente, il nocciolo di quella «questione» che non trova qui la sede per essere trattata, né il tempo, e me ne rammarico, ma, ripeto, sarà per una occasione che spero prossima. Mi limito a dire che l'affermazione di Chandler è stata perduta dall'intuizione ammirata di due grandi della letteratura francese, André Gide e André Malraux. «Ho letto con grande meraviglia, molto vicina all'ammirazione, Moisson Rouge (ossia Red Harvest), non avendo trovato The Glass Key tanto raccomandata da Malraux», scrive Gide nel suo Journal, il 22 giugno 1942. E, ancora nel Journal, da Tunisi, un anno dopo, il 16 marzo 1943: «Ho letto con vivo interesse The Maltese Falcon di Dashiell Hammett, di cui avevo già letto, ma in traduzione, lo stupefacente Red Harvest, l'estate scorsa, di molto superiore a The Maltese Falcon e a The Thin Man (L'uomo ombra)... In lingua inglese o meglio americana, molte sfumature dei dialoghi mi sfuggono, ma in Red Harvest (Piombo e sangue) questi dialoghi condotti con mano da maestro, hanno qualcosa da insegnare a Hemingway o allo stesso Faulkner e tutta la narrazione è condotta con un'abilità e un cinismo implacabili». Sono perfettamente d'accordo per Hemingway, ma non per Faulkner.

L'estremo interesse di uno dei primi romanzi lunghi di Hammett: The Dain Curse (in italiano, Il bacio della violenza) consiste nel fatto sensazionale che le complicazioni di «mystery» sembrano fare da «doppio eterico» alle complicazioni freudiane dei personaggi principali e viceversa. Lo scavare dell'autore, senza alcuno sforzo, anzi meglio, senza alcuna ostentazione, nelle psicologie dei personaggi, crea già di per sé il mistero, ossia una particolare atmosfera di angoscia e di «suspense» che non è esterna, ma interna. E una miracolosa ambiguità, nello stesso tempo letteraria e esistenziale, attira e respinge come in ogni opera di grandissimo prestigio.
In The Dain Curse, una ragazza, Gabrielle, convinta di essere preda di un'inevitabile maledizione a cui la sua famiglia non può sfuggire, cerca nella droga l'affermazione di quel convincimento.
Ma gli spettri che le si agitano attorno sono il malessere della vita quando la vita non ha chiarezza, quando gli interessi raggiungono la rarefazione della malvagità. Questo straordinario romanzo, il meno conosciuto, forse, di Hammett, nonostante l'apparenza avventurosa, è lo specchio dell'umanità sospesa sull'abisso verso il quale guarda e dal quale si sente attratta. Fino al punto di cercare la propria rovina, di volere la propria autodistruzione.
Questo, meno ancora degli altri, è romanzo da prendere alla lettera e tutto quanto può, al lettore frettoloso, risultare fumoso, assurdo, inverosimile, proprio tutto questo è, del lavoro, la parte più valida e profonda, quella assolutamente non caduca perché non legata alla realtà.

La qualità più eccezionale di Hammett è questa: non essere ancorato alla realtà. Devo contraddire l'altro importante «Hard-boiled», e critico, Raymond Chandler che, tra molte altre osservazioni acute e pregevoli, dicendo: «Hammett ha tolto il delitto dal vaso di cristallo e l'ha gettato nei vicoli... Ha restituito il delitto alla gente che lo commette per ragioni vere e solide, e non semplicemente per provvedere un cadavere ai lettori» ha sminuito infinitamente il valore autentico del tanto ammirato suo maestro Hammett.
Ciò che conta, in Hammett, è, direi, il contrario: lararefazione di atmosfere che della realtà hanno soltanto l'apparenza, rifrazione di una realtà dentro specchi curiosi, forse sporchi, appannati, deformanti e nemmeno colta di fronte, ma, quasi, di fianco, scorci, parte di quella realtà, per cui è difficile poi riconoscerla, ritrovarla. Distrutta com'è e ricreata sopra le righe, con toni e colori espressionisti - le maschere di Emsor - e anche surreali - le radure desolate di Delvaux, dove donne nude non trovano pace, ma fuggono in solitudini infernali.
Veramente «solitudine infernale», priva di riferimenti umani, è la corsa alla droga di Gabrielle Leggett in The Dain Curse, fra falsi profeti di religioni pronte per l'uso e templi costruiti allo scopo, droghe, daghe coperte di sangue e maledizioni finalizzate.
L'unico possibile aiuto viene dal cavaliere senza nome, bardato di nero, dalla celata ai gambali, pugni e pistola in resta: il «Continental Op» che, senza interesse alcuno, ma per un interesse diverso, da cavaliere solitario appunto, aiuta the damsell in distress, la pulzella nei guai, e non ha pace finché la ragazza non riesce a uscire da se stessa, e di conseguenza dalla droga.
Non tanto un lavoro da detective, quanto piuttosto un'azione all'interno di una psicologia - di un'anima? - e di una disperazione.
Il Continental Op., ossia l'Operatore dell'Agenzia Investigativa Continental è il primo detective fìsso nato da Dashiell Hammett per molti suoi racconti. Continental Op non è bello, non è molto giovane, è grosso e pesante, non ha certo il fascino di James Coburn, protagonista della riduzione televisiva di The Dain Curse, col titolo, appunto, de II bacio della violenza.
Questo detective, che vive le sue storie in prima persona, non ha un nome, un'abitazione, non ha una vita privata, è cinico e disincantato. Ma, come si è visto in The Dain Curse, e come accade quasi sempre, è a suo modo un eroe, «un uomo d'onore, per istinto, perché non può farne a meno» ha detto Raymond Chandler. È, certamente, un discendente dei solitari lontani eroi del romanticismo classico, il paladino di una moderna ribellione a una società modernamente bacata.
Simile al Karl Moor de I Masnadieri di Schiller, o a Ivanhoe di Walter Scott, il detective cosiddetto «duro» è un ribelle. Ribelle e violento, ma non certo dalla parte del torto. Ribelle e violento contro l'ingiustizia, quando non rimane altra possibilità all'uomo giusto. Questa contraddizione diventa, nei grandi eroi romantici, amore per la libertà. Questa stessa contraddizione è ricerca e affermazione di giustizia da pare dei «duri» della «Hard-boiied school». Contraddizione che trova la sua punta massima nel conflitto - violento e irrimediabile, specie nei classici romanzi di Hammett e particolarmente poi in quelli di Chandler - con la polizia ufficiale. Una polizia corrotta, acerrima, impietosa quanto il mondo - che fa da scenografia morale alle avventure della «Hard-boiied» - al quale si adatta e aderisce come la pelle alle ossa. Sovente questo sfondo, brutale sotto l'aspetto della rispettabilità e soprattutto della ricchezza, si apre a poco a poco e soltanto a poco a poco si rivela al detective, fino a coinvolgerlo.
Contrariamente al poliziesco «all'inglese», ai vari Sherlock Holmes e Philo Vance, il detective «d'azione» si trova non soltanto a contatto col o con i criminali - altra differenza: non c'è più un unico colpevole, ma quasi sempre più di uno - bensì è invischiato nelle loro imprese e deve confrontarsi con loro. E quindi con se stesso: anche scegliere. È un tratto assolutamente caratteristico dei grandi drammi romantici. I «buoni» e i «cattivi» sono di fronte, possono perfino sfidarsi a duello.

Red Harvest, Piombo e sangue in italiano, è ancora un romanzo di gangsters, dove il Continental Op. sta dalla parte della legge, ma questa «legge» porta fino al delitto.
Una città, Personville, che tutti chiamano Poisonville, la «città avvelenata» da qualcosa che non è il «fumo giallo» delle ciminiere, ma piuttosto un male segreto, o non tanto segreto: la corruzione, il potere che alcuni «gangsters» hanno su di lei. Continental Op. organizza uno dei piani più machiavellici che cervello di «duro» abbia mai concepito. Mette i gangster - compreso il capo della polizia che è un gangster anche lui, peggio degli altri essendo corrotto nello svolgimento delle sue funzioni - gli uni contro gli aitri, in modo che si distruggano a vicenda. Completamente. I morti si moltipllcano, fino alla nausea, fino all'inverosimile. Fino alla nausea forse, fino all'inverosimile non tanto se si pensa a chi erano, in realtà, in mano le città americane a quell'repoca, epoca di Al Capone e della famigerata notte di S. Valentino.
Continental Op., che ha scatenato la carneficina, a un certo punto si guarda dentro, inorridito, e riconosce, con stupore e con schifo: «È questa maledettissima città. Non è possibile rigar diritto. Mi sono sentito attanagliare fin dal principio». Ossia la violenza non può suscitare che violenza, persino in colui, in coloro che la violenza combattono e detestano, principio essenzialmente connaturato ai ribelli romantici.
Ma, ancora una volta, Red Harvest va al di là di quello che racconta, diventa simbolo, immagine, porta alle estreme conseguenze, iperbolizza i propri significati. Non è forse, la società capitalista che tenta di definirsi «democratica» e ricorre però a mezzi di violenza usando, come costante e unico riferimento, il potere in tutte le sue forme: corruzione, prevaricazione, imposizione in ogni minima sua espressione, una società in preda al disordine, alla confusione, in sostanza al caos? Red Harvest è soprattutto questo e ha una sua terribile validità ancora oggi, in cui molte belle frasi girano a vuoto sulla realtà di una violenza - non soltanto fisica, anzi soprattutto non fisica - senza remissione per chi la subisce.

Un passo avanti, in questo senso, è il romanzo - forse il più bello di Hammett: The Glass Key, La chiave di vetro, dove l'intuizione poetica dell'autore ha qualità addirittura profetica. «Come romanzo è eccezionale» ha scritto Julian Symons: «Come poliziesco è unico.» Dove, e chi sono i veri gangster, ormai? Non girano più per le strade sulle macchine nere di morte, i mitra e le mani carichi di «pillole», ossia, in gergo, di proiettili, mentre attorno divampa il fuoco, fra saracinesche divelte, frantumi di vetri e muri sventrati dagli implacabili «ananas», ossia, in gergo, le bombe. Ormai siedono dietro ampie scrivanie, annidati nel cuore degli affari e del Potere più codificato e importante, hanno centinaia di «colletti bianchi» ai loro ordini e una apparenza di grande rispettabilità. Sono i veri padroni.

La violenza ha messo la maschera, il suo giro di vite è più perverso perché nascosto, subdolo, ipocrita. In un mondo di questa fatta, un padre può uccidere il figlio per timore che possa compromettere la propria rielezione a senatore e l'antica «ragion di stato» - bestiale, crudele, inutile - diventa la moderna politica, anzi meglio il «successo politico» avant toute chose.

Ambiguo e contraddittorio, Sam Spade, il detective più celebre di Hammett soprattutto per l'indimenticabile interpretazione di Humphrey Bogart nel famosissimo film di John Huston, riassume in sé tutta una visione pessimistica della vita e del mondo dove molti cercano di sopraffare gli altri più deboli e la guerra, una guerra non dichiarata, ma impietosa, è perenne.
Il pezzo più bello - e più significativo - di The Maltese FaIcon - pezzo da antologia e letteraria e filosofica - è quel racconto nel racconto che Sam Spade fa a Brigid O'Shaughnessy per spiegarle il suo concetto del mondo e della vita appunto. E la parabola di quel tale Flitcraft, uomo normalissimo e modesto che, uscito un giorno di casa, come al solito, è stato sfiorato da una trave caduta dall'alto «ed è rimasto incolume per miracolo, in stato di shock: «Si sentiva come se qualcuno avesse tolto il coperchio dalla vita e gli avesse permesso di osservarne il meccanismo.» Da quel giorno, cambia completamente vita, sparisce, vagabonda, poi finisce col reinserirsi da un'altra parte. E questo è il punto. Se, in un primo momento, Flitcraft si era reso conto che «comportandosi con ordine e buon senso, non aveva affatto agito in armonia con la vita», all'ultimo ricade nella stessa banalissima spirale.
«Ma» conclude Sam Spade, ossia Hammett: «e questa è la parte della storia che mi piace di più, si era adattato alla caduta delle travi e le travi non erano più cadute, allora si era adattato al fatto che non cadessero più.»
Questo e molti altri «pezzi» - il sogno di Janet in The Glass Key, per esempio, o la descrizione del principio di avvelenamento subito da Continental Op. in The Dain Curse, e altri - ma soprattutto la forza e il ritmo narrativo e del linguaggio, come ho già detto, e inoltre la visione pessimistica, e profonda, di Hammett, del caos della vita, del mondo, della mente del singolo individuo, della società così com'è modernamente costruita dalle brame perverse dell'uomo, fanno di questo autore un grande autore.

1 Vedi cap. «Edgar Allan Poe» in R. Reggiani, Poliziesco al microscopio: letteratura popolare e mass-media, ER., Roma

 

da: Cult Movie, n. 15/16, aprile-luglio 1983 (speciale Mystfest '83)