La vecchia auto procede lentamente, dall'aereoporto di Los Angeles verso i viali di Hollywood. E l'occhio della macchina da presa indugia per un istante sulla targa, «Sam Sp 8», che si legge Sam Spade. Così nel magnifico prefìnale dello Stato delle cose, Wim Wenders, rendendo diretto omaggio al più mitico investigatore inventato da Dashiell Hammett, cita con autoironia anche il suo film maledetto, quell'Hammett appunto per cui ha furiosamente discusso per anni con Francis Ford Coppola, produttore troppo intraprendente. Presentato al festival di Cannes '82 (ma ancora inedito per gli
spettatori italiani che non hanno l'abitudine di andare a vedere il
cinema all'estero) Hammett di Wenders, tratto da un fortunato
romanzo d iJoe Gores che porta il medesimo titolo, non è certo il
primo film dedicato alla leggenda del romanziere («il capo della
scuola dei dur » dicono di solito i risvolti di copertina dei suoi
gialli); neppure l'ultimo sarà. Non è mica facile riassumere con la
memoria tutti i volti di e da Hammett che sono passati attraverso
i decenni sullo schermo, bianco-nero e colorato. La storia dell'autore si intreccia a quella dei suoi personaggi. «Con un improvviso scatto dì impazienza, Dashiell Hammett mise da parte il numero di Black Mask del dicembre 1927. Aveva bisogno di aggiungere qualcosa, una scena più corposa per mostrare come il suo investigatore privato fosse in grado di smuovere le acque a Poinsonville e per poter fondere i quattro racconti pubblicati in un romanzo. E dato che l' editore aveva già programmato la pubblicazione di Piombo e sangue come vero e proprio romanzo, era il caso che si desse un po' da fare per scrivere la scena da inserire. Si mise a camminare su e giù, misurando la scarsa metratura quadrata del soggiorno. E se?... No, non funzionava... Forse però. Ma sì, perché no? Una scena di pugilato, ambientata in un palazzetto dello sport, un'arena o qualcosa del genere, fuori cìttà. il problema, a questo punto, diventava quello di come farci arrivare il detective...» Joe Gores presenta così il suo Hammett, come uno scrittore alle prime armi alle prese con problemi di creazione (anche se un pericoloso incarico, da accettare per fatto personale e questione di amicizia, lo coinvolgerà di nuovo nell'azione). Ma con una differenza capitale rispetto ai suoi onorevoli colleghi di penna. Qui non siamo davanti all'esordio di uno scrittore che deve imparare i segreti dell'indagine poliziesca, ma di fronte a un detective privato, che impara a scrivere. Il suo passato di investigatore (otto anni alle dipendenze della celeberrima «Pinkerton Detective Agency») è fondamentale: perché da romanziere «non fece altro che sfruttare le sue innate attitudini di cacciatore di uomini.» «Ho voluto scrivere un romanzo su Hammett detective - precisa Gores - proprio perché la sua esperienza di poliziotto privato risulta alla fine decisiva per la sua opera letteraria. Ma non è il detective quello che affascina i lettori: è Hammett il detective che inventa Hammett lo scrittore.» L'avvertenza didascalica fa capire perché Wim Wenders abbia scelto (e seguito fedelmente) il libro di Gores come biografìa esemplare di Hammett. Nonostante che lavorasse per la prima volta su commissione e su un'idea non sua, a Wenders deve essere piaciuta questa storia che vive aldilà dell'azione stessa, questo personaggio che con lo spazio che occupa diventa di per sé intreccio narrativo: gli avvenimenti, che pure ci sono, restano per così dire complementari. E la scelta dell'attore protagonista (il più discreto e anonimo Frederic Forrest preferito al divo De Niro proposto da Coppola) conferma una linea stilistica che esclude il fascino del sensazionale. Quello di Gores-Wenders è naturalmente soltanto uno degli Hammett possibili da raccontare. Ce ne sono almeno altri due: Lillian Hellman, appassionata compagna di vita, fornisce in Pentimento, il materiale giusto per il Dash intimo e familiare poi trasportato sullo schermo dal vecchio Fred Zinnemann nel già ricordato Giulia. Tutto azione e poco pensiero è al contrario il Dash Hamm (appena mascherato con lo pseudonimo Ham Nash) proposto dal magnifico James Coburn, agente invincibile che non butta mai giù la
testa. Coburn è il protagonista di un lungo film televisivo tratto
dal Bacio della violenza (il secondo romanzo di Hammett) che fu
presentato in anteprima italiana nel 1980 al Festival del giallo di
Cattolica ed è stato poi mandato in onda a puntate dalla Rai. «La mascella di Samuel Spade era ossuta e pronunciata, il suo mento era una V appuntita sotto la mobile V della bocca. Le narici disegnavano un'altra V, più piccola, Aveva occhi giallo grigi, orizzontali, il motivo della V era ripreso dalle spesse sopracciglia che si diramavano da due rughe gemelle al disopra del naso aquilino e l'attaccatura dei capelli castano chiari scendeva a punta sulla fronte partendo da un'ampia stempiatura. Samuele Spade, in arte Sam, entra in scena molto bene, la faccia dura dell'America. Gli uomini di Hollywood notano subito il
personaggio. Del resto già il primo romanzo di Hammett, Piombo
e sangue, era stato saccheggiato nel 1930 da Ben Hecht e Garrett
Fort, autori del soggetto e della sceneggiatura di Roadhouse Nights, un film di vaghissima memoria diretto da Hobart Henley. E nel
1931 quando The Maltese F'alcon è da pochi mesi in libreria, arriva
la prima versione cinematografica. In tutto, escludendo le varianti comiche, i «Falconi» dello schermo saranno tre. Un'adeguata lettura comparata è sul momento impossibile, considerato
che conosco per visione diretta solo il terzo «Falcone», quello «vero» di Huston e Bogey. «Stavo appoggiato al banco di un bar della Cinquantaduesima strada, aspettando che Nora terminasse le sue commissioni natalizie, quando una ragazza si alzò dal tavolo dove stava seduta con altre persone, per avvicinarsi a me. Era piccola di statura, bionda, e sia che se ne si considerasse il viso o la figura nell'abito sportivo azzurro-polvere, il risultato era comunque soddisfacente. «Lei non è Nick Charles?» domandò. Risposi: «Sì». Tese la mano... Il mio bicchiere era vuoto. Le chiesi che cosa volesse bere, ordinai due Scotch, poi continuai...» Anche Nick Charles protagonista dell'Uomo ombra, si presenta
in apertura di libro come un duro, dall'occhio pronto e svelto nel giudizio, il bicchiere sempre da riempire. È un detective giovane
ma pensionato, o meglio reticente. Sposato a Nora, bella e ricca
ereditiera, ha lasciato l'avventurosa professione. Non ha perso però né il fìuto né il gusto della caccia. E quando l'occasione si
presenta, non sa resistere. La proiezione autobiografica di Hammett si ferma comunque alla situazione di ex poliziotto: per il resto Dash e Nick non sembrano assomigliarsi troppo. Ma il Nick
scritto è alquanto diverso anche da quello che il brillante William
Powell porta sullo schermo. La versione cinematografica dell'Uomo ombra è del 1934, e sotto l'accorta direzione di W.S. Van Dyke
siamo in pieno territorio «giallo-rosa», assai lontano dallo stile
hard tipico di Hammett. Già sfalsato in fase di sceneggiatura
(Hackett e Goodrich sono gli autori della riduzione; Dashiell non partecipa ai lavori) il film, nonostante l'intreccio con misteri e cadaveri, ha un tipico andamento da commedia. Quando è sbronzo
Nick assomiglia vagamente al miliardario dal cuore doppio di
Luci della città. Myrna Loy, con le sue mossette da signora elegante e il cagnolino Asta, accentuano l'atmosfera. Altri eroi inventati da Dashiell resterebbero da raccontare; e difatti Hollywood li ha raccontati. L'agente segreto X9 ad esempio, il quale per la verità ha avuto miglior vita nei fumetti di Alex Raymond (sì, proprio l'inventore del biondo Gordon). O ancora Ned Beaumont, cavaliere di fortuna, elegante e un po' ambiguo che cammina senza farsi mordere nel groviglio di vipere avvelenate della Chiave di vetro. Gran romanzo di miseria e corruzione (con una visione apocalittica della famiglia, specie se ricca e potente, che influenzerà Chandler) The Glass Key ha offerto lo spunto per due film. Uno del '35 con George Raft come protagonista, che non mi risulta sia mai arrivato in Italia. L'altro del '42 con il biondo Alan Ladd stretto fra il fascino pericoloso di Veronica Lake, irresistibile strega amorosa, e l'aggressiva amicizia del massiccio Brian Donlevy. Tutte cose da rivedere e da ristudiare, il thriller classico è un genere ancora assai trascurato nonostante le recenti rivisitazioni critiche. I lavori di scavo si fermano di solito ai medesimi titoli, resta il buio oltre la siepe dei più verdi successi. Il nome di Hammett scompare dai cartelloni di Hollywood nel decennio cinquanta; e certo influisce oltre alla stanchezza dello scrittore, l'atmosfera maccartista che stringe gli studios. Forse il vecchio Dash in questi suoi ultimi anni ha qualche rimpianto per il suo passato di cacciatore. Sicuramente (basta leggere la HelIman) la sua lotta continua. È l'ultima storia possibile ancora da raccontare intorno alla sua vita di uomo. E stranamente anche questo ultimo capitolo potrebbe essere raccontato da un tipo come Wenders: «Non mi piacciono le storie che costringono a una tensione, a far attendere qualche cosa, preferisco che le storie o le azioni si addizionino e formino alla fine una storia - disse una volta Wim. Penso che si possa guardare più tranquillamente i miei film, che si possa essere vicini ai miei personaggi perché fanno la storia.» È una dichiarazione del 1976, quando il corso del tempo non aveva fatto ancora incontrare Wenders e Hammett. Eppure sembra già la premessa a un giallo biografico che superi lo schema del genere». La possibilità di una storia che nasce non dalla vita ma all'interno della storia stessa. Come nel caso di Dashiell Hammett appunto. da: Cult Movie, n. 15/16, aprile-luglio 1983 (speciale Mystfest '83) |