Tana French
Tana French è nata in Irlanda nel 1973, ha vissuto negli Stati Uniti, in Africa, in Italia, ha studiato al Trinity College di Dublino e ha lavorato a lungo come attrice di teatro.
Pur avendo vinto il prestigioso premio Edgar, French non è ancora particolarmente nota ai lettori italiani: peccato, perchè si è rivelata come una delle migliori scrittrici di polizieschi.
A Nel bosco (pubblicato in Italia nel 2007; v. l'intervista) è seguito La somiglianza (Mondadori, 2009): una detective della polizia di Dublino, Cassie Maddox, ha avuto una traumatica esperienza lavorando come infiltrata, e quindi dalla Squadra Omicidi è passata alla Sezione Violenza domestica. Ma il suo ex capo le chiede di riprendere la vecchia attività, considerata l'eccezionalità della situazione: in un cottage di campagna, infatti, è stato ritrovato il cadavere di una giovane donna la cui somiglianza con Cassie è assolutamente sorprendente: la poliziotta dovrebbe sostituirsi alla vittima (la cui morte viene ovviamente tenuta segreta), fingendo di essersi ripresa dopo il coma e riprendendone la vita, conducendo l'indagine da un punto di vista del tutto insolito e privilegiato.
Dopo molte esitazioni Cassie accetta l'incarico e con un paziente lavoro di ricostruzione delle abitudini e del modo di agire della vittima è pronta a impersonarla: il problema è che lei viveva, in una grande vecchia casa, insieme ad altri quattro giovani studenti, e quindi il rischio di venir smascherata è altissimo. La vicenda si dipana dunque in quest'atmosfera claustrofobica e densa di ambiguità, resa ancora più drammatica dai rapporti intensi e nevrotici all'interno del gruppo, e dalla vicinanza profonda che la detective sente per la sua sosia.
Ricorrere all'espediente di due personaggi fisicamente uguali parrebbe un azzardo - tanto si è abusato di idee del genere - ma French conduce il gioco con straordinaria padronanza, non solo introducendo elementi narrativi originali, ma mescolando assai abilmente suspense e ricchi intarsi psicologici, e anche dipingendo l'Irlanda con acutezza e senza indulgere nei soliti poetici luoghi comuni.
E la storia si concluderà, drammaticamente, in una dolente sovrapposizione di doppiezza e affetti, di verità e segreti.
- Nel bosco (In the Woods, 2007), Mondadori, 2009
- La somiglianza (The Likeness), Mondadori, 2009
- I luoghi infedeli (Faithful Place, 2010), Mondadori, 2012
- Il rifugio (Broken Harbor, 2012) Einaudi, 2020
- Il collegio The Secret Place, 2014) Einaudi, 2019
- L'intruso (The Trespasser, 2016) Einaudi, 2018
- Il segugio (The Searcher, 2020) Einaudi, 2022
il suo sito
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Monica Capuani
C'è un mistero nel bosco |
Se si è un'attrice, sostenere provini, restare in attesa di una scrittura, impegnarsi per fare colpo sui registi, può essere faticoso. Ma la condanna alla passività - sono sempre gli altri a sceglierti - va stretta a certe donne brillanti, desiderose di impiegare il proprio talento a tempo pieno. Così, sempre più spesso le attrici si mettono a scrivere, e non soltanto per il teatro. Il caso più eclatante è stato quello di Ann-Marie MacDonald, cabarettista e drammaturga canadese che nel 1999 è balzata in cima alle classifiche internazionali con il romanzo Chiedi perdono (Adelphi).
Ultima, in ordine di tempo, l'irlandese Tana French, autrice di Nel bosco (Mondadori), thriller dalle sfumature intense e perturbanti.
Sulla morte di una bambina, il cui cadavere viene ritrovato in uno scavo archeologico ai margini di un bosco, indaga l'investigatore della Omicidi Rob Ryan: l'unico sopravvissuto di un trio di ragazzi che, vent'anni prima, in quello stesso bosco, hanno subito un destino terribile. Così terribile che Ryan non riesce più a ricordarlo. Quei due amici perduti, continuano a pesare sulla sua anima, e neanche la solare collega e amica Cassie Maddox riesce a sollevarlo da un doloroso, quanto obbligato, ritorno all'inferno.
Da attrice e autrice di un romanzo: come avviene un simile passaggio?
Mi ha sempre affascinato l'archeologia: quand'ero piccola sognavo di scoprire l'antica Troia, finché mi sono resa conto, con grande disappunto, che qualcuno l'aveva già fatto. In più, un'attrice non sa mai quanto lavorerà: ha sempre settimane libere, perfino mesi a disposizione, tra uno spettacolo e l'altro. Così una volta ho deciso di impiegare il tempo lavorando in uno scavo vicino a Dublino. L'archeologia comporta un duro impegno fisico, ma lascia la mente libera di vagare. È stato in questa occasione che mi è venuta l'idea di Nel bosco. Ce n'era uno non lontano dai lavori. Ho cominciato a chiedermi: e se tre ragazzini andassero a giocare nel bosco, ma solo uno tornasse, senza ricordare più nulla dell'accaduto? Come vivrebbe da adulto, sapendo che da qualche parte, nella sua mente, si trova la risposta al mistero, ma non riuscendo a raggiungerla? E se diventasse un agente investigativo della Omicidi, e un altro caso lo riportasse in quel bosco? Scarabocchiai l'idea su un pezzo di carta, ma poi partii per lavorare in uno spettacolo. E me ne dimenticai. Circa un anno dopo, durante un trasloco, ritrovai quel foglio: giaceva, imbrattato di marmellata, sotto un mucchio di bollette del telefono. Decisi che dovevo farne assolutamente qualcosa.
Quando è nato, in lei, il desiderio di diventare un'attrice? E quando quello di un'altra attività?
Mi sono innamorata della recitazione fin da quando ero adolescente. Mi attraeva la possibilità di far rivivere le storie di altre persone. Purtroppo, in questo momento la scena teatrale irlandese sta attraversando una fase pittosto difficile, tanto che la metà dei teatri ha chiuso negli ultimissimi anni. È più redditizio vendere gli edifici per ricavarne appartamenti. La passione degli irlandesi per l'arte drammatica, però, resiste ancora. Io ho interpretato molti ruoli diversi, dalla regina delle fate alla prostituta, al ragazzino di dieci anni. Faccio parte del PurpleHeart Theatre Company: portiamo in scena commedie nere, potenti e coraggiose. Nell'ultima ero una ex ragazza pompon che si trasformava in un killer! Ma ormai non lavoro molto come attrice, e sto scrivendo il mio secondo romanzo. Spero però, in futuro, di riuscire a conciliare le due attività.
Lei ha vissuto un po' ovunque, poi ha deciso di trasferirsi stabilmente a Dublino. Perché questa scelta?
Sono un miscuglio di nazionalità: irlandese, italiana, russa e americana. In più, mio padre aiuta i Paesi in via di sviluppo a utilizzare le proprie risorse naturali: perciò, durante la mia infanzia, ci siamo spostati spesso. Abbiamo vissuto in America, nel Malawi, anche in Italia. Uno degli inconvenienti di crescere in diversi continenti è non sapere da dove vieni. Per me, Dublino è sempre stata la città che più si avvicinava al concetto astratto di "casa": conosco i negozi più strani e i pub più defilati, tutti gli accenti e i significati delle parole e delle espressioni, o le strade in cui non bisogna camminare da soli quando fa buio. Perciò, quando ho finito la scuola e ho dovuto scegliere dove frequentare il college, la cosa più naturale mi è sembrata trasferirmi qui.
La città è cambiata molto, in questi ultimi anni...
Per molti aspetti, ho nostalgia della Dublino degli anni Ottanta e Novanta. All'epoca, quasi tutti avevano pochi soldi. Le nostre ricchezze erano la cultura e la conversazione. C'era grande apprezzamento per drammaturghi, poeti, musicisti, artisti: anche se non davano un contributo significativo all'economia, alimentavano in maniera inestimabile la società. L'intelligenza veloce, il linguaggio elegante, le imprecazioni fantasiose, le discussioni profonde, le lunghe serate al pub a ridere di sciocchezze avevano un immenso valore. Anche se non producevano alcun reddito, generavano un senso di comunità che nessuna somma di denaro è in grado di creare.
Poi, però, c'è stato un incredibile sviluppo economico che ha fatto emergere valori diversi.
Da allora, l'Irlanda è stata protagonista di un boom economico che ha elevato i soldi al rango di divinità. Oggi il valore di una persona, di un luogo, di un'industria, è determinato esclusivamente da quanto denaro fa girare. Sembra non esistere altro che questo. Tutti lavorano e si spostano in modo frenetico, e nessuno sembra più avere il tempo per una vita familiare, per una chiacchierata, quattro risate con gli amici. I prezzi delle case sono saliti così tanto che la gente non può permettersi di vivere nei quartieri in cui è cresciuta; di conseguenza, le comunità si stanno frammentando. Gli artisti, a meno che non abbiano un enorme successo, sono considerati addirittura un peso per la nazione. Ci concediamo tutti i lussi, ma non abbiamo più l'essenziale. E a me manca molto. La nostalgia, però, è un sentimento pericoloso, quindi cerco di tenerlo sotto controllo.
Dublino, comunque, è molto importante, nel suo romanzo.
Direi che è quasi un personaggio. Al momento, la città sta attraversando una drammatica crisi di identità. Negli ultimi dieci anni è cambiata moltissimo, e chi ci vive sta ancora cercando di fare fronte a questo processo, di trovare una strada per conciliare le nuove necessità del presente con gli elementi preziosi del passato. Questa tensione è una parte importante del romanzo, sia per i personaggi, sia per l'ambiente in cui si trovano ad agire.
Perché ha deciso di scrivere proprio un thriller? E chi sono, all'interno di questo genere letterario, gli scrittori che apprezza maggiormente oggi?
Mi è sempre piaciuta la struttura del mystery novel. È definita, limpida, pulita: qualcuno viene ucciso, qualcun altro scopre l'identità dell'omicida. I miei libri preferiti sono quelli che, all'interno di queste rigide barriere, riescono a sperimentare: Dio di illusioni di Donna Tartt, il romanzo che amo di più in assoluto, in cui si scopre chi è l'assassino alla prima pagina; Il brivido sulla spalla di Josephine Tey, uno studio impressionante su uno psicopatico; La morte non dimentica (da cui è stato tratto il film Mystic River, ndr) di Dennis Lehane, dove il colpevole è a piede libero e l'innocente paga per i suoi misfatti. In questi romanzi, le convenzioni del thriller incontrano una realtà in cui le persone sono contraddittorie e piene di problemi, la giustizia non sempre trionfa, la verità è una questione complicata, e la ricerca di risposte non sempre approda al lieto fine. Quando ho scritto Nel bosco mi sono ispirata a questo genere di libri, sono quelli che amo di più leggere.
Lei ha scelto una voce narrante maschile, Rob Ryan, ma c'è anche Cassie Maddox, una bellissima coprotagonista femminile.. .
Se Cassie esistesse, mi piacerebbe frequentarla. E lei si troverebbe bene al pub con me e i miei amici. Appena scritto l'abbozzo della storia, però, mi è venuto in mente il personaggio di Rob: intelligente, sarcastico, chiuso, permaloso e troppo ferito per poter essere sincero, sia nei confronti di se stesso che degli altri. E maschio. Non è stata una scelta consapevole: è nato così. La cosa più difficile non è stata però scrivere dal punto di vista di un uomo, ma calarsi nella testa di un personaggio incasinato come Ryan. La scomparsa degli amici e la conseguente perdita di memoria hanno aperto crepe nella sua mente: è incapace di fare affidamento su qualsiasi cosa, intorno a sé o dentro di sé. All'inizio del libro, Rob riesce più o meno a "funzionare": è efficiente sul lavoro, riesce a tollerare almeno un'amicizia significativa, è più o meno felice. Quando il caso lo trascina di nuovo nel passato, quelle crepe si approfondiscono. E la sua mente comincia a disintegrarsi.
Rob e Cassie sono due esponenti tipici della generazione dei quarantenni di oggi: bravi nella professione e molto problematici nella vita privata.
La passione per il lavoro comporta sempre il rischio che si mescoli con la vita privata. In più, Rob e Cassie hanno la sfortuna di imbattersi in uno psicopatico, cioè una persona pericolosa anche a livello emotivo, oltre che fisico. Gli psicopatici danneggiano chiunque tocchino, e hanno un vero talento nel trovare i punti deboli delle persone, per poi accanirsi contro di loro. Nel caso dei miei due protagonisti questo avviene in un momento in cui sono entrambi molto vulnerabili. Di conseguenza, la loro amicizia si sbriciola sotto quella pressione.
Esplorare la psiche umana la interessa molto. Da dove viene questa curiosità?
Come attrice ho passato anni a concentrarmi sul funzionamento della psiche, sui suoi labirinti. E quando ho cominciato a scrivere, inevitabilmente l'approccio è stato abbastanza simile. Per me, in realtà scrivere questo libro è stato un po' come recitare. Tutto è visto con gli occhi di Rob, filtrato attraverso le sue percezioni, descritto dalla sua voce. Scrivere Nel bosco è stata semplicemente un'estensione del mio lavoro di attrice: creare un personaggio e calarsi nei suoi panni per molte ore al giorno. Ho interpretato Rob Ryan per quasi due anni: sulla carta, invece che sul palcoscenico, ma il percorso mentale è stato lo stesso.
Se il suo romanzo diventasse un film, ha un'idea di chi vorrebbe che lo dirigesse?
Ho cercato deliberatamente di non pensare a una trasposizione per il cinema del libro: mi avrebbe solo confuso. Certo, mi piacerebbe che un giorno la storia diventasse un film. Per fare qualche nome, i miei registi preferiti sono Sean Penn (penso che La promessa sia uno dei film migliori della storia del cinema) e Peter Weir (adoro Picnic a Hanging Rock). Nel mondo dei sogni, mi piacerebbe che uno dei due decidesse di portare sul grande schermo il mio romanzo. Quanto alla scelta degli attori, mi ritirerei, facendo totale affidamento sul regista.
grazie a: La Repubblica delle donne, dic. 2007
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