Max Aub
Delitti esemplari: classico titolo da raccolta di racconti polizieschi, e invece il giallo non c'entra molto; il nero, forse, o...
Max Aub (padre tedesco, madre francese) è nato a Parigi nel 1903: emigrato in Spagna con la famiglia nel 1914, prende la cittadinanza iberica. Laureatosi in Letteratura, si dedica alla narrativa e al teatro d'avanguardia. Allo scoppio della guerra civile si schiera coi repubblicani e nel '39, per sfuggire alla repressione franchista, si rifugia in Francia, dove resta fino al 1942, in un campo di concentramento.
Tornato in libertà va a vivere in Messico, dove morirà nel 1972.
Scrittore affermato ma relativamente poco conosciuto, non ha frequentato il poliziesco ma ha ne ha preso spunto per rapidi ritratti di omicidi commessi perchè di sì. Universo di antipatie e insofferenze e manie e cattiverie e sfoghi.
Ad esempio:
Sono sicuro che rideva di me. Rideva di quello che stavo sopportando. Era troppo. Mi passava e ripassava il trapano sul nervo. Lo faceva apposta, nessuno mi toglierà quest'idea dalla testa. Mi prendeva pure in giro: - Ma questo lo sopporterebbe persino un bambino -. A voi non hanno mai messo quelle rotelline del diavolo su un dente cariato? Allora dovreste ringraziarmi. Vi assicuro che d'ora in poi faranno più attenzione. Forse strinsi troppo. Ma non sono responsabile del fatto che avesse il collo così fragile. E che si fosse messo così a portata di mano, così sicuro di sé, così superiore. Così felice.
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La squartai dal basso in alto, come una pecora, perché guardava indifferente il soffitto mentre faceva all'amore.
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Stavamo pigiati come sardine e quell'uomo era un porco. Puzzava. Tutto gli puzzava, ma soprattutto i piedi. Le assicuro che era impossibile sopportarlo. E poi aveva il colletto della camicia nero, e la nuca untuosa. E mi guardava. Una schifezza. Cambiai posto. Ebbene, lei non ci crederà, ma quell'individuo mi seguì. Aveva un odore diabolico, mi parve di vedergli uscire come degli insetti dalla bocca. Forse lo spinsi troppo forte. Non daranno mica la colpa a me, se le ruote dell'autobus gli passarono sopra.
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Lo uccisi in sogno, poi non potei far altro che sopprimerlo sul serio. Inevitabilmente.
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Lo uccisi perché ero sicuro che nessuno mi vedeva.
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A voi non è mai venuta la voglia di eliminare uno di quei venditori di biglietti di lotteria, quando diventano noiosi, insistenti, supplicanti? Io l'ho fatto, a nome di tutti.
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Erano tre anni che ci morivo dietro. Finalmente avevo un vestito nuovo! Un abito chiaro, come l'avevo sempre desiderato. Avevo risparmiato, lira su lira, e finalmente eccolo qua: con i suoi bei risvolti alla moda, i pantaloni ben stirati, gli orli non sfilacciati.... E quell'omaccio grosso, sordo, schifoso, forse senza volerlo, lasciò cadere la sua cicca e me lo bruciò: un buco orrendo, nero, coi bordi color caffè. Lo infilzai con una forchetta. Ci mise parecchio a morire.
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Lo uccisi perché invece di mangiare ruminava.
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L'avevo appena sfiorata. Si rivoltò come una tigre. Tutto per una toccatina da niente! Oltre tutto non ne valeva la pena, mollacchiona. Forse proprio per questo se la prese tanto. Io non potevo certo lasciar correre. Si radunò gente. Cominciai a menare botte. Se quel ragazzino scivolò sotto un camion che passava, io che c'entro?
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Era tanto brutto, quel poveraccio, che ogni volta che lo incontravo mi sembrava un insulto. Tutto ha un limite.
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