La
resistenza jugoslava fu un grande movimento popolare unitario,
che probabilmente non ha eguali in Europa, e ciò rende
ancora più paradossale la disgregazione violenta della
Jugoslavia avvenuta pochi anni fa.
Può quindi essere utile ripercorrere sommariamente la storia
travagliata di questo paese.
La
formazione degli stati nazionali di Croazia, Bosnia e Serbia risale
al medioevo, anche se in effetti queste realtà furono soggette
per secoli - con alterne vicende - alla dominazione del Sacro
Romano Impero, della Repubblica di Venezia, del regno di Ungheria,
dell'Impero Ottomano.
Fu la Serbia, nel 1878, la prima a riconquistare stabilmente la
propria indipendenza, tanto da divenire essa stessa una potenza
con mire annessionistiche nei confronti dei territori limitrofi,
addirittura strappando alla Turchia la maggior parte della Macedonia.
Anche fra i croati si sviluppò un movimento indipendentista,
basato sull'idea di riunire le popolazioni slave del sud, che
tuttavia non ebbe sbocchi, scontrandosi sia con la potenza asburgica
sia con i propositi italiani di annettere Dalmazia e Istria.
Nel 1918, con la dissoluzione degli imperi austriaco e ottomano,
si formò uno regno autonomo serbo-croato-sloveno, sotto
la dinastia dei Karageorgeviç: un progetto unitario che
aveva come base il contrasto alle mire espansionistiche di Roma
e ai fermenti rivoluzionari che andavano diffondendosi in Europa.
L'assetto centralistico del regno (che assunse il nome di Jugoslavia, terra degli slavi del sud) e il suo avere in Belgrado,
cioè nei serbi, il proprio baricentro, favorirono la ripresa
dei contrasti fra le etnie, tanto che la monarchia approfittò
del clima di forte tensione per imprimere una decisa svolta autoritaria.
Macedoni,
croati e sloveni, dunque, venivano ancora una volta a trovarsi
in posizione nettamente subordinata alla maggioranza serba, ma
non vi fu un processo unitario per rivendicare l'autonomia: in
Croazia si ebbe una spaccatura netta tra le componenti democratiche
- legate alla classe operaia e ai contadini - e quelle strettamente
nazionalistiche, che si coagularono nel movimento ustasha
di Ante Paveliç,
di tipo fascista; gli sloveni, viceversa, temevano che l'eventuale
caduta della dittatura serba avrebbe portato allo smembramento
del paese sotto il dominio italiano e tedesco, e quindi non si
opposero al regime; nella stessa Serbia andava diffondendosi un
forte malcontento verso il potere, e la politica dei fronti
popolari lanciata dal VII Congresso del Comintern fece
sì che il Partito Comunista (uno dei primi
in Europa, essendo stato fondato nel 1919) vedesse aumentare notevolmente
fra la popolazione il consenso alla propria proposta di costituzione
di uno Stato democratico federativo.
Guerra
e resistenza
Allo scoppio
della 2a guerra mondiale la corte ed il governo jugoslavo si accordarono
con l'Asse e ciò spinse le forze più avanzate del
popolo serbo, croato, sloveno, montenegrino, macedone e bosniaco
a ribellarsi: il 25 marzo 1941 la gente nelle strade di Belgrado,
di Zagabria, di Lubiana e in molte altre località manifestò
contro il Patto tripartito firmato a Vienna dal governo. La parola
d’ordine era chiara ed inequivocabile: “Meglio
la guerra che il patto!”
luglio 1942, Loska Dolina (Jugoslavia): soldati italiani fucilano partigiani jugoslavi - foto spesso usata dai clericofascisti a proposito delle foibe
Anche una
parte dell’esercito era a fianco del popolo e questa insurrezione
provocò la caduta del governo filofascista: in aprile il
re, la corte e gli esponenti dei partiti governativi scapparono
all’estero portando con sè l’oro della Banca
di Stato, mentre il Comando militare firmava la capitolazione.
Una cinquantina di divisioni naziste e italiane, oltre a quelle
bulgare e ungheresi, invasero il paese e ancora una volta la cartina
geopolitica fu profondamente modificata: la Slovenia fu divisa
tra Germania e Italia (che si era impadronita anche dell'Albania);
la Macedonia fu smembrata; Bosnia e Croazia divennero un unico
regno sotto la sovranità formale di Aimone di Savoia-Aosta
ma in realtà governato da Paveliç, che, oltre a
perseguitare i militanti della sinistra, attuò una sistematica pulizia etnica nei confronti delle minoranze
serbe ed ebraiche (una truce anticipazione di ciò che avverrà
in Bosnia tra il 1992 e il 1995 ad opera, stavolta, dei serbi):
"'La nostra nuova Croazia si sbarazzerà dei serbi
tra di noi, allo scopo di avere il cento per cento di cattolici
tra dieci anni." Un particolare inquietante: l'autorevole
Enciclopedia Britannica così riportava nell'edizione 1987:
"In Bosnia i fascisti croati iniziarono il massacro dei
serbi che, in tutto il periodo della seconda guerra mondiale,
fu sorpassato in ferocia solo dallo sterminio degli ebrei polacchi."
Ma nelle edizioni successive questo passo è scomparso:
forse perché Germania e USA stavano finanziando la secessione
croata? E ancora: che solo i nazisti e gli ustasha abbiano
commesso atrocità è un falso ignobile: i comandi
militari italiani hanno dirette e gravissime responsabilità
rispetto ai crimini
di guerra commessi in Jugoslavia, Albania, Grecia.
Dulcis in fundo: il cardinale Alojzije Stepinac,
primate della Croazia fascista, è stato di recente beatificato
da Karol Woitjla: la Chiesa cattolica ha tranquillamente "dimenticato"
come questo prelato abbia benedetto le squadre della morte che
massacravano ebrei, serbi ortodossi, zingari e comunisti.
Soprattutto in alcune zone della Serbia e della Bosnia cominciarono
a costituirsi le prime formazioni partigiane con l’obiettivo
prioritario di combattere il nemico invasore, ma le forze che
guidavano la resistenza jugoslava elaborarono una piattaforma
rivoluzionaria che guardava anche oltre, riprendendo la teoria
leninista (Le due tattiche della socialdemocrazia) della
rivoluzione democratica che si sviluppa in rivoluzione socialista.
Ai primi
di maggio il Comitato Centrale del Partito Comunista,
riunitosi a Zagabria, fece il punto della situazione, decidendo
di intensificare l'organizzazione della lotta armata e inviando
vari suoi membri a formare comitati militari e gruppi d’azione
nelle varie regioni del paese.
Alla guida del comitato militare centrale venne designato il Segretario
del Partito Comunista, Josip Broz, detto Tito,
che lanciò questo appello:
“Popoli della Jugoslavia! Voi che combattete e vi sacrificate
nella lotta per la vostra indipendenza, sappiate che questa lotta
sarà coronata dal successo, anche se momentaneamente sarete
sopraffatti nella battaglia da parte di un nemico strapotente.
Non perdetevi d’animo, serrate saldamente le nostre file,
abbiate fiducia, tenete alta la testa anche sotto i più
duri colpi: i comunisti e tutta la classe lavoratrice della Jugoslavia
saranno fermamente in prima linea nella lotta contro gli occupanti
fino alla vittoria finale... Saremo infine veramente indipendenti
e sarà allora creata una fiera fraterna comunità
dei popoli yugoslavi...
Operai, contadini, cittadini tutti che amate la vostra terra,
unitevi!
In questi giorni decisivi è necessario raccogliere tutte
le forze per la comune sopravvivenza... Accorrete e sostenete
tenacemente la lotta alla quale vi chiama l’avanguardia
della classe lavoratrice, il Partito Comunista di Jugoslavia!”
Si
pongono dunque le basi di una lotta ampiamente unitaria, a prescindere
dalle differenze nazionali, politiche e religiose, ma sono i comunisti
a prendere di fatto la guida del movimento di liberazione, sia
perché erano una forza molto radicata tra la popolazione,
sia perché
disponevano di una struttura solida e ben organizzata, oltre a
tutto temprata da venti anni di clandestinità.
Ciò da un lato consentì una direzione omogenea della
lotta ma dall'altro vide la defezione di vari gruppi che non accettarono
l'egemonia comunista.
In particolare il colonnelo Mihajloviç, esponente del gruppo
di ufficiali nazionalisti (cetnici) che in un primo tempo
tempo si era opposto all'invasione, prese nettamente le distanze
da Tito e organizzò autonomamente le proprie formazioni:
prima cercando di accordarsi con gli italiani e poi collaborando
organicamente, in funzione anticomunista, con gli stessi nazisti.
Tito
era ormai diventato il punto di riferimento di tutto il movimento
di resistenza, e il fatto che egli fosse il capo dei comunisti
permise a questo partito di acquisire un consenso di massa e di
condurre efficacemente numerose azioni di guerriglia, a partire
dalle zone montuose.
1942 e 1943: due anni decisivi
Dalla sua formazione nel 1941 l’esercito partigiano si organizzò
robustamente in tutto il paese, anche accogliendo tra le proprie
file (come avvenne in Albania) quei soldati italiani che si erano
resi conto di appartenere ad un esercito invasore.
La guerra partigiana costringe i tedeschi ad avviare, nell’autunno
del 1941, operazioni belliche assai più impegnative di
quanto si aspettassero: alla prima offensiva che ha per obiettivo
il territorio liberato della Serbia occidentale, altre ne seguono
a breve distanza; nella terza si combatte la grande battaglia
della Kozara dove c’era uno dei più agguerriti centri
della lotta di liberazione.
Si giunge tra fasi alterne al 1942, l’anno della svolta
per il movimento di liberazione jugoslavo sia sul piano militare
che su quello politico.
Mentre i cetnici monarchici e i cattolici reazionari si schierano
al fianco dei tedeschi, i partigiani liberano un quinto del territorio
nazionale e costituiscono il Consiglio Antifascista di liberazione,
virtualmente il primo Parlamento del nuovo Stato.
L’anno successivo vede il fallimento delle operazioni naziste Weiss I e Weiss II, il rafforzamento della posizione
internazionale del movimento di liberazione e, nel settembre,
il crollo dell’Italia fascista, i cui soldati in Jugoslavia,
abbandonati al loro destino, o vengono catturati dai tedeschi
o si schierano con i partigiani.
Alla fine del novembre 1943 viene costituito il Comitato
di LiberazioneNazionale con funzioni
di governo provvisorio e si approva un progetto di Costituzione
federale per la futura Jugoslavia, con ampio riconoscimento
dei diritti dei vari gruppi etnici.
Smrt fašizmu, sloboda narodu!
"Morte al fascismo, libertà ai popoli!' ('Smrt fašizmu, sloboda narodu!'). Queste le parole pronunciate dal ventiseienne partigiano jugoslavo Stjepan Filipoviç poco prima di essere impiccato dai nazisti il 26 maggio 1942 a Valjevo. Dal 1941 iniziò a combattere nelle file del movimento comunista jugoslavo; fu catturato nel febbraio 1942 e condannato a morte; poco prima di morire alzò i pugni chiusi e quelle parole divennero patrimonio dei partigiani jugoslavi (e anche del Friuli Venezia Giulia)
1944-5
Intanto
la liberazione del paese progredisce e in ottobre Belgrado
è liberata, anche con il concorso delle truppe
sovietiche. Seguendo l’esempio della Serbia anche le altre
previste entità federali formano propri governi sulla base
del CLN.
Le elezioni per la Costituente del novembre 1944 segnano la vittoria
del Fronte nazionale e la liquidazione della monarchia,
che viene formalmente dichiarata decaduta dall’Assemblea
nazionale.
Mentre l’esercito popolare conduceva a termine l’ultima
vittoriosa offensiva, i Consigli di liberazione della Serbia,
della Croazia, della Slovenia e delle altre nazionalità
e regioni, costituiscono i rispettivi governi federali, e la Jugoslavia
si proclama "democratica e federativa".
L’esercito
di liberazione nazionale ebbe 350.000 caduti,
400.000 feriti, migliaia di dispersi. Tenendo conto dei morti
sotto i bombardamenti e dei civili massacrati dagli ustasha e
dai nazifascisti, le vittime della guerra toccarono quasi i due
milioni, oltre il 10% della popolazione: solo l’URSS
e la Polonia superarono questa terribile percentuale.
Nell’agosto del 1945 l’Assemblea nazionale varò
la riforma agraria, per distribuire la terra
in parti uguali ai contadini poveri: ai latifondisti furono confiscate
senza risarcimento le terre eccedenti i 30 ettari, e alla Chiesa
quelle eccedenti i 10 ettari, limite che più tardi sarà
generalizzato.
Seguirono la riforma valutaria, che andò a colpire gli
speculatori, e la legge sulle nazionalizzazioni,
che fu la base dello smantellamento degli assetti capitalistici
e del ruolo che nel passato aveva avuto il capitale straniero.
L’11 novembre si svolsero le elezioni per l’Assemblea
costituente e la lista del Fronte popolare ottenne una larghissima
maggioranza.
L’Assemblea si riunì per la prima volta il 29 novembre
e il suo primo atto fu la proclamazione della Repubblica
Federativa Popolare di Jugoslavia.
La battaglia della Neretva, film di Veliko Bulajiç, 1969 - La battaglia nei pressi del fiume Neretva (gennaio-aprile 1943) fu il momento decisivo della guerra di liberazione: la grande offensiva delle truppe tedesche, italiane e cetniche, che aveva lo scopo di accerchiare e distruggere le l'esercito di Tito, venne respinta
La quinta offensiva, film di Stipe Deliç, 1973. La battaglia intorno al fiume Sutjeska (maggio-giugno 1943) fu l'altro momento decisivo del conflitto: pur perdendo quasi la metà degli effettivi i partigiani jugoslavi riescono a sfuggire ad un ulteriore tentativo di accerchiamento da parte delle divisioni nazifasciste appoggiate dall'aviazione
La Jugoslavia
fino al 1991 era uno Stato Federale formato dalle repubbliche
di Bosnia-Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia,
Slovenia (255.804 Kmq, 23.000.000 ab., cap. Belgrado).
Dal 1992 è formata da Serbia (con i territori autonomi
del Kosovo e della Vojvodina) e Montenegro: 102.173 Kmq, 10.5000.000
ab., cap. Belgrado.
1980
alla morte di Tito viene costituita una Presidenza collegiale
della Repubblica Federativa, formata dai Presidenti della Lega
dei Comunisti, delle sei Repubbliche e delle Regioni autonome 1981 primi movimenti di protesta nel Kosovo 1988Milsoseviç rafforza
il ruolo guida della Serbia; revocate le autonomie del Kosovo 1989 la situazione economica si aggrava; esplodono
le tensioni etniche e religiose 1990 la Lega dei Comunisti non ha più
l'egemonia del potere; alle elezioni si affermano le opposizioni
nazionaliste in Croazia e in Slovenia 1991Slovenia e Croazia proclamano la
propria indipendenza; primi scontri fra sloveni e serbi,
e fra serbi e croati: in pochi mesi la situazione precipita e
il conflitto diventa endemico; da parte croata e serba si attuano
i primi atti di pulizia etnica; i serbi della
Krajina (Croazia) proclamano una repubblica autonoma, che non
ottiene riconoscimenti 1992 anche Bosnia-Erzegovina e Montenegro
proclamano l'indipendenza; scoppia la guerra civile in Bosnia,
con l'intervento diretto di Serbi e Croati; l'ONU decide l'applcazione
di sanzioni alla Serbia e inviano i caschi blu (UNPROFOR) in missione
umanitaria; Serbia e Montenegro danno vita alla Repubblica
Federale di Jugoslavia 1993 l'ONU istituisce un tribunalead hoc sui crimini di guerra in Jugoslavia e affida alla
NATO il controllo dei cieli nelle zone dichiarate "aperte" 1994 sotto le pressioni internazionali a Sarajevo
viene proclamato il "cessate il fuoco" e viene proposto
un piano di divisione della Bosnia in tre repubbliche autonome
a base etnica: croati e musulmani sono d'accordo, i serbo-bosniaci
rifiutano; continuano gli scontri 1995 la zona di maggior conflitto è la
Slavonia (regione croata, con una consistente minoranza serba,
compresa fra Danubio, Drava e Sava), e si aggrava pesantemente
l'assedio di Sarajevo; i serbi a Sebreniça attuano il più feroce massacro di massa (oltre 8.000 vittime)
dalla fine della II guerra mondiale; alla fine dell'anno a Parigi
i contendenti (Miloseviç e Tudjman, presidente della Croazia,
entrambi responsabili di feroci operazioni di pulizia etnica)
ratificano gli accordi di Dayton; la NATO inizia
a dispiegare 60.000 soldati per far rispettare la pace.. 1996 Miloseviç Presidente della Repubblica
Federale 1997 l'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck)
inizia le prime azioni di guerriglia 1998 l'Uck controlla di circa il 40% della provincia,
ma le forze di sicurezza e i gruppi paramilitari serbi intensificano
la repressione, colpendo soprattutto la popolazione civile 1999 Miloseviç attua una vera e propria
pulizia etnica nella zona del Kosovo contro la popolazione albanese;
in marzo la Nato scatena un'offensiva aerea (circa
600 raid al giorno) contro la Jugoslavia destinata a durare settantotto
giorni; dopo la ritirata dell'esercito serbo gli albanesi del
Kosovo hanno potuto fare ritorno nelle proprie case, ma i serbi e gli
zingari sono stati però a loro volta costretti ad abbandonare
la provincia 2000 Miloseviç si ricandida alle elezioni
ma viene sconfitto da Kostunica, un nazionalista moderato, a capo
di tutta l’opposizione; viene istituita la Corte
Penale Internazionale che dovrebbe sostituire
i tribunali ad hoc (la Corte Internazionale di Giustizia,
invece, è un organismo dell'ONU, fondato nel 1948, con
compiti di tipo consultivo e non giudicante) 2001 la Macedonia chiude i confini col Kosovo;
Miloseviç è accusato di crimini contro l’umanità
per le operazioni in Croazia, Bosnia Erzegovina e Kosovo: viene
consegnato al Tribunale Internazionale dell’Aia nel giugno,
nonostante la contrarietà di Kostunica e di parte dell’opinione
pubblica serba; il Tribunale condanna a 46 anni il gen. serbo
Krstiç per i massacri di Sebrenica 2002 all'Aja comincia il processo contro Miloseviç 2003 Serbia e Montenegro si accordano per ricostituire
uno stato unitario; la Corte Penale Internazionale diventa formalmente
operativa, ma di fatto non funziona per il boicottaggio
effettuato da alcuni Stati (USA, Cina, Israele)
2006 Miloseviç muore d'infarto.