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Odessa - Organisation der Ehemaligen SS-Angehörigen |
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Chi aiutò i nazisti in fuga lungo tutta l'Europa nelle mani degli alleati vincitori? Come fu possibile? La Chiesa cattolica è responsabile di aver offerto protezione e documenti falsi per l'espatrio in paesi compiacenti?
Alla «Maison Rouge» (Casa rossa), situata a Strasburgo, il 10 Agosto 1944, lussuose automobili, alcune iimbandierate con la svastica, sono posteggiate in prossimità dell'edificio. All'interno della Maison Rouge, in un ampia sala provvista di camino, settantasette uomini rappresentanti il potere assoluto della Germania nazista hanno avviato una riunione che si protrarrà per alcuni giorni.
Le persone convocate alla riunione, protetta dal massimo riserbo e da eccezionali misure di sicurezza, condividevano un problema, un passato e un'esigenza, quella di fronteggiare il futuro che si intravedeva ostile. In relazione alle loro analisi, l'unico modo per raggiungere questo obiettivo era uno solo: salvaguardare la vita e il denaro dei più eminenti gerarchi. Nel corso della giornata erano arrivati su treni blindati o in automobili imponenti, i delegati del numero due nella gerarchia hitleriana, Martin Bormann, il ministro degli armamenti, Albert Speer, il comandante militare ammiraglio Wilhelm Canaris, oltre ai proprietari di quelle industrie che avevano costituito il motore della macchina bellica: Krupp, Messerschmidt, Thyssen, Bussing Reihmetal, VW Wercke, Rochling, I.G. Farben, AEG, Siemens e Kirdorf. Erano presenti inoltre i grandi banchieri, i finanzieri, gli imprenditori in campo assicurativo, nonché gli industriali dei bacini del Reno e della Ruhr.
Le caratteristiche della riunione - e il suo stesso svolgimento, data la segretezza nella quale fu concepita - si sarebbero conosciuti solo molti mesi dopo, e comunque parzialmente, continua a essere oggetto di studi. Pur accomunati dalla preoccupazione per l'aggravarsi della situazione, gli uomini riuniti nella Maison Rouge manifestarono da subito aspirazioni distinte: i funzionari politici del partito miravano alla rinascita del Terzo Reich, in un luogo e con modalità da definirsi; gli industriali e gli imprenditori ricercavano una strada per conservare i loro beni e metterli in salvo dalla confisca che sicuramente sarebbe seguita alla disfatta. Tuttavia, la comune disgrazia aveva maggior peso dei differenti appetiti, e i due gruppi giunsero a un accordo e trovarono una formula che soddisfece tutti gli interessi.
La proposta che fu approvata, secondo la presunta ricostruzione dei fatti, era stata avanzata dal delegato personale del viceführer, Martin Bormann, e può essere così sintetizzata: gli imprenditori avrebbero finanziato la fuga dei gerarchi, i quali avrebbero custodito e gestito tutti i capitali trasferiti all'estero.
Per i grandi industriali la strada era obbligata: compromessisi con il finanziamento del nazismo, dal trionfo alleato si potevano aspettare nella migliore delle ipotesi il carcere e l'esproprio. Affidarsi ai gerarchi era l'unica cosa possibile.
Un frammento degli atti firmati al termine della riunione permette di comprendere meglio il disegno: «Il comando del partito ritiene che alcuni membri sarebbero condannati: di conseguenza è necessario collocarli come "periti tecnici" in varie imprese chiave. Il partito è disposto a elargire elevate somme di denaro a quegli industriali che contribuiscano all'organizzazione postbellica all'estero. Chiede però in cambio che tutte le riserve finanziarie siano trasferite all'estero o possano esserlo successivamente, affinché dopo la disfatta possa essere fondato in futuro un poderoso nuovo Reich».
L'aspetto più curioso di questo paragrafo è che non è possibile nemmeno intuire chi funga da portavoce del «partito».
Non si alludeva a Hitler nè a Himmler, poiché nessuno dei due era al corrente dello svolgimento dell'incontro: lo avrebbero infatti impedito giudicandolo disfattista e sleale. Potrebbe forse corrispondere a Martin Bormann. In quei giorni, il delfino aveva gia acquisito un evidente vantaggio sugli altri camerati.
A seguito dell'incontro di Strasburgo cospicue somme di denaro vengono subito trasferite in banche di Paesi neutrali: Svizzera, Spagna, Turchia e soprattutto Argentina e Paraguay. Con i capitali tedeschi vengono create numerose società commerciali: secondo un rapporto del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti che risale al 1946 furono in complesso 750 le imprese finanziate dagli industriali nazisti; 112 in Spagna, 58 in Portogallo, 35 in Turchia, 214 in Svizzera, 98 in Argentina e 233 in varie altre nazioni. E questo è solo il principio.
L'elenco completo delle imprese, elaborato dal dipartimento delle Finanze degli Stati Uniti, che indica fra parentesi l'anno di insediamento nell'Argentina di Peron :
Aachen & Munich, compagnia di assicurazioni (1942) ; El Fenix Sudamericano, compagnia di riassicurazioni; Accumulatorch-Fabrik A.G., apparecchi elettrici; Afa-Tudor-Varta, fabbrica di accumulatori; AEG, Compania Argentina de Electricidad, apparecchi elettrici (1944); SEMA Sociedad Electrometalurgica Argentina, fabbricazione di condutture di rame (1945); Alambrica, apparecchi elettrici; CESIA Conductores Electro Sociedad Industrial Argentina, fabbricanti di condutture di bronzo e rame; Metalurgica Comercial SRL, macchinari (1942); Weco y Cia.; Beirdorf SRL, prodotti chimici e medicinali (1944); Berger y Cia., materiali e attrezzatture (1942); La Lipsia SA (1942); Vicum y Cia., macchinari (1942); Boker y Cia., macchinari (1942); Robert Bosch, importatrice e produttrice di materiali elettrici e motori Diesel (1944); Riberena del Plata, commercio di carbone e legna, riparazione di navi (1944); Banco Germanico de America del Sud (1943); Edificio Germanico, amministrazione di proprieta; Midas, società finanziaria; Banco Aleman Transatlantico (1942); Compaiila Argentina de Mandatos; Farma Platense SRL, prodotti chimici e medicinali (1940); Instituto Behring de Terapeutica Experimental (1944); Anilinas Alemanas, prodotti chimici e medicinali (1944); Quimica Bayer SA; Monopol, chimica industriale e commerciale; Agfa Argentina, strumenti ottici e materiale fotografico (1939); La Plata Ozalid, materiale fotografico; Weyland Sigfrido, prodotti chimici; Ferrostaal SA, ferro e acciaio (1944); Geco, produttori di munizioni (1941); Guen y Bilfinger, edilizia; Danubio, tessile; Hardt y Cia., import-export; Herbder F.A. Sohn, import-export (1943); Compafiia General de Construcciones (1939); GEOPE, impresa edile (1944); Establecimiento Klockner SA, ferro e acciaio (1943); Maldonado y Cia., ferro e acciaio; Manuello y Cia., ferro e acciaio; Ferrocal SRL, calce viva (1941); Otto Deutz, motori (1943); Oficina Cientifica Knoll; Tubos Manesmann (1943); Morseletto SA, stabilimenti metallurgici; SICA SRL (1944); La Internacional, compagnia di assicurazioni; La Mannheim, compagnia di assicurazioni; Merck Quimica Argentina; Stinnes, importatrice di motori in acciaio, esportatrice di cuoio, pelli e lana; Stinnes Maritima, agenti navali; Amme, Giesecke y Konegan, macchinari; Wayss & Freitag SA, costruzioni (1943); Lloyd Norte Aleman, agenti navali; Orestein & Koppel SA, materiale rotabile (1943); Osram, materiali elettrici (1943); Reinmetall-Borsig Cia., ferro e metalli (1943); Cedema, ferro e acciaio; Ribera del Plata, commercio di carbone, legna e coke, riparazione di navi (1944); Gunther Wagner, carta da lettera (1944); Arcotina y Cia., commercio e finanza; Schering SA, chimica; Compalia General de Construcciones; Rhenania, commercio e finanza; SAEMA SA, legno e derivati; SAERA SA, agroalimentare; Establecimientos Vitivinicolas Escorihuela; Compaiiia de Seguros la Mercantil Andina; Compania Inmobiliaria de Buenos Aires; Siemens-Schuckert, materiali elettrici (1942); Siemens Baunion, costruzioni (1943); Siemens y Halske, materiali elettrici (1942); INAG, attrezzature chirurgiche e di laboratorio (1944): Compania Internacional de Telefonos; Fenix, laterizi; Agrin Metal SRL, strumenti chirurgici (1942); Springer y Moeller SA, prodotti chimici e medicinali; Aceros Roeschling Buderus SA (1942); Staudt y Cia, cotone, lana e cuoio (1944); Bromberg y Cia., import-export di macchinari (1940); Pallavicini y Cia., zucchero e sali (1944); Jobke y Nieding, macchinari ed edilizia; Atanor SA, prodotti chimici (1944); Unitas, compagnia finanziaria; La Querencia SA, società immobiliare e finanziaria (1944); Planificadora de Cordoba SRL; Casa Denk Aceros Boehler, ferro e acciaio (1939); Thyssen-Lametal, ferro e acciaio (1943); Arbizu y Cervino, società industriale e cornmerciale (1942); Crefin SA, crediti e finanziamenti, ferro e acciaio (1942); La Union Bulonera Argentina, ferro e acciaio (1942); Speratti Romanelli SRL, impresa edile; Sudasteel, ferro e acciaio (1941); TAEM, officine elettromagnetiche; Wella Sudamericana, prodotti per parrucchieri (1941); Wilckens Hnos., import-export (1938); Zeiss Carl, strumenti ottici e materiale fotografico (1942).
La progettazione della fuga
Oltre che per l'organizzazione finanziaria per il futuro, la riunione alla Maison Rouge servì anche per altre decisioni di ordine pratico.
Con l'aiuto dei funzionari della cancelleria nazista, diretta da Bormann, le persone convocate a Strasburgo progettarono minuziosi piani di fuga che i gerarchi costretti alla fuga avrebbero dovuto rispettare alla lettera. Nella progettazione di questi piani furono considerate le situazioni politiche dei Paesi di destinazione e le eventuali relazioni dei presenti con tali nazioni.
Furono delineati tre itinerari principali: il primo partiva da Monaco di Baviera e si collegava a Salisburgo per approdare a Madrid; anche gli altri due percorsi partivano da Monaco e, via Strasburgo o attraverso il Tirolo, giungevano a Genova, dove i gerarchi avrebbero potuto imbarcarsi verso l'Egitto, il Libano o la Siria oppure verso l'Argentina (Buenos Aires).
Ogni particolare era stato previsto: lungo quei percorsi era possibile transitare con relativa facilità e senza eccessivi rischi, grazie alla disponibilità di mezzi di trasporto, case sicure, luoghi in cui munirsi di documentazione e, soprattutto, aiuto di sostenitori lungo tutto il tragitto.
Una voce poco diffusa ma credibile indica che alla vigilia di Natale del 1944, a soli quattro mesi dalla riunione di Strasburgo, i gerarchi ricevettero una serie di documenti falsi da utilizzare durante la fuga. Con il trascorrere dei giorni e l'imminenza della disfatta, furono presi questi e altri provvedimenti, gli stessi interessati potendo sfruttare il proprio potere per la realizzazione del piano.
Fra le possibilità, una risultava fondamentale, la relazione sancita previamente con gli alti gradi della Chiesa cattolica.
Il ruolo della Chiesa
La rete in cui intervenne la Chiesa - la cosiddetta «via dei topi» o «rete romana» - fu, a detta di alcuni storici e dei servizi segreti, la più efficace: secondo le stime, 5.000 capi nazisti riuscirono a scappare grazie ai servizi di questa organizzazione.
La sua sede centrale era a Roma, dove operava da uffici propri sotto la copertura della Commissione pontificia di assistenza; mente dell'organizzazione era il vescovo austriaco Alois Hudal, rettore del Collegio teutonico Santa Maria dell'Anima di piazza Navona e per sua medesima definizione «capo spirituale dei cattolici tedeschi residenti in Italia».
L'ORGANIZZAZIONE ODESSA: l'organizzazione che protegge i criminali di guerra delle SS; che vive ed opera tuttora.
Odessa (Organisation der Ehemaligen Ss-Angehörigen, Organizzazione dei membri delle ex Ss) l'organizzazione clandestina nazista nata attorno alla fine del conflitto che ha operato per decenni: sembra addirittura, come vedremo, che le sue ultime ramificazioni siano tuttora attive anche se con altri fini rispetto ai suoi primi «compiti istituzionali»
Sin dalla sua nascita l'organizzazione delle SS non era stata solo una milizia di partito ma ramificandosi aveva metastatizzato come un male incurabile dapprima all'interno del NSDAP (National Sotialistisches Deuthscher Arbeiter Partei), poi del tessuto del Terzo Reich, divenendo una struttura autosufficiente, autonoma e autogestita.
Secondo un rapporto del suo capo ufficio Economia e Amministrazione Oswald Pohl dell'aprile del 1943, poteva contare su circa quaranta proprie grandi aziende nei più svariati settori in tutto il Reich, territori conquistati compresi: edile, alimentare, di lavorazione del legno, agricolo, forestale, ittico, tessile, dei pellami, editoriale, fotografico, chimico, di realizzazione e manutenzione di monumenti, storico, nonché case di riposo e negozi di abbigliamento nelle maggiori città.
Con l'avvicinarsi della sconfitta, però, questo "Stato nello Stato" comprendendo che avrebbe dovuto affrontare la resa dei conti, si era organizzato mirando ad un fine unico: salvare la pelle dei propri appartenenti, a partire dal Reichsfürehr delle SS Heinrich Himmler sino all'ultima delle reclute.
Così quando gli Alleati chiesero al popolo tedesco chi aveva commesso le atrocità dei campi di sterminio, si sentirono rispondere "Sono state le SS". Ma le SS erano scomparse.
Questi strani patrioti (le Waffen SS hanno commesso innumerevoli crimini di guerra e gestirono alcuni Campi di concentramento) che non erano mai stati al fronte ma che avevano impiccato i soldati della Wehrmacht per ogni minimo sospetto di cedimento, che avevano grassato, ucciso, stuprato, massacrato a man salva in Germania e nei Paesi conquistati senza mai combattere ma scagliandosi contro civili inermi, donne vecchi, bambini, vivevano clandestini in Germania o in Austria quando non erano emigrati all'estero.
A partire dal gennaio del 1945 la struttura delle SS si era andata, senza dare nell'occhio, liquefacendo e tutti indistintamente avevano fatto in modo di aprirsi una via di uscita che consentisse loro, nel marasma della sconfitta, di scomparire.
Operando indipendentemente, così, gli elementi delle SS distaccati presso le ambasciate di Argentina, Brasile, Turchia, Egitto e Italia avevano stretto accordi con Governi, partiti, industrie e ambienti religiosi predisponendo contemporaneamente vastissimi fondi segreti nelle banche svizzere e mediorientali dei quali ancora oggi non si conosce l'esatta consistenza, frutto delle ruberie naziste in tutta Europa e della resa dei campi di sterminio.
Fondi che dovevano costituire le risorse economiche del movimento, ma che provenivano anche dall'industria, considerando che gli stessi industriali tedeschi che avevano aiutato Hitler ad andare al potere, quando avevano compreso che il Reich del Millennio era sull'orlo della fossa si erano accordati fra loro per impedire che parte dell'economia nazionale finisse in mano agli alleati.
Per questo avevano iniziato a trasferirli gradatamente all'estero, favorendo la nascita di nuove attività in Paesi neutrali sotto la copertura di persone giuridiche fittizie; in breve era nata una impressionante rete di aziende e industrie.
Secondo un rapporto del 1946 pubblicato dal Dipartimento del Tesoro USA, questa sorta di anomalo impero comprendeva 98 imprese in Argentina, 58 in Portogallo, 112 in Spagna, 214 in Svizzera e 35 in Turchia nonché altre 233 in vari Paesi per un totale di 750 attività.
Questa struttura, grazie all'azione di ex nazisti, di cittadini compiacenti (e molti purtroppo, ndr) o costretti ad esserlo, era in grado di offrire protezione a chi era in pericolo fornendogli un'identità falsa, denaro e, all'occorrenza, l'espatrio grazie all'esistenza di un certo numero di reti clandestine predisposte prima della fine del conflitto per una eventuale resistenza ad oltranza (una delle allucinazioni delle quali si nutrivano i nazisti nel 1945), ma poi più intelligentemente usate da questi per sopravvivere.
La più nota di queste reti era detta Spinne (ragno), ma alla fine queste organizzazioni clandestine, operando di concerto per scopi indubbiamente vitali e comuni, diedero origine ad una fusione che in breve si trasformò appunto in Odessa che è l'acronimo di Organisation Der Ehemaligen SS Anghehörigen, ossia Organizzazione degli ex Membri delle SS.
L'Argentina di Perón che nel dopoguerra rilascerà all'organizzazione ben 7.000 passaporti in bianco e il Brasile che aveva bisogno di tecnici per le proprie industrie, la Siria e altri Paesi arabi memori dell'accoglienza fatta a Berlino al Gran Muftì, che avevano bisogno di istruttori militari per dare una parvenza di efficienza alle proprie Forze Armate, in seguito l'Egitto di Nasser che avrà bisogno di esperti di armamenti per la propria industria della Difesa aprirono volentieri le porte ai fuggiaschi, chiudendo tutti e due gli occhi sul loro passato quando addirittura questo non venne considerato un vanto dalla paranoia antisemita araba.
Non a tutti, certo. Odessa era estremamente selettiva: prima di tutto doveva esistere uno stato di pericolo, poi si andava per livelli gerarchici. Prima gli alti gradi, poi quelli inferiori. E qui riemergeva in tutta la sua spregevolezza il disprezzo che le SS avevano sempre nutrito per chiunque non appartenesse alla loro casta: era indispensabile l'appartenere al Corpo Nero. Era impossibile che un caporale della Wehrmacht o un capitano della Luftwaffe, per quanto nazisti, ricevessero aiuto.
Così migliaia di criminali presero ad abbandonare la Germania seguendo tre direttrici principali: la prima portava dall'Austria all'Italia e infine alla Spagna. La altre due, sempre tramite l'Italia, erano indirizzate verso i Paesi Arabi e verso il Sudamerica retto da dittature, giunte di destra o dai militari.
Perché sempre attraverso l'Italia?
Prima di tutto perché l'Italia disponeva di grandi porti mercantili; poi perché non era sottoposta al controllo militare, a volte veramente vessatorio, delle Potenze vincitrici; quindi perché vi si trovava il VATICANO, fonte di grandi e consistentissimi appoggi; infine per la scarsa efficienza dei suoi apparati di polizia.
Carabinieri e Pubblica Sicurezza, come allora si chiamava la Polizia di Stato, pur essendo validi per il mantenimento dell'ordine pubblico, la repressione della criminalità, la tutela delle leggi, avevano valore pressoché nullo per i criminali di guerra: i contatti con le Polizie Militari degli Alleati erano inesistenti, mentre quello che rimaneva dei servizi segreti era impegnato più a controllare il fronte dei partiti di sinistra che a fare il suo lavoro istituzionale di Intelligence.
Le vie di fuga, che potevano aver inizio da una qualsiasi città tedesca, convergevano sempre verso Memmingen, un'antica cittadina tra la Baviera e il Württemberg, per poi dirigere su Innsbruck ed entrare in Italia attraverso il valico del Brennero. Gli spostamenti nel tratto Germania meridionale, Austria, Tirolo e Italia settentrionale si svolgevano in grande sicurezza a tappe di 50 km circa, ad ognuna delle quali corrispondeva una "stazione" gestita da 3-5 persone che conoscevano solamente la stazione precedente e quella successiva, ma non altro.
Spesso i fuggiaschi venivano trasferiti con i sistemi più impensati e, in un certo senso, geniali, come a bordo dei furgoni che, condotti da infiltrati di Odessa, curavano la distribuzione locale di Stars and Stripes, il giornale dell'Esercito americano.
Spesso e volentieri veniva fatto riferimento a istituti religiosi compiacenti, mentre le fughe erano agevolate anche da un buon numero di organizzazioni di beneficenza ma anche dalla Caritas internazionale che, per motivi non ben chiari, avevano stabilito che le SS in fuga erano profughi ingiustamente perseguitati dagli Alleati.
Ancora meno chiaro, e questa è una macchia che permane sul VATICANO, fu il notevole aiuto che venne offerto da un buon numero di religiosi come il sacerdote pallottino Antonio Weber, uno dei capi della Lega di San Raffaele, che agevolò la fuga di Adolf Eichmann, o il frate minore cappuccino Benedetto da Bourg d'Iré, o ancora da prelati come il vescovo austriaco Alois Hudal, fervente filonazista e rettore dal 1923 del seminario di lingua tedesca della chiesa di Santa Maria dell'Anima a Roma che, utilizzando come centro di raccolta un convento francescano della capitale, consentì l'espatrio di alcune migliaia di ex SS.
Del resto anche padre Krunoslav Draganovic, croato e segretario dell'Istituto Croato di San Girolamo fece altrettanto con centinaia di assassini provenienti dalle file degli Ustascia di Ante Pavelic in fuga dalla vendetta titina.
Si dirà: un malinteso senso della carità cristiana; può essere, ma nessuno lo ebbe nei confronti degli ebrei che cercavano di sfuggire al massacro nazista.
Comunque per le SS una volta giunte in luoghi sicuri la fuga era abbastanza semplice. Un ufficio ecclesiastico confermava l'identità della persona e la Croce Rossa Internazionale, sulla base della conferma, forniva il passaporto ma ad una condizione: che il fuggiasco fosse battezzato e anticomunista. Se erano necessari altri spostamenti, la Caritas si accollava le spese di viaggio.
In questa maniera fuggirono senza troppe difficoltà criminali come Walter Rauff, ex capitano di corvetta cacciato dalla Marina ed entrato nelle SS, inventore dei furgoni-camera a gas che raggiunse il Cile nel 1954 con l'aiuto di monsignor Hudal; Adolf Eichmann del quale è inutile parlare, che da Genova raggiunse l'Argentina nel luglio del 1950; o Franz Stangl, il boia di Treblinka che, sempre grazie a monsignor Hudal raggiunse Damasco nel 1950 e l'anno successivo il Brasile dove venne arrestato, operaio della Volkswagen di San Paolo, 21 anni dopo; o Herman von Alvensleben, responsabile in Polonia della morte di almeno 80.000 persone che, grazie ai gesuiti austriaci e ai francescani italiani raggiunse l'Argentina imbarcandosi a Genova nel 1949; o, e qui ci fermiamo ma la lista sarebbe lunghissima: il dottor Josef Mengele, l'"angelo della morte" di Auschwitz che dopo aver vissuto impunemente in Germania per sei anni, tramite l'Italia e la Spagna arrivò in Argentina nel 1951 e anni dopo in Paraguay dove ottenne la naturalizzazione.
Ma il compito di Odessa non si esauriva con la fuga, l'appoggio economico ed una relativa protezione nel tempo, al contrario. Per quanto se ne sa nei primi anni '50, quando il primo compito istituzionale dell'organizzazione si stava esaurendo perché migliaia e migliaia di criminali avevano oramai lasciato Germania e Austria e si trovavano relativamente al sicuro, una riunione fra i suoi capi principali portava alla formulazione di cinque nuove direttrici rese possibile dalla nascita, nel 1949, della Repubblica Federale Tedesca.
Le idee di restaurare il Reich, come abbiamo detto, erano state da tempo accantonate in quanto ritenute irrealizzabili anche da queste mentalità esaltate, ma adesso era stato reso disponibile un potenziale terreno di coltura. Venne perciò decisa:
1) la reinfiltrazione in Germania degli ex nazisti che venne effettuata durante gli anni 50;
2) la successiva infiltrazione della struttura politica tedesca in maniera di condizionarla occultamente per bloccare processi e riprese di ricerche dei kameraden;
3) l'inserimento nel tessuto economico del Paese al fine di favorirne un "miracolo economico" e trarne il massimo vantaggio, cosa che avvenne puntualmente fra gli anni 50 e 60;
4) favorire e agevolare in tutti i modi e con tutti i mezzi quanti cadono nelle mani della giustizia, attività in corso a tutt'oggi;
5) dare vita ad una massiccia ed oculata campagna di disinformazione e propaganda a lunghissimo termine.
Per quanto riguarda i punti 1, 2 e 3 non esistono dubbi che siano stati portati a termine con teutonico scrupolo e precisione. Molti ex criminali sono rientrati in Germania sotto mentite spoglie, un buon numero di essi è andato ad occupare i livelli medio bassi (per non dare nell'occhio inutilmente) della CDU, la Democrazia Cristiana tedesca e della CSA, l'Unione Sociale Cristiana. Come pure si sono inseriti nell'industria e nel commercio, devolvendo parte degli introiti alla nascita di alcuni movimenti di estrema destra come in National Partei Democratische (NPD) di Von Thielen e Von Tadden degli anni '60 e al sostegno di una stampa estremista ma ufficiale, come ad esempio il giornale National und Soldaten Zeitung.
Il punto 4, l'appoggio giuridico legale e non solo, è tuttora in vigore e ha dato alle volte origine ad episodi che sarebbero inspiegabili se non fossero giustificati dall'azione di Odessa,
È il caso, ad esempio, di Walter Rauff; dopo cinque anni di permanenza in Cile, nel 1955 fa domanda, da quel Paese, alla Direzione Finanziaria per la liquidazione delle Indennità di Guerra tedesca per avere la sua pensione di capitano di corvetta. La cosa desta però sospetti e si innesca un lungo processo che porta alla sua identificazione e, più di dieci anni dopo ad una incriminazione e ad un processo che si dovrebbe tenere presso la corte di competenza di Hannover.
Rauff si deve presentare davanti ai giudici di Santiago che devono decidere della sua estradizione ma il clima politico cileno è quello che è e nel dicembre 1962 la Corte decide per il non luogo a procedere verso questo "valoroso e sfortunato soldato d'onore."
Otto anni dopo, nel 1970, viene eletto Presidente Salvador Allende, uomo politico di sinistra e di indubbia reputazione democratica. Simon Wiesenthal, il famoso cacciatore di criminali nazisti che aveva seguito in prima persona la vicenda, pensa che i tempi siano finalmente cambiati e il 21 agosto del 1972 scrive ad Allende perorando la causa dell'estradizione di Rauff, fornendo informazioni, testimonianze e prove sul caso.
Il Presidente risponde pochi giorni dopo con grandi parole di stima e di approvazione per Wiesenthal e per la causa alla quale dedica la vita, aspre condanne del nazismo, dei suoi esecutori e dello sterminio del popolo ebreo, poi conclude dicendo che non può fare niente perché il processo è stato chiuso e non lo può riaprire, e poi in virtù della legge cilena lui non può esercitare funzioni giudiziarie. Capitolo chiuso.
In realtà la situazione politica cilena dopo i primi momenti trionfali dell'elezione di Allende era andata sempre peggiorando assieme a quella economica, e il Presidente, al quale rimaneva meno di un anno di vita prima del golpe della giunta militare, sapeva che non si poteva inimicare il membro di una comunità importante e rispettata ed economicamente molto ben inserita nel Paese. Così qualcuno che proteggeva Rauff ebbe modo di fargli pervenire un "consiglio" che venne ascoltato.
Siamo così giunti al punto 5. Propaganda e disinformazione, nascita delle correnti prima di revisione poi negazioniste nei confronti dell'Olocausto sono tutte attività nelle quali traspare la presenza di Odessa, ma che tutto sommato si possono definire allineate con la sua fisionomia, con una sorta di continuità storica.
Ma dalla fine degli anni '80, con la caduta del Muro, ne sono iniziate altre, inizialmente in Germania, che poi si sono andate diffondendo anche in altri Paesi europei.
La destabilizzazione a livello sociale nella ex Repubblica Democratica Tedesca, la nascita e la successiva diffusione dei movimenti naziskin, elementi destabilizzanti che niente hanno a che fare con il nazismo e si potrebbe dire anche la "militarizzazione" delle loro frange nei cosiddetti black block non sono fenomeni verificatisi per caso, e hanno avuto per lo più origine in Germania.
Se l'Argentina di Perón era la «terra promessa», l'asilo già generosamente predisposto ancor prima che la guerra finisse, il cuore e il cervello dell'intera operazione Odessa era a Roma (dove Perón soggiornò dal 1939 al 1941), nel cuore del Vaticano. In quel turbinoso dopoguerra italiano era veramente difficile distinguere tra vincitori e vinti. Nazisti e fascisti avevano perso la guerra; eppure mai ai vinti mancò il soccorso dei vincitori, il sostegno di quelle istituzioni che sarebbero dovute nascere all'insegna dell'antifascismo e della democrazia e che invece erano ricostruite nel segno della più rigorosa continuità con i vecchi apparati del regime fascista. Fu l'anticomunismo, furono le prime avvisaglie della «guerra fredda» a spingere i vincitori a salvare i vinti.
Oltre a questa organizzazione ne esistevano molte altre. Citiamo l'organizzazione Gehlen. Il 22 Maggio 1945 il generale nazista Reinhard Gehlen, ex comandante delle Armate Straniere Est e responsabile nei servizi segreti nazisti della sezione che curava lo spionaggio antisovietico, si consegna agli americani che lo spediscono a Washington da William Donovan, direttore centrale dell'OSS, con 52 casse contenenti la schedatura dei comunisti europei "pericolosi". In breve tempo Gehlen diviene direttore della sezione affari sovietici dell'OSS e successivamente della CIA.
L'ex generale torna in Europa il 12 Luglio del 1946 dove crea l'Organizzazione Gehlen, servizio spionistico alle dirette dipendenze dei servizi segreti USA. L'1/4/1956 l'Organizzazione Gehlen passa sotto il controllo del governo della Germania Occidentale: nasce così il servizio informazioni federale BND. Gehlen è promosso generale di corpo d'armata e direttore del BND.
Poi c'era l'organizzazione Spinner, l'organizzazione Paladin. L'Europa e il mondo erano piene di questi personaggi e di queste reti. Qui possiamo aggiungere l'organizzazione Gaeta, che era quella che sosteneva dalla Germania i detenuti nazisti che in Italia erano rinchiusi, come Kappler e Reder, nella fortezza di Gaeta. Su tutto questo governavano poi i servizi segreti ufficiali, allora non era ancora nato il SISMI, sorto dalla riforma del 1978, l'anno successivo. I servizi segreti erano a loro volta strettamente connessi con i carabinieri.
GENOVA 2003 - Dagli uffici di Albaro della Daie, nel triennio dal 1947 al 1950, passarono tutti: da Joseph Mengele, il medico che sterminò migliaia di ebrei utilizzandoli come cavie umane, ad Adolf Eichmann, ufficiale delle SS teorico e organizzatore dello sterminio; da Klaus Barbie, il boia di Lione responsabile della deportazione dalla Francia di migliaia di ebrei, a Erich Priebke, il comandante delle SS responsabile della strage delle Fosse Ardeatine. E con loro centinaia di "figure minori" di sterminatori e seviziatori al servizio della follia nazista che negli uffici diretti da Carlos Fuldner trovavano una nuova identità, un visto per entrare in Argentina e, alla fine, un passaporto rilasciato dalla Croce Rossa. L'ultima tappa burocratica: quella che dava il via libera all'imbarco per il Sudamerica.
Nel libro inchiesta che ha impegnato per sei anni Uki Goñi, cinquantenne studioso argentino.
Una messe di documenti che Goñi ha rintracciato in Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti e in Argentina raccolte nel libro La autentica Odessa, pubblicata in Italia per i tipi di Garzanti con il titolo Operazione Odessa.
BUENOS AIRES (Argentina) 2003 - Si chiama Pàgina/12 ed è il quotidiano di Buenos Aires che ha seguito più da vicino il caso "Odessa" fin dall'uscita in libreria del saggio di Uki Goñi, trasformando le rivelazioni che vi sono contenute in un vero e proprio caso nazionale.
A partire dallo scorso dicembre gli editoriali e gli articoli di Sergio Kiernan, caporedattore alle pagine politiche del quotidiano argentino, hanno mantenuto viva l'attenzione sulla denuncia di collusione del governo Peron con i reduci del Reich che i documenti raccolti da Goñi formulavano e seguito passo passo le iniziative del Centro Wiesenthal che hanno portato il ministro degli interni, Anibal Fernàndez, a decretare l'apertura degli archivi del Centro di Immigrazione di Buenos Aires. Pàgina/12 è stato il primo quotidiano del Paese a rivelare il contenuto dei primi dossier sottratti a un segreto cinquantennale.
Primo fra tutti quello realtivo all'immigrazione in Argentina degli ustascia seguiti da qualcosa come 7500 croati con una cronaca documentaria che sta gettando ombre sull'operato del Vaticano e della Croce Rossa.
da lager.it
bibliografia:
- ki Goñi, Operazione Odessa, Garzanti, 2003
- Mark Aarons - John Loftus, Unholy Trinity: The Vatican, The Nazist and the Swiss Banks, St. Martin's Press, 1998
- Jorge Camarasa, Organizzazione ODESSA, Mursia, 1998
- Marco Aurelio Rivelli, "Dio è con noi!", Kaos, 2002.
- Marisa Musu - Ennio Polito, Roma ribelle, Teti, 1999
- Giovanni Maria Pace, La via dei demoni, Sperling & Kupfer, 2000
- Marco Aurelio Rivelli, "Dio è con noi!", Kaos, 2002
- Simon Wiesenthal, Giustizia, non vendetta, Mondadori, 1989
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PARTE I
Agosto 1944, Hotel Maison Rouge di Strasburgo: in un clima di massimo riserbo e protetti da eccezionali misure di sicurezza, sono riuniti i più noti rappresentanti del potere politico ed economico della Germania nazista. Nel corso della giornata, su treni blindati o in automobili imponenti, erano arrivati i delegati del numero due nella gerarchia hitleriana, Martin Bormann; del ministro degli armamenti, Albert Speer; del comandante militare, ammiraglio Wilhelm Canaris, oltre ai proprietari di quelle industrie che avevano costituito il motore della macchina bellica: il re del carbone Emil Kirdorf, il magnate dell'acciaio Fritz Thyssen, Georg von Schnitzler della IG-Farben, Gustav Krupp, i proprietari della AEG, della Siemens, della VW Werke; inoltre erano presenti i grandi banchieri, come Kurt von Schroeder, i finanzieri, gli imprenditori in campo assicurativo, nonché gli industriali dei bacini del Reno e della Ruhr. All'insaputa di Himmler e di Hitler, che continuavano a credere nella vittoria finale, si erano dati convegno tutti i voltagabbana consapevoli del fatto che la guerra, dalla quale così a lungo avevano tratto profitto, era perduta. Anche se il nazionalsocialismo avesse dovuto continuare - cosa che i convenuti generalmente speravano -, sarebbe stato un nazionalsocialismo senza Hitler. Gli uomini riuniti nella Maison Rouge manifestarono da subito aspirazioni distinte: i funzionari politici del partito miravano alla rinascita del Terzo Reich, in un luogo e con modalità da definirsi; gli industriali e gli imprenditori ricercavano una strada per conservare i loro beni e metterli in salvo dalla confisca che sicuramente sarebbe seguita alla disfatta.
La proposta che fu approvata, secondo la presunta ricostruzione dei fatti, era stata avanzata dal delegato personale del vicefuhrer, Martin Bormann, e può essere così sintetizzata: gli imprenditori avrebbero finanziato la fuga dei gerarchi, i quali avrebbero custodito e gestito tutti i capitali trasferiti all'estero. Per i grandi industriali la strada era obbligata: essendo compromessi a causa del finanziamento del nazismo, dal trionfo alleato si potevano aspettare, nella migliore delle ipotesi, il carcere e l'esproprio. Affidarsi ai gerarchi era l'unica cosa possibile. Al convegno della Maison Rouge seguì l'istituzione dell'organizzazione ODESSA (Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen, Organizzazione degli ex-membri delle SS), che perseguì l'obiettivo non solo di proteggere e mettere in salvo ex-criminali nazifascisti, ma anche di dar vita a un Quarto Reich che realizzasse alfine i sogni incompiuti di Hitler.
Nel verbale dei colloqui di Strasburgo si leggeva, tra l'altro: "La direzione del Partito è consapevole che dopo la sconfitta della Germania alcuni dei suoi capi più noti potrebbero essere portati in giudizio come criminali di guerra. Sono state perciò prese delle misure per inserire i capi meno in vista del Partito in varie aziende tedesche in qualità di esperti e di tecnici. Il Partito è pronto ad anticipare agli industriali grandi somme affinché ciascuno possa dare vita all'estero a una organizzazione segreta per il dopoguerra, ma esige in cambio che le riserve finanziarie siano poste a disposizione all'estero, sì che dopo la sconfitta possa di nuovo sorgere un forte Reich tedesco". Oltre che per l'organizzazione finanziaria per il futuro, la riunione all'Hotel Maison Rouge servì anche per altre decisioni di ordine pratico. Con l'aiuto dei funzionari della cancelleria nazista, diretta da Bormann, le persone convocate a Strasburgo progettarono minuziosi piani di fuga che i gerarchi avrebbero dovuto rispettare alla lettera. Nella progettazione di questi piani furono considerate le situazioni politiche dei paesi di destinazione e delle eventuali relazioni dei presenti con tali nazioni. Furono delineati tre itinerari principali: il primo partiva da Monaco di Baviera e si collegava a Salisburgo per approdare a Madrid; anche gli altri due percorsi partivano da Monaco e, via Strasburgo o attraverso il Tirolo, giungevano a Genova (il terminale ove operava l'arcivescovo Giuseppe Siri), dove i gerarchi avrebbero potuto imbarcarsi verso l'Egitto, il Libano o la Siria oppure verso Buenos Aires. Ogni particolare era stato previsto: lungo quei percorsi era possibile transitare con relativa facilità e senza eccessivi rischi, grazie alla disponibilità di mezzi di trasporto, case sicure, luoghi in cui munirsi di documentazione e, soprattutto, aiuto di sostenitori lungo tutto il tragitto.
Fra le possibilità, una risultava fondamentale, la relazione sancita previamente con gli alti gradi della Chiesa cattolica. Il fatto che i convenuti abbiano scelto la città di Genova come principale punto di snodo dei canali di fuga, è estremamente significativo. Tale scelta, infatti, implica necessariamente l'esistenza di una preventiva intesa tra i vertici nazisti e la Santa Sede. Una sorta di "concordato" (tanto caro a Pio XII) che avrebbe dovuto prevedere, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, impegni di collaborazione, sostegno, concordanza di obiettivi; in altri termini: complicità e favoreggiamento. Secondo i giornalisti Marisa Musu e Ennio Polito, l'udienza segreta che Pio XII concesse al generale Karl Wolff, comandante supremo delle SS e della polizia tedesca in Italia, dieci giorni prima dell'arrivo degli alleati a Roma, era finalizzata al raggiungimento di un accordo bilaterale tra la Santa Sede e gli alti gradi delle gerarchie naziste. Un accordo bilaterale che avrebbe dovuto prevedere un'intesa sulle due maggiori e più urgenti incombenze del momento: garantire il passaggio dei poteri, senza scosse, dai nazisti agli anglo-americani (favorevole al Vaticano che temeva una insurrezione popolare di stampo comunista), e l'aiuto della chiesa alla messa in salvo, a guerra perduta, del maggior numero possibile di gerarchi e criminali nazifascisti (favorevole, naturalmente, ai nazisti). Il canale di fuga organizzato dalla chiesa cattolica (sotto la copertura di istituzioni umanitarie), - la cosiddetta "via dei topi", o anche "via dei monasteri" - fu, a detta di alcuni storici e dei servizi segreti, il più efficace: secondo le stime, 5000 capi nazisti riuscirono a scappare grazie ai servizi di questa organizzazione. Lungo questa direttrice, e talvolta facendo tappa in Vaticano, i fuggiaschi venivano momentaneamente ospitati in conventi e altri edifici protetti da extraterritorialità, ottenevano salvacondotti della Croce Rossa Internazionale con false identità, denaro, cibo, lettere, alloggi e contatti con funzionari tedeschi e del Vaticano, oltre a impieghi lavorativi nei Paesi sudamericani, ove erano destinati. Spesso i nazifascisti fuggiaschi celavano la loro identità indossando abiti religiosi con l'implicito assenso del Vaticano - quello stesso Vaticano che nel febbraio del 1944 aveva espressamente vietato l'espediente ad alcuni perseguitati dai nazifascisti. La chiesa cattolica si era improvvisamente risvegliata ai suoi doveri "umanitari": se durante la dominazione nazista non aveva fatto molto per le vittime dei regimi nazifascisti, adesso si dava da fare, per riparare alle passate omissioni, occupandosi attivamente della salvezza dei carnefici. Scrive Michael Phayer: "Permettendo che il Vaticano venisse coinvolto nella ricerca di un rifugio per i colpevoli dell'olocausto, Pio XII commise la più grande scorrettezza del suo pontificato". Aggiunge Daniel Jonah Goldhagen: "Aiutare criminali a sottrarsi alla giustizia è di per sé un crimine, che prevede la colpa penale di chi vi è coinvolto in prima persona e la responsabilità morale di chi lo approva. E anche la chiesa, dal canto suo, dichiara che: ‘abbiamo una responsabilità nei peccati commessi dagli altri, quando vi cooperiamo... proteggendo coloro che commettono il male".
Bibliografia:
Daniel Jonah Goldhagen, Una questione morale. La chiesa cattolica e l'olocausto, Mondadori, Milano, 2003. Trad. Alessio Catania.
Marco Aurelio Rivelli, "Dio è con noi!", Kaos, Milano, 2002.
Michael Phayer, La chiesa cattolica e l'olocausto, Newton & Compton, Roma 2001. Trad. Roberta Continenza.
Simon Wiesenthal, Giustizia, non vendetta, Mondadori, Milano, 1989. Trad. Carlo Mainoldi.
Mark Aarons - John Loftus, Unholy Trinity: The Vatican, The Nazist and the Swiss Banks, St. Martin's Press, New York, 1998.
Uki Goni, Operazione ODESSA, Garzanti, Milano 2003. Trad. Sergio Minucci.
Jorge Camarasa, Organizzazione ODESSA, Mursia, Milano, 1998. Trad. Giorgio Vincenzo Panetta.
Giovanni Maria Pace, La via dei demoni, Sperling & Kupfer, Milano 2000.
Marisa Musu – Ennio Polito, Roma ribelle, Teti editore, Milano, 1999.
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21.01.2007
PARTE II - GENOVA
Con la scelta di Genova, al convegno della Maison Rouge, i nazisti sanno di poter contare sull'appoggio incondizionato dell'arcivescovo della città: Giuseppe Siri. Secondo alcuni storici, tra i quali Mark Aarons e John Loftus, monsignor Siri era, assieme al vescovo Alois Hudal e al sacerdote Krunoslav Draganovic, uno dei principali coordinatori del "canale dei ratti" del Vaticano. Inoltre Siri era in stretto contatto con uno dei maggiori responsabili dell'organizzazione ODESSA: Walter Rauff (Obersturmbannführer delle SS, ideatore del "furgone a gas" e responsabile dello sterminio di decine di migliaia di ebrei). Altro contatto di Siri era il sacerdote croato Karlo Petranovic, un ex-dirigente della milizia croata ustascia, responsabile dello sterminio di alcune migliaia di civili serbi di religione ortodossa. Nel 1989 Petranovic fu intervistato da Mark Aarons e John Loftus: "A domande relative alle sue attività postbelliche, Monsignor Petranovic rispose ammettendo senza problemi di aver aiutato un paio di migliaia di persone a lasciare l'Italia via Genova".
I nazisti che giungevano a Genova, punto di partenza per l'Argentina, erano ottimamente assistiti da alti dignitari cattolici. La Pontificia commissione di assistenza aveva perfino un ufficio nella stazione ferroviaria della città (Porta Principe). Patrocinatore di questa struttura di supporto era l'arcivescovo Giuseppe Siri, fondatore del "Comitato nazionale per l'immigrazione in Argentina" e del comitato diocesano Auxilium (l'organizzazione di aiuto ai profughi della quale Karlo Petranovic era rappresentante), due enti entrambi impegnati ad aiutare i fuggiaschi. Secondo un rapporto dei servizi segreti americani del 1947, l'arcivescovo dirigeva "un'organizzazione internazionale il cui obiettivo è predisporre l'emigrazione in sud America di europei anticomunisti...
Questa etichetta generale di anticomunisti copriva ovviamente tutte le persone politicamente compromesse con i comunisti, e segnatamente fascisti, ustascia e altri gruppi simili". Il cardinale Siri coordinava il trasferimento dei fuggiaschi da altri centri nevralgici del "canale dei ratti", con la collaborazione del sacerdote Krunoslav Draganovic, criminale di guerra croato che operava nella chiesa di San Girolamo a Roma. Il sacerdote Karl Bayer, anch'esso complice della rete vaticana, confessò alla storica Gitta Sereny: "Ricordo benissimo Draganovic. Era il capo del comitato croato. Sì, è ben probabile che abbia ricevuto l'appoggio del cardinale Siri, che ora è arcivescovo di Genova". Un importante centro di accoglienza, della struttura gestita da Siri, fu la chiesa genovese di San Teodoro, ove molti fuggiaschi sostarono e ricevettero cibo, assistenza, documenti per imbarcarsi sulle navi della salvezza, perlopiù bastimenti della linea Costa. Un traffico cospicuo, di cui sono indizio i numerosi "titoli di viaggio" rilasciati all'epoca dal locale ufficio della Croce Rossa Internazionale e tuttora custoditi negli archivi di Buenos Aires, principale capolinea del percorso clandestino. Il parroco di San Teodoro, Bruno Venturelli, fiduciario di Siri, grande amico dell'armatore Giacomino Costa, e per sua stessa ammissione traghettatore di nazisti nel Nuovo Mondo, fu additato dall'ex ministro francese del governo di Vichy, William Guyedan (condannato per collaborazionismo) come il buon samaritano che lo aiutò nella fuga: "Mi imbarcai a Genova con l'aiuto di una persona molto gentile, padre Venturelli, aiutante del "cardinale" Siri, che mi procurò un passaggio in nave per l'Argentina". A Genova-Pegli, nella parrocchia francescana di Sant'Antonio, operava anche il prelato ungherese Edoardo Dömöter. Fu lui a procurare il passaporto della Croce Rossa al criminale delle SS Adolf Eichmann. Dömöter ricorda la propria azione "a favore di tutti gli stranieri, specialmente tedeschi", che conduce a rischio di essere "diffidato dalla polizia". Un rischio reale, essendo la sua attività a dir poco illegale. Josef Mengele, Klaus Barbie, Heinrich Müller, Franz Stangl, Ante Pavelic, Ferdinand Durcansky, Reinhard Kops, Pierre Daye, Hans Friedrich Heffelmann, sono solo alcuni esempi delle migliaia di esecutori di genocidi sottratti alla giustizia, grazie alla criminale attività del clero cattolico.
Bibliografia:
Gitta Sereny, In quelle tenebre, Adelphi, Milano, 2005. Trad. Alfonso Bianchi.
Mark Aarons - John Loftus, Unholy Trinity: The Vatican, The Nazist and the Swiss Banks, St. Martin's Press, New York, 1998.
Uki Goni, Operazione ODESSA, Garzanti, Milano 2003. Trad. Sergio Minucci.
Giovanni Maria Pace, La via dei demoni, Sperling & Kupfer, Milano, 2000.
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26.01.2007
PARTE III - ROMA
Dopo la guerra, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, che operava nel monastero croato di San Girolamo degli Illirici a Roma, ed era assistito dall'arcivescovo ucraino Ivan Bucko, dal padre francescano Dominic Mandic, e da numerosi altri sacerdoti croati, divenne l'uomo di punta del Vaticano nell'operazione di salvataggio dei nazifascisti. Draganovic era considerato dai servizi segreti americani un "alter ego" di Ante Pavelic, il "duce" croato, ed era egli stesso un colonnello ustascia e un criminale di guerra. Fino al 1943 era stato una figura di spicco nel ministero della Colonizzazione interna di Pavelic, l'ente responsabile della confisca delle proprietà serbe in Bosnia ed Erzegovina, e aveva partecipato alla deportazione di serbi ed ebrei. Draganovic era stato inviato a Roma nell'agosto 1943, durante il difficile periodo che va dall'esautorazione di Mussolini all'occupazione tedesca della città. Il suo arrivo in città coincise con l'acquisto di Pavelic dei passaporti argentini di Perón. A Roma, Draganovic agì da rappresentante non ufficiale di Pavelic, e allorché i nazisti entrarono in città gli fu affidato l'archivio della legazione croata, che provvide a nascondere in Vaticano. Particolare alquanto più sinistro, considerando la loro probabile origine, il prelato divenne anche il custode dei beni di valore trafugati dalla Croazia dagli ustascia in fuga. Parte dell'oro trafugato (che comprendeva anelli nuziali, gioielli, monete d'oro e denti d'oro estratti alle vittime di Pavelic), potrebbe essere stato trasportato direttamente da Zagabria in Vaticano. Negli ultimi giorni di guerra, l'archivio del ministero degli Esteri ustascia venne affidato all'arcivescovo Stepinac, che lo conservò nello scantinato del suo palazzo a Zagabria. Questo archivio consisteva di otto scatoloni sigillati che furono inviati a Draganovic a Roma. Secondo almeno un resoconto, contenevano anche oro preso alle vittime degli ustascia.
Per gli ustascia in fuga tutte le strade portavano a San Girolamo, monastero sito in via Tomacelli 132, alle porte della Città del Vaticano, che durante la guerra divenne la residenza dei preti croati che ricevevano l'educazione teologica vaticana. L'accesso a San Girolamo era rigidamente controllato. Le guardie ustascia controllavano i documenti dei visitatori, sottoponendoli quindi a perquisizione e a snervanti interrogatori, ivi incluse domande su come avevano saputo della presenza di croati nel monastero. Gli americani riuscirono a infiltrare nel monastero un loro agente, che redasse un elenco dei dieci maggiori criminali di guerra lì residenti. «Tutte le porte d'intercomunicazione tra una stanza e l'altra sono chiuse a chiave, e quelle che non lo sono vengono presidiate da una guardia armata, e per accedere da una stanza all'altra c'è bisogno di una parola d'ordine» riferirono i servizi segreti americani. «Molti dei principali criminali di guerra ustascia e collaborazionisti» vivevano nel monastero, che era «pervaso di cellule di militanti ustascia». Protetti dalla Chiesa cattolica, questi croati si consideravano un governo in esilio. Finanche le loro unità di intelligence rimasero operative. «Sembra che tutta questa attività parta dal Vaticano, passi per il monastero di San Girolamo e finisca a Fermo, il principale campo croato in Italia» riferirono i servizi segreti americani a inizio 1947. Molti dei ministri del gabinetto croato nascosti a San Girolamo erano fuggiti dal campo di prigionia di Afragola. Adesso facevano la spola tra il Vaticano e il monastero diverse volte la settimana, in un'auto con tanto di autista e targa diplomatica. «Parte dal Vaticano e scarica i passeggeri all'interno del monastero» affermarono i servizi segreti americani. «La protezione offerta a questi collaborazionisti croati dimostra al di là di ogni dubbio la correlazione di Draganovic al piano del Vaticano di proteggere questi ex nazionalisti ustascia fino a quando non si fosse riusciti a procurare loro i documenti per farli riparare in Sud America. Certamente contando sui loro forti sentimenti anticomunisti, il Vaticano sta tentando in tutti i modi di infiltrare questi uomini in Sud America per controbilanciare il diffondersi dell'ideologia comunista». Poco tempo dopo questo rapporto del 1947, almeno sei dei dieci criminali croati scoperti nel monastero s'imbarcarono a Genova diretti in Argentina.
Gli americani iniziarono a ricostruire un quadro davvero allarmante della complicità del Vaticano. Nel maggio 1946 Pavelic si nascose «vicino Roma, in un edificio sotto giurisdizione del Vaticano». Si tratta di Castel Gandolfo, sede della residenza estiva del papa, dove Pavelic era stato alloggiato insieme a un ex ministro del governo romeno nazista. Gli americani vennero anche a sapere che Pavelic teneva «frequenti incontri con monsignor Montini», il futuro papa Paolo VI. In seguito, gli americani che si occuparono del caso misero per iscritto le loro riflessioni su Pavelic. «Oggi, agli occhi del Vaticano, Pavelic è un cattolico militante, un uomo che ha sbagliato, ma che ha sbagliato lottando per il cattolicesimo. È per questo motivo che il soggetto gode ora della protezione del Vaticano... Si sa che Pavelic è in contatto con il Vaticano, il quale vede in lui il cattolico militante che ieri ha combattuto la Chiesa ortodossa e oggi sta combattendo l'ateismo comunista... Per i suddetti motivi egli riceve protezione dal Vaticano, la cui visione dell'intera "questione Pavelic" è che, poiché lo Stato croato non esiste e poiché non ci si può attendere che il regime di Tito conceda a chiunque un giusto processo, il soggetto non debba essere consegnato all'attuale regime jugoslavo... I passati crimini di Pavelic non possono essere dimenticati, ma egli può essere processato solo da croati che rappresentino un governo cristiano e democratico, sostiene il Vaticano».
Il 27 dicembre 1946 Draganovic inviò il suo primo grande contingente in Argentina direttamente da Genova, sul transatlantico di linea Andrea Gritti. Negli anni immediatamente successivi avrebbe trasferito in Argentina praticamente l'intero ex governo croato. «È coadiuvato in questa attività dai suoi numerosi contatti con le ambasciate e legazioni del Sud America in Italia e con la Croce Rossa internazionale» affermarono i servizi segreti americani, aggiungendo che Draganovic poteva contare anche sull'«approvazione della Pontificia commissione di assistenza profughi». La fuga in massa dei criminali ustascia era iniziata a fine 1946, allorché Draganovic ottenne dal governo di Perón un permesso di sbarco in bianco per 250 croati. Agì tramite il padre francescano Blas Stefanic della Basilica di Bari a Buenos Aires, giunto in città nel 1935. Lavorando insieme a tre altri francescani, divenne ben presto un propagandista anticomunista e una colonna della comunità croata in Argentina. Sul fatto che a dirigere la via di fuga fossero i francescani non ci sono dubbi. Nel compilare le domande di visto presso il consolato Argentino a Roma, di norma i fuggiaschi ustascia indicavano la comunità francescana croata della cittadina di José Ingenieros quale luogo di residenza prescelto. Almeno un famigerato criminale ustascia, padre Vladimir Bilobrk, che incitò i croati a usare falci, zappe e picconi per massacrare i serbi, scrisse semplicemente il nome di Stefanic quale proprio riferimento locale. A Draganovic fu ordinato di lasciare il monastero di San Girolamo solo alcuni giorni dopo la morte di Pio XII.
Bibliografia:
Uki Goni, Operazione ODESSA, Garzanti, Milano, 2003. Trad. Sergio Minucci.
Michael Phayer, La chiesa cattolica e l'olocausto, Newton & Compton, Roma, 2001. Trad. Roberta Continenza.
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09.03.2007
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