intervista allo storico Marco Galeazzi (1996)

Foibe: ricerca della verità e "pacificazione" politica


L'impressione che emerge da questa polemica sulle foibe, per uno storico, ma penso anche per chiunque si ponga con onestà di fronte al nostro recente passato, è di sconcerto e di scoramento.


La storia ha una complessità e una necessità di contestualizzazione che non può spesso essere compresa in un'aula di tribunale e, purtroppo, ancor meno viene compresa e salvaguardato nell'ambito di un certo modo di fare informazione. Penso alla polemica sulle foibe, ma anche al caso Priebke, a via Rasella e alle Fosse Ardeatine. Con le semplificazioni che i giornali fanno, di fatto si determina confusione e ignoranza. Non si capiscono i fatti, tutto viene strumentalizzato alle esigenze politiche del momento.

Come quasi tutti gli storici di professione che fanno il proprio lavoro con serietà ma anche senza rinnegare la propria collocazione politica e culturale a sinistra, anche Galeazzi non esita a condannare le recenti polemiche che hanno preso il via da alcune "esternazioni" di Luciano Violante e di altri esponenti del PDS sulle "foibe triestine": espressione anche metaforica per indicare la serie di atrocità e vendette che caratterizzarono alcuni momenti dell' immediato dopoguerra nei territori di confine tra Italia e Jugoslavia. .
È un tema al quale Galeazzi è particolarmente sensibile perché ormai da un quindicennio si occupa della storia di Trieste e dintorni, con particolare riferimento alle posizioni e alle vicende del PCI, scrivendo e curando numerosi saggi e libri, tra cui
Roma - Belgrado. Gli anni della guerra fredda (Longo, 1995).

In cosa sbagliano i politici quando si occupano di storia?

Violante ha parlato di "condiscendenza verso Tito", è da presumere da parte della storiografia e della cultura di sinistra. È un giudizio ingiusto, non corrispondente alla realtà. Ma soprattutto è paradossale che dopo la tanto celebrata fine della guerra fredda si sia acuita, anziché scemare, l'intromissione della politica in campo storiografico. L'impressione è che si voglia riscrivere la storia per operazioni tutte politiche, di pretesa "pacificazione nazionale".

Anche fra gli storici, In Italia, non manca chi si fa sostenitore di un marcato revisionismo storiograflco.

Ho letto Giovanni Sabbatucci, che parla di imbarazzo dei comunisti di fronte al proprio passato: e Pietro Melograni che afferma essere i crimini del comunismo peggiori di quelli del fascismo e auspica un accentuato revisionismo storico della sinistra. Ma francamente fanno ridere. Non si capisce perché i comunisti italiani debbano continuare a sentirsi in colpa per "delitti" del tutto inesistenti. Non nego che ci siano stati ritardi, limiti anche profondi.
Ma è ormai dagli anni settanta, se non prima, che la storiografia comunista italiana ha operato in modo scientificamente inoppugnabile, anche se ovviamente ogni ricerca e ogni risultato può essere e deve essere discusso.
Son passati quasi trent'anni, dunque. È questo che sconcerta.

Su Trieste e sulle foibe?

Va dato atto ad alcuni studiosi cattolici, come Giovanni Miccoli, Raul Pupo, di avere svolto un iniziale ruolo propulsivo, insieme agli studi di Fogar, di Pier Luigi Pallante. Ma è dai primi anni ottanta che la storiografia comunista organizza convegni, ricerche, studi sull'argomento. E va detto che ciò è avvenuto motu proprio, non per un'incontenibile pressione esterna. Vorrei ricordare il ruolo di un dirigente comunista triestino di primo piano come Claudio Tonel, già collaboratore stretto di Vidali e poi Segretario della Federazione triestina del PCI e Vice presidente della Regione: non esitò mai ad aiutare la ricerca storiografica, a far pubblicare libri e atti di convegni, anche quando, forse, alcuni dei risultati a cui questa ricerca perveniva potevano essere scomodi per i comunisti triestini.
Un esempio di coraggio e correttezza politica e culturale.

Non c'è stata omertà?

C'è stata, sì, ma viene meno negli anni settanta. E tutto va contestualizzato e compreso.
Cosa c'è dietro la quetione di Trieste e delle foibe? Innanzitutto sullo sfondo c'è una contraddizione reale che i comunisti si portavano dietro dagli anni venti e trenta: il conflitto tra internazionalismo e identità nazionale.
Questo tema gioca un ruolo particolare a Trieste. Va detto chiaramente che l'atteggiamento anche profondamente sbagliato, a volte orribilmente crudele, che le truppe di Tito ebbero nel dopoguerra era rivolto non verso "gli italiani" ma verso "i reazionari."
Ci sono direttive, documenti ufficiali che testimoniano questo. Si può dire che anche in ciò non mancarono eccessi, certo da condannare senza esitazione: vi fu probabilmente una estensione del trattamento che si voleva riservare ai fascisti anche verso ceti e esponenti politici non proprio fascisti, anche se di destra.
Va però detto a chiare lettere che non si trattò di "pulizia etnica", come è stato recentemente affermato.
Non trascuriamo poi la memoria storica delle popolazioni slovene. Fin dagli anni venti l'ltalia aveva cercato, in modo anche feroce, di "snazionalizzare" gli sloveni e di "italianizzare" non solo i territori prfettamente italiani, ma anche quelli abitati da popolazioni slovene. C'è un bellissimo libro, Una valigia di cartone, di Nelida Milani, che racconta in chiave autobiografica la vera e propria persecuzione subita dagli slavi nelle zone occupate dalll'talia, ripeto, ben prima della guerra.
Durante la seconda guerra mondiale ovviamente, tutto questo atteggiamento fu ancora più radicale, vi furono terribili atrocità da una parte e dall'altra. Come non ricordare, ad esempio, la risiera di San Sabba?
Ma per le popolazioni slave l'avversione era non tanto per gli italiani in quanto tali, ma per i fascissti. Il che nulla toglie alla riprovazione per gli atti di crudeltà, per l' 'infoibizzazione", ecc.
Molti che dovevano essere deportati morirono di stenti. Gli studiosi triestini parlano di 4-5mila vittime. Il periodo più atroce fu quello del maggio' 45, i quaranta giorni di occupazione jugoslava.
Ma anche questi fatti non si capiscono se non si inquadrano nella storia più ampia di quelle regioni e di quelle popolazioni.

CI fu comunque il tentativo di "slavizzare" Trieste?


Indubbiamente. Dall'aprile '44 c'erano stati accordi tra partigiani italiani e slavi per rinviare le decisioni sulle frontiere a dopo la sconfitta del nazismo. Ma nell'estate-autunno successivi iniziò una pressione sempre maggiore da parte slovena in merito alI'annessione di Trieste. L'armata titina passava di sucesso in successo, i sovietici si avvicinavano.

Quale fu l'atteggiamento del PCI?

Non mancarono esitazioni e incertezze. Togliatti non si espresse mai per l'annessione di Trieste alla Jugoslavia. Ma nel PCI del Nord, soprattutto, si aprì qualche varco. Va pure detto che, nell'ottobre '44, anche Togliatti ebbe qualche breve esitazione. Ma nel dicembre dello stesso anno tutto fu superato. In ogni caso, i comunisti italiani non si sono mai pronunciati per Trieste alla Jugoslavia. Il PCI di Togliatti era democratico e nazionale. Vi fu però in Togliatti estrema prudenza sulla questione di Trieste. "Trieste all'Italia" fu da Togliatti proclamato apertamente solo nella seconda metà del '45.

Cosa si sapeva allora delle foibe?


L'informazione non era un granchè. Certo a livello di governi il fatto era noto. Già nel '45 il governo militare alleato processò alcuni dei responsabili. Poi ci fu una certa rimozione, a livello culturale, fino agli anni settanta.

Le polemiche odierne sono dunque strumentali?

Senza dubbio. C'è un'ansia di "pacificazione" che è tutta politica. Non si tiene conto dei conflitti reali che ci sono stati nel nostro passato. Si calpesta la storia, la si falsa. De Luna ha parlato giustamente sull'Unità di 'sindrome di lord Acton": fare storia accontentando tutti, una sorta di manuale Cencelli della storia.
La storia, certo, non deve rimanere rinchiusa nelle accademie. Ma neanche va tirata come un lenzuolo per esigenze politiche o, peggio, giudiziarie. Le giovani generazioni, di fronte a questo uso disinvolto, finiscono per non avere le idee chiare; giunge loro un mesaggio confuso, strumentale, che non aiuta a conoscere i fatti.
Non è certo un invito allo studio e alla conoscenza.

Intervista di Guido Liguori - ComInform, 10.09.96