L'impressione
che emerge da questa polemica sulle
foibe, per uno storico, ma
penso anche per chiunque si
ponga con onestà di fronte al nostro recente passato, è di
sconcerto e di scoramento.
La storia ha una complessità e
una necessità di contestualizzazione che non può spesso
essere compresa in un'aula di tribunale
e, purtroppo, ancor meno viene
compresa e salvaguardato
nell'ambito di un certo modo di
fare informazione. Penso alla
polemica sulle foibe, ma anche
al caso Priebke, a via Rasella e
alle Fosse Ardeatine. Con le
semplificazioni che i giornali
fanno, di fatto si determina confusione e ignoranza. Non si capiscono
i fatti, tutto viene strumentalizzato alle esigenze politiche del momento.
Come quasi tutti gli storici di
professione che fanno il proprio lavoro con serietà ma anche
senza rinnegare la propria collocazione politica e culturale a sinistra,
anche Galeazzi non esita a condannare le recenti polemiche
che hanno preso il via da alcune "esternazioni" di Luciano
Violante e di altri esponenti del
PDS sulle "foibe triestine":
espressione anche metaforica per
indicare la serie di atrocità e
vendette che caratterizzarono alcuni momenti dell' immediato
dopoguerra nei territori di confine tra Italia e Jugoslavia. .
È un tema al quale Galeazzi è
particolarmente sensibile perché
ormai da un quindicennio si occupa della storia di Trieste e dintorni,
con particolare riferimento
alle posizioni e alle vicende del
PCI, scrivendo e curando numerosi saggi e libri, tra cui Roma
- Belgrado. Gli anni della guerra fredda (Longo,
1995).
In cosa sbagliano i politici
quando si occupano di storia?
Violante ha parlato di "condiscendenza verso Tito", è
da presumere da parte della storiografia e della cultura di sinistra.
È un giudizio ingiusto, non
corrispondente alla realtà. Ma
soprattutto è paradossale che dopo la tanto celebrata fine della
guerra fredda si sia acuita, anziché scemare, l'intromissione della politica
in campo storiografico. L'impressione è che si voglia
riscrivere la storia per operazioni
tutte politiche, di pretesa "pacificazione nazionale".
Anche fra gli storici, In Italia,
non manca chi si fa sostenitore
di un marcato revisionismo
storiograflco.
Ho letto Giovanni
Sabbatucci, che parla di imbarazzo dei comunisti di fronte al
proprio passato: e Pietro Melograni che afferma essere i
crimini del comunismo peggiori
di quelli del fascismo e auspica
un accentuato revisionismo storico della sinistra. Ma francamente fanno
ridere. Non si capisce perché i comunisti italiani
debbano continuare a sentirsi in
colpa per "delitti" del tutto inesistenti. Non nego che ci
siano stati ritardi, limiti anche profondi.
Ma è ormai dagli anni settanta,
se non prima, che la storiografia
comunista italiana ha operato in
modo scientificamente inoppugnabile, anche se ovviamente
ogni ricerca e ogni risultato può
essere e deve essere discusso.
Son passati quasi trent'anni,
dunque. È questo che sconcerta.
Su Trieste e sulle foibe?
Va dato atto ad alcuni
studiosi cattolici, come Giovanni
Miccoli, Raul Pupo, di avere
svolto un iniziale ruolo propulsivo, insieme agli studi di Fogar,
di Pier Luigi Pallante. Ma è dai
primi anni ottanta che la storiografia comunista organizza convegni,
ricerche, studi sull'argomento. E va detto che ciò è avvenuto motu
proprio, non per un'incontenibile pressione esterna. Vorrei ricordare
il ruolo di un dirigente comunista triestino di primo piano come Claudio
Tonel, già collaboratore stretto di Vidali e poi Segretario della Federazione
triestina del PCI e Vice presidente della Regione: non esitò mai ad aiutare
la ricerca storiografica, a far pubblicare libri e atti di convegni,
anche quando, forse, alcuni dei risultati a cui questa ricerca perveniva
potevano essere
scomodi per i
comunisti triestini.
Un esempio di coraggio e correttezza politica e culturale.
Non c'è stata omertà?
C'è stata, sì, ma viene
meno negli anni settanta. E tutto
va contestualizzato e compreso.
Cosa c'è dietro la quetione di
Trieste e delle foibe?
Innanzitutto sullo sfondo c'è una
contraddizione reale che i comunisti si portavano dietro dagli anni venti
e trenta: il conflitto tra
internazionalismo e identità nazionale.
Questo tema gioca un ruolo particolare a Trieste. Va detto chiaramente
che l'atteggiamento anche profondamente sbagliato, a
volte orribilmente crudele, che le
truppe di Tito ebbero nel dopoguerra era rivolto non verso "gli
italiani" ma verso "i reazionari."
Ci sono direttive, documenti
ufficiali che testimoniano questo. Si può dire che anche in ciò
non mancarono eccessi, certo da
condannare senza esitazione: vi
fu probabilmente una estensione
del trattamento che si voleva riservare ai fascisti anche verso
ceti e esponenti politici non proprio fascisti, anche se di destra.
Va però detto a chiare lettere che
non si trattò di "pulizia etnica",
come è stato recentemente affermato.
Non trascuriamo poi la memoria
storica delle popolazioni slovene. Fin dagli anni venti l'ltalia
aveva cercato, in modo anche feroce, di "snazionalizzare" gli
sloveni e di "italianizzare" non
solo i territori prfettamente italiani, ma anche quelli abitati da popolazioni
slovene.
C'è un bellissimo libro, Una valigia di cartone, di Nelida
Milani, che racconta in chiave
autobiografica la vera e propria
persecuzione subita dagli slavi
nelle zone occupate dalll'talia,
ripeto, ben prima della guerra.
Durante la seconda guerra mondiale ovviamente, tutto questo
atteggiamento fu ancora più radicale, vi furono terribili atrocità
da una parte e dall'altra. Come
non ricordare, ad esempio, la risiera di San Sabba?
Ma per le popolazioni slave l'avversione era non tanto per gli
italiani in quanto tali, ma per i
fascissti. Il che nulla toglie alla riprovazione per gli atti di crudeltà,
per l' 'infoibizzazione",
ecc.
Molti che dovevano essere deportati morirono di stenti. Gli studiosi triestini
parlano di 4-5mila vittime. Il periodo più atroce fu quello del maggio'
45, i quaranta
giorni di occupazione jugoslava.
Ma anche questi fatti non si capiscono se non si inquadrano
nella storia più ampia di quelle
regioni e di quelle popolazioni.
CI fu comunque il tentativo di "slavizzare" Trieste?
Indubbiamente.
Dall'aprile '44 c'erano stati accordi tra partigiani italiani e slavi
per rinviare le decisioni sulle
frontiere a dopo la sconfitta del
nazismo. Ma nell'estate-autunno
successivi iniziò una pressione
sempre maggiore da parte slovena in merito alI'annessione di
Trieste. L'armata titina passava di sucesso in successo, i sovietici
si avvicinavano.
Quale fu l'atteggiamento del PCI?
Non mancarono esitazioni e incertezze.
Togliatti non si espresse mai per
l'annessione di Trieste alla Jugoslavia. Ma nel PCI del Nord, soprattutto,
si aprì qualche varco. Va pure detto che,
nell'ottobre '44, anche Togliatti ebbe qualche breve esitazione. Ma
nel dicembre dello stesso anno tutto fu superato. In ogni caso, i comunisti
italiani non si sono mai pronunciati per Trieste alla Jugoslavia. Il
PCI di Togliatti era
democratico e nazionale. Vi fu
però in Togliatti estrema prudenza sulla questione di Trieste. "Trieste
all'Italia" fu
da Togliatti
proclamato apertamente solo
nella seconda metà del '45.
Cosa
si sapeva allora delle foibe?
L'informazione non
era un granchè. Certo a livello di governi il fatto era noto.
Già nel
'45 il governo militare alleato
processò alcuni dei responsabili.
Poi ci fu una certa rimozione, a
livello culturale, fino agli anni
settanta.
Le polemiche odierne sono
dunque strumentali?
Senza dubbio. C'è
un'ansia di "pacificazione" che è
tutta politica. Non si tiene conto
dei conflitti reali che ci sono stati nel nostro passato. Si calpesta
la storia, la si falsa. De Luna ha parlato giustamente sull'Unità di
'sindrome di lord Acton": fare
storia accontentando tutti, una
sorta di manuale Cencelli della
storia.
La storia, certo, non deve rimanere rinchiusa nelle accademie.
Ma neanche va tirata come un
lenzuolo per esigenze politiche
o, peggio, giudiziarie. Le giovani generazioni, di fronte a questo
uso disinvolto, finiscono per non
avere le idee chiare; giunge loro
un mesaggio confuso, strumentale, che non aiuta a conoscere i fatti.
Non è certo un invito allo studio
e alla conoscenza.
Intervista di Guido Liguori -
ComInform,
10.09.96
|