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"Compagno tante cose vorrei dirti..."

Il funerale di Giovanni Casali, anarchico - Prato Carnico 1933


IL FUNERALE 'RIBELLE' DI GIOVANNI CASALI, ANARCHICO DI PESARIIS


Claudio Venza

1. Sguardo sulla Val Pesarina nel 1933

"E abbandonando il Degano a Comeglians, volgiamo a ponente per penetrare nella Arcadia pesarina": così un cronista presenta nel 1932 la Val Pesarina, formata dal corso d'acqua omonimo, tributario irregolare del più ampio torrente Degano. E aggiunge una nota di antropologia spicciola: "Ci si accorge subito d'essere tra gente piuttosto complicata e fantasiosa - qui si complica un poco anche il comune idioma carnico -, cosa ben naturale per chi ha per patria valli e montagne altrettanto complicate" (1). "È una conca assai bella, allineata da O. ad E. e inclinata a Levante con lieve pendio" aveva scritto qualche anno prima un illustre geografo friulano (2). La valle in pratica è un'appendice del Canai di Gorto dove scorre il Degano ed è etnicamente diversa dalle due zone contigue di Sappada a Nord e di Sauris a Sud, "due sporadi teutoniche accerchiate tutt'in gira da genti italiche" (3).

In questo ambiente, forse meno arcadico e strano di quanto sopra descritto, vivono nel 1933 poco più di duemilacinquecento cjanalóz (canalotti) (4). Il censimento del 1931 attribuisce al Comune, che occupa tutta la vallata, una popolazione residente di 2.688 unità rilevando un notevole decremento rispetto al 1921, anno nel quale erano stati censiti 3.329 abitanti, il dato massimo di tutti i censimenti. Negli anni Venti risulta aver abbandonato la Val Pesarina più del 19% dei suoi residenti. Circa un quinto degli abitanti della frazione di Prato, la seconda per popolazione dopo Pesariis, risultano temporaneamente assenti nel 1931. Più di un terzo degli uomini di Sostasio, la terza frazione del Comune, si trovano all'estero o in altri comuni del Regno alla medesima data. In quasi tutte le frazioni inoltre la popolazione femminile supera quella maschile e il fenomeno è ancora più evidente a Pesariis (5). Al 21 aprile del 1936, data dell'ottavo censimento, i residenti sono scesi a 2.403 (6). Dei 2.333 abitanti presenti del 1936 è considerato economicamente attivo il 49,6%, ripartito al 56,7% nell'agricoltura, compreso l'allevamento, al 37,5% nell'industria e nei trasporti e appena al 2,3% nel commercio. Tali percentuali di settore rispecchiano grosso modo la media dei comuni carnici con l'eccezione del basso livello degli addetti al commercio, esattamente la metà di quello carnico. Inoltre nel Comune si riscontra la totale assenza di lavoratori nei settori "credito ed assicurazioni" ed "amministrazione privata" (7).

L'economia della valle in questi anni è piuttosto chiusa e tende sostanzialmente all'autosufficienza in particolare nei bisogni primari, dato comune ad altre popolazioni montane. La famiglia, di solito ampia e patriarcale, si procura il cibo quotidiano unendo la coltivazione di piccoli appezzamenti a quella dell'allevamento di qualche capo di bestiame per lo più bovino. La polenta è la base alimentare, ma non mancano, sia pure in quantità limitate, fagioli e patate, uova e burro, latte e formaggio. Ciò che è maggiormente carente rispetto al nutrimento cittadino è la pasta, oltre ad alcuni tipi di verdura e di frutta. Il vino poi viene consumato abbastanza di rado, si beve piuttosto una sorta di sidro, e talora di grappa, ricavati dalla fermentazione delle piccole mele locali. La carne è poco frequente anche se in ogni casa si allevano maiali e galline, oltre alle mucche, alle capre e alle pecore. Da queste ultime si ricava una lana greggia che viene filata dalle donne e trasformata in maglieria assai rude e pungente, ma anche calda ed impermeabile. Il legname ovviamente abbonda ma viene tagliato più del dovuto per esigenze >economiche e in parte viene venduto. Esso serve localmente a cucinare, a riscaldarsi e per l'arredamento. Inoltre fornisce la materia prima per molti strumenti di lavoro e per gli zoccoli (lòtas), calzatura economica e di lunga durata. Il più delle volte la gente indossa gli scarpétz con la suola formata da stracci fortemente pressati e cuciti a mano. Il lavoro dei campi è caratteristico attributo delle donne che vanno a falciare il fieno in prati molto distanti, fin sotto le rocce e devono poi trascinarlo a fondovalle con slitte, con qualche filo a sbalzo e molto spesso a spalla. Anche negli orti e nei campi sono esse a vangare, seminare, raccogliere, mentre nelle case le faccende domestiche ricevono un'attenzione necessariamente secondaria (8).

Gli uomini, in particolare i giovani, vivono in questi anni, una condizione di forzata disoccupazione dalla quale sono escluse solamente poche decine di boscaioli, segantini o artigiani, come i falegnami. Le possibilità agricole sono limitate per la morfologia e le erosioni, oltre che dall'estensione dei boschi e dei pascoli, mentre la polverizzazione della proprietà terriera rende quasi nulli gli investimenti (9). Inoltre non si presentano occasioni per esercitare, e nemmeno per imparare, il tradizionale mestiere di muratore. La cronica carenza di fondi, un tempo provenienti dalle rimesse degli emigranti, impedisce l'edificazione di nuove case mentre il consueto sbocco del trasferimento all'estero in cerca di lavoro è drasticamente chiuso dalle norme restrittive emanate da pochi anni (10). L'ultima ondata di emigranti è stata quella della prima metà degli anni Venti con destinazione preferenziale la Francia, e poi l'Argentina e gli Stati Uniti. Nella vicina nazione latina sono emigrati anche molti di coloro che avevano sostenuto in prima persona le lotte sociali e politiche del dopoguerra ed avevano fondati motivi per attendersi la reazione del fascismo ormai imperante.

Una delle poche occasioni di occupazione locale è fornita dai periodici, ma limitati, lavori di sistemazione idraulico-forestale con costruzione di briglie per i torrenti, rimboschimenti e manutenzione del patrimonio boschivo. In media c'è la possibilità di lavorare per una "quindicina" all'anno, ma spesso gli elementi più avversi al regime ne sono esclusi (11). Un altro fattore negativo e assai impopolare è il pesante carico fiscale che colpisce i fabbricati, i terreni e il bestiame basandosi su aprioristiche definizioni di reddito presunto e non sul reddito effettivamente prodotto (12). L'insoddisfazione delle centinaia di giovani, e meno giovani, senza lavoro e senza denaro, minaccia costantemente di trasformarsi in manifestazioni di aperta insofferenza verso i responsabili locali della critica situazione economica e politica (13).

Tra le persone più importanti della valle solo il medico condotto, Aulo Magrini, e alcuni maestri mostrano di comprendere appieno gli assillanti problemi sociali e si muovono per risolverli o per lo meno per renderli meno drammatici. Il settore più sviluppato è quello scolastico nel quale il Comune già nell'Ottocento aveva investito gran parte dei propri fondi ottenendo dei buoni risultati. L'elevato tasso di alfabetizzazione raggiunto, il 93%, è un fatto di cui i "canalotti" vanno giustamente orgogliosi (14).

A questo dato si somma un vivo interesse verso la cultura in generale, conseguenza diretta della nuova mentalità portata da molti decenni dagli emigranti nei paesi tedeschi e latini dell'Europa (Austria e Germania, Francia e Svizzera, Romania e negli USA) (15). Anarchici o socialisti, rivoluzionari o riformisti, ribelli o evoluzionisti, tutti i lavoratori quando rientrano nella valle portano con sé libri e giornali e diffondono un sentimento di apertura e di sensibilità verso le idee di progresso e verso ogni tipo di conoscenza e novità culturale (16). I numerosi romanzi a sfondo sociale e i testi classici dell'anarchismo e del marxismo, circolanti fin dai tempi della Prima Internazionale (17), sono letti avidamente per decenni e sedimentano nella coscienza popolare una "cultura di classe" simile a quella del proletariato dei centri urbani più avanzati.



La mentalità prevalente, già ai primi del Novecento, è decisamente rivolta a trasformare rapidamente i vigenti rapporti sociali; mentre aumentano i matrimoni e i funerali civili, i nomi dati ai bambini sono altrettante bandiere e simboli rivoluzionari: Comunardo, Ribelle, Libero, Ateo, Risveglio, Luce, Idea, Vero, Libertario, Vindice, Nullo... Non pochi bambini muoiono già nei primi anni; la malattia più comune, denominata madrón, colpisce l'apparato digerente e miete molte vittime in tenera età. Gli adulti sono invece esposti al pericolo di morte per polmonite o tubercolosi, malattie connesse direttamente agli sforzi fisici, agli ambienti malsani e alla tempe­rature molto basse; il freddo logora il fisico che risente di un'alimentazione carente ed incompleta.

La vita sociale si basa per lo più su semplici incontri serali che le famiglie tengono a rotazione nelle case di ogni frazione e che, particolarmente d'inverno, permettono di risparmiare le spese per il riscaldamento e la luce. Gruppi di parenti e di conoscenti passano molte serate facendo piccoli lavori, di cucitura o di mondatura, e scambiando informazioni e commenti sui fatti del giorno. All'interno di queste comunità frazionali di poche centinaia di individui vige peraltro un forte senso di solidarietà sul quale influiscono le necessità materiali: quando una donna che lavora i campi si ammala c'è chi la sostituisce nelle varie necessità della coltivazione (18) mentre altre donne la assistono e la aiutano nelle faccende di casa. Resiste la vecchia tradizione del toc: il maiale ucciso e ridotto a pezzi viene ripartito tra molte famiglie in modo da poter consumare carne fresca. Lo stesso spirito di mutuo appoggio accompagna gli emigranti della vallata nei paesi stranieri dove essi ricostruiscono un'unità culturale che di frequente assume connotati politici.
Così a Pradumbli, l'unica frazione esposta a nord sul lato destro del torrente, l'identità culturale del paese si forma e si riproduce attorno ad un nucleo di lavoratori anarchici, emigrati e poi ritornati.

D'altronde nella Val Pesarina agli inizi degli anni Trenta la gente vive in una condizione sociale sostanzialmente omogenea. Non ci sono più i ricchi signori di Pràt, la più centrale delle frazioni che da il nome all'intero Comune, i Casali (19), proprietari di boschi e di vasti terreni anche in Friuli, la cui fortuna era stata travolta dal fallimento di una banca udinese, nel primo dopoguerra.
Gli stessi Solari, famiglia antica e numerosa e titolari dell'omonima fabbrica di orologi di Pesaria, sono economicamente degli artigiani affermati o poco più, anche se i loro prodotti sono conosciuti in tutto il mondo (20).

Sempre a Pesariis, la frazione che nel 1925 ha ottenuto l'ambìto, e pare definitivo, riconoscimento della proprietà dei boschi di quasi metà vallata e che dispone di un'elegante e solida architettura secentesca (21), ci sono solo poche case ricche come quella abitata dalla famiglia benestante dei Bruseschi. Nel centro intermedio di Osais, lungo la strada che corre parallela al torrente e che costituisce l'asse portante di tutte le comunicazioni, vive agiatamente l'unico notaio della vallata, il dottor Gonano. Nelle altre frazioni - Truia, isolata a più di 800 m di altitudine, Prico e Sostasio in posizione un po’ più elevata della strada, Pieria e Avausa lungo la carreggiata - l'omogeneità di classe è ancora più marcata.


 



 


2. Giovanni Casali, emigrante e rivoluzionario

"Era una persona a posto. Aiutava anche quelli che emigravano. Perché andavano via tanti in Francia senza documenti e là dovevano lavorare di nascosto perché non davano le carte". "Era un uomo conosciuto e stimato, certamente, sia come lavoratore sia come politico. Non faceva del male a nessuno, aveva la sua idea e basta". "Lui era un falegname e faceva di quegli intagli in legno, quella volta. Era artista, dicevano. Difatti sono venuti a vedere l'anno scorso due falegnami di qui e hanno detto: 'Ma questo non era falegname, era un artista'" (22).

Così è ricordato Giovanni Casali detto Paluçàn dalle persone che gli furono vicine.

Ne risulta un ritratto di uomo che lavora con coscienza e abilità, che si preoccupa di aiutare gli altri pesarini emigrati e che cerca di vivere coerentemente con le proprie idee.

La sua posizione politica è netta e definita da tempo (23). Già nel 1909, durante una conferenza tenuta a Prato Carnico dal deputato socialista Oddino Morgari (24), egli "interruppe ripetutamente l'oratore, biasimandone le frasi troppo ossequienti verso le autorità ed invitando ad usare un linguaggio più violento". La contestazione dei libertari pesarini continua durante tutta la serata: lo stesso Giovanni Casali viene osservato da un informatore della polizia mentre "per gli esercizi pubblici accusava e biasimava il predetto oratore di essere stato nella conferenza poco energico e troppo ligio alle istituzioni" (25). L'episodio è messo in risalto dalle fonti di polizia che offrono un'immagine del Paluçàn che evidentemente risente delle deformazioni professionali dell'estensore del "Cenno Biografico".


Si riconosce comunque che "ha molta influenza fra i compagni, influenza che si ritiene sia estesa anche all'estero, specialmente in Francia" e inoltre che svolge "con discreto profitto" propaganda anarchica nella vallata (26).

Dal 1911 al 1914 Paluçàn resta in Francia ed è in stretto contatto con altri lavoratori carnici emigrati (27) molti dei quali sono impegnati nelle lotte di classe. Da Parigi manda nell'aprile 1912 una sottoscrizione al settimanale pisano "L'Avvenire Anarchico", foglio che svolge un importante ruolo di informazione e di formazione per tutto il movimento libertario di lingua italiana (28). Evidentemente i legami tra i libertari pesarini e quelli pisani sono tutt'altro che episodici: basti ricordare che nel febbraio 1913 l'ex direttore dell'”Avvenire Anarchico", Virgilio Mazzoni, tiene il discorso inaugurale della Casa del Popolo di Prato Carnico (29). Casali è inoltre in corrispondenza con i socialisti di Tolmezzo dove è attiva una consistente corrente sindacalista rivoluzionaria che ha frequenti convergenze tattiche e organizzative con l'anarco-sindacalismo (30).

Durante la guerra viene esonerato dal servizio militare e lavora come boscaiolo alle dipendenze della ditta Polzot di Ovaro; l'autorità di polizia continua a sorvegliarlo e a considerarlo "inscritto al partito anarchico" per quanto "non dette comunque luogo a rimarchi con la sua condotta politica" (31). Nel dopoguerra, al termine delle forti agitazioni sociali e politiche che investono la Carnia, anche Paluçàn deve riprendere la via dell'emigrazione e nel 1921 fissa il domicilio, insieme alla moglie, a Champigny, nella periferia parigina, dove lavorerà fino alla morte. Dopo alcuni anni apre assieme alla compagna e ad altri compaesani un piccolo negozio di generi alimentari con annesso un bar, ma la sua attività principale resta quella di falegname. Il negozio viene costantemente tenuto sotto controllo poliziesco in quanto "costituiva l'abituale recapito dei sovversivi che da Prato Carnico emigrano in Francia per ragioni di lavoro, verso i quali il Casali fu sempre largo di assistenza e di aiuti" (32). Esso era gestito dalla moglie del Paluçàn e dal cognato Giobatta Casali.

L'unica visita al paese natale, nell'estate nel 1930, viene seguita in tutte le fasi dalla polizia politica. Quando il Prefetto di Udine, Motta, viene a conoscenza della sua intenzione di far ritorno in Francia, ne blocca la partenza in attesa del nulla-osta del Casellario Politico Centrale. Solo il 17 ottobre Giovanni Casali può lasciare la Val Pesarina, accompagnato dalla segnala­zione prefettizia all'ambasciata italiana di Parigi "per le opportune disposizioni di rintraccio e vigilanza" (33).

Ormai più che cinquantenne e dopo decenni di emigrazione l'anarchico pesarino pensa di poter rientrare nella sua valle prima di diventare troppo vecchio (34). Nel maggio 1933 la moglie, Maria Solari, ottiene il passaporto e fa ritorno a Pesariis per stabilirvisi definitivamente; ha preceduto il marito di qualche giorno e ora ne attende l'arrivo.

Stavolta non ci sono ostacoli politici e, dopo aver sistemato le ultime questioni di lavoro, Paluçàn si prepara alla partenza. Ma il 16 maggio, mentre transita in bicicletta nel traffico parigino, viene urtato da una vettura tranviaria e cade violentemente al suolo. Si rialza e raggiunge la propria abitazione, ma il colpo alla testa è molto più grave del previsto e, pur essendo trasportato di notte all'ospedale parigino della Pitié, muore la mattina seguente per trauma cranico (35).

La notizia giunge a Pesariis pochi giorni dopo e suscita una diffusa partecipazione emotiva. La sua compagna decide di dedicare parte dei risparmi a dargli una degna sepoltura fra la gente che lo conosceva e lo stimava. Malgrado tutto Giovanni Casali farà così ritorno a casa sua e il ricordo non andrà disperso: sarà uno dei rari casi di emigrante della vallata morto all'estero, ma seppellito nella sua terra (36).



 

3. Si prepara il "funerale sovversivo"

L'intenzione della vedova di avere vicino a sé le spoglie del so ómp (il suo uomo) si incontra con quella di molti compagni del defunto di celebrare un funerale "rosso". Anche se il fascismo ha vinto nettamente sul piano nazionale, anche se le organizzazioni proletarie sono sciolte da tempo, anche se ormai le speranze rivoluzionarie sono per lo più solo un ricordo, la commemo­razione dell'anarchico Giovanni Casali potrà essere una dimostrazione che gli antifascisti della valle non sono rassegnati alla passività e all'inazione (37).

Nel 1933 non esiste più la "Casa del Popolo", simbolo e vanto del fiero proletariato della valle; il grande edificio è ora ridotto a "Casa del Littorio" ed ospita solo i pochi aderenti alle varie organizzazioni fasciste. Lì non è più possibile tenere alcuna riunione e chi vuoi fare qualcosa si ritrova in casa di vecchi antifascisti come l'anarchico Cinc, Luigi D'Agaro, amico di Paluçàn, oppure il comunista Osvaldo Fabian (38). Continua quindi a sussistere un embrione di organizzazione clandestina, circoscritto necessariamente a persone di una certa età sulla cui solidità di convinzioni non vi sono dubbi. Ciò limita indubbiamente le possibilità di iniziativa, ma assicura la continuità del movimento operaio e rivoluzionario in attesa di tempi più favorevoli.

Tra i compagni è sempre vivo il ricordo della difesa armata della valle contro le squadre fasciste provenienti da Comeglians, un centro commerciale e borghese, dove il fascismo poteva e può contare su un certo consenso. In quella occasione malgrado il fascismo fosse già al potere, la "spedizione punitiva" fu costretta a ritornare sui propri passi per evitare una tragica e sanguinosa rotta, analoga a quella di Sarzana del 1921 (39).


I fascisti della valle sono pochi, conosciuti e tutt'altro che aggressivi; sia per vincoli di parentela che per la condizione minoritaria sul piano fisico e psicologico, non sembrano in grado di opporsi ad un'iniziativa di massa. E la gente, soprattutto i giovani, mal sopporta la condizione di disoccupazione e miseria senza alcuna prospettiva di miglioramento. Già l'anno prima un gruppo di disoccupati pesarini aveva proposto di protestare davanti alla Casa Municipale di Pieria. L'idea di Lolo, Edoardo Monaci, era semplice e ironica, avrebbe fatto scalpore e qualcosa, forse, si sarebbe mosso: si trattava di andare in massa al Municipio, di tirar fuori le tasche vuote dei pantaloni e di gridare in coro "Viva Mussolini!" (40).


Questa volta, per il funerale di Paluçàn, gli antifascisti della valle ritengono che si può fare qualcosa di più. C'è il tempo di avvertire tutti i compagni fidati delle varie frazioni; basterà passare la voce e all'appuntamento di giovedì primo giugno non mancherà nessuno. La cerimonia sarà naturalmente in forma civile perché, come tutti sanno, "quello non voleva sapere né di preti né di frati" (41); anche se la morte è venuta improvvisa, Giovanni Casali aveva detto tempo prima alla moglie che avrebbe voluto un funerale civile (42).

Verrà chiamata anche la banda del Dopolavoro per suonare le marce funebri. La bara sarà portata dai compagni di Giovanni Casali che si daranno il turno in quanto il percorso è lungo più di due chilometri, e si partirà dal Municipio di Pieria (43) dove la salma giungerà in autovettura da Villa Santina, l'ultima stazione ferroviaria. Il boicottaggio prevedibile da parte del parroco di Pesariis non impensierisce i promotori del "funerale rosso" poiché la figura onesta del Paluçàn è ben conosciuta e rispettata e quindi essi ritengono che saranno presentì anche i credenti, meno quelli più bigotti (44). Nemmeno i fascisti locali possono costituire un problema: il loro dirigente ufficiale è un giovane vissuto in ambienti di emigranti e si presume che non abbia l'intenzione di interferire né di ostacolare. Tra l'altro Antonino Casali, detto Nino, uno dei rari studenti universitari del Comune, ha accettato l'incarico di Segretario del Fascio con scarsa convinzione (45).


4. Il primo giugno 1933

La mattina presto Mattia Machin, si mette in viaggio da Pesariis a Villa Santina assieme ad altri due parenti del defunto e qui aspetta la bara che viene caricata su un'automobile e portata in Val Pesarina. Quando arriva a Pieria, il Machin trova una sorpresa: centinaia di persone stanno aspettando di accompagnare al cimitero il vecchio emigrante morto in Francia. Egli avrebbe voluto piuttosto una cerimonia privata (46) con i parenti più stretti per evitare di dare un pericoloso significato antifascista a questa manifestazione di dolore; ormai però non può far altro che assecondare l'iniziativa in corso. Un gruppo di uomini carica la bara sulle proprie spalle, altri si occupano di disporre la gente con un minimo di ordine: davanti i bambini, dietro la banda e poi gli adulti che si stringono attorno al feretro (47).
Tutti sono stupiti di tanta partecipazione: ci sarà un migliaio, e forse più, di persone confluite da tutte le frazioni (48).

Quando il corteo inizia a muoversi si vede la "fiumana di popolo" (49) che si allunga lentamente e pare comprenda quasi tutti gli abitanti del Comune. La musica funebre aumenta la commozione generale, ma non sono in molti a piangere o a disperarsi. Nella coscienza popolare sono abbastanza diffuse le convinzioni laiche: la morte è un evento doloroso, ma naturale; non bisogna preoccuparsi tanto dell'improbabile destino ultraterreno quanto invece delle condizioni di vita sulla terra, condizioni fissate da pochi e imposte ai più. Lo stesso Paluçàn era di questa opinione, egli conosceva bene le ingiustizie sociali e voleva abolirle, agiva affinché fosse assicurato a tutti il pane necessario a vivere e la non meno preziosa libertà di parola. Come lui molti altri "canaletti", nella valle e all'estero, protestavano contro i soprusi dei padroni, si organizzavano per ridurre lo sfruttamento sul lavoro, si impegnavano nel migliorare le proprie conoscenze e nel diffondere l'ideale della liberazione dell'umanità.

Fino a dieci anni prima era il tempo delle grandi mobilitazioni popolari e delle enormi attese di imminenti e profonde trasformazioni: la Russia sembrava offrire un concreto esempio di come si poteva fare la rivoluzione sociale (50). Ancora negli anni Trenta perdura una certa speranza e attesa verso la "terra dei soviet" tanto che al Dopolavoro, addirittura in presenza di fascisti, si ascolta "radio Mosca" per sapere qualcosa di più e di diverso sulla rivoluzione sovietica e naturalmente anche sulla situazione italiana (51).


Ora che il fascismo ha conquistato il consenso anche di una parte dei vecchi oppositori, ora che esso gode di forti appoggi internazionali, ora che da pochi mesi è salito al potere in Germania un regime ancora più autoritario, le possibilità di cambiare dalle fondamenta la società sembrano molto deboli e remote. Eppure la gente, almeno in questa zona, esprime chiaramente il proprio antagonismo radicale al fascismo, ad un regime che si nutre di retorica e che costringe alla miseria quotidiana. Anche per questi motivi c'è tanta folla al funerale; onorare apertamente un rivoluzionario, un anarchico vuoi dire già manifestare il proprio dissenso al potere vigente. Il Podestà, il Segretario Politico, il Presidente dell'Opera Nazionale Balilla, presenti ma silenziosi (52), sanno bene che non possono contare che su pochi adepti, per lo più spinti dal bisogno e dall'indigenza.

Durante il percorso ci sono altri valligiani che si aggiungono e un folto gruppo aspetta il corteo al ponte di Fuina, dove ha inizio la frazione di Pesariis. Si passa attraverso le strette vie del paese nel quale tutti presenziano in qualche modo a questa mesta e dignitosa processione laica. Il portone della chiesa, al termine dell'abitato, è naturalmente chiuso, ma nessuno ha intenzione di varcarlo, sicché si prosegue dritti verso il cimitero, un centinaio di metri fuori del paese, un punto dal quale si vedono bene il torrente e parte della vallata.

Qui si posa la bara nell'angolo a sinistra, in terra scomunicata, e si aspetta che arrivino tutti, ma molta gente resta fuori per mancanza di spazio. Dopo un silenzio carico di attesa prendono la parola vari "compagni di lavoro".

Inizia Osvaldo Fabian, comunista e cugino del defunto (53); parla brevemente e con voce pacata tanto che solo una parte dei presenti lo può udire (54). Elogia la vita laboriosa dello scomparso definendola "opera di redenzione umana" e parla di Parigi e della Francia, dov'era emigrato anche lui, come della "terra del pensiero e del progresso" (55). Ancora, rivolto direttamente a Paluçàn; "Oh, tante cose ho da dirti, ma tu sai che non si può" (56). Avviandosi alla conclusione Fabian rinnova l'impegno morale, assunto da tutti i compagni di Giovanni Casali di fronte alla sua bara, di non desistere dalla lotta.

Prende quindi la parola il Cinc, l'anarchico Luigi D'Agaro, che legge un testo da lui scritto (57) e si esprime con voce distesa ed energica, com'è nel suo carattere (58), attirando l'attenzione di tutti i presenti. Comincia parlando al compagno defunto: "Tu hai avuto questi ideali. Non hai voluto cedere e hai dovuto andare all'estero" (59); ne descrive inoltre l'orgoglio di essere anarchico e l'impegno costante per l'edificazione di un mondo di libertà e di eguaglianza (60).

Ripercorre poi le tappe della vita di Paluçàn: da giovanissimo fu "costretto ad andare all'estero per guadagnarsi un tozzo di pane per sfamare la sua famiglia" (61) e poté reperire un lavoro in Francia, dove aveva "trovato il terreno adatto alle sue idee ed ai suoi fini morali, ideologici e materiali" (62). Denunciando le ingiustizie sociali, il Cinc afferma con forza: "La patria ha negato il pane a quest'uomo" (63). A questo punto l'oratore ha un attimo di incertezza, guarda dritto in viso i presenti e prosegue con un tono più basso: "Caro compagno, dato che siamo in dittatura non posso pronunciare, non posso dire tutta la verità, tutta" e ripete: "Molte cose vorrei dirti, ma tu sai che non posso" e "Noi siamo qui nei tormenti" (64).

Il Cinc, anche se il temperamento e le convinzioni lo porterebbero a proseguire con un linguaggio più esplicito, deve trattenersi "per ragioni facili a comprendersi" (65). Parla quindi del dolore generale: "Noi, compagno, per te portiamo un nodo al cuore" (66). In conclusione riprende completamente il tenore rivoluzionario e ribadisce: "Tu sei morto, ma le tue idee non moriranno" (67). Questo tema viene ripreso anche da Odorico Gonano (68), l'ultimo a portare con un pubblico discorso l'estremo saluto a Paluçàn.

Quindi la cassa viene deposta nella piccola fossa e ricoperta di terra prima di ricevere una definitiva sistemazione. La lapide verrà collocata qualche tempo dopo e sarà coerente con la personalità dell'estinto. Sul marmo, di notevoli dimensioni, lo scalpellino ha inciso, sotto il nome e la fotografia, le parole "artiere valente probo modesto" (69). Due grandi fiaccole poste ai lati indicano la fede di Giovanni Casali: la ragione e la scienza illuminano la verità sconfiggendo l'oscurantismo e la superstizione religiosa (70).

Ritornando alle proprie case i partecipanti al funerale continuano a commentare il singolare avvenimento. I più sono soddisfatti di questo accompagnamento laico e libertario mentre alcuni auspicano che il fatto resti sconosciuto al di fuori della valle per non dar luogo alla temuta reazione dell'autorità. I detentori del potere amministrativo e politico locale hanno le loro buone ragioni per non intervenire direttamente contro i compaesani e per non far conoscere l'avvenuto "funerale sovversivo": da un lato ciò porterebbe ad una maggiore impopolarità e dall'altro sarebbe una dimostrazione di debolezza e incapacità nei confronti delle autorità superiori. Non potendo nascondere completamente l'accaduto, qualcuno pensa di far prevalere su tutto il carattere di partecipazione popolare, spontanea e commossa, alla tragedia dell'emigrante e della vedova. In questo senso viene redatto il breve resoconto giornalistico che sarà pubblicato sabato 3 giugno sul "Gazzettino".





5. Il regime risponde


 Esiste un preciso interesse a porre in evidenza il carattere di "speculazione antifascista" (71) dei fatti del primo giugno 1933. Secondo la testimonianza di Antonino Casali, la sera stessa del funerale un esponente del fascismo di Pesariis, Ciro Solari, pronuncia una frase minacciosa nell'osteria di sua proprietà. Con il pensiero rivolto agli antifascisti della valle reduci dal funerale nonché ai fascisti "imbelli", egli afferma a voce alta: "Se non li hanno fatti saltare i vivi, li faranno saltare i morti!" (72). Le cause del particolare accanimento di tale personaggio sono perlomeno due: la prima è quella ovvia della "lezione da impartire ai sovversivi" per evitare in futuro ulteriori analoghe iniziative; la seconda, e forse la più importante, va ricondotta alla rivalità, personale e non solo, che lo oppone ai detentori del potere locale: il Podestà Ermenegildo D'Agaro e il Segretario Politico Antonino Casali (73). Questi ultimi, non residenti a Pesariis, si stanno occupando da qualche tempo di una questione molto importante e delicata che ha provocato un conflitto secolare tra la frazione di Pesaria e tutte le altre otto frazioni del Comune: l'utilizzo del ricco patrimonio boschivo della valle (74).

Gran parte dei boschi si trovano fra l'ultimo centro abitato, Pesariis appunto, e il passo di Lavardêt, distante circa una quindicina di chilometri. Si tratta di rigogliose foreste di abeti, larici e faggi che costituiscono di gran lunga la maggior ricchezza naturale della zona. Dopo una serie di alterne e tormentate vicende, il massimo organo giudiziario italiano ha assegnato alla comunità di Pesariis l'usufrutto dei boschi lasciando praticamente senza foreste le altre frazioni, dove abitano oltre i tre quarti della popolazione (75). Il Podestà e il Segretario Politico cercano di rimettere in discussione tutta la questione e si dice che abbiano trovato nell'archivio comunale dei documenti preziosi. Ciro Solari intuisce la possibilità di utilizzare strumentalmente gli effetti repressivi del funerale di Casali per eliminare i propri rivali e le loro possibili iniziative. Al tempo stesso egli si attende che la benemerenza derivante dalla collaborazione con il regime gli spiani la strada verso la carica di Podestà alla quale ambisce da tempo.

Sarebbe quindi egli, secondo alcune testimonianze (76), a mettere sull'avviso l'Arma dei carabinieri di Ovaro che in data 3 giugno "procedette arresto autori manifestazione" (77).
Al Ministero dell'Interno giunge una comunicazione telegrafica dei locali carabinieri che annunciano l'avvenuta identificazione dei tre oratori che "esaltarono Nazione Francese come asilo favorevole antifascisti biasimando invece nazione italiana per politica contraria interessi classe operaia" (78). Poiché il fatto presenta un notevole interesse sotto vari punti di vista, di esso si occupa personalmente il Capo del Governo, Benito Mussolini, il quale decide il provvedimento del confino per i responsabili (79).

L'apposita Commissione provinciale viene convocata per prendere formalmente la decisione e il Ministero telegrafa a tale scopo al Prefetto di Udine, Temistocle Testa (80): "Pregasi provvedere" e, ad ogni buon conto, chiede di "assicurare riferendo anche al riguardo" (81). Il rappresentante del governo a Udine si sente inequivocabilmente scavalcato dagli avvenimenti e in data 5 giugno risponde con un certo imbarazzo che "poiché neppure la competente Stazione dei CC.RR. di Ovaro, distante circa dieci km. da Pesariis aveva avuto notizia del funerale, questa R. Questura non ebbe modo di intervenire in tempo per impedire la sconcia manifestazione" (82). L'intervento prefettizio si rivela tardivo, ma cerca di compensare tale difetto esprimendo il massimo zelo e severità possibili con l'invio immediato sul posto di "un funzionario di P.S. per le ulteriori indagini dirette ad identificare anche i promotori".
L'opera di repressione richiede la partecipazione di tutte le forze disponibili in quanto "quel piccolo comune sito all'estremo limite della provincia, in zona montuosa ed isolata, si è reso da tempo tristemente noto per l'indole ribelle dei suoi abitanti invasati da idee anarcoidi che acquisirono in lunghi anni di emigrazione all'estero". I "fanatici ed irreducibili avversari del Regime" dovranno quindi venir redarguiti "con rigorosi e salutari provvedimenti di polizia" mentre il Segretario Federale del Partito Nazionale Fascista viene sollecitato a vigilare sugli organi dipendenti "per una maggiore e più intelligente attività" (83). Al tempo stesso il Prefetto si premura di assicurargli "che il suo compito sarà agevolato da questo ufficio" il quale sta preparando "concrete proposte al riguardo con dettagliato rapporto" (84).

In queste ore i vari organi locali di polizia sono chiamati ad una frenetica attività e finalmente il giorno seguente il Prefetto può inviare una relazione quasi definitiva al Ministero dell'Interno e alla Direzione Generale di P.S. In essa si riassumono le fasi salienti dell'episodio con un colorito stile giornalistico; si spiegano le cause remote e prossime, si individuano gli errori commessi e si assegnano le rispettive responsabilità. Il Prefetto comunica altresì l'avvenuta estromissione del Segretario Politico (85) e propone la revoca del Podestà. Per concludere viene suggerita l'assegnazione al confino di polizia di nove dei tredici arrestati, già tradotti nelle carceri udinesi di via Spalato.

La relazione prefettizia tenta di giustificare la presenza di quasi tutta la popolazione al funerale del primo giugno come un omaggio apolitico al "compaesano buono e generoso", ammette poi sia l'"ingenuità" dei fascisti, la quale viene collegata contraddittoriamente all'indole docile della popolazione friulana", sia la piena riuscita dell'audace speculazione" sovversiva. Essa si spiegherebbe soprattutto con la duratura tradizione rivoluzionaria di Prato Carnico, definito da sempre "roccaforte del comunismo e dell'anarchismo friulano al punto di essere spavaldamente appellato 'La Patterson del Friuli' ". La città di Paterson, (è questo il nome esatto) centro dell'industria tessile, in particolare della seta grezza, nei pressi di New York e che ha poco più di centomila abitanti, è qui evocata in quanto sede di una folta colonia di operai italiani raggruppati in numerose organizzazioni libertarie e rivoluzionarie (86).
Il Prefetto prospetta poi con grande chiarezza l'obiettivo essenziale da perseguire: dare "ai malintenzionati la sensa­zione precisa che l'Autorità non è assolutamente disposta ad ulteriori, imperdonabili tolleranze" (87).

Il 24 giugno si riunisce la Commissione Provinciale per il confino (88) che invia alla residenza obbligata cinque antifascisti, ridimensionando le richieste del Prefetto. Si assegnano cinque anni a Luigi D'Agaro di Prato, assistente edile, a Italo Cristofoli di Prato, muratore, a Osvaldo Fabian di Pieria, meccanico, e a Guido Cimador di Truia, muratore, mentre è inflitto un anno a Edoardo Monaci di Pesariis, manovale. Vengono ammoniti Ezio Puntil di Pradumbli, boscaiolo, e i pesarini Vittorio Machin, falegname, Secondo Monaci e Odorico Gonano, muratori. Ricevono la diffida i tre muratori Ermenegildo Martin di Truia, Giuseppe Solari e Albino Cleva di Pesariis. Per Mattia Machin, muratore di Pesariis, e per Innocente Petris, falegname di Pradumbli, non viene invece preso alcun provvedimento punitivo (89).









6. Cinque "traviati" al confino



Nel complesso la manovra dei vari organi statali risponde ad un disegno generale: togliere dal loro ambiente sociale e naturale gli individui che in loco costituiscono un pericolo permanente. Con accortezza e resistenza l'apparato repressivo recide i legami fra le "avanguardie" e la "base". Si può legittimamente formulare l'ipotesi che l'isolamento, la mancanza di uno stabile e completo riferimento umano e sociale, la rottura dell'identità del singolo nella comunità locale siano le cause delle varie crisi personali. Resta altresì il dato significativo che nessuno dei confinati scende mai a delazioni o ad altre forme di collaborazione con la repressione.

A differenza dell'emigrazione, il confino comporta uno sradicamento improvviso e non compensato dal riformarsi di conoscenze e amicizie con altri lavoratori carnici, come avveniva all'estero. All'isola di Ponza non c'è una reale integrazione nella comunità dei confinati che, per quanto divisa in gruppi politici e regionali, costituisce una microsocietà che potrebbe offrire notevoli occasioni e stimoli culturali, oltre che politici e ideologici. Molto diversi dagli altri internati, questi montanari vivono nella piccola isola campana con una sensazione di incredulità di fronte alla prospettiva di dover scontare tanti anni per la partecipazione ad un funerale. La loro attenzione è costantemente rivolta a cercare le possibilità di ritornare in tempi brevi alle case, al lavoro, alle famiglie.

Osvaldo Fabian, già segretario della sezione comunista di Prato Carnico nel primo dopoguer­ra, è noto alle autorità di polizia che nel "Cenno biografico", redatto nel maggio 1926, riconoscono che "ha molta intuizione ed è dotato di facilità di parola". Tali qualità - sempre secondo il particolare punto di vista del funzionario di polizia - gli avrebbero consentito di "soggiogare gli inscritti di tutta la sezione e di trascinarli colle idee e coi fatti". Viene poi definito "molto calmo e riflessivo" e, più in generale, "un tipo di operaio molto intelligente".

Nel 1924 è denunciato dai carabinieri di Comeglians per "propaganda sovversiva" ed è poi prosciolto dal giudice istruttore (90). Fino al giugno 1933 è strettamente vigilato, anche se gli organi di sorveglianza non percepiscono alcuna sua iniziativa politica.

Nel settembre 1933, dal confino di Ponza, il Fabian inoltra un'istanza per il proscioglimento condizionale a causa delle gravissime condizioni economiche della famiglia. In effetti l'anno precedente egli aveva sottoscritto un contratto novennale con il Comune di Enemonzo per la gestione di una malga, denominata "Jelma", investendo in tale iniziativa tutte le proprie risorse (91). La sua assenza determina un'acuta crisi nella già precaria economia familiare, ora ridotta a livelli insostenibili (92). Il peso della responsabilità nei confronti dell'anziano padre, della moglie e dei tre figli, lo spinge a inoltrare varie domande per un alleggerimento della pena. In un primo tempo riesce ad ottenere dalla Commissione d'Appello la riduzione del confino da cinque a tre anni, malgrado il parere contrario del Prefetto e dei carabinieri. Nell'aprile del 1935 - quando ha scontato più di metà della pena (93) e dopo la sua mancata partecipazione alla protesta collettiva dei confinati, svolta nel febbraio 1935 - il Prefetto, che aveva in precedenza espresso sempre dei pareri contrari, da il proprio consenso. Dall'isola di Ponza il Fabian potrà far ritorno a Prato Carnico dove verrà sottoposto ai vincoli dell'ammonizione (94) ancora per il periodo di un anno.

La schedatura di Luigi D'Agaro, il già citato Cinc, risale invece al 1915; essendo egli nato nel 1886 è il più anziano degli inviati al confino (95). Nel "Cenno biografico" redatto qualche mese dopo l'entrata in guerra vengono già messi in evidenza il "contegno sprezzante" verso l'autorità ed il carattere "impulsivo" (96).

Ma a tale data gli si può imputare politicamente solo un generico sospetto a frequentare "le compagnie dei pregiudicati e degli anarchici del paese". Durante la guerra Cinc si distingue "per audacia in imprese ardite, tanto da guadagnarsi una medaglia al valore", ma è pure denunciato per offese al Re e vilipendio delle istituzioni. Riceve inoltre una condanna a quattro anni per "insubordinazione e minacce verso ufficiale" (97) che riesce ad evitare dopo un anno di carcere manifestando un'infermità di mente del tutto strumentale. Nel dopoguerra è molto attivo nei movimenti sovversivi al punto che, stando a quanto scrive la polizia, "per le sue idee avanzate e pel suo carattere violento ed aggressivo" sarebbe soprannominato "Lenin" (98). Nell'estate del 1922 viene denunciato per "attentato alla libertà del lavoro" e poi amnistiato (99).

Nella primavera del 1933 ha ormai alle spalle una notevole esperienza come militante anarchico, oltre che come emigrante, in Austria e in Germania prima della guerra e in Francia e in Belgio successivamente (100). Da questi due ultimi stati Cinc viene espulso nel 1926 (e nel 1932) per la sua attività sindacale e politica. Sulla via del ritorno forzato dal Belgio a Prato nel giugno del 1932, è fermato e perquisito al valico di Domodossola in quanto iscritto nell'apposita "Rubrica di Frontiera" e gli viene sequestrata una copia del giornale anarchico di New York "L'Adunata dei Refrattari" (101). A Udine giunge in "traduzione", accompagnato dalla forza pubblica; la Commissione Provinciale per il confino lo ammonisce per due anni "in considerazione dei precedenti e dell'attività politica svolta all'estero" (102). Cinc resta in carcere quasi due mesi per scontare una condanna per i reati di "esercizio arbitrario delle proprie ragioni" e di violazione di domicilio (103). L'ammonizione verrà cancellata in seguito all'"atto di clemenza di S.E. il Capo del Governo" emanato per il "Decennale della Marcia su Roma". "Tale provvedimento non valse però, a farlo ravvedere", annota il Prefetto Testa nell'agosto 1933 (1 04), alcune settimane dopo che l'apposita Commissione, di cui egli è il presidente, ha deciso di confinare il D'Agaro e gli altri quattro oppositori.


Anche per il Cinc il periodo del confino sarà caratterizzato da sofferenze, isolamento e progressiva rinuncia allo scontro aperto, in quelle condizioni, con il fascismo. Egli sconterà tutta la pena di cinque anni malgrado le istanze di proscioglimento dovute alla grave malattia, all'in­fermità della madre e alla miseria in cui versano la moglie e i due figli (105).

Nell'agosto del 1934 il confinato viene raggiunto dai familiari a Ponza, ma pochi mesi dopo il figlio Trionfo, di tredici anni, muore per un attacco di meningite che non può essere affrontato con medicine adeguate per la cronica mancanza di denaro. Un suo tentativo di riscuotere un vaglia inviato da Nicola Di Domenico darà risultati controproducenti: il Cinc sostiene che si tratta di un suo debitore personale, mentre il mittente è un anarchico già noto alla polizia (106).

Per il sostentamento della famiglia egli lavora come spazzino nei cameroni degli internati, con i quali però sembra non mantenga alcun contatto politico (107). Nel settembre del 1937 è la moglie, già ritenuta di idee sovversive quando risiedeva all'estero, ad essere diffidata: essa avrebbe tenuto "conversazioni sospette" con i confinati più pericolosi. Inoltre Elena Martin non farebbe mistero dei suoi sentimenti politici che "cerca di inoculare nell'animo di suo figlio di anni 14, il quale trascorre il massimo della giornata in compagnia dei confinati più noti" (108). Ancora agli inizi del 1938, pochi mesi prima del rientro, gli viene negata una licenza con una paradossale motivazione: "madre che versa precarie condizioni salute causa età non desta preoccupazioni". Pure il prefetto Testa rilascia parere negativo "data pericolosità D'Agaro" (109).


Italo Cristofoli, noto anche come Scel, è indicato dai carabinieri di Tolmezzo come "convinto comunista-anarchico" il quale "cooperò in tutte le maniere perché il corteo fosse riuscito imponente e vi avessero partecipato tutti i sovversivi del luogo" (110). A dare particolare rilievo al suo comportamento di quel giorno sta il passato di fuoriuscito, di attivo militante libertario nell'emigrazione in Francia e in Belgio nonché di partecipante alle "gesta della banda Pollastro", dal nome di un anarchico italiano che in Francia praticava l'"espropriazione diretta" per finanziare il movimento.

In questo caso nemmeno l'indigenza dei genitori infermi, documentata anche da un certificato del medico condotto dottor Aulo Magrini (111), riesce a mutare il rigido atteggiamento della Commissione Provinciale. Anzi all'isola di Ponza gli verrà negata la riscossione di un vaglia spedito dall'anarchico Nicola Di Domenico residente negli Stati Uniti (112).

La donna con la quale si è sposato nel 1930 in Belgio non potrà raggiungerlo all'isola né otterrà il richiesto trasferimento in terraferma dove potrebbe essere più agevole reperire un lavoro (113). In questa occasione viene disatteso anche il parere favorevole espresso dal Prefetto di Littoria, Mario Chiesa, già Prefetto di Udine anteriormente a Temistocle Testa.

Nel giugno del 1935 anche Scel, stretto dalle richieste di aiuto della moglie e dei genitori, chiede una riduzione della pena (114). Nel dicembre dello stesso anno in seguito ad ulteriore domanda di proscioglimento, il massimo responsabile della polizia politica del regime, Arturo Bocchini, da disposizione di "farlo interrogare esaurientemente dal Direttore della Colonia sulle conoscenze che ha nel campo anarchico e che possono spiegare l'invio del soccorso da parte del Nik Di Domenico". Italo Cristofoli dichiara di ritenere che l'aiuto finanziario sia stato sollecitato dall'anarchico Guido Cimador, già confinato a Ponza, e afferma di non essere in grado di indicare i nomi dei possibili sottoscrittori. Tale risultato viene giudicato insoddisfacente dal dirigente di polizia che conclude lapidariamente: "Lasciarlo al confino" (115).


Nel 1936 viene sequestrato del denaro inviato al padre da anarchici residenti all'estero, mentre vengono concessi piccoli miglioramenti del vitto per motivi di salute e un modesto "sussidio caritativo" ai genitori (116). Alla fine del 1937, dopo una malattia e avendo trascorso più di quattro anni di confino, Italo Cristofoli rinnova la richiesta.

Data la sua "cattiva condotta", che deriva dal frequentare anche a Ponza"i compagni di fede più pericolosi", come Luigi D'Agaro, viene definito dal nuovo Prefetto di Littoria, Ciotola, "elemento scaltro" il quale "serba contegno sprezzante verso le autorità" (117): resterà quindi al confino scontando interamente i cinque anni inflitti. Tornato infine a Prato Carnico nel giugno 1938 gli viene assegnata la qualifica di "pericoloso, categoria III°: da arrestare in determinate circostanze" (118).

Il confino a Ponza dura invece appena un mese per Guido Cimador, detto Cucena, muratore anarchico di Truia, nato in Romania nel 1897 da genitori carnici ivi emigrati. Le motivazioni colle quali è confinato, oltre a non essere molto consistenti, sono chiaramente conseguenza di un banale errore giuridico poiché il cittadino straniero non avrebbe potuto essere confinato. Egli viene arrestato dai carabinieri di Ovaro con l'accusa di "aver stimolato a parlare i due schedati politici D'Agaro Luigi e Osvaldo Fabian" (119). In seguito il Questore di Udine sostiene che "egli cooperò validamente perché il funerale assumesse tutto il carattere del rito civile, dirigendo poi il corteo per il suo ordinato svolgimento" (120). Lo stesso funzionario di polizia identifica nel Cimador un elemento pericoloso in quanto nel periodo della sua permanenza a Pittsburgh, dove lavorò fino ad un grave incidente nel 1931, egli avrebbe frequentato gli ambienti operai nei quali gli anarchici di lingua italiana svolgevano notevole attività. Dopo il rientro al paese natale il Cucena avrebbe inoltre riallacciato "ben presto relazioni coi vecchi amici per propagare con essi le insane idee assorbite durante il soggiorno all'estero". Per "infrenare la sua attività malefica e ridonare tranquillità e sicurezza alla popolazione di Prato Carnico, tormentata ed avvelenata dalla continua propaganda che pochi esaltati vanno da tempo svolgendo impunemente contro la realtà della Patria e la santità della famiglia" (124), il Questore chiede l'invio al soggiorno obbligato. A nulla vale il ricorso nel quale Guido Cimador fa rilevare che durante il funerale non prese la parola, che in precedenza non fu mai arrestato per nessun motivo e che durante la guerra fu ferito seriamente al punto di rimanere invalido ad una gamba (122).

Sarà la Commissione d'Appello, istituita presso la Direzione di P.S., a risolvere il suo caso nell'agosto del 1933. La dicitura vergata a mano è esplicita: essa "annulla la decisione della Commissione di Udine perché non poteva essere confinato uno straniero" (123). Il proscioglimento e l'immediata espulsione vengono però comunicati a Cimador con qualche giorno di ritardo; egli si trova in licenza a Prato Carnico, dove la madre è in gravi condizioni "tanto da farne prevedere prossima la fine" (124) e le autorità ritengono inopportuno notificare immediatamente le nuove decisioni. Il 26 agosto, subito dopo il funerale della genitrice, il Cucena viene fermato e messo al corrente dell'espulsione. Alcuni poliziotti lo sorveglieranno costantemente per vari giorni e lo accompagneranno a Torino da dove l'ex confinato partirà in treno per Le Havre e con la nave per gli Stati Uniti (125).


Pure Edoardo Monaci, più noto in paese come Lolo, indicato nella schedatura poliziesca come "antifascista", viene considerato uno degli organizzatori anche se non ha preso la parola al funerale. Tale decisione è determinata sicuramente dalla sua precedente iniziativa, già descritta, di protesta contro la disoccupazione. Nel 1932 l'intervento della polizia impedì quella manifestazione e la Commissione Provinciale di Udine per l'assegnazione al confino, alla quale furono deferiti Lolo e tre compagni della valle, sotto la presidenza del Prefetto Mario Chiesa, si limitò all'ammonizione, in seguito decaduta per l'amnistia del "Decennale". In data 23 luglio 1932 il Ministero dell'Interno spedì un telegramma al Prefetto proponendo il confino anche per Livio Roia, Sebastiano e Bruno Agostinis. Invece il Prefetto Chiesa, soprattutto in considerazione delle benemerenze di guerra di Livio Roia, decise di ridurre la pena (126). Secondo il Prefetto Testa però "tale inaspettato beneficio non influì menomamente sul suo animo traviato" (127). Per l'autorità la sua semplice presenza alla cerimonia funebre assume così un peso e un ruolo di particolare rilievo. D'altra parte il comandante dei carabinieri di Tolmezzo aggrava la posizione di Edoardo Monaci descrivendolo come "amante della compagnia dei suoi amici socialcomunisti del luogo" nonché "imbevuto delle loro idee" (128).

Il riconoscimento di essere "di debole costituzione fisica ed appartenente a famiglia di tubercolotici: il padre è deceduto per tubercolosi ed i giovani Luigi e Beatrice [suoi fratelli sono] pure affetti da tale malattia" (129) non lo esime dal confino. La pena è comunque fissata in un anno.

Nell'agosto del 1933 viene trasferito da Ponza al Comune di Grassano, in provincia di Matera e nell'ottobre il Prefetto Testa esprime parere contrario ad ogni atteggiamento comprensivo motivandolo con l'osservazione che negli ultimi tempi "si nota un risveglio di attività sovversiva in questa provincia" (130). Ai primi di aprile del 1934, in occasione della Pasqua, Lolo viene prosciolto dal confino, forse anche in seguito a una lettera della madre a Mussolini, nella quale la vecchia donna descrive la propria triste condizione di vedova inabile al lavoro e con un altro figlio a carico (131). Edoardo Monaci ritorna così in Val Pesarina e naturalmente nei suoi confronti viene "disposta la necessaria vigilanza" (132).

Gli altri nove arrestati, che la Commissione ha deciso di non inviare al confino, restano in carcere ad Udine fino al 24 giugno e quindi vengono muniti di foglio di via con l'obbligo di presentarsi entro un giorno al Podestà di Prato Carnico (133). Odorico Gonano, pure indicato come uno degli oratori, "essendo stato dichiarato in condizioni fisiche tali da non poter sopportare il regime del confino" (134), riceve l'ammonizione per il periodo di due anni. Come Secondo Monaci, Vittorio Machin ed Ezio Puntil egli deve sottostare alle norme restrittive dell'ammonizione (135). Alla fine dell'anno Vittorio Machin richiede la revoca dell'ammonizione, avvalendosi del parere favorevole del Commissario Prefettizio del Comune, Giacomo Ferrerò (136).

Restano diffidati, "a titolo di esperimento" (137), Giuseppe Solari, Ermenegildo Martin e Albino Cleva. Alcuni mesi dopo, quest'ultimo chiede di conoscere quali siano le limitazioni inflitte con tale atto ricevendone la generica risposta "che egli deve serbare irreprensibile condotta senza dar luogo comunque e sospetti, specie in linea politica" (138).

È probabile che Albino Cleva abbia osservato fedelmente tali disposizioni ed anzi abbia "tratto giovamento" e si "sia ravveduto", volendo definire il suo comportamento con le consuete formule adottate dalle autorità di regime. La sua personale evoluzione è documentata da una richiesta, presentata a nome del locale gruppo di mutilati ed invalidi di guerra, di cui fa parte, a "S.E. il Prefetto della Provincia del Friuli", in data 7 giugno 1934, "anno XII E.F.". Nella lettera Albino Cleva propone di affidare al succitato gruppo "lo sgombro e la relativa manutenzione della strada Pesariis - Rio Bianco sul tratto che mena a Santo Stefano di Cadore". Egli mette in rilievo la facile soluzione economica del problema; infatti "tale lavoro potrebbe farsi senza spesa alcuna da parte delle casse provinciali incamerando il capitale che doveva servire come esca [sic] per costruire la Casa del Popolo di Pesariis" (139).

 





7. La solidarietà proletaria

L'episodio del funerale di Giovanni Casali, e ancor più la pesante e forse sproporzionata repressione successiva, suscitano una profonda impressione nella popolazione della Val Pesarina. Indubbiamente la paura di ulteriori provvedimenti è il sentimento più diffuso (140), maaccanto ad esso è pure presente un senso profondo di rifiuto di queste imposizioni e intimidazioni. Ne sono prove tangibili l'immediata solidarietà dimostrata verso gli arrestati che fin dal primo momento vengono seguiti e assistiti materialmente nei limiti del possibile (141). Tale sostegno non è circoscritto alla vallata, ma trova larga eco nei centri dell'emigrazione. Oltre al già citato caso degli ambienti operai libertari degli Stati Uniti, è documentata almeno una sottoscrizione collettiva realizzata in Francia "per venire in soccorso delle famiglie di alcuni sovversivi" arrestati a Prato Carnico (142).

Indirettamente anche il Prefetto Testa ammette il perdurare dell'attenzione popolare verso gli antifascisti colpiti: a metà febbraio del 1935 egli, nell'esprimere un ennesimo parere contrario al proscioglimento del confinato Fabian, adduce la motivazione che "i fatti che diedero luogo all'assegnazione al confino del Fabian sono tutt'ora vivi nel ricordo della popolazione" (143).

Fra i vari tentativi di portare un aiuto concreto, ce n'è uno che assume un particolare significato in quanto attesta la continuità degli sforzi degli emigranti. Esso proviene ancora da Pittsburgh, la città della Pennsylvania che ospita un discreto numero di "canalotti" (144). Tra questi vi è un fratello di Lolo, Diego Monaci, il quale è in contatto con Guido Cimador, ritornato dall'Italia nell'autunno del 1933. Cucena ha evidentemente informato i compagni libertari di quanto accaduto a Prato Carnico e ha proposto di intervenire con aiuti finanziari verso i "colpiti dalla reazione borghese" (145). Il destinatario della somma raccolta e incaricato della ripartizione, è un altro fratello del Lolo, Luigi Monaci detto Vigjùt, di mestiere fotografo. Già tre anni prima egli aveva ricevuto del denaro da Guido Cimador "per l'acquisto di un busto di gesso a lui necessario perché affetto da gibbosità" (146) e non aveva avuto alcuna difficoltà nella riscossione. In questa occasione però la lettera a lui diretta, spedita da Pittsburgh il 9 agosto 1934, viene revisionata dalla polizia mentre da "riservatissime indagini" si accerta che nel luglio era stato pagato a Monaci un vaglia proveniente da Torino, risultato del cambio di un vaglia internazionale qui giunto dagli Stati Uniti. Emerge anche l'avvenuta consegna del denaro alle famiglie di Luigi D'Agaro, Osvaldo Fabian e Italo Cristofoli. Una perquisizione in casa di Vigjùt porta al sequestro di una prima lettera di Guido Cimador nella quale il mittente spiegava i motivo politico dell'invio del denaro raccolto "in una festicciola tenuta qui fra compagni ed amici" (147).

Nella seconda lettera sequestrata, l'anarchico statunitense indica la ragione dell'aiuto fornito nel principio generale di solidarietà alle vittime della repressione, "siano magari i colpiti giapponesi o cinesi o di qualche tribù dell'Africa". Riferendosi ai tre antifascisti confinati, l'emigrato libertario scrive di non sperare nulla nell'autorità essendo convinto invece che "una cosa sola può essere la loro liberazione, una sommossa di popolo stanco di soffrire la miseria e la brutalità del regime". La sua fede nella possibilità di un'insurrezione popolare antifascista, diffusa in diversi ambienti rivoluzionari, è certamente solida, ma non appare cieca o aprioristica. Subito dopo infatti il Cucena dichiara con modestia: "In verità, Luigi, ben poco so di costì, ho ben poca relazione e se tu mi darai qualche novità che può interessarmi te ne sarò grato" (148).

Luigi Monaci si trova però nell'impossibilità di rispondere: in seguito alle indagini viene arrestato e ristretto nelle carceri di Udine. La probabile destinazione al confino è evitata "essendo affetto da notevole gibbosità per morbo di Pott" e venendo "dichiarato dal sanitario non in grado di sopportare il regime di qualsiasi colonia" (149). Sarà trattenuto in carcere fino alla fine dell'ottobre e quindi ammonito.





8. Il significato del funerale



 
Malgrado le conseguenze sul piano repressivo ed intimidatorio questo funerale non esaurisce il potenziale di azione antifascista locale, ma ne rappresenta l'espressione collettiva più eclatante e incisiva. Altri esempi indicano il perdurare del rifiuto, anche istintivo e solo in parte cosciente, del regime vigente; del resto essi rientrano nella nutrita casistica delle forme di "antifascismo spicciolo" diffuso in tutta la penisola (150).

Ad esempio nel 1937 sono arrestati dei giovani di Truia per aver cantato "Bandiera Rossa", di ritorno dall'osteria, inoltre in alcune tipiche ricorrenze proletarie, come il Primo Maggio, vengono collocati dei drappi rossi sui campanili o sugli alberi più alti e ancora l'albero piantato dai fascisti per ricordare la morte di Arnaldo Mussolini viene di frequente vilipeso o tagliato (151).

La profonda insofferenza della gente della Val Pesarina, e carnica in generale, trova frequenti occasioni per esprimersi collettivamente anche con forme di protesta e di pressione nei confronti dei vari Podestà i quali cercano a loro volta di riversarle sui diretti superiori. Numerose sono infatti le comunicazioni prefettizie ai vari Podestà in risposta alle loro quotidiane "vive insistenze per ottenere a sollievo della disoccupazione l'immediato inizio di lavori pubblici, da eseguirsi a totale o parziale carico dello Stato" (152). A sua volta il Segretario Federale del Partito Nazionale Fascista, Pier Arrigo Barnaba, sollecita di "moltiplicare gli sforzi, spronare incessantemente le volontà, suscitare la nobile gara dell'emulazione" al fine di raccogliere fondi per l'opera di assistenza ai disoccupati e alle loro famiglie nel solco delle "luminose tradizioni d'attività filantropica" (153) di cui avrebbero già dato prova i ceti benestanti del Friuli.

Un altro indizio della grave crisi della vallata è fornito dalla richiesta del Commissario Prefettizio, Giacomo Ferrerò, di trasferire almeno cinquanta famiglie coloniche a Sabaudia, sui terreni appena bonificati dell'Agro Romano (154). Tale domanda riceve però una risposta negativa e pare non abbia avuto alcun seguito. Solo alcuni anni dopo, nel 1936 - 37, centinaia di giovani trovano occupazione in Etiopia, prima come militari e poi come operai edili (155).

L'autorità dimostra di essere al corrente dei pericoli insiti nella dilagante inattività involontaria di centinaia di giovani in età produttiva. Lo stesso Prefetto Testa manda a tutti i Podestà friulani e carnici una circolare allarmata, in data 19 agosto 1933, nella quale rende nota la fastidiosa "abitudine da parte di operai disoccupati di venire al sabato da me per chiedere lavoro". Mentre egli esige, "assolutamente che tale inconveniente non debba più verificarsi" ordina perento­riamente ai Podestà di intervenire "con tutti i mezzi a loro disposizione perché gli operai vengano dissuasi dall'intraprendere inutili e molte volte costosi viaggi a Udine" (156).


Sull'altro versante il rappresentante del Governo esercita una pressione sul potere centrale rammentando che "un qualsiasi ritardo nell'attuazione del programma dei lavori, già predisposti a sollievo della disoccupazione, potrebbe dar luogo a incidenti, se non gravi, certamente spiacevoli, anche nei riguardi dell'ordine pubblico" (157).

Come si è già visto, alla manifestazione del primo giugno 1933 hanno concorso almeno due componenti: la solidarietà di vallata e la volontà politica antifascista. La prima ha senz'altro determinato il grande afflusso di partecipanti - anche se le cifre oscillano da qualche centinaio al migliaio e più - mobilitando il diffuso sentimento popolare di rispetto per un uomo di valore. Va anche considerata la tradizionale abitudine della Val Pesarina, simile in ciò ad altre vallate alpine, di presenziare in massa ai funerali di un membro della piccola comunità.

La seconda componente, quella che può destare maggior interesse storico, deve ovviamente essere interpretata insieme alla prima. L'antifascismo locale non è infatti un fenomeno legato all'attività di "pochi esaltati" come sostiene ripetutamente il Questore di Udine, Francesco Peruzzi (158). Tale "demonizzazione" dell'opposizione antifascista non permette, a lui e ad altri funzionari e gerarchi, di capire quanto e come l'estraneità e la resistenza al regime fossero la logica conseguenza della radicata presenza di un tipo di movimento operaio che nelle sue due tendenze, libertaria e marxista, era stato per decenni un fattore di rottura, di innovazione e di crescita di buona parte della popolazione della vallata. In tal caso la descrizione del Prefetto Testa per quanto piena di palesi pregiudizi e di sintomatiche forzature, ha il merito di indagare sulle ragioni della forza dello spirito sovversivo e ribelle.
L'episodio di Prato Carnico costituisce un fatto di particolare valore nel panorama, piuttosto ridotto in quegli anni, del "dissenso di massa" (159) e testimonia di certe lacune del controllo del regime sui comportamenti delle masse popolari. Esso però non si esaurisce in un presunto "residuo" di un'epoca di lotte e di realizzazioni terminata nel 1922.

Certamente l'isolamento della valle, emarginata dalle grandi vie di comunicazione, e l'assenza di un'apposita caserma dei carabinieri hanno facilitato la realizzazione dell'imponente "funerale rosso".
I motivi profondi di tale manifestazione però devono essere ricondotti al perdurare di una memoria storica di classe, fusa e amalgamata con la coscienza popolare, che ha caratterizzato la formazione in diverse zone della Carnia di una nuova, e per molti aspetti moderna, mentalità dai contorni tuttora non ben definiti (160).

L'ampia partecipazione al funerale di Casali sta a significare anche un preciso, pur se momentaneo, superamento delle plurisecolari divisioni e rivalità fra Pesaria e il resto del Comune.

L'avvenimento rappresenta perciò una dimostrazione della scelta strategica del movimento proletario di fondare il conflitto sociale e politico su valori e obbiettivi ben distinti da quelli della "guerra di campanile". Va ricordato ad ogni modo quanto l'identificazione in una "piccola patria" abbia condizionato e talora favorito il nascere di movimenti e di organizzazioni popolari.

Un altro elemento che fa assumere un rilievo generale ai fatti del primo giugno 1933 va ricondotto alla qualità dell'iniziativa: non si tratta dell'esplosione di una pura e semplice protesta spontanea, ma neppure del frutto diretto di un sotterraneo lavoro di organizzazione clandestina riconducibile ad un preciso partito. È invece qualcosa di intermedio: un'azione nata dalla convergenza di una spontaneità e di una rudimentale struttura di collegamento (161).
Questo carattere di semplice ed efficace forma di solidarietà e di protesta è ciò che, come sembra logico, ha impensierito maggiormente i vertici dell'apparato repressivo.

Questo funerale difatti realizza l'incontro di un sentimento popolare, assolutamente inattac­cabile anche dalla dittatura - la pietà e il rispetto per i morti -, con una critica politica, più o meno esplicita, tipica dei movimenti antifascisti proletari. La possibilità che esempi di questo tipo - così facilmente riproducibili in zone dalle radicate tradizioni di lotta popolare-si diffondano e si moltiplichino è la causa principale del rigido atteggiamento dell'apparato statale fascista. L'intervento di una certa spinta locale, che non casualmente va nel senso del riacutizzarsi del conflitto interfrazionale, può offrire un elemento sicuramente interessante, ma utile soltanto per capire la messa in moto del meccanismo repressivo la cui logica va ben al di là di esigenze circoscritte. Gli stessi repentini cambiamenti al vertice del Comune, che investono in meno di un anno quattro diversi personaggi dell'ambito fascista provinciale - tra i quali l'informatore Ciro Solari - dimostrano i limiti e le incertezze delle autorità nell'opera di restaurazione. Inoltre per evitare ulteriori azioni di sorpresa degli antifascisti della valle viene deciso di intensificare la sorveglianza in loco dei carabinieri di Chialina con l'istituzione di un "posto fisso" che verrà "adibito a luogo di pernottamento dei militari dell'Arma in occasione di servizio di perlustrazione" (162).

Uno degli obbiettivi, in certa misura ricostruibili dalle testimonianze, che gli antifascisti si riproponevano, valorizzando al massimo il funerale era quello di trasmettere, almeno parzialmente, alle nuove generazioni un esempio del comportamento politico della vallata primi dell'avvento del fascismo. Essi erano consapevoli che la conoscenza del passato, inteso come esperienza e non come mito, era un fondamento della stessa esistenza di un cosciente movimento di classe. Un sintomo rivelatore della necessità della continuità della memorie storica proletaria è il ricordo, tuttora vivo in alcuni testimoni (163), della presenza della bandiere della Società Operaia di Mutuo Soccorso al funerale di Casali. Tale fatto, per quanto improba­bile e decisamente smentito da altri, rivela il bisogno, tuttora vivo, di dimostrare che il fascismo non era riuscito a distruggere alle radici ciò che nel lungo periodo precedente era stato faticosamente costruito e di cui si era, e si continua ad essere, naturalmente fieri.






(1)  I due brani sono tratti da G. PIVA, Su per Carnia, Udine 1932, p. 94. L'Autore insiste a precisare che si tratta di "Arcadia, ma tutt'altro che Beozia" (p. 96) volendo esprimere il concetto che il prevalere della cosiddetta natura amena non rende gli abitanti della Val Pesarina né rozzi né ignoranti.


Il valore mistificante della visione idilliaca della realtà carnica è ben messo in evidenza da una recente opera di reinterpretazione critica delle immagini di un fotografo locale molto conosciuto. Vedi La Carnia di Antonelli. Ideologia e Realtà, Aiello - Udine - Trieste - Tolmezzo, 1980.


(2) Si veda G. MARINELLI (a cura di M. GORTANI), Guida della Carnia e del Canal del Ferro, Tolmezzo 1924 - 1925, p. 587. Un'acuta analisi del modello fornito da questa notissima Guida, e in genere dell'attività e del pensiero di Mannelli,  è in  F. MICELLI,  La scoperta della montagna friulana in  COMUNE DI TRIESTE- CIVICO MUSEO REVOLTELLA, La Carnia. Secondo quaderno, Udine 1977, pp. 1-13.


(3) La definizione è in un opuscolo stampato in onore del matrimonio di un esponente di una ricca famiglia pesarina. Vedi G. GORTANI, In occasione delle nozze Bruseschi - Corradina, Udine 1895, p. 6.


(4)  // termine cjanalóz, cioè "canalotti", è ricordato da Marinelli quale appellativo comune degli abitanti della Val Pesarina.


Il suono "cj" è simile al suono della lingua italiana "ch". Analogamente per il suono "gj". Il suono "ç" (ad esempio in Paluçàn) assomiglia al "ci" italiano.


(5)  Vedi ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA (d'ora in poi ISTAT), VII censimento generale della popolazione. 21 aprile 1931, Vol. Il, Popolazione dei Comuni e delle Frazioni di Censimento, Roma 1933, p. 579.


(6)  Vedi ISTAT, VIII Censimento generale della popolazione. 21 aprile 1936, Vol. Il, Province, Fasc. 24, Provincia del Friuli (Udine), p. 11. La diminuzione di popolazione rilevata dal 1921 al 1931 è dovuta al definitivo stabilirsi all'estero, o in altri comuni italiani, degli emigranti temporanei. Il calo dal 1931 al 1936 è legato ad una particolare categoria di popolazione, definita dalle autorità censuarie "popolazione speciale". Si tratta degli assenti temporanei "dislocati quali militari e operai in Africa Orientale, nella Libia e nei possedimenti". Il dato carnico per il 1936 è di 1.546 unità su 13.127 dell'intera provincia. Vedi ISTAT, VIII Censimento, cit., pp. 1, 13.


(7)  Ibid., pp. 31-32.


(8)  Gran parte delle notizie utili alla ricostruzione delle condizioni di vita in Val Pesarina negli anni Trenta sono state ricavate da diciotto fra interviste e conversazioni svolte per lo più nel maggio 1982 e nel maggio-giugno 1983. In particolare sui caratteri del lavoro, maschile e femminile, sono state utilizzate te testimonianze di Guido Rotter (svolta il 18 giugno 1983) di Pradumbli, nato nel 1913, di Ottorino Lucchini (14 maggio 1983) dì Avausa, detto Rós, nato nel 1911 e di Antonino (Nino) Casali (21 giugno 1983) di Prato, nato nel 1912. Quasi tutte le testimonianze sono state raccolte con l'aiuto di Elda Gonano in Petris, nata a Pesariis nel 1950. Sul lavoro femminile si veda anche La Carnia di Antonelli, cit., p. 213.


(9) Una recente indagine su varie aziende agricole della valle con taluni riferimenti storici è in L. RUSTICO, L'agricoltu­ra nella Val Pesarina, Tesi di laurea presentata all'Università degli Studi di Bologna, anno accademico 1978-79.


(10) Per un approfondimento dell'emigrazione carnica nel periodo fascista si leggano almeno G. CAPORIACCO, Storia e statistica dell'emigrazione dal Friuli e dalla Carnia, Vol. Il, Udine 1969 e B.M. PAGANI, L'emigrazione friulana dalla metà del secolo XIX al 1940, Udine 1968.


(11)  Cfr. le testimonianze di Ottorino Lucchini, di Antonino Casali e di Giglio Cimador di Truia, detto Pici, nato nel 1905. Quest'ultimo ricorda con precisione che "un manovale specializzato prendeva lire 1,60 all'ora e un litro di vino costava 3,60" e che i boscaioli ricevevano 2  lire all'ora.  Una parte consistente  dei lavori forestali,  e quindi dell'assegnazione delle "quindicine", viene svolta dalla Società Anonima "L'Indipendente" dì Pesariis. Ad esempio nel mese di giugno del 1934, essa occupa 84 operai per complessive 1244 giornate; dalla media di 15 giornate si discostano una decina di operai che ne lavorano 24 mentre sedici restano occupati meno di 10 giorni. Vedi ACP, a. 1934,  Ctg. XI, doc.  del 2 luglio  1934.  L'assunzione della manodopera veniva decisa dalla  "Commissione per l'avviamento al lavoro" che era composta dal Commissario Prefettizio del Comune, dal Segretario Politico del Fascio, dall'addetto all'Ufficio comunale di collocamento e dal rappresentante dei prestatori d'opera. Nel giugno del 1934 essa era composta da Ettore Tirelli, in qualità di Commissario Prefettizio e Commissario Straordinario del Fascio, dal collocatore Giovanni Giorgessi e da Giuseppe Naiaretti quale rappresentante degli operai. Vedi ACP, a. 1934, Ctg. XI, doc. del 14 giugno 1934.


(12) Si veda G.C. BERTUZZI, Aspetti (ancora attuali) dello sfruttamento della Carnia sotto il regime fascista, in "Bollettino dell'Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia", a. IlI, n. 1-2 (marzo 1975), pp. 17-21. Antonino Casali rammenta che "più di una famiglia è stata costretta a nascondere lis cjalderis, quelle fatte in rame, quei secchi che servivano per il trasporto dell'acqua perché erano pignorabili per le tasse" e che "altre famiglie andavano a tagliare del legname (...) per pagare le tasse, non per comprare granoturco". Inoltre "quando in una famiglia moriva una mucca per cause tali che il veterinario non dava l'autorizzazione per portarla al macello, o se il proprietario della bestia per la vecchiaia della bestia decideva di ammazzarla, per non pagare il dazio al Comune e per non dover vendere a prezzo inferiore al macellaio, ognuno prenotava e comprava uno o più chili a seconda delle famiglie".


(13) Secondo la memoria di Antonino Casali nel 1933, anno nel quale fu nominato Segretario Politico del Fascio di Prato Carnico, nel comune vi erano "590 disoccupati circa".


Nell'estate dell'anno successivo il Commissario Prefettizio protesta presso l'Ufficio provinciale di Collocamento perché il Comune di Ovaro ritarda l'assunzione di 35 operai di Prato Carnico malgrado le disposizioni ricevute. In tale circostanza si afferma che su 3000 abitanti vi sono 300 disoccupati. Vedi ACP, a. 1934, Ctg. XIV, doc, del 23 agosto 1934.


(14) II censimento del 1931 rileva solo il 7% di analfabeti, percentuale vicina alla media carnica e inferiore alla media provinciale che è del 9,8%. Nel comune di Prato Carnico, per ogni analfabeta maschio ci sono ben 3 donne, il 9% delle quali non sa leggere. Tale dato, superiore al rapporto provinciale, che è di 1 a 2, appare evidentemente legato alla particolare divisione familiare del lavoro che offre maggiori opportunità all'uomo che emigra rispetto al lavoro nell'agricoltura e nell'allevamento riservato alle donne. Vedi ISTAT, VII Censimento, cit., p. XV, 56.


(15)  Sui caratteri e sull'evoluzione dell'emigrazione carnica che passa da terziaria a operaia, si veda A. G. RENZULLI, Economia e società in Carnia fra '800 e '900, Udine 1978, pp. 109-162.


(16)  Nei primi anni del regime fascista vengono eliminati dalle biblioteche pubbliche quei testi politici che appartengono esplicitamente a ideologie "sovversive". Permangono però in varie biblioteche popolari del Friuli "libri che trattano argomenti sociali di contenuto romantico,a sfondo politico-sociale, ma sostanzialmente antifascista". Il prefetto Testa si preoccupa perciò con un'apposita circolare ai Podestà di far togliere dalla lettura tali opere e in particolare quelle di "autori non confacenti allo scarso senso critico che hanno generalmente i frequentatori delle Biblioteche suddette". Vedi ACP, a. 1933, Ctg. VI, doc. del 30 maggio 1933.


(17) Secondo un opuscolo celebrativo della Casa del Popolo locale "l'attività anarchica è ricordata lontanissima nel tempo ed ha riscontro nella sezione anarchica di Pradumbli, una delle prime d'Italia". Vedi 1913- 1979. Casa del Popolo. Prato Carnico, Udine 1979, p. 2.


(18) Antonino Casali rammenta il principio solidaristico anche per il lavoro normale nei campi: "L'erba era già matura per poter essere falciata in determinati posti e chi non aveva tanti campi, prati, dava una mano a falciare e portare il fieno ecc. Dopo riceveva a sua volta quando l'erba era matura magari ad altitudine superiore".


(19) La ricca famiglia dei Casali di Prato non ha vincoli di parentela con quella di Giovanni Casali di Pesariis, né con quella di Antonino Casali di Prato. Ricorrono spesso nella Val Pesarina alcuni cognomi che per lo più indicano solamente una lontana origine comune. Anche nel presente studio sono citati taluni cognomi uguali (Solari, D'Agaro, Gonano...); l'eventuale parentela è comunque ricordata.


(20) Si vedano ad esempio le testimonianze di Alfeo Solari, uno dei vecchi proprietari, e di Sisto Solari, per molti anni operaio e poi socio della ditta, in La Carnia di Antonelli, cit., pp. 215-216.


(21) Una descrizione dei particolari edifici di Pesariis è in L ZANINI, La casa e la vita in Carnia, Udine 1968. Uno studio sulle varie fasi dell'utilizzo del territorio carnico è opera di G. MONTENERO, Storia architettonica e urbanistica della Carnia, in COMUNE DI TRIESTE - MUSEO CIVICO REVOLTELLA, La Carnia, Udine 1975, pp. 1-13.


(22) I tre brani sono tratti rispettivamente dalle testimonianze di Sisto Solari (15 maggio 1983) di Pesariis, nato nel 1910, di Olga Monaci (13 maggio 1983), vedova di Edoardo Monaci, nata nel 1907 e di Ermes Machin (4 maggio 1982), figlia di Mattia, nata nel 1921. Tutti e tre sono di Pesariis.


(23) Si veda il fascicolo personale intestato a Casali Giovanni, fu Leonardo e di Capellari Caterina, nato a Prato Carnico (Udine) il 15 agosto 1880, falegname (poi pizzicagnolo), residente in Francia, anarchico. La raccolta delle informazio­ni inizia il 23 agosto 1912 col "Cenno biografico" a cura della Sottoprefettura di Tolmezzo. Fra i connotati fisici sono indicati pure: "Espressione fisionomica intelligente" e "Abbigliamento abituale modesto, da operaio". La fotografia, affiancata da quella della consorte, è dell'8 agosto 1930, al tempo del suo breve ritorno in Italia. Vedi ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Casellario Politico Centrale, fascicolo Casali Giovanni (d'ora in poi ACS, CPC, Casali Giovanni).


(24) Sul ruolo di "diplomatico del socialismo" in Italia e all'estero svolto da Oddino Morgari, impegnato nella propaganda capillare delle posizioni riformiste e "integraliste" del socialismo italiano, si veda il profilo di G. SAPELLI in F. ANDREUCCI - T. DETTI, II movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853- 1943, Roma 1977, vol. IlI, pp. 582-586. Tra l'altro nel 1906 il Morgari assunse la direzione della Camera del Lavoro di Torino e sostenne vari conflitti con gli anarco-sindacalisti. Quale "padre dell'integralismo, vivente simbolo del socialismo umanitario e sentimentale", è ricordato da G. ARFÈ, Storia del socialismo italiano (1892-1926), Torino 1965, p. 142.


(25) I due brani sono estratti dal già citato "Cenno biografico", in ACS, CPC, Casali Giovanni.


(26) Ibidem. Secondo l'intervista resa da Mattia Machin (4 maggio 1982), detto Gjaret, di Pesariis  -l'unico a fornire tale informazione - Paluçàn non sarebbe stato un anarchico, bensì "un operaio medio, politicamente. In chiesa non ci andava, ma non che abbia fatto propaganda. A quel tempo si diceva 'socialisti'".


(27) Per un certo periodo di tempo Giovanni Casali abita in rue Picpus n. 16, in una camera ammobiliata cedutagli dal compaesano Solari Ermenegildo Giuseppe, fu Giacomo. Si veda ACS, CPC, Casali Giovanni, documento del 19 novembre 1912.


(28) lbid., doc. del 1 ottobre 1912. Su "L'Avvenire Anarchico", che esce dal 1910 alla fine del 1922, si veda L BETTINI, Bibliografia dell'anarchismo. Vol. I, tomo 1. Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872- 1971), Firenze 1972, pp. 233-235.


(29) Virgilio Mazzoni è un continuatore dell'attività di Pietro Gori e sostiene negli anni precedenti al 1915 le posizioni anarco-sindacaliste. Su di lui si veda il profilo di A. MARIANELLI in ANDREUCCI - DETTI, op. cit., vol. IlI, pp. 418-420. La sua partecipazione a varie pubblicazioni libertarie è analizzata da BETTINI, op. cit., vol. I, tomo 1, p. 201. Sul movimento anarchico in Italia dall'inizio del secolo alla prima guerra mondiale si leggano gli scritti di G. CERRITO, Dall'insurrezionalismo alla settimana rossa, Firenze 1977 e di E SANTARELLI, II socialismo anarchico in Italia, Milano 1973.


(30) Sui rapporti alterni fra le due tendenze rivoluzionarie basate sull'azione diretta, iì legga il recente saggio di B. G. FURIOZZI, Polemiche tra sindacalisti rivoluzionari e anarchici italiani nell'età giolittiana, in "Ricerche Storiche", a. XI, n. 2-3 (maggio-dicembre 1981), pp. 495-512. I nodi del confronto a livello internazionale sono messi in evidenza in M. ANTONIOLI (a cura di) Dibattito sul Sindacalismo. Atti del Congresso Internazionale Anarchico di Amsterdam (1907), Firenze 1978.


(31) Vedi ACS, CPC, Casali Giovanni, doc. del 3 giugno 1930.


(32) Vedi ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Anno 1933, Categoria C6, f. "Udine. Funerali a sovversivi" (d'ora in poi ACS, "Udine. Funerali e sovversivi"), doc. del 6 giugno 1933 (d'ora in poi Relazione Prefetto Testa). Gisela Solari (26 agosto 1983), nata nel 1895 a Pesariis e lontana parente di Paluçàn afferma che egli continuò a fare il falegname e che la comune gestione del locale durò solamente qualche anno e terminò prima del 1930.


(33) Vedi ACS, CPC, Casali Giovanni, doc. del 7 novembre 1930.


(34) La testimonianza di Sisto Solari attribuisce a Paluçàn l'intenzione di continuare a lavorare come falegname a Pesariis.


(35) I particolari della morte di Giovanni Casali sono stati ricostruiti alcuni anni fa, dal dott. Giorgio Ferigo di Comeglians sulla base di informazioni fornite da carnici, emigrati a Champigny, che avevano conosciuto l'anarchico pesarino. Il certificato di morte del Comune di Prato Carnico indica le ore nove e il Boulevard dell'Ospedale n. 83 quali momento  e luogo del decesso.


(36) Vedi le testimonianze di Ottorino Lucchini e di Mauro Martin di Pieria (12 maggio 1983), nato nel 1918. Quest'ultimo partecipò, come giovane membro della banda musicale, alle esequie di Giovanni Casali.


(37)  II valore politico del funerale viene messo in evidenza da "L'Unità", in edizione clandestina e ridotta, che pubblica un articoletto dal significativo titolo Fronte unico antifascista in Carnia al funerale di un operaio anarchico. In esso si da la notizia dell'avvenimento in termini abbastanza precisi e tale fatto denota un certo collegamento con la realtà della Val Pesarina. Per presumibili motivi di prudenza si citano però solo "l'operaio Giovanni" e "un paese della Carnia", senza ulteriori specificazioni. Si da comunque notevole rilievo alla fase della preparazione sostenendo che "gli operai comunisti, socialisti e anarchici della località e dei paesi vicini organizzarono per l'accompagnamento al cimitero una manifestazione di massa: oltre 1500 operai accompagnarono la salma". Vedi”L’Unità”, a. X, n. 9 (luglio 1933).


(38)  Le riunioni clandestine di antifascisti sono ricordate da Mauro Martin, di cui Cinc aveva sposato una zia. Sia Mauro Martin che Guido Rotter attribuiscono notevole importanza all'esempio morale e politico dei vecchi antifascisti che continuarono a mantenersi fedeli alle loro idee durante il regime.


(39) Si vedano i riferimenti nel saggio di Marco Puppini, presente in questo libro. Ne parla brevemente anche Tullio Toniutti nella ricostruzione dell'antifascismo anarchico in Carnia, in "A - rivista Anarchica", a. IlI, n. 4 (aprile 1973), p. 11.


(40) L'episodio è riportato nel "Cenno biografico" di Lolo, redatto il 31 luglio 1932, due settimane dopo il fatto. Si veda ACS, CPC, Monaci Edoardo. Secondo Giuseppe Gonano (6 maggio 1982) di Pesariis, detto Bepo di Passit, nato nel 1905, Lolo avrebbe proposto di gridare anche "siamo senza lavoro, senza pane".


(41) La frase è riportata dalla testimonianza di Giuseppe Gonano.


(42) Vedi le testimonianze di Giuseppe Gonano e di Olga Monaci di Pesariis. Secondo quest'ultimo, Paluçàn avrebbe la­sciato per iscritto la decisione di ricevere esequie civili. La versione fornita da Osvaldo Fabian nel ricorso alla Commissione d'Appello per l'assegnazione al confino (e confermata nella successiva istanza presentata al Capo del Governo), così come quella di Luigi D'Agaro, sostiene che il rito fu solo civile per il rifiuto del parroco di celebrare la cerimonia religiosa in quanto il matrimonio di Giovanni Casali e di Maria Solari, celebrato nel 1913, si era svolto solo davanti alle autorità civili. Vedi ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Ufficio Confino Politico, Fabian Osvaldo (poi ACS, Confino, Fabian Osvaldo) docc. del 27 giugno 1933 e del 20 gennaio 1934.


(43) Su questo particolare concordano Mauro Martin, Giuseppe Gonano, Primo Gonano (15 maggio 1982) di Pradumbli, nato nel 1926, ed Alvio Casali (13 maggio 1983) di Pesariis, nato nel 1914. Secondo Mattia Machin invece il corteo sarebbe partito da Fuina. Vir Cappellari (25 settembre  1983), nato nel  1920 a Pesariis, rammenta che molti aspettarono il funerale al ponte di Fuina.


(44) Emma Zanier (10 maggio 1982) di Pesariis, nata nel 1921, ricorda molto bene che il giorno prima del funerale il parroco aveva detto che avrebbero potuto esserci delle pericolose conseguenze.


(45) Si veda l'inizio della sua testimonianza nella quale dichiara: "Erano appena venti giorni che ero Segretario del Partito" e "Mi han consigliato di prendere questa cosa, ero un po’ riluttante".


(46) "Loro hanno organizzato, ma io non ero del parere. Sapevo che politicamente succedeva qualcosa. Loro invece ...estremisti di sinistra". Vedi la testimonianza di Mattia Machin. Ottorino Lucchini suppone invece che la vedova si sia rivolta a Osvaldo Fabian per organizzare adeguatamente la cerimonia funebre.


(47) Si vedano le testimonianze di Alvio Casali e di sua moglie Noemi, nata nel 1925. La presenza della fanfara è confermata da Mauro Martin che ne faceva parte e da Ottorino Lucchini che quel giorno non poté suonare perché infortunato.


(48) II Prefetto di Udine afferma che "ai funerali partecipò quasi tutta la popolazione". Vedi Relazione Prefetto Testa, cit. Nel ricorso alla Commissione d'Appello per l'assegnazione al confino, Italo Cristofoli scrive: "Più di un migliaio di persone parteciparono, senza dare tale interpretazione" politica e fa cenno al resoconto del "Gazzettino" del 3 giugno. Vedi ACS, Confino, Cristofoli Italo, doc, del 27 giugno 1933. In un'istanza al Capo del Governo il Cinc afferma che i partecipanti erano circa millecinquecento.


Vedi ACS, Confino, D'Agaro Luigi, doc. del 10 ottobre 1933. Come già ricordato, "L'Unità" pubblica il dato di "oltre 1500 operai". Secondo altre testimonianze "era un funerale che non finiva più, forse c'erano più di mille persone" (Primo Gonano), "anche più di mille persone" (Vir Cappellari), "c'era parecchia gente" (Sisto Solari), "un mucchio di gente" (Giuseppe Gonano), "una moltitudine di gente" (Alvio Casali). Mauro Martin, che rammenta bene la partecipa­zione dei bambini delle scuole, ricorda "tanta gente" e poi, pur non essendo sicuro del numero, parla di alcune centinaia di persone. La "Proposta per l'assegnazione al confino di Fabian Osvaldo", redatta dal Comandante della Tenenza dei Carabinieri di Tolmezzo segnala che Fabian parlò "alla presenza di circa 300 persone". Vedi ACS, Confino Fabian Osvaldo, doc. del 10 giugno 1933. Secondo Vir Cappellari il fotografo Luigi Monaci avrebbe scattato varie istantanee della cerimonia. Di esse però non vi è riscontro alcuno nella documentazione d'archivio e nemmeno nelle altre testimonianze.


Non è stato possibile purtroppo, esaminare le fonti ecclesiastiche locali, di solito molto interessanti. Il ripetuto tentativo di utilizzare i diari parrocchiali di Pesariis e di Prato, che sicuramente avevano rilevato e valutato l'avvenimento, non ha dato alcun risultato. Non è stata altresì concessa la consultazione degli importanti diari personali di Don Antonio Roja, cultore di memorie locali, attualmente depositati presso il Museo Carnico di Tolmezzo.


(49) L'espressione è del "Gazzettino" del 3 giugno 1933, nel breve articolo dal titolo Funebri Casali, dove si cita pure l"'imponente corteo" e si pone in evidenza il fatto che "prima della tumulazione è stato dato l'estremo saluto da diversi compagni di lavoro".


(50) Nel primo dopoguerra a Prato Carnico si erano svolte varie manifestazioni di solidarietà con la rivoluzione sovietica. Si vedano i riferimenti nel saggio di Marco Puppini.


(51) Sisto Solari rammenta di essersi recato spesso con Luigi Martin al Dopolavoro per ascoltare "Radio Mosca" da un grosso apparecchio radiofonico donato da Fermo Solari.


(52) La presenza dei gerarchi locali è ricordata oltre che dalla Relazione Prefetto Testa, cit., anche da varie testimonian­ze. Antonino Casali ha dichiarato. "Ho partecipato perché io son figlio a mia volta di un emigrante, mio padre era un muratore emigrato nell'America del Nord".


(53) La parentela, sostenuta da Osvaldo Fabian nella sua autodifesa e confermata da alcune testimonianze, è negata dalla relazione del Comandante della Legione dei Carabinieri di Udine. Vedi ACS, Confino, Fabian Osvaldo, doc. del 4 agosto 1933. Machin llda (29 agosto 1983), sorella di Vittorio Machin, nata nel 1903 a Pesariis, sostiene che Fabian era figlio di cugini di Paluçàn.


(54) La voce di Osvaldo Fabian "più calma, meno profonda" di quella di Luigi D'Agaro è ricordata da Giuseppe Gonano che poté udire bene il discorso di Cinc e molto poco quello del Fabian.


(55) Le due definizioni compaiono rispettivamente nelle relazioni dei Carabinieri di Ovaro e del già citato Comandante della Tenenza tolmezzina dell'Arma. Si veda ACS, Confino, Fabian Osvaldo, docc. del 25, del 19 e del 10 giugno 1933.


Quest'ultimo documento afferma che l'oratore dichiarò di aver trovato in Giovanni Casali il vero compagno che aveva "vagheggiato le più sublimi redenzioni umane di fede".


(56) Sisto Solari ricorda con precisione queste parole, analoghe a quelle rimaste nella memoria di Mauro Martin.


(57) Durante la perquisizione effettuata il 4 giugno in casa di Luigi D'Agaro, i carabinieri di Ovaro sequestrano il discorso scritto che viene poi "portato via dal Commissario di P.S. dott. Perla". Vedi ACS, Confino, D'Agaro Luigi, doc. del 5 giugno 1933. Di tale testo non v'é purtroppo traccia nei documenti conservati all'Archivio Centrale dello Stato.


(58) Osvaldo Fabian dichiara nella sua istanza alla Commissione d'Appello: "Malauguratamente dopo il mio discorso sulla tomba ne furono pronunciati altri due, uno dei quali, il D'Agaro Luigi, appena conobbi la sua intenzione di parlare cercai tutti i mezzi per impedirglielo ben sapendo che costui avrebbe detto ciò che non doveva assolutamente dire. "Vedi ACS, Confino, Fabian Osvaldo, doc. del 27 giugno 1933.


(59) Nella sua testimonianza Vir Cappellari rievoca tali parole anche se ha qualche dubbio su chi può averle pronunciate. Mauro Martin invece attribuisce senza incertezza questi concetti al Cinc.


(60) Emma Zanier rammenta che i discorsi funebri esaltarono fortemente l'idealità e il modo di pensare di Giovanni Casali. Nella già citata Relazione Prefetto Testa, cit., si da molto rilievo alle parole del Cinc, definito "il più violento".


(61) Secondo Mauro Martin tale esplicito riferimento all'emigrazione sarebbe stato fatto dal Cinc, mentre Mattia Machin nega che siano state pronunciate frasi di questo tenore.


(62) Queste parole sono attribuite al Cinc dalla Tenenza dei carabinieri di Tolmezzo la quale invia un'apposita relazione alla Questura di Udine. Vedi ACS, Confino, D'Agaro Luigi, doc. del 10 giugno 1933. Più genericamente la Relazione Prefetto Testa, cit., sostiene che nei discorsi venne lodato il "volontario esilio nella più ospitale terra di Francia" di Paluçàn e in particolare che Luigi D'Agaro "esaltò la libertà che i fuoriusciti godono in Francia".


(63) L'espressione rimane scolpita nella memoria di Ottorino Lucchini.


(64) La prima frase è presente nella testimonianza di Giglio Cimador, la seconda nella rievocazione di Mattia Machin e in quella di Giuseppe Gonano. Quest'ultimo conserva pure memoria della frase "Non posso parlare tanto perché abbiamo la sorveglianza dietro".


(65) L'espressione è a lui associata nella nota informativa redatta dal Prefetto Testa. Vedi ACS, CPC, D'Agaro Luigi, doc. del 15 agosto 1933.


Nei motivi di appello contro l'assegnazione al confino il Cinc ricostruisce i contenuti della sua commemorazione in questi termini: "Ho voluto portare l'ultimo mio saluto prima che lui sia calato nella fossa, con un breve discorso nel quale non parlavo d'altro che di saluti, di dolori, di disgrazie e di fatalità, rievocando le sue buone qualità di uomo" e "dissi pure, per essere più breve, 'ben altro vorrei dire, ma non mi è permesso, tu ben lo sai'” Quest’ultima frase andrebbe però collegata, secondo D’Agaro, ad  eventuali responsabilità di coloro i quali avrebbero provocato l'incidente mortale parigino. Vedi ACS, Confino, D'Agaro Luigi, doc. del 28 giugno 1933.


(66) Così ricorda con precisione Primo Gonano che collega il "nodo" al fiocco nero che i sovversivi continuavano a portare al posto della cravatta. Giuseppe Gonano conserva memoria di una frase analoga: "Ci dispiace tanto, caro compagno, che ci hai abbandonato".


(67) La frase è rievocata da Ino Solari (24 agosto 1983), nato a Pesariis nel 1923. Emma Zanier testimonia che le parole "Tu sei là, ma noi siamo rimasti e continueremo" sarebbero state pronunciate da Vittorio Machin, il quale non risulta però fra gli oratori identificati dalla polizia. Anche Ino Solari sostiene che Vittorio Machin pronunciò un discorso e rinforza tale ricordo col particolare che "era uno che tartagliava". Secondo la Relazione Prefetto Testa, ctl, che riprende i termini usati dai carabinieri di Ovaro, i tre oratori conclusero le esequie di Paluçàn "promettendo sulla sua bara di raccogliere e custodire la sua eredità spirituale".


(68)  Nessuna frase del discorso di Odorico Gonano è rimasta nella memoria dei partecipanti, né è stata a lui attribuita dalle indagini di polizia. Vedi ACS, CPC, Gonano Odorico.


(69) Sulla lapide sono incise inoltre le date di nascita e di morte. Erroneamente quest'ultima è indicata nel 16 maggio 1932.


(70) II motivo allegorico della fiaccola è presente in molte illustrazioni e simboli del movimento operaio. Si veda ad esempio. Un'altra Italia nelle bandiere dei lavoratori, Torino 1980, pp. 207-209. Qui viene ricordato che "il valore della fiaccola è duplice essendo il classico simbolo delle Furie vendicatrici, ma anche quello della vittoria, della libertà e della verità" (p. 209).


(71) Questo e altri termini simili, come "dimostrazione sovversiva" ed "audace speculazione", e perfino "sconcia manife­stazione", sono usati dal Prefetto Testa nella sua Relazione, cit.


(72) Nino Casali afferma: "Si vede che aveva già un progetto di mandar giù un rapporto. La sera stessa, battendo il pugno sul tavolo, nella sua osteria ha detto questa frase: 'Se no ju an fats saltâ i vifs, ju fasaran saltâ i muarts' o 'il muart'. Proprio l'ha pronunciata".


(73) Luigi D'Agaro, in un esposto inviato da Ponza al Ministero dell'Interno, sostiene che i confidenti della polizia lo "inviarono di fronte alla commissione per il confino solo per avere un pretesto nelle loro questioni di famiglia, come si dice, cioè di arrivismo al posto di Podestà o amministratore del comune" e pertanto si dichiara "vittima di tale manovra". È molto probabile che il Cinc abbia conosciuto questa versione dalla moglie giunta da pochi mesi all'isola e proveniente da Pesariis, dove tale interpretazione era opinione molto diffusa. Vedi ACS, Confino, D'Agaro Luigi, doc. del 9 novembre 1934.


(74) Le complesse vicende giuridiche, che in parte risalgono ai tempi dell'amministrazione veneziana, sono analizzate da L. SIDAR, Storia dei beni di Pesariis, Marciano di Romagna 1963.


(75) Al censimento del 1931 risultavano residenti in Pesariis 628 abitanti (di cui 343 donne) su 2.688 persone residenti nell'intero Comune. Vedi ISTAT, VII Censimento, cit., p. 579.


(76) Concordano in tal senso le testimonianze di Antonino Casali, Giuseppe Gonano, Sisto Solari e Secondo Monaci (8 maggio 1982) di Pesariis, nato nel 1891. Emma Zanier rammenta invece la presenza di "due forestieri vestiti in borghese, scuri e sconosciuti da tutti", i quali si sarebbero messi ai due lati dell'entrata del cimitero controllando tutti i presenti.


(77) Vedi ACS, "Udine. Funerali a sovversivi", doc. del 3 giugno 1933. Tale informazione si rivela però in parziale contrasto con quanto risulta dalla copia conforme del "Processo verbale di arresto" compilato dai Carabinieri di Ovaro ai quali Fabian si costituisce appena il 9 giugno. Vedi ACS, Confino, Fabian Osvaldo, doc. del 25 giugno 1933. Pure la Relazione Prefetto Testa, cit., del 6 giugno, dichiara che Fabian "è latitante e viene attivamente ricercato". Ermes Machin afferma: "C'erano due di Pesariis che accompagnavano i carabinieri" nell'operazione conclusasi con quattordici arresti.


(78) Ibid.


(79) La stessa trascrizione del telegramma dei Carabinieri di Ovaro porta la dicitura, vergata a mano e firmata probabil­mente dal Capo della polizia Arturo Bocchini, "Presi gli ordini da S.E. il Capo del Governo: Confino". Analogamente sulla Relazione Prefetto Testa, cit., si legge "S.E. il Capo del Governo ha approvato le proposte del Prefetto" con la stessa firma. Il Prefetto aveva comunque proposto di inviare al confino nove dei quattordici arrestati.


(80) Temistocle Testa è un avvocato iscritto al partito fascista dal febbraio 1921 e partecipante alla "Marcia su Roma". Per due anni è a capo delle squadre d'azione di Modena e nel 1923 diviene comandante della legione di Mirandola della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, carica che esercita fino al marzo 1931, quando diventa Prefetto dì Perugia. Dall'ottobre 1932 fino al febbraio 1938 resta a capo della Prefettura di Udine succedendo a Mario Chiesa. Successivamente svolge l'incarico di Prefetto nella delicata provincia confinaria di Fiume, dove rimane fino alla caduta del fascismo. Collocato a riposo dal governo Badoglio, aderisce poi alla Repubblica di Salò nella quale occupa un elevato incarico amministrativo. Muore a Roma nel luglio 1949, a poco più di cinquant'anni. Vedi M. MISSORI, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1978.


(81) Vedi ACS, "Udine. Funerali a sovversivi", doc. del 5 giugno 1933. Telegramma n. 12367 spedito alle ore 11.29 dello stesso giorno.


(82) Ibid., doc. prefettizio del 5 giugno 1933.


(83) II presidente del Comitato Comunale dell'Opera Nazionale Balilla verrà sostituito ai primi di gennaio del 1934 dal maestro Filippo Palman. Vedi ACP, a. 1934, Ctg. VI, doc. del 4 gennaio 1934.


(84) Vedi ACS, "Udine. Funerali a sovversivi", doc. prefettizio del 5 giugno 1933.


(85) L'intervento per espellere Nino Casali non solo dal posto direttivo, ma dallo stesso P.N.F., sarebbe avvenuto in forma plateale, secondo la testimonianza di Sisto Solari. Il Segretario Federale Pier Arrigo Barnaba sarebbe giunto lo stes­so giorno del funerale e affrontando il Segretario locale sulla pubblica via gli avrebbe gridato: "Giovani di vent'anni senza sangue nelle vene!". Questa versione è parzialmente confermata da Ottorino Lucchini mentre Nino Casali parla di una convocazione telegrafica a Udine dove il Prefetto Testa e il Segretario Barnaba gli avrebbero comunica­to l'espulsione per incapacità.


(86) "II New Jersey in particolare,  col centro  notissimo di Paterson,  divenne uno dei maggiori punti di richiamo dell'emigrazione italiana" in L BETTINI, op. cit, vol. I, tomo 2, Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati all'estero (1872-1971) p. 289. Qui si stampa a cavallo del '900 l'importante periodico anarchico "La Questione Sociale", fondato da Pietro Gori e che ebbe come direttore anche Errico Malatesta. Da Paterson part all'alba del nuovo secolo Gaetano Bresci, diretto a Monza per "giustiziare" il re Umberto I.


Secondo il "New York Times" del 18 dicembre 1898, su diecimila italiani residenti a Paterson, duemilacinquecento si dichiaravano anarchici. Questo dato è riportato da A. PETACCO, L'anarchico che venne dall'America, Milano 1974 che fornisce anche un vivace quadro d'insieme della città americana (pp. 23-30). Va ricordato ancora che all'epoca del funerale erano passati poco più di due anni dal mancato attentato di Michele Schirru, un giovane anarchico molto attivo nei gruppi dell'emigrazione italiana negli U.S.A.


(87) Vedi Relazione Prefetto Testa, cit. Lo stesso ribadisce alla fine del 1933 la necessità di una completa "azione risanatrice". Vedi ACS, "Udine. Funerali a sovversivi", doc. del 1° dicembre 1933.


(88)  La Commissione presieduta dal Comm. Dott. Temistocle Testa (Prefetto), è composta dal Cav. Uff. Dott. Gino Tissi (Procuratore del Re), dal Comm. Dott. Francesco Peruzzi (Questore), dal Cav. Pietro Grillo (Console della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale) e dal Cav. Luigi Camelli (Maggiore dei Regi Carabinieri).


(89) Vedi Relazione Prefetto Testa, cit. Successivamente lo stesso Prefetto scrive per errore che "furono inviati al confino di polizia nove sovversivi e altri cinque ammoniti" confondendo le sue proposte con le diverse decisioni dell'apposita commissione. Vedi ACS, "Udine. Funerali a sovversivi", doc. del 1° dicembre 1933.


Un altro resoconto parzialmente sbagliato si trova nel "Rapporto del mese di giugno u.s. sulla situazione politica ed economica della Provincia" inviato dal Prefetto al Capo del Governo. In esso si definiscono "comunisti" tutti gli inviati al confino, mentre altri tre "comunisti" sarebbero stati ammoniti (e non quattro). Vedi Archivio di Stato di Udine (d'ora in poi ASU), Carte di Prefettura, b. 16, f. 61, doc. del 1° luglio 1933. L'approssimazione del rappresentante governativo emerge da una nota sul Cinc inviata nell'estate del 1933 nella quale non compare il nome di Osvaldo Fabian tra i confinati che risulterebbero così ridotti a quattro. Vedi ACS, CPC, D'Agaro Luigi, doc. del 15 agosto 1933.


Un'ulteriore e significativa confusione si ritrova nella già citata relazione della Tenenza dei carabinieri di Tolmezzo alla Questura dì Udine. A proposito del Cinc si afferma: "Anche dal lato politico è un pessimo soggetto, avendo sempre professato idee comuniste, tanto che è tuttora anarchico schedato". Vedi ACS, Confino, D'Agaro Luigi, doc. del 10 giugno 1933.


(90) Vedi ACS, CPC, Fabian Osvaldo, doc. del 22 maggio 1926.


(91) L'afflitto della malga, detta Vielma in dialetto, che "dava il pane a ben otto famiglie" comportava la spesa di L. 3.500 annue. ACS, Confino, Fabian Osvaldo, lettera di Osvaldo Fabian del 13 settembre 1933 e dichiarazione del Podestà di Enemonzo del 25 gennaio 1934. La malga presa in affitto da Fabian, e quindi subaffittata ad altri conduttori, ospita 164 capi ed è la più importante della zona in quanto a carico di bestiame proveniente dal comune di Prato Carnico. Vedi ACP, a. 1934, Atti vari, doc. senza data.


(92) "II suo stato economico è piuttosto precario, non possedendo altro che un piccolo appezzamento di terreno valutato lire 3.000". Vedi ACS, Confino, Fabian Osvaldo, doc. del 10 giugno 1933.


Al contrario il Comandante della Divisione dei Carabinieri di Udine valuta che "la sua assenza, per il periodo del confino, non riesce di eccessivo disagio economico ai familiari che versano in discrete condizioni finanziarie". Vedi ACS, Confino, Fabian Osvaldo, doc. del 4 agosto 1933.


(93) In una lettera al Capo del Governo dei primi del 1934 il Fabian dichiara che egli fu "sognatore ed altruista in buona fede nell'ambiente caotico del dopoguerra". Ibid., doc. del 20 gennaio 1934.


(94) Fabian riesce ad ottenere due brevi licenze per far fronte a questioni riguardanti la suddetta malga. Durante la seconda, di cinque giorni, viene sottoposto ad una "vigilanza ininterrotta". Ibid. doc. del 18 febbraio 1935. La Commissione Provinciale di Udine sospende gli effetti dell'ammonizione il 19 ottobre 1935 in considerazione del fatto che egli "nel decorso trimestrale ha serbato buona condotta dando palesi segni di resipiscenza". Vedi ACS, CPC, Fabian Osvaldo, doc. del 25.10.1935.


Fino al 1943 Fabian si occupa prevalentemente del lavoro e della famiglia pur mantenendo alcuni contatti politici clandestini. Partecipa poi alla Resistenza interessandosi in particolare dei rifornimenti. Nel dicembre 1944 i cosacchi scoprono una riunione partigiana in casa sua: la incendiano ed arrestano e deportano in Germania il figlio Vero che non farà più ritorno. Nel secondo dopoguerra Fabian è uno dei principali esponenti del Partito Comunista in Carnia e per vari anni anche Presidente della Casa del Popolo di Prato Carnico. Si dedica al lavoro politico organizzativo e propagandistico quasi fino ai primi anni Settanta. Muore nel marzo 1974.


(95) Fra gli arrestati solo Ermenegildo Martin, nato nel 1885, ha un'età superiore al Cinc. Vedi Relazione Prefetto Testa, cit.


(96) Vedi ACS, CPC, D'Agaro Luigi, doc. del 13 luglio 1915.


(97) Vedi ACS, Confino, D'Agaro Luigi, doc. del 9 giugno 1933.


(98) Vedi ACS, CPC, D'Agaro Luigi, doc. del 13 luglio 1915. Non sono però presenti nel fascicolo i singoli documenti che attestano queste informazioni, bensì solo i riferimenti nel "Cenno biografico" e gli aggiornamenti periodici.


(99) Vedi ACS, Confino, D'Agaro Luigi, doc. del 9 giugno 1933.


(100) La ricostruzione della sua esistenza, molto movimentata, è fatta evidentemente in modo incompleto, e talora non veritiero, dallo stesso Cinc alla Questura di Udine nell'estate del 1932. Da essa risultano comunque i frequenti e spesso involontari, spostamenti iniziati nel 1922 dalla Francia a vari centri del Belgio e poi al Lussemburgo e in Olanda.


(101) Questa testata venne editata a New York da un gruppo di anarchici italiani emigrati aderenti alla tendenza "comunista antiorganizzatrice" vicina alle posizioni di Luigi Galleani. Pubblicata regolarmente dal 1923 al 1971, "L'Adunata dei Refrattari" svolse un ruolo molto importante in tutto il movimento libertario dì lingua italiana. Vedi BETTINI, op. cit., vol. I, tomo 2, pp. 212-214.


(102) Vedi ACS, CPC, D'Agaro Luigi, doc. dell'11 agosto 1932 che riassume il deliberato della Commissione provinciale per l'assegnazione al confino presieduta dal Prefetto Mario Chiesa. Molte notizie sulla sua attività in Belgio si possono ricavare dal rapporto informativo proveniente "da fonte fiduciaria attendibile in via del tutto riservata". Egli risulta così in stretto contatto con i compagni, italiani e non, residenti a Seraing e a Liegi dove svolge intensa attività di propaganda e agitazione. L'11 febbraio 1931 viene licenziato da una ditta edile "per aver incitato degli operai a opporsi ai padroni, a reclamar loro dei salari più alti". Nel marzo de/lo stesso anno il Cinc allontana bruscamente da un caffè frequentato da operai antifascisti, un operaio fascista accusandolo di essere "servo di Mussolini" e "traditore della classe operaia". La stessa fonte fornisce inoltre ulteriori particolari sui gusti del D'Agaro nell'arreda­mento della propria camera, occupata con la moglie Elena Martin di Prato Carnico, dove "noi abbiamo visto, appesi ai muri, differenti quadri rappresentanti l'esecuzione di Sacco e Vanzetti, un'allegoria dell'affare di Matteotti, e infine parecchie fotografie di agitatori antifascisti". La compagna di Cinc ha le medesime convinzioni del marito in quanto, stando alla già citata fonte, avrebbe dichiarato ad una vicina: "Noi abbiamo lasciato l'Italia perché egli non voleva sottomettersi al Regime Fascista e la stessa cosa ci è capitata in Francia (...). Bisognerebbe schiacciare tutti i proprietari". Ibid., doc. del 15 luglio 1931.


Altre fonti lo descrivono impegnato nella costituzione di un Circolo di Studi Sociali a Liegi (Ibid., doc. del 6 aprile e, in modo contradditorio, come un "anormale e uno squilibrato" (Ibid., doc. del 10 dicembre 1929).


(103) La detenzione riguarda anche "l'insolvibilità al pagamento di L. 200 di multa", condanna non ulteriormente definita. Ibid., nota di aggiornamento del 25 agosto 1932 che fa riferimento a due ordini di cattura emessi dal Pretore di Tolmezzo nel 1924 e nel 1925. Si veda anche ACS, Confino, D'Agaro Luigi, doc. del 9 giugno 1933.


(104) Ibid., doc. del 15 agosto 1933.


(105) Ibid., doc. del 10 ottobre 1933.


(106) Un alto responsabile della polizia, molto probabilmente Arturo Bocchini, scrive sul documento accompagnatorio della dichiarazione del Cinc: "Far dire al D'Agaro che egli mentisce nettamente e che le autorità non bevono le sue bugie. Nik Di Domenico sovvenziona tutti gli anarchici. Dell'atteggiamento del D'Agaro sarà tenuto debito conto". Ibid., doc. del 7 aprile 1934.


(107)  Ibid., doc. del 22 marzo 1935.


(108)  Ibid., doc. del 24 settembre 1937.


(109) Ibid., doc. del 5 gennaio 1938. "Non ha dato prova di ravvedimento serbando le proprie idee" e "ha continuato a serbare cattiva condotta in genere. Affianca i peggiori elementi della Colonia", sono le osservazioni sulle note trimestrali di aggiornamento. ACS, CPC, D'Agaro Luigi, doc. del 30 aprile 1937 e del 30 aprile 1938.


Dopo il suo ritorno al paese d'origine nel giugno 1938 "viene attentamente vigilato" e nel settembre viene fermato "per qualche giorno per misure precauzionali", in occasione della visita di Mussolini in Friuli, in quanto "si mantiene fedele alle sue idee". Ibid., doc. dell'11 luglio e del 30 settembre 1938.


Subito dopo la dichiarazione di guerra viene arrestato come "elemento pericoloso" e internato all'isola dì Tremiti. Nel novembre del 1941 è rimpatriato in seguito ad una gravissima malattia intestinale che sarà la causa del decesso, avvenuto circa un anno dopo il ritorno al paese d'origine. Ibid., doc. del 19 luglio 1942.


(110) Vedi ACS, Confino, Cristofoli Italo, doc. dell'11 giugno 1933.


(111) La personalità di questo medico condotto, molto popolare in Val Pesarina, è descritta nell'opuscolo celebrativo di I. GUIDETTI, Ricordando Aulo Magrini, Tolmezzo 1947. Aulo Magrini diventerà commissario del battaglione partigiano "Carnia" e morirà durante un'azione contro i tedeschi il 15 luglio 1944 a Piano d'Arta.


(112) Vedi ACS, Confino, Cristofoli Italo, doc. del 8 febbraio 1934. Nel documento si pone in rilievo il fatto che la lettera è giunta da Newark e che esiste un'analogia con il vaglia ricevuto dal D'Agaro.


(113) Ibid., doc. del 1° aprile 1935.


(114) II confinato politico scrive al Capo del Governo che il suo scopo attuale sarebbe di obbedire all"'unico dovere di alleviare con il lavoro la miseria dei suoi familiari". Ibid., doc. del 14 giugno 1935.


(115)  Ibid., docc. del 23 novembre e del 21 dicembre 1935.


(116) Ibid., docc. del 31 luglio, del 15 ottobre e del 13 dicembre 1936.


(117) Ibid., docc. del 26 novembre 1937 e del 13 gennaio 1938.


(118) Anche Scel è arrestato per misure precauzionali in occasione della visita di Mussolini in Friuli. All'inizio del 1939 è richiamato alle armi, ma viene congedato dopo due mesi. Nel gennaio del 1941 viene internato nel campo di Pisticci, in provincia di Matera, fino all'agosto del 1942. L'ultima informazione del CPC è del 4 aprile 1944 e segnala: "Allontanatosi da Prato Carnico per ignota destinazione. Sono state diramate circolari di ricerca a richiesta della locale Polizia Germanica". Vedi ACS, CPC, Cristofoli Italo, doc. del 26 aprile 1944. Col nome di Aso diventa comandante del battaglione partigiano "Carnia" e compie alcune azioni molto rischiose insieme ad Osvaldo Fabian che le descrive nel suo Diario. Muore il 27 luglio del 1944 guidando un attacco al presidio tedesco di Sappada.


(119)  Vedi ACS, Confino, Cimador Guido, doc. del 25 giugno 1933.


(120) Ibid., doc. del 19 giugno 1933.                             


(121) Ibid.


(122) Ibid., doc. del 27 giugno 1933.


(123) Ibid., doc. del 29 agosto 1933.


(124) Ibid., doc. del 20 settembre 1933.


Le date e l'ordine dei fatti citati dai documenti della Prefettura di Udine risultano però in contrasto con quanto sostiene il Commissario Prefettizio Rinaldo Colledan. In data 16 settembre 1933 egli informa il Comandante dei CC di Chialina che la mattina Guido Cimador sarebbe partito con destinazione America e che nel pomeriggio sarebbe deceduta la matrigna. Probabilmente è il Colledan a sbagliare, come in altra occasione. Vedi ACP, a. 1934, Ctg. IlI, doc. del 13 settembre 1933.


(125) Ibid., doc. del 23 settembre 1933. Le testimonianze di Giglio Cimador e di Ottorino Lucchini concordano nel rievocare la breve permanenza del Cucena a Prato Carnico "sempre colle guardie dietro". Lucchini ricorda pure che i poliziotti avevano proibito a lui e a Guido Cimador di parlare tra di loro nel dialetto friulano che non era compreso dai sorveglianti.


Il suo ritorno negli Stati Uniti è salutato con soddisfazione da "La Stampa Libera" in un numero dell'ottobre 1933. L'organo antifascista considera la liberazione di Cimador quale conseguenza dell'intervento dell'American Civil Liberties Union presso l'ambasciata americana a Roma. Guido Cimador resterà attivo militante libertario fino alla morte avvenuta nei primi anni Settanta negli U.S.A.


(126) Vedi ACS, Confino, Affari Generali, Ctg. 710/88, Udine, a. 1932-33-34, docc. del 26 luglio e del 16 agosto 1932.


(127) Vedi ACS, Confino, Monaci Edoardo, doc. del 10 ottobre 1933.


(128) Ibid., doc. del 11 giugno 1933. La medesima autorità di polizia propone anche per lui la pena di cinque anni di confino.


(129) Ibid., doc. del 4 agosto 1933.


(130) Ibid,, doc. del 10 ottobre 1933.


(131) Ibid., doc. del 14 agosto 1933.


(132) Vedi ACS, CPC, Monaci Edoardo, doc. del 12 aprile 1934. Nella primavera del 1937 Lolo trova lavoro come muratore in provincia di Gorizia dove si ferma quasi un anno e dove viene segnalata la sua presenza. L'ultima informazione al CPC è del 28 novembre 1942. Muore a Pesariis nel 1971.


(133) I quattro ammoniti, i tre diffidati e i due prosciolti rimettono personalmente i fogli di via al Podestà che è ancora Ermenegildo D'Agaro. Vedi ACP, a. 7933, Ctg. 15, doc. del 25 giugno 1933.


(134) Vedi ACS, CPC, Godano Odorico, doc. del 3 settembre 1933.


(135) Gli obblighi degli ammoniti sono i seguenti:


1°) non allontanarsi da Prato Carnico senza autorizzazione dell'Autorità di P.S.; 2°) non associarsi a persone pregiudicate o politicamente sospette; 3°) non uscire di casa prima dell'alba e non rincasare più tardi delle ore 20 nei mesi di novembre, dicembre, gennaio e febbraio e delle ore 21 negli altri mesi dell'anno; 4°) non portare armi e non trattenersi abitualmente in osterie, bettole e case di prostituzione; 5°) non partecipare a pubbliche riunioni e non dar comunque luogo a sospetti con la sua condotta politica". Vedi ACP, a. 1933, Ctg. 15, doc. del 24 giugno 1933.


(136) Ibid., doc. del 24 dicembre 1933.


(137) La dicitura è nelle tre ordinanze di diffida della questura di Udine. Ibid., doc. del 25 giugno 1933.


(138) Ibid., doc. del 18 novembre 1933.


In questa occasione viene aperto un nuovo fascicolo personale al Casellario Politico Centrale. Vedi ACS, CPC, Machin Vittorio. Ezio Puntil invece era già stato segnalato alle fine del 1925, al momento del suo ritorno dalla Francia, quando gli vennero sequestrati opuscoli e giornali anarchici. Vedi ACS, CPC, Puntil Ezio, doc. dell'8 gennaio 1926.


A sua volta Secondo Monaci era stato schedato come anarchico (corretto poi in socialista), nel 1913, mentre stava lavorando a Vienna. Vedi ACS, CPC, Monaci Secondo, docc. del 16 ottobre 1913 e del 6 febbraio 1914.


In tale circostanza è inaugurato pure il fascicolo di Giuseppe Solari, definito genericamente "antifascista", e che dopo pochi mesi emigrerà in Australia. Vedi ACS, CPC, Solari Giuseppe.


(139) La missiva prosegue fornendo ulteriori informazioni e suggerimenti sul modo di utilizzare detto fondo, che "fu raccolto a mezzo collette dai sovversivi nel 1919-22 e col provento di balli pubblici fu investito (a titolo di prestito), presso la locale Cooperativa di lavoro". Si tratta di circa 8.000 lire più gli interessi che "andrebbero a favore, non incamerandoli, dei maggiori azionisti, esponenti rossi, non sapendo l'amministrazione a chi versarli". Vedi ACP, a. 1934, doc. del 7 giugno 1934.


(140) Si vedano le testimonianze di Mauro Martin e di Giuseppe Gonano. Quest'ultimo dichiara: "E non si aveva nemmeno parole da dire più, non si poteva dire il nostro pensare. Per non ricorrere a un altro fatto...".


(141) Giuseppe Gonano testimonia di aver portato personalmente la cena, del denaro e dei generi di conforto agli arrestati nella caserma dei Carabinieri di Chialina, frazione di Ovaro. E afferma: "Il popolo era affiancato a loro".


(142) Vedi ACS, CPC, Gonano Giacomo, doc. del 27 marzo 1941. Durante l'interrogatorio reso nella Questura udinese l'emigrante, ritenuto pericoloso anarchico e arrestato al momento del rientro, ammette di aver raccolto, insieme al figlio, la somma di 40 franchi tra i compaesani residenti a Chatereaux e di averli inviati a Prato Carnico quale aiuto alle famiglie dei confinati. Nella sua testimonianza Mauro Martin afferma che la madre, parente stretta del Cinc, aveva ricevuto dei contributi da antifascisti anche dopo il ritorno del D'Agaro dal confino.


(143) Vedi ACS, Confino, Fabian Osvaldo, doc. del 18 febbraio 1935.


(144) Già nel 1891 a Pittsburgh vi sono dei nuclei di lavoratori emigrati che sostengono entusiasticamente la Società Operaia di Mutuo Soccorso dì Prato Carnico. Vedi A. G. RENZULLI, Economia e società in Carnia fra '800 e '900, 1978, pp. 328-329. Qui è riportata una lettera sottoscritta da otto muratori originari della valle.


(145) Vedi ACS, Confino, Affari Generali, Ctg. 710/88, Udine, a. 1932-33-34, doc. del 9 agosto 1934. (146) Ibid., doc. del 26 settembre 1934.


(147) Ibid., doc. del 20 giugno 1934.


(148) Ibidem.


(149) Ibid., doc. del 26 settembre 1934.


(150) Gli episodi di critica e di sfogo contro il regime vennero seguiti con molta attenzione su tutto il territorio nazionale dalla polizia politica che raccolse un'ampia documentazione ordinandola per anno e per provincia, oltre che per tipo di offese (scritte, sfregi, danneggiamenti, offese al Duce,...). Una parte degli autori di tali espressioni di protesta spontanea furono deferiti al Tribunale Speciale. Vedi i tre volumi di A. DAL PONT-S. CAROLINI, L'Italia dissidente e antifascista, La Pietra, Milano 1980. Un'analisi dei dati sulla conflittualità politica durante il fascismo è in L. CASALI, E se fosse dissenso di massa?, in "Italia Contemporanea", a. XXXIII, n. 144 (luglio-settembre 1981), pp. 101-120. Il significativo caso di Firenze, con varie considerazioni di carattere generale, è esaminato nel saggio di G. SANTOMASSIMO, Antifascismo popolare, in "Italia Contemporanea", a. XXXII, n. 140 (luglio-settembre 1980), pp. 39-69.


(151) II primo episodio viene citato da Giglio Cimador che parla di undici arrestati fra i boscaioli di Truia, di cui tre avrebbero fatto alcuni mesi di prigione. Mauro Martin ricorda il fatto, ma descrive una repressione di dimensioni più ridotte. Il secondo fatto è definito nella memoria di vari testimoni (Primo Gonano, Mauro Martin, Olga Monaci) come una provocazione attuata dai fascisti per arrestare e detenere gli antifascisti più noti della valle. Mauro Martin ricorda l'esposizione di bandiere rosse vicino a Pradumbli, attuata dai sovversivi prima del Primo Maggio. "Nella ricorrenza furono issati solo pochi stracci rossi nei comuni di Spilimbergo e di Prato Carnico" viene riportato dal Prefetto di Udine nel suo rapporto mensile (maggio 1933) al Capo del Governo. Vedi ASU, Carte di Prefettura, b. 16, f. 61. La sorveglianza contro queste iniziative antifasciste veniva svolta, oltre che dalle normali forze di polizia, anche dai Militi Forestali. Vedi ACP, a. 1934, Ctg. IlI, doc. del 18 novembre 1934. Il terzo "sfregio" è rievocato da Mauro Martin il quale ritiene sia avvenuto nel 1935 o nel 1936 ad opera di giovani di Sostasio. Anche nel 1932 accade un fatto analogo per il quale sono arrestati due "canalotti". Vedi ACS, PS, a. 1933, Sezione II, Ctg. C 2, f. "Udine. Danneggiamento piante commemorative Grand'Uff. A. Mussolini".


Anche in occasione del Primo Maggio del 1934 l'autorità locale constata che "durante la notte decorsa è stato provve­duto alla guardia notturna per mezzo di militi, che non poterono impedire il collocamento degli stracci rossi trovati appesi agli alberi". Dopo aver giustificato tale tatto con la vicinanza a zone boschive, il Commissario Prefettizio Ciro Solari esprime il convincimento che "gli autori siano individuabili nelle stesse persone che hanno collocato gli stracci gli anni decorsi". Vedi ACP, a. 1934, Ctg. I, doc. del Primo Maggio 1934.


(152) Vedi ACP, a. 1933, Ctg. XI, doc. del 16 maggio 1933.


(153) Ibid., doc. del 14 febbraio 1933.


(154) Ibid., doc. dell'11 dicembre 1933. Tale documento è la risposta negativa alla richiesta del Podestà. La circolare del 31 ottobre 1933 emanata dall'Unione provinciale di Udine degli stessi Sindacati e diretta al Podestà del tempo, Rinaldo Colledan, nella quale si chiedeva di segnalare i nominativi di famiglie interessate al trasferimento, reca la decisione sottoscritta dal capo dell'amministrazione comunale, di archiviare "non essendovi famiglie in Comune disposte a recarsi nelle bonifiche e capaci di lavorare la terra".


(155) Vedi la testimonianza di Antonino Casali che afferma di aver accompagnato nel 1935 una ventina o trentina di operai che partivano per l'Africa, a piedi da Prato fino a Comeglians.


(156) Vedi ACP, a. 1933, Ctg. XI, doc. del 19 agosto 1933.


(157) Vedi ACU, Carte di Prefettura, b. 16, f. 61, doc. del primo giugno 1933. Nell'autunno del 1933 una quarantina di operai si presentano tutti insieme all'impresa Bracaleone a Tolmezzo per essere assunti. La gran parte poi desiste, ma sette vengono arrestati dai carabinieri. Vedi ACS, PS, a. 1933, Sezione II, f. "Dimostrazioni di carattere collettivo", doc. del 23 ottobre 1933. Nello stesso fascicolo non appare rilevato per il 1933 nessuno sciopero o agitazione sul posto di lavoro nell'intera provincia friulana.


(158) La formula dei "pochi esaltati in opposizione alla Patria e alla Famiglia" è usata ripetutamele nei documenti di proposta di invio al confino degli arrestati a Prato Carnico. Vedi, ad esempio, ACS, Confino, Fabian Osvaldo, doc. del 19 giugno 1933.


(159) Dal 1932 al 1933 si sarebbe verificata una netta diminuzione, delle "dimostrazioni di carattere collettivo, agitazioni operaie ed incidenti" rilevate dalle autorità di polizia. Le prime risultano più che dimezzate passando da 520 a 251, le seconde si riducono da 129 a 82 e gli ultimi, considerando solo quelli di natura politica, da 94 a 56. Questi dati sono forniti mensilmente dai Prefetti al Ministero dell'Interno. Il riepilogo è in ACS, PS, a. 7933, Sezione II, f. "Dimostrazioni ecc.". "L'attività sovversiva (...) ha perduto evidentemente di combattività e di audacia" dichiara a fine giugno 1933 il prefetto Testa facendo riferimento all"'attività comunista nella Provincia". Vedi ACS, PS, A. 1933, Sezione I, f. "Udine. Movimenti sovversivi antifascisti", doc. del 27 giugno 1933. Il fenomeno della crisi dell’attività comunista" dal primo gennaio 1933 è sensibilmente e soprattutto qualitativamente diminuito rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente" sostiene una relazione ad hoc della Direzione Generale di PS. Vedi S. COLARIZI, (a cura di) L'Italia antifascista dal 1922 al 1940, Bari 1976, pp. 357-358. Secondo la curatrice, (p. 426-427), a partire dal 1936 si manifesta chiaramente un "antifascismo di massa" o "dal basso" come fenomeno "popolare spontaneo" che si esprime al di fuori delle strutture dei partiti antifascisti secondo tempi e forme proprie. In generale la questione del consenso e del dissenso popolare ha trovato una notevole attenzione storiografica, diversificata nelle interpretazioni e nei giudizi. Una "guida" al dibattito scaturito a metà degli anni Settanta dall'opera di Renzo De Felice è in D.M. SMITH - M.A. LEDEEN, Un monumento al duce?, Firenze - Rimini 1976.


(160) Per un discorso storico sul movimento operaio e popolare in Carnia mancano tuttora studi, sia di carattere generale che settoriale. In questo senso avrebbero una gran utilità ricerche di tipo antropologico e sociologico, oltre che di geografia umana e di storia. Un esempio valido e stimolante, condotto sulle strutture economiche, culturali e politiche di un villaggio andaluso è in J. PITT-RIVERS, II popolo della Sierra, Torino 1976.


(161) In questo senso il funerale di Prato Carnico rivela una coscienza antifascista con aspetti simili a quelli di altre regioni d'Italia. Si vedano ad esempio G. ISOLA, Solidarietà popolare e repressione fascista: il Soccorso Rosso in provincia di Firenze (1924-1939) in "Ricerche Storiche", a. XII, n. 2-3 (maggio-dicembre 1982), pp. 525-539, ed E. MANNARI, Tradizione sovversiva e comunismo durante il regime fascista. 1926-1943. Il caso di Livorno., in "Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli", a. XX (1979-80), pp. 837-874.


(162) II locale, a spese del Comune, viene reperito a Pesariis dal Commissario Prefettizio Ciro Solari agli inizi del 1934. Vedi AGP, a. 1934, Ctg. XII, docc. del 7 febbraio e del 17 febbraio 1934.

(163) Olga Monaci e Secondo Monaci sono i più convinti assertori della presenza di questo simbolo del movimento proletario mentre Sisto Solari la ritiene probabile. Decisamente negativi Mattia Machin e Onorino Lucchini; quest'ultimo sostiene che non c'era "neanche un pezzettino" di bandiera.