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Mauro Canali
I preti spie del regime fascista |
I trascorsi spionistici del vescovo polacco Wielgus, che riferì alla polizia comunista sul movimento cattolico polacco e sugli esponenti di spicco della Chiesa del dissenso, richiama vicende analoghe della nostra storia risalenti al regime fascista, che tuttavia per il diverso contesto in cui si conclusero non giunsero mai, a differenza di quanto sta avvenendo in Polonia, all'attenzione dell'opinione pubblica. Le ragioni del differente epilogo risiedono nel diverso contesto internazionale in cui esse si sono concluse, dove l'impossibilità in Italia della cosiddetta "resa dei conti" col passato fascista - derivata dal quasi immediato avvio, dopo la guerra, di una lunga stagione di "guerra fredda" - si misura con una situazione in Polonia che non presenta alcun ostacolo né interno né internazionale ai processi di chiarificazione con il passato regime filosovietico.
Anche l'Ovra fascista reclutò tra il clero un cospicuo numero di spie che consentirono il controllo del Vaticano e degli ambienti cattolici contigui al dissenso antifascista. Alla caduta del fascismo, l'Alto commissario per i reati fascisti, grazie alla documentazione della polizia politica fascista su cui riuscì a mettere le mani, tentò d'istruire processi a carico dei sacerdoti più compromessi. Anche se rinviati a giudizio, essi si salvarono grazie all'amnistia di Togliatti del 1946.
Monsignor Enrico Pucci venne reclutato nell'ottobre del 1927 ed entrò a far parte della rete di spie dirette da Bice Pupeschi, amante di Bocchini, i! potente capo della polizia fascista. Redattore del giornale cattolico Corriere d'Italia, l'amicizia col cardinale Spellmann aveva aperto a Pucci la strada alla collaborazione con autorevoli periodici cattolici americani, come il National Catholic, tanto che nel 1941 arrivò ad espletare "la maggior parte del servizio giornalistico vaticano per la stampa degli Stati Uniti". Alla stessa rete di Pucci appartenevano due alti prelati, monsignor Caterini e monsignor Stoppa. Altra spia di spicco fu monsignor Umberto Benigni, tra i maggiori protagonisti negli anni del pontificato di Pio X della battaglia antimodernista condotta dalla Chiesa sul terreno teologico e politico-culturale. Antisemita incallito e collegato alle destre europee più radicali, Benigni aveva contribuito alla diffusione in Europa dei falsi Protocolli dei Savi di Sion. Aveva fondato il settimanale Corrispondenza Romana e l'organizzazione segreta "Sodalitium Piaanum", nota col nome di "Sapinière", di cui fu direttore generale. L'associazione era divenuta un potente strumento di controllo e spionaggio della vita privata dell'alto e del basso clero. Sebbene nel 1921 venisse ufficialmente sciolta da Benedetto XV, venne di fatto conservata in vita e messa da Benigni a disposizione del fascismo. Col numero di codice 42, egli la diresse fino alla morte avvenuta nel febbraio 1934. Nel suo gruppo, dove si mostrarono assai attivi alcuni sacerdoti, spiccò per l'intensa attività delatoria il francescano padre Vincenzo Riccio, che da Alessandria d'Egitto riferì dal 1924 al 1931 sull'antifascismo esule.
Nelle liste della zona Ovra della Sardegna appaiono i nomi di don Vito Sguotti, parroco di Carbonia e rappresentante locale dell'Onarmo, Opera nazionale assistenza religiosa morale operai, del parroco di Mamoiada, don Giovanni Bussa, e di quello di Iglesias, don Antioco Arrius. Per don Sguotti è stato addirittura avviato in questi anni, per iniziativa della comunità cattolica di Carbonia, un processo di beatificazione. La lista di esponenti del basso clero attivi nello spionaggio continua con don Giovanni Fortino, don Carlo Diana, il quale ancora nel 1927 celebrava messa nella chiesa romana di S. Eustachio; don Ottavio Seassaro, spia dell'Ovra nella zona nevralgica di confine Sanremo-Ventimiglia; don Dorbolò, il quale, oltre a spiare i fedeli della diocesi di Udine, si recava spesso a Lubiana per riferire sul fuoruscitismo antifascista.
Il nucleo più attivo dei sacerdoti al servizio della polizia politica fascista fu tuttavia quello che operò nelle zone nord-orientali del paese. Costoro, al servizio di Virginio Troiani, un ex giornalista del Paese, e personaggio importante dello spionaggio fascista, fornirono un contributo prezioso al regime nella lotta contro le popolazioni allogene ostili alla italianizzazione coatta condotta dal fascismo. Dai documenti risultano: don Giuseppe Juch, cappellano dell'Ospedale "Fatebenefratelli" di Gorizia, che si recava spesso in Jugoslavia per "mettersi in contatto" e riferire sui "fuorusciti giuliani". Della stessa rete spionistica facevano parte i sacerdoti Giovanni Resci, Andrea Pavlica e monsignor Federico Brumet. Al gruppo si unì, nel giugno 1942, Giuseppe Godina, pseudonimo "Gluck", un sacerdote del collegio "Vicentinum" di Lubiana, in passato segretario della federazione fra gli operai cattolici, che prese a riferire su alcuni gruppi di comunisti slavi con cui era in contatto.
Ma il nome eccellente del gruppo dei prelati gestiti da Troiani è quello di monsignor Luigi Fogar, che riferiva col numero di codice 90. Vescovo di Trieste e di Capodistria dal luglio 1923, fu l'alfiere della lotta contro l'italianizzazione coatta delle minoranze slave perseguita dal fascismo. Uscito sconfitto, la Santa Sede nel 1936 lo aveva nominato arcivescovo di Patrasso. Trasferitosi a Roma, egli - a quanto risulta dai documenti dell'Alto commissario per i reati fascisti, incaricato alla caduta del fascismo d'indagare sulla sua attività spionistica - collaborò con la polizia politica fascista dal 1939 al 1943. A conclusione dell'esame della documentazione presente nel fascicolo dell'Ovra, il magistrato compilò un impressionante elenco dei principali capi di accusa, secondo il quale Fogar nel solo 1943 aveva fornito alla polizia fascista, tra l'altro, informazioni riguardanti i sentimenti filo-inglesi e antifascisti di monsignor Santa, vicario apostolico di Gimma; aveva segnalato l'arrivo alla Segreteria di Stato vaticana di dispacci segreti sui rapporti tra Londra ed Ankara e puntualmente riferito sull'avversione verso il regime fascista di vari alti prelati vaticani tra cui monsignor Spada, il cardinale Fumasoni Biondi, monsignor Rossignani, monsignor Respighi; aveva inoltre fornito informazioni sul conto di monsignor Santin, dei cardinali Pizzardo e Salotti, e su n tentativo di mediazione diplomatica condotto dal Vaticano tra Usa e Giappone. Aveva infine riportato a Bocchini le impressioni e i commenti raccolti in Vaticano sulle frequenti perquisizioni della polizia presso persone e negli uffici dell'Azione Cattolica.
L'attività informativa di Fogar era proseguita anche dopo il 25 luglio 1943, quando, ad esempio, aveva trasmesso alla polizia politica "una lista di tedeschi antinazisti residenti a Roma". L'11 settembre 1943, registra sempre il documento del magistrato, Fogar aveva riferito le "dichiarazioni rese dall'ex deputato De Gasperi sull'andamento della guerra". L'attività di Fogar era continuata intensa per buona parte dell'esistenza della Rsi. Egli aveva riferito le reazioni in Vaticano alla notizia delle "atrocità tedesche" e di quelle "commesse a Ferrara dai fascisti repubblicani" e aveva rivelato "l'ingresso in Vaticano di tre soldati fuggiaschi", accolti da Osborne, ministro plenipotenziario inglese presso la Santa Sede; aveva infine riferito, forse perché la cosa lo toccava direttamente, "sui propositi degli Alleati per la punizione dei criminali di guerra e le spie dell'O.V.R.A." Denunziato all'Autorità giudiziaria con l'imputazione "di aver contribuito con atti rilevanti, quale confidente dell'Ovra, a mantenere in vigore il regime fascista", si salvò perché in suo soccorso era nel frattempo sopraggiunta l'amnistia di Togliatti.
la Repubblica 10 gennaio 2007